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Pensare in grande per affrontare l’Era della conoscenza

in Zigzag in rete by
Le idee e la conoscenza sono sempre più importanti ma a dispetto dell’enorme flusso di informazioni che ci travolge pochi riescono a padroneggiarle. Big Think prova a unire i punti e fornire spunti e riflessioni per interpretare il presente

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Siamo tutti dei narratori

in Zigzag in rete by
Conosciamo tutti la Pixar per i capolavori d’animazione come Toy Story, Wall-e, Inside Out, il laboratorio in collaborazione con Khan Academy permette di scoprire dietro le quinte su come sono stati realizzati e insieme insegna l’arte dello storytelling

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Un museo della scienza in classe

in Attività di classe by
Come creare un museo della scienza a scuola, aperto a visitatori esterni, partendo da un albo illustrato: l’esperienza raccontata dalla voce dell’insegnante, Claudia Ferraroli

Un paio di anni fa, in giro per le scuole con i laboratori ispirati ad alcuni giochi educativi da me progettati, finisco nella piccola scuola di montagna che mi ha visto felice alunna. L’emozione è stata tanta, anche nel constatare che nulla era cambiato nel frattempo: pochi bambini curiosi, verde intorno e un forte turn over di insegnanti, scoraggiati dalla ubicazione disagiata della scuola. Decido così di dare una mano e per il nuovo anno scolastico vengo reclutata dalla preside attraverso una messa a disposizione. Inizia così la mia avventura nel mondo della scuola, con l’esperienza di una cinquantenne e l’entusiasmo di una neolaureata.

Tra le materie che insegno c’è scienze. Mi trovo per lo più a che fare con pluriclassi di pochi bambini e l’impostazione diventa laboratoriale. Si lavora per competenze, questa parola così nota e contemporaneamente poco conosciuta nel mondo della scuola. Si tratta di sollecitare attitudini e potenzialità ed utilizzare le singole discipline come strumento formativo, non come obiettivo. Per stimolare curiosità e meraviglia nei bambini e fare emergere il loro pensiero critico, gli studenti sono invitati a conoscere direttamente attraverso il contatto con l’elemento naturale, in questo caso piante e animali, a individuare dati, formulare ipotesi, applicare strategie. Per cui ogni argomento viene affrontato in classe attraverso domande e resoconti di esperienze personali.

Gli aspetti positivi vengono valorizzati ed integrati con conoscenze che gli allievi non sono ancora in grado di possedere. Le rielaborazioni di quanto emerso diventano giochi su singoli argomenti, canzoni, libri in formato gigante scritti dai bambini, piccole drammatizzazioni. In particolare per il programma di scienze che va dalla prima alla quarta classe, ho proposto ai bambini di creare per la fine dell’anno scolastico un museo della scienza, aperto a visitatori esterni. Un museo dinamico, esperienziale ed attivo. Per dare maggiore risalto alla proposta ho letto in classe l’albo illustrato: “ Kubbe fa un museo” Electa kids editore . Narra la storia del tronchetto Kubbe, collezionista meticoloso, che ha raccolto, classificato, etichettato e fotografato troppe cose, fino a quando non ha più spazio in casa. Che fare? Kubbe ha la straordinaria idea di aprire un museo. L’entusiasmo di Kubbe è stato contagioso anche per i bambini della piccola scuola di montagna. Il materiale naturale non manca; basta uscire dalla porta o guardare dalla finestra e le idee su come proporre il progetto tante, integrate dalla sottoscritta che ha giusto il vantaggio di avere una visione d’insieme del programma e che comincia a prendere nota di tutto quello che emerge direttamente dai bambini.

Gli argomenti che vengono trattati, sempre partendo da domande, riflessioni, spunti personali trasformati in prodotti creativi ed artistici, sono di volta in volta rielaborati nell’ottica del museo. La fine dell’anno arriva e per i primi di giugno organizziamo la mattinata al museo, invitando le famiglie a farci visita. Usiamo un’aula e disponiamo i banchi a ferro di cavallo, creando una sorta di percorso e dando la possibilità ai bambini di posizionarsi dietro i banchi per interagire con i genitori. Gli alunni si dividono in piccoli gruppi, ognuno del quale si occupa di un singolo settore del museo.

All’inizio del percorso troviamo i bambini di prima che hanno lavorato ed approfondito i cinque sensi,fondamentali per fare esperienza del mondo che ci circonda. Abbiamo creato delle scatole sensoriali, che raccolgono oggetti, cibi, profumi e tutto quello che può stimolare i sensi dei visitatori. Gli alunni di seconda e terza si dedicano alla piramide della alimentazione, che è diventata un gioco ( una piramide costruita con del cartoncino pesante, divisa per colori e i singoli cibi, dotati di velcro, devono essere posizionati dai genitori nello spazio corretto). Sono gli alunni che gestiscono il gioco e ne controllano la correttezza esecutiva. Gli stessi si occupano anche degli animali. Durante l’anno hanno creato un grande libro illustrato con tutte le informazioni principali: alimentazione, riproduzione, movimento etc. e ora lo mostrano ai genitori e spiegano quanto hanno imparato.

Un altro gruppo di bambini invece propone il gioco di creare un animale fantastico attraverso delle carte colorate. Si pescano due carte animali che saranno la base dell’animale inventato ( es. leone e formica), poi altre che definiranno come si alimenta, riproduce, muove etc. il nuovo essere. Ai genitori non resta che completare una scheda ed inventare il nome! Infine i bambini di quarta si occupano di piante: impollinazione, fotosintesi clorofilliana, caratteristiche delle piante sono presentate con un gioco attacca-stacca, un puzzle, una breve drammatizzazione accompagnata da illustrazioni e con una canzone che è una vera propria ode alla natura.

Non manca poi l’angolo dedicato agli esperimenti. Una serie di foglie, cortecce e nidi fanno da cornice all’allestimento. In quella magica mattinata, l’insegnante non fa altro che girare tra gli spazi, controllando che tutto proceda senza intoppi e verificando in maniera diretta quanto i bambini hanno appreso e di come le abilità e le competenze di ciascuno siano anche al servizio di un momento di condivisione importante con le famiglie e il territorio.

Credits immagine: particolare da “Kubbe fa un museo” di Johnsen Kanstad, Electa Kids, 2013

Leggere ci rende persone più empatiche

in Zigzag in rete by
Secondo lo studio della Kingston University di Londra leggere ci rende più buoni ed empatici verso gli altri.  

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Come capire cosa davvero i nostri alunni conoscono già?

in Approcci Educativi/Scuola by
I pre-requisiti di apprendimento: cosa si può dare per scontato e come fare a capire ciò che davvero l’alunno conosce già.

Mediare i pre-requisiti di apprendimento: una delle cose più difficili dell’insegnare e dell’educare è capire cosa realmente conosce o non conosce l’alunno; cosa ancora più difficile è mettersi al livello della persona che si ha davanti e diventare mediatore di quel che spesso si dà per scontato. In questo articolo voglio parlare dei pre-requisiti che occorrono per imparare, al di là della scuola e delle materie; perché la capacità di apprendere è parte integrante della vita!

Se potessi chiedere a ognuno di voi di dirmi tre cose che servono per imparare, credo che in tanti darebbero risposte che sono esterne alla persona (strumenti, insegnanti, oggetti…). Vi propongo di soffermarvi su tre potenzialità della persona, che sono già dentro a ognuno di noi: capacità di adattamento, modificabilità e autonomia.

Capacità di adattamento

Quanto è importante scoprire quanto i nostri educandi riescano ad adattarsi al contesto in cui si trovano o al compito che viene loro affidato? Adattarsi rende le persone più presenti a se stessi e alle loro capacità. Male rende anche più consapevoli dei loro difetti e questo li rende più attenti a trovare ciò che occorre per superare quella situazione.

Modificabilità

Noi per primi, educatori, adulti, insegnanti, ci sentiamo spesso arrivati e immodificabili, diciamo che non possiamo cambiare perché ormai siamo “fatti così”. Ma quale speranza ed esempio possiamo dare ai nostri giovani sull’importanza del cambiamento?

I nostri bambini e ragazzi devono avere la certezza di poter cambiare, di poter modificare il loro comportamento e linguaggio, le loro scelte e il loro futuro.

Autonomia

Tutte le scuole, le ricerche psicologiche e pedagogiche ne parlano, ma noi sappiamo davvero far accrescere nell’altro il senso di autonomia? Abbiamo davvero interiorizzato il significato di “godere della propria autonomia”? Il termine godere sta proprio a significare l’importanza che ha, per il singolo, l’essere felice nel poter scegliere da solo ciò che è meglio. E questo sta alla base della comprensione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Mediare queste capacità passa attraverso l’uso delle parole giuste. Quelle che infondono coraggio all’altro, che spingono l’altro a fare meglio, a usare al meglio le proprie capacità. Ma sono anche quelle che spingono ad accettare le proprie difficoltà, e a cercare di migliorare e migliorarsi.
I nostri comportamenti, il nostro linguaggio del corpo, la cura del luogo in cui si accoglie l’altro, è già mediazione dei requisiti che stanno alla base di ogni singolo apprendimento.

Mediare queste basi dell’apprendimento significa prendersi il tempo di poter guardare a fondo l’altro e attendere che, piano piano, apra le sue porte e ci dia il giusto “mazzo di chiavi” per aiutarlo in questa personale scoperta.

Crediti fotografia Muhammed-Faread

Gasparo e lo spirito del Natale

in Affettività e Psicologia by
natale
Il racconto natalizio di Renato Palma, la storia di Gasparo, un particolare Unsipole grosso e burbero, ma gentile coi bambini che non crede a Babbo Natale

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Scrittura creativa eco-friendly: il Babbo Natale “ecologico”

in Senza categoria by

Le settimane che precedono le festività natalizie possono essere un’occasione per sperimentare alcune produzioni scritte a tema, con un occhio alla ecosostenibilità

Agli studenti di tutte le età piace ascoltare e raccontare storie. Perché non approfittare delle settimane precedenti al Natale per far scrivere una storia a tema natalizio che dimostri attenzione per l’ambiente e rispetto per il pianeta?

Si tratterà di un’attività di scrittura creativa sicuramente apprezzata in un momento dell’anno in cui tutti sentiamo un certo desiderio di fantasticare.

Incipit da continuare o spunti da completare

L’incipit da completare potrebbe avere come protagonista Babbo Natale un po’ insolito in veste ecologica.

Da sempre attento alla sostenibilità, dimostrazione ne è la sua slitta trainata da renne e priva di motore, il Babbo Natale della nostra storia potrebbe decidere quest’anno di distribuire ai bambini solo doni ecosostenibili.

Non solo: potrebbe riservare un regalo doppio, ovviamente ecofriendly,  a tutti coloro che appenderanno nel camino un decalogo di regole da seguire per rispettare l’ambiente e la natura.

Sarà compito degli studenti descrivere quali doni inserirà Babbo Natale nel suo grande sacco, ma anche provare a stilare il decalogo per la salvaguardia della natura e del benessere del pianeta.

Si fa esercizio di scrittura e si trattano tematiche di educazione civica, sentendoci un po’ tutti parte attiva in grado di mantenere la Terra in salute. 

Un po’ di fantasy e un po’ di realismo

Per vivacizzare la nostra storia, possiamo fare in modo che Babbo Natale voglia incontrare delle persone che dedicano (o hanno dedicato) parte della loro vita al rispetto e alla protezione del pianeta.

Possiamo far immaginare situazioni fantastiche o far comporre dialoghi credibili, ma può rivelarsi interessante anche far conoscere la storia di alcune persone che hanno a cuore la difesa dell’ecosistema del pianeta.

Quindi si possono fare letture riferite a Greta Tumberg, a Vandana Shiva, al “ragazzo del vento” William Kamkwamba, così da farli diventare essi stessi personaggi della storia.

Notizie di ecosostenibilità

Babbo Natale che sorvola l’isola di plastica, che intravede il buco nell’ozono, che parcheggia la slitta nelle foreste delle aree protette, che vede un intero ghiacciaio sciogliersi… tutti spunti per approfondire tematiche di ecosostenibilità, per far conoscere i maggiori pericoli ambientali del nostro tempo e, contemporaneamente, per fornire interessanti sollecitazioni di scrittura. 

La voglia di raccontare e di inventare dei nostri studenti ci stupirà.

Tutorial e consigli per riciclare in modo creativo 

Un input di scrittura finale potrebbe essere quello di richiedere di essere creativi e fantasiosi anche in tema di riciclo: come poter riutilizzare ciò che non serve più?

E qui verranno messe in gioco immaginazione e creatività, oltre che importanti azioni ecosostenibili da poter svolgere in prima persona: i miei studenti di una classe prima di scuola secondaria di primo grado hanno parlato, ad esempio, di borse ricavate da vecchi tessuti, di decorazioni create con tappi di bottiglie di plastica, di contenitori che diventano colorati portapenne, di calendari dell’avvento o del nuovo anno realizzati con le proprie mani.

Alcuni hanno creato perfino dei veri e propri video-tutorial per spiegare tutti gli step di lavoro, come dei provetti tiktoker.

Interessante, no?

Insomma, con un po’ di fantasia, con un po’ di attenzione ai problemi del pianeta e al mondo di proporli in maniera stimolante e propositiva, possiamo anche in classe riflettere, scrivere e augurarci Buon Natale all’insegna dell’ecosostenibilità!

Qui un’attività di scrittura creativa su Babbo Natale ecologico, realizzata qualche settimana fa in una classe prima di scuola secondaria di primo grado, inserita nel blog di istituto.

Qui, invece, trovi altri articoli sul Natale

Silent book: un libro senza parole che ha tanto da dire

in Attività di classe by

Leggere un libro senza parole può sembrare impossibile, invece non lo è. Un silent book si rivela uno strumento potentissimo per lavorare su più fronti anche in classe. Vediamo come!

Se si vuole lavorare sull’educazione all’immagine, sull’attenzione ai dettagli, sulla concentrazione, sulla negoziazione e co-costruzione dei significati, sullo spirito critico, sulla capacità di immaginazione, perché non provare a leggere in classe un silent book?

Cos’è un silent book?

Il silent book, o libro silenzioso, è un libro molto particolare, infatti contiene solo immagini e nessuna parola. L’unica parola che compare è quella del titolo; per il resto, solo ed esclusivamente immagini.

Si tratta, in genere, di libri di alta qualità, sia per il valore iconografico che per le tematiche di alto spessore.  In realtà il termine “silent book” lo utilizziamo solo in Italia, infatti all’estero è chiamato “wordless book”, ovvero libro senza parole, ma ciò che conta è  il fatto che la lettura di un simile testo avvenga solo ed esclusivamente tramite canale iconografico.

Cosa succede durante la lettura di un silent book?

Quando si legge un libro senza parole, per necessità di cose, si è costretti ad assumere un ruolo attivo e partecipativo. L’interpretazione e la narrazione della trama, basata solo sull’osservazione delle immagini e sulla capacità di fare inferenze, vede il lettore protagonista attivo della storia.

Il silent book pone interrogativi e domande aperte, stimola creatività e immaginazione, richiede di riflettere, investigare, così da far diventare i lettori veri e propri coautori della narrazione.

Il libro senza parole è senza dubbio un libro difficile da pensare, da realizzare, da leggere e anche da pubblicare, ma per certi versi è anche più bello del libro con le parole, perché ci rende più interrogativi, più investigativi, più riflessivi, in definitiva più autonomi e più coautori della narrazione. È un libro sempre avventuroso e sorprendente, tanto per chi lo immagina quanto per chi se lo ri-immagina. Ed è un’emozione sempre diversa.

Ferruccio Gironimi in Piccolo elogio dei libri senza parole

Quali sono i benefici della lettura di un silent book?

Il silent book è un libro altamente inclusivo, non necessità di decodifica testuale e il solo apparato iconografico permette di essere affrontato anche da coloro che, per varie ragioni, non possono essere in grado di leggere un testo. Questo a scuola può essere di grande aiuto, perché permette di poter affrontare tali letture anche con bambini piccolissimi o con alunni non italofoni. E non solo a scuola, basti pensare alla grande quantità di libri senza parole presenti negli scaffali della biblioteca di Lampedusa.

I libri senza parole sono ponti verso le altre culture” afferma la grande illustratrice coreana Suzy Lee.

E in un mondo come il nostro, dove le immagini scorrono veloci e ci relegano ad un ruolo di osservatori e fruitori passivi, il silent book richiede di soffermarsi sulle illustrazioni, di concentrarsi sui particolari, di dedurne significati, di fornire personali interpretazioni. Ci richiede, insomma, di diventare, finalmente, fruitori attivi delle immagini che osserviamo.

Come si legge un silent book?

Il silent book va osservato: vanno osservati con attenzione tutti i dettagli, vanno ricercati i simboli, va notata la scelta del formato e va posta attenzione alla scelta del colore, compreso lo spazio bianco.

Quando non  ci sono le parole si vede di più. Non si possono perdere indizi e dettagli visivi perché servono per capire la storia. Anche lo spazio bianco serve per raccontare e vale più di mille parole” – dice Suzy Lee, quindi anche la pagina bianca assume un preciso significato. 

Lo spazio bianco è lo spazio dell’ascolto, lo spazio per fantasticare” – continua Suzy Lee – “È nello spazio bianco che i lettori creano le loro storie.  Si formano così storie nelle storie”.

Ciò che davvero si rivela interessante è la negoziazione dei significati e delle interpretazioni di ognuno: accogliere le idee altrui, ricostruire la storia insieme, arricchita dei contribuiti di ognuno, è un ottimo sistema per potenziare il senso di appartenenza della comunità-classe. Il momento della condivisione, se ben impostato e ben condotto, si rivelerà un piacevole momento di confronto e arricchimento reciproco.

Per leggere un libro senza parole in modalità collettiva è importante sfogliare le pagine e sostare su ogni tavola in silenzio, così da lasciare tempo per osservare i particolari che servono per ricostruire la storia senza influenzarne la libera interpretazione.

Ancora un’osservazione: leggere e rileggere un silent book è sempre una bellissima esperienza, anche quando lo facciamo da soli, infatti ogni volta che lo leggiamo troviamo particolari e significati sempre nuovi.

Quali attività didattiche possono abbinarsi alla lettura di un silent book?

Dopo la lettura di un silent book – se lo si vuole – possiamo chiedere ai nostri studenti di sperimentare diverse attività, anche riguardanti la produzione scritta:

  • raccontare cosa succede nella storia scrivendo le scene in maniera dettagliata;
  • nel passaggio tra le varie scene, cercare di far incentivare il più possibile l’uso dei connettivi;
  • far scrivere dialoghi e far immaginare le sensazioni provate in alcune scene utilizzando le descrizioni sensoriali;
  • far spiegare i particolari delle immagini e l’uso del colore, con i significati simbolici riscontrati;
  • far raccontare la storia da vari punti di vista, usando prima e/o terza persona;
  • chiedere a ciascuno quali significati, messaggi e inferenze si possono ricavare dalla storia. 

Con i libri senza parole vengono facilitate anche attività dalla valenza interdisciplinare, ad esempio connessioni tra discipline linguistiche e artistiche o percorsi incentrati sui temi dell’educazione civica.

Quali sono gli obiettivi didattici che si mettono in gioco con la lettura di un silent book?

I libri senza parole possono concorre allo sviluppo di numerosi obiettivi didattici, quali

  • favorire l’educazione all’immagine e, di conseguenza, l’educazione alla lettura e al piacere di leggere libri diversi dal consueto;
  • sviluppare l’abilità di osservazione e di decodifica delle immagini;
  • imparare a negoziare i significati;
  • imparare a fornire interpretazioni personali e accoglierne di nuove;
  • favorire la discussione di gruppo;
  • favorire la co-costruzione del sapere;
  • sviluppare l’abilità di narrazione, quindi lavorare su abilità linguistica e patrimonio lessicale;
  • imparare a compiere inferenze e connessioni;
  • stimolare l’immaginazione e la creatività;
  • incoraggiare l’inclusività e la partecipazione al dialogo da parte di tutti i membri di un gruppo, così da incrementare il senso di appartenenza ad una comunità che apprende.

Obiettivi non esclusivamente disciplinari, ma trasversali e afferenti la sfera della cittadinanza attiva e partecipativa.

Di silnet bool ne avevamo parlato anche qui, recupera l’articolo se non lo hai già letto!

Foto di Anita Jankovic su Unsplash

Il Morgagni, i voti e la guerra sulla valutazione

in Scuola by
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Il liceo Morgagni, intervenendo sui voti, ha generato una guerra culturale, ma la valutazione scolastica non cambierà agendo su un solo elemento. Tante cose devono cambiare, come i crediti scolastici (ma forse questi dovrebbero solo sparire)

La vicenda del Morgagni, il liceo che ha provato a riconsiderare il significato e l’opportunità dei voti a scuola, ha generato una sorta di guerra di idee sulla valutazione scolastica. 

Certo, la “scuola delle relazioni e della responsabilità” era una sperimentazione e, in quanto tale, aveva proprio lo scopo di aprire un dibattito, ma sorprende e dispiace che la discussione pubblica abbia dovuto vertere non già sul suo andamento, bensì sulla sua fine.

Si poteva discutere degli effetti della sperimentazione sugli studenti, o di come migliorarla, o di come adattarla ad altri contesti, mentre invece ci si è sostanzialmente limitati ad approvare o condannare la decisione della scuola, peraltro avvenuta  con un colpo di spugna così improvviso e definitivo da lasciare interdetti.

Ma qual è il problema…

Il problema più grosso sta nella sbagliata contrapposizione tra valutazione formativa e sommativa. Io stesso non trovo il voto numerico particolarmente utile, ma la rappresentazione fatta dagli abolizionisti dell’uso del voto da parte dei docenti italiani è spesso riduttiva.

Come anche nel recente (e per molti altri versi condivisibile) libro di C. Corsini, si ha l’idea di docenti cupi e grifagni che altro non aspettano che di tormentare i ragazzi lapidandoli coi voti, laddove gli abolizionisti si propongono come coloro che con i ragazzi vogliono curare un rapporto più umano e profondo (cosa cui sembra alludere anche la definizione stessa di scuola “delle relazioni”).

E’ una dicotomia semplicistica che, non assente in alcuni passaggi dei documenti del Morgagni, può aver esacerbato gli animi.


L’abuso del voto esiste (ed è innegabile)

Ma esistono anche docenti attenti che usano i voti con buon senso e senza trascurare la valutazione formativa, la cui importanza per fortuna è ormai senso comune.

Esiste anche l’ossessione degli studenti per il voto e per le medie, che l’attuale docimologia scolastica di certo fomenta, soprattutto attraverso il nefasto strumento dei crediti scolastici.

Questa improvvida invenzione del legislatore scolastico costringe i docenti a fare medie senza senso dei voti nelle varie materie e a far pesare sull’Esame di Stato voti vecchi di anni, uccidendo ogni reale motivazione allo studio.

Un tale intrico di abitudini, necessità burocratiche ed esigenze pedagogiche non lo si risolve semplicemente abolendo il voto, ma con una comprensione profonda del funzionamento della scuola. Cosa genera ansia, come la si riduce, come si favorisce l’apprendimento?

Il voto e la sua gestione

La mia ipotesi è che il problema col voto non sia nella sua natura “numerica”, ma nella sua gestione. I voti in corso d’anno (in itinere) costituiscono la spia dell’andamento scolastico. In altre parole essi sono un manometro che va tenuto quanto più possibile al di sopra della fatidica soglia del 6.

Quando uno studente prende meno di 6 chiede come recuperare, e con questo generalmente non intende come può migliorare la propria preparazione, ma come può riportare la media in un’area sicura.

Quando prende 5, uno studente non si dà pace finché non prende un 7 che riporti la media a 6. Che prendere 7 in un’altra valutazione non copra le sue lacune non è importante: primum vivere, cioè non prendere debiti.

Se si tolgono i voti ma si lasciano a valle gli scrutini così come sono, ovvero un mercato delle vacche di “voti di consiglio”, “aiutini” e considerazioni estemporanee, l’ansia rischia di rimanere, perché agli studenti rimarrà l’idea, del tutto giustificata, che le loro sorti siano appese a considerazioni superficiali o poco sistematiche e continueranno a vedere nella valutazione un momento di tensione.

Anzi, il rischio è che l’ansia aumenti perché non è detto che dalla valutazione formativa (che non ha quello scopo) possano ricavare previsioni -e rassicurazioni- sugli esiti finali.

Altrettanto poco utile è togliere il voto e lasciare che le forme e le occasioni della valutazione rimangano identiche. Molta ansia nasce dal fatto che le prove di valutazione della scuola italiana sono episodiche e superficiali.

Lo strumento principe della docimologia italiana, l’interrogazione orale basata su domande estemporanee, è problematico non perché si conclude con un voto numerico, ma perché è radicalmente impropria l’idea che da due o tre chiacchierate guidate si possa ricavare un’idea accurata del lavoro di un intero quadrimestre: le interrogazioni sono sottoposte a mille variabili indipendenti, che vanno dall’umore del docente, a quello dello studente, all’ora in cui avviene l’interrogazione, alla chiarezza delle domande, alla prossemica delle persone coinvolte…

Il dialogo con gli studenti è essenziale

Ma ci sono mille altre forme per stimolarlo, e molto meno episodiche. Parlare con gli studenti senza il convitato di pietra del giudizio, sommativo o meno che sia, apre molte più possibilità di crescita intellettuale e personale -esattamente come in qualsiasi altro contesto sociale e culturale. 

Di contro, come avevo proposto qui, la progettazione di prove sommative più ampie e strutturate, con esami cui dedicare dei periodi ben specifici dell’anno scolastico, renderebbe possibile sostituire il pendolo didattico di “spiegazione-interrogazione” con un lavoro serrato in cui ogni studente si prepara al meglio per prove affidabili e concepite in modo tale che lo studio non si possa improvvisare, ma debba essere continuo ed incrementale, nonché supportato da una valutazione formativa continua. 

So che molti docenti vedono nell’interrogazione un intenso ed irrinunciabile momento di scambio con gli studenti. Quel che io sostengo, però, è che quei momenti non siano strutturalmente legati ai voti, bensì alla capacità che questi docenti hanno di dialogare con gli studenti.

Nello schema che propongo quei momenti sarebbero approfonditi e resi sistematici. 

Ovviamente la mia è solo una proposta e altre se ne possono fare. Spero però di aver contribuito a spiegare come gli interventi efficaci sulla scuola non passino da singole disposizioni, ma da interventi di sistema.

Il diario dei sogni

in Attività di classe by
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Un interessante progetto sui sogni realizzato analizzando le ricerche effettuate su Google ha messo alla luce alcune interessanti correlazioni (per lo meno a livello statistico)  esistenti fra i sogni di ognuno di noi.

Il progetto si chiama The Shape of Dreams (purtroppo non c’è una versione in italiano) ed è stato realizzato da Federica Fragapane utilizzando Google trends. Il gruppo di lavoro, formato da Federica Fragapane, Paolo Corti, Simon Rogers, Alberto Cairo, ha preso in esame le ricerche effettuate dagli utenti in un arco di tempo di circa 10 anni, relative agli argomento legati all’interpretazione dei sogni, ad esempio: “Qual è il significato del sogno…”

I risultati, interessanti e sorprendenti sono visibili esplorando le pagine del progetto

Tutti abbiamo sognato almeno una volta di volare, di precipitare, di tuffarsi in mare o magari di essere travolti da onde altissime, The Shape of Dreams mostra quanto i nostri sogni siano in sintonia con quelli di tutti.

Prendendo spunto dalle sorprendenti analogie presenti fra i sogni degli utenti di Google, vi proponiamo un’attività coinvolgente e con grandi qualità immaginative da realizzare in classe per raccontare le facoltà oniriche di ciascuno e prendere confidenza con questo mondo.

Descrizione dell’attività

Materiali necessari
  • Carta
  • Colori, pennelli, pennarelli, matite colorate
  • forbici (punta smussata)
  • giornali, riviste, fumetti per la ricerca di immagini.
Svolgimento:
  • Introduzione (5 min):
  • Cominciate aprendo una conversazione con i bambini sul tema dei sogni. Potresti iniziare chiedendo:
    • Cosa sono i sogni?
    • Hai fatto dei sogni interessanti o diveretenti?
    • Secondo te perché si sogna?
  • Creare i diari dei sogni (10 min):
  • Distribuite a ciascun bambino un quaderno o qualche foglio di carta. Iniziate a decorare la copertina del diario dei sogni con i colori e le matite a disposizione.
  •  Potete distribuire i giornali e chiedere di scegliere alcune immagini significative da ritagliare e usare come sfondi o come dettagli delle decorazioni.
  • Scrivere e disegnare i sogni (15 min):
  • Spiegate che ogni mattina quando entrano in classe possono prendere il loro diario dei sogni e scrivere o disegnare il sogno che hanno fatto. Incoraggiateli a descrivere i dettagli sia che scelgano di usare la scrittura o il disegno.
  • Se decidete di fare l’attività tutti insieme e qualche bambino non ricorda il sogno della notte precedente potete chiedergli di descrivere un sogno del passato o un sogno che vorrebbero fare.
  • Raccontare i sogni (10 min):
  • Potete dedicare un po’ di tempo al racconto dei sogni se qualche bambino ha voglia di raccontarli. Questa parte dell’attività deve essere spontanea e volontaria e non forzata. È un’opportunità per consentire di esprimersi verbalmente, organizzare il discorso e coinvolgere i partecipanti.
    Discussione in cerchio (10 min):
  • Breve discussione sul tema:
    • Pensate che tutti sognino?
    • Secondo voi perché si sogna?
    • I sogni sono tutti uguali?
    • Capita di sognare le stesse cose di altri?
  • Riflessione finale (5 min):
  • Alla fine della discussione chiedete ai partecipanti cosa ne pensano di questa attività. Incoraggiateli a raccontare sia cosa gli è piaciuto sia ciò che non hanno gradito e perché. Chiedete se hanno imparato qualcosa sul tema e sulla loro immaginazione.

Consigli:
  • Incoraggiate creatività, immaginazione e spontaneità.
  • Create un ambiente di libertà e senza giudizi, tutti possono dire quello che vogliono

Questa attività promuove creatività e aiuta i bambini a capire la natura immaginativa  e simbolica dei sogni, incentivando le abilità espressive artistiche, di scrittura e di espressione verbale.

Su questo tema ne avevamo parlato anche qui!

Foto di Armand Khoury su Unsplash

Lettura e musica: i bonus di novembre per le scuole

in Scuola by

Rassegna stampa: biblioteche scolastiche e musica, ecco come richiedere i bonus per scuole e famiglie e poi, metodologie didattiche di inclusione scolastica e nuove discipline STEM.

Fondi per corsi di musica e laboratori creativi: sono pronti i bonus per scuole, biblioteche scolastiche e famiglie. Pubblicate le linee guide per insegnamento delle nuove discipline STEM e per le metodologie per insegnamento inclusivo. Per finire, alcuni metodi per catturare l’attenzione degli studenti durante le lezioni.

Biblioteche scolastiche

Risorse assegnate dal Fondo per la promozione della lettura. Saranno finanziate diverse tipologie di acquisto, fra cui i costi per l’allestimento e servizio, i servizi tecnologici, le spese per il personale esterno, ospiti e relatori. Le rendicontazioni dei progetti dovranno essere presentate entro il 31 marzo 2024.

https://www.orizzontescuola.it/biblioteche-scolastiche-ecco-le-risorse-del-fondo-per-la-promozione-della-lettura-assegnate-rendicontazione-progetti-entro-il-31-marzo/

Bonus musica, fino a 1.000 euro per le famiglie

Tra i bonus destinati agli studenti c’è anche il bonus musica, che consiste in una detrazione fiscale per le spese sostenute dalle famiglie per l’iscrizione dei ragazzi a bande, cori e scuole di musica.

https://www.studenti.it/bonus-musica.html

Sport per bambini: quando iniziare e come scegliere quello giusto. 

L’attività fisica per i ragazzi è necessaria per socializzare, superare insicurezze e timidezze. Ma a che età e meglio iniziare?

https://www.controcampus.it/2021/11/sport-per-bambini-quando-iniziare-e-come-scegliere-quello-giusto/

Come parlare agli studenti: catturare attenzione e farsi ascoltare.

Usare un tono di voce giusto e attirare l’attenzione degli studenti: ecco come parlare in classe.

https://www.controcampus.it/2022/09/come-parlare-agli-studenti-catturare-attenzione-e-farsi-ascoltare/

Inclusione scolastica e insegnamento

Siamo pronti a insegnare a tutti? importanza di comprendere e accogliere la diversità studentesca. “Occorre ripensare il sostegno a scuola, necessario rivedere le metodologie didattiche”

https://www.orizzontescuola.it/cattedra-inclusiva-fasce-occorre-ripensare-il-sostegno-a-scuola-necessario-rivedere-le-metodologie-didattiche-video/

Le Linee guida per le discipline STEM.

Le Linee guida per le discipline STEM, inviate ai dirigenti scolastici, ai docenti, agli studenti, sono state emanate per introdurre nel piano triennale dell’offerta formativa delle scuole azioni dedicate a rafforzare le competenze matematiche-scientifiche-tecnologiche e digitali attraverso metodologie didattiche innovative.

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/emanate-le-linee-guida-per-le-discipline-stem

Laboratori di classe e creatività

La strada verso la creatività e il laboratorio di ceramica:

Il laboratorio rappresenta, sempre e comunque, uno strumento di formazione a disposizione di tutti.

https://www.orizzontescuola.it/la-strada-verso-la-creativita-e-il-laboratorio-di-ceramica-in-allegato-un-esempio-di-regolamento/

Se ti sei perso le precedenti news sul mondo della scuola, recuperale qui!

Foto di Heidi Yanulis su Unsplash

Il diritto alla disconnessione

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Cellulare, email, registro elettronico, smartwatch… il panopticon moderno che ci tiene “sempre collegati”

"Scusi prof, cosa c’è domani nel compito di geografia?". Era una domenica, di sera, nel pieno del relax che precedeva il rientro alle fatiche lavorative, e la mail dell’alunno mi spinse a una decisione irrevocabile: disconnettermi. 

Eppure, ricordo ancora la gioia con la quale solo pochi mesi prima ero riuscito a collegare la mia mail personale con quella dell’istituto anche sul cellulare: finalmente anch’io sarei stato in costante aggiornamento con le comunicazioni della scuola!

Cos’erano quei tempi bui, ottocenteschi, in cui per vedere la corrispondenza scolastica dovevo mettermi a sedere al mio computer? Ogni aggiornamento mi avrebbe seguito come un’ombra, sempre, comunque, in ogni luogo, e sarei stato definitivamente moderno e nuovo pure io!

Bastò poco, e quello squillo divenne un incubo: a tavola, al cinema, in vasca da bagno, il mio povero smartphone trillava ovunque: proposte di aggiornamento, comunicazioni urgenti e piangenti delle famiglie, domande sulle interrogazioni, richieste ancor più petulanti di colleghe (uso il femminile non a caso, ma questo sarebbe un altro argomento: perché ci sono così pochi uomini nella scuola?) su scadenze improrogabili anche se di lì a un mese, discussioni infinite nei consigli di classe che ormai si svolgono più via chat che dal vivo, e il mare della nevrosi che dilaga, impetuoso, incessante, fino a farmi mordere il cellulare (una volta è successo davvero).

E io lo ringrazio, quel caro alunno, lo benedico, perché con quella semplice domanda fu in grado di farmi capire quanto stupido fosse stato e quanto poco o nulla fosse necessario essere costantemente collegato, come una macchina, perché è pur sempre questo l’obiettivo che si intravede in tante dinamiche e input che percorrono il mondo della scuola, la riduzione dell’uomo a macchina, a digitatore non-pensante ma sempre collegato: e benedico quell’atto, quella cancellazione, minima protesta contro un mondo che vuole togliere l’aria, lo spazio, la noia (sì, anche quella, intesa come vuoto, come non-fare), e celebro ogni rivolta che nelle nostre aule si compie oggi da parte di chi vuole una scuola fatta di dialogo e di pensieri e non di spazzatura compulsiva.

E, più di questo, il tema di fondo, quel diritto alla disconnessione di cui tutti parlano ma che nelle scuole si fa fatica a mettere in pratica perché a dire ’’no’’ si passa male, per oppositivi, gente a cui non frega nulla, che mette i bastoni fra le ruote. Chi si vuole disconnettere spesso lo fa anche perché così può dedicare più tempo per quella che dovrebbe essere la vera azione dell’insegnante: studiare, approfondire, progettare, riflettere. Tutte cose che si fanno stando connessi con la propria testa, la propria immaginazione, le proprie curiosità intellettuali e non con uno dispositivo elettronico.

Un ultimo, struggente pensiero va al vecchio registro delle circolari, l’ultima delle quali è stata probabilmente firmata dal Manzoni: strumento vetusto, sepolcrale, che fa quasi pena vedere così (quando lo si vede ancora), abbandonato in un angolo delle italiche aule docenti, quello che ti costringeva a fermarti un attimo, a pensare, a firmare (sì, si usava la mano, prima) e che, soprattutto, non ti chiamava mentre eri nella vasca da bagno per sapere cosa c’era nella verifica di geografia!

Sul tema ne avevamo già parlato qui!

DA SCATTO NASCE… COSA? Un “giorno libero” con Tony Ray Jones.

in Attività di classe by
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Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della fotografia in compagnia di Tony Ray Jones, facciamoci ispirare dai suoi scatti e realizziamo insieme una bella attività in classe

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo.

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco.

La foto

Nel trascorrere “un giorno libero” in compagnia di Tony Ray Jones si aveva davvero l’impressione che potesse accadere di tutto.

Viene proprio dalla raccolta “A day-off” la foto di oggi che, come molti scatti di questo talentuoso e purtroppo prematuramente scomparso fotografo inglese, non mostra nulla di inverosimile ma ci sorprende per accostamenti surreali e atmosfere inconsuete.  

Una coppia che sembra appena uscita dalla dimora principesca di Downton Abbey trascorre un piacevole momento di lettura e convivialità… circondata da una mandria di vacche.

Per non parlare poi delle sedie e del tavolino pieghevoli che, in contrasto con l’abbigliamento dei personaggi, creano una specie di cortocircuito spazio-temporale. Insomma, sembra tutto normale eppure qualcosa non quadra.

“La fotografia può essere uno specchio della realtà”, dichiara Jones, “ma penso che sia anche possibile attraversare questo specchio, come Alice nel paese delle meraviglie, per risolvere gli enigmi nella nostra testa e trasformarli in una nuova visione del mondo”.

Se frequentate da un po’ i miei articoli qui su Occhiovolante, potete facilmente intuire perché io e Tony Ray Jones saremmo andati molto d’accordo.  

La sua ricerca si è concentrata principalmente sulla società inglese della fine degli anni ’60, in veloce divenire e rigorosamente catturata “in strada”, laddove la vita accade e bisogna essere acuti e attenti per cogliere il momento in cui le storie stanno per manifestarsi.

Ecco perché ci viene subito da chiamare i suoi soggetti “personaggi”, intenti a fare qualcosa e legati fra loro da una narrazione che si rivela solo entrando dentro allo scatto con un po’ di fantasia e molto spirito di osservazione, “with humor on top” diceva lui.

E allora, attraversiamo anche noi lo specchio e prepariamoci a mettere in scena storie sensazionali svelate inquadrando giornate assolutamente comuni.

Adesso tocca a voi

Adottando le intenzioni di Jones, useremo il disegno per ricreare quegli accostamenti surreali che accenderanno il nostro quotidiano. Ma prima, ovviamente, dobbiamo andare a caccia dello scatto giusto.

Al nostro autore piaceva agire sfruttando l’effetto sorpresa: estraeva la sua Leica solo al momento opportuno da sotto la giacca e op! Scattava!

Proviamo quindi anche noi ad aggirarci per le strade della nostra città con la fotocamera a portata di mano, ma prima di tutto concentrati sull’esercitare il nostro sguardo per captare qualcosa di potenzialmente interessante.

Ci serve un luogo e ci servono dei personaggi possibilmente intenti a fare qualcosa, perché proprio partendo da loro sarà più facile disegnare il pezzo mancante della nostra storia foto-illustrata. 

Guardiamo poi le foto raccolte, stampate in bianco e nero così da concentrarci solo su composizione e situazione in corso e dare al tutto un aspetto senza tempo. 

Io sono andata a passeggiare sul lungomare della mia città: mi ha colpito il contrasto di tante persone attive rispetto al bambino accoccolato su se stesso, gli schizzi d’acqua delle fontane a filo strada sembravano poi essere letteralmente sbucati dal nulla. 

Per disegnare il resto potete, come sempre, servirvi di carta da lucido e matita per sovrapporre un livello di bozza e fare esperimenti, sfruttando la trasparenza della carta che ci lascerà intravedere ancora la foto sotto.

Potete poi intervenire direttamente sulla foto con pennarelli acrilici, rapidrograph, penne biro e matite.

Continuate a lavorare rispettando il bianco e nero. Se volete, aggiungete elementi a collage magari prelevati da altre foto che avete scattato durante la stessa giornata. 

Cosa renderà speciale “il giorno libero” dei vostri soggetti?

Un incontro inaspettato con una creatura fantastica? O magari proprio il luogo in cui si trovano, opportunamente modificato dalle vostre matite? Decidete se intervenire partendo dall’ambiente o dai personaggi.

Per semplificare l’attività, potete decidere un tema, per esempio: incontri impossibili! Creature d’acqua si incontreranno con creature di terra, creature di cielo inizieranno a passeggiare per le strade,… D’altra parte, tutto può succedere, in un giorno libero “con l’umorismo in cima”.

Laboratori sensoriali: la percezione dei cinque sensi nella didattica

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In un laboratorio sensoriale si sollecitano le proprie percezioni attraverso lo stimolo dei cinque sensi: questo si rivela un esercizio utile anche in ambito didattico, in particolar modo per la riflessione e la scrittura autobiografica ed emozionale.

Per fare in modo che i nostri studenti possano acquisire maggior consapevolezza di sé, valorizzare le proprie risorse e saper riconoscere emozioni e stati d’animo, progettare laboratori sensoriali in classe può rivelarsi di notevole utilità.

Far sperimentare ai bambini/ragazzi sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative può risultare un ottimo modo per aiutarli a conoscere se stessi e a nominare emozioni provate, ricordate o in divenire.

Esperire situazioni inconsuete e piacevoli non solo agisce sulla consapevolezza della propria interiorità, ma influisce in modo significativo anche in ambito più propriamente didattico. Cominciare un percorso di scrittura autobiografica con degli esercizi di stimolazione sensoriale, ad esempio, è un ottimo sistema per allenarsi all’introspezione e all’indagine di sé.

Suggestioni sensoriali: riferimenti pedagogici

Per sperimentare con i nostri studenti delle attività di stimolazione sensoriale, utili – ad esempio – anche per avviare pratiche di scrittura autobiografica o emozionale, molti possono essere gli spunti da cui attingere.

Tra questi, idee ricavate dalla pedagogia montessoriana o dai consigli di scrittura presentati da docenti o scrittori esperti, tra cui Antonella Cilento.

La Cilento nel libro La caffettiera di carta offre interessanti suggerimenti ricavati dalle attività che lei stessa presenta agli allievi dei suoi corsi di scrittura e ribadisce l’importanza delle stimolazioni sensoriali per il riconoscimento delle emozioni e per l’indagine profonda della propria interiorità.

Quando si scrive si rievocano visioni e la capacità di avere visioni è un valore da salvare. Poiché abitiamo tra immagini pensate da altri che tutti i giorni ci bombardano, smettiamo di allenare la nostra capacità di produrre immagini. Scrivere (e leggere) sono attività in cui la nostra capacità di avere visioni resta indipendente: chiudo gli occhi e vedo.

Partendo da queste considerazioni, la Cilento suggerisce alcune attività da far svolgere in aula focalizzate ognuna sulla sollecitazione di ciascuno dei cinque sensi. Vediamole insieme.

Suggestioni sensoriali: alcune attività da realizzare in classe

La vista

La vista è il senso che utilizziamo di più e in un laboratorio di allenamento sensoriale sulla vista esercizi da proporre possono essere svariate.

Un’attività da proporre in classe può essere “La montagna di cartoline”, in cui gli studenti scelgono una delle numerose cartoline sparse per terra.

Ne segue una scrittura libera di circa dieci minuti durante la quale non è importante la descrizione della cartolina, bensì il racconto di dove ci conduce l’immaginazione a partire dal luogo osservato.

L’esercizio può essere fatto anche utilizzando quadri, foto, illustrazioni o ritagli di immagini pubblicitarie. Insieme agli studenti può scrivere anche l’insegnante e, finito il tempo della scrittura, segue la fase di condivisione, libera ma sapientemente incentivata.

Il gusto

Per sollecitare il gusto si possono fare esperimenti sensoriali su sapori o pietanze da far assaggiare, con scrittura libera di sensazioni o ricordi riaffiorati, seguendo un po’ l’esempio magistralmente descritto dallo scrittore Marcel Proust in occasione dell’assaggio della petite madeleine.

In classe occorre fare estrema attenzione alla normativa scolastica vigente in materia di somministrazione di cibo e bevande, ma un escamotage potrebbe essere quello di lavorare su alimenti che i ragazzi portano direttamente da casa. Si assaggia e si scrive. Gli input da fornire possono essere liberi o riferiti ai primi sapori ricordati oppure a cibi peggiori/migliori mai mangiati.

L’olfatto

Olfatto e gusto sono considerati sensi molto vicini nelle pratiche di laboratorio della Cilento. Si possono portare in classe vasetti con spezie, pezzi di limone/arancio, polvere/chicchi di caffè, campioncini di profumo, candele, colla (chi di noi non ricordi l’odore della Coccoina?)

Anche in questo caso si annusa e si scrive, o in modo libero o con input simili forniti in occasione del gusto. È comunque estremamente interessante ricordare e scrivere i pensieri che emergono da odori già sentiti in modo spontaneo e immediato.

L’udito

Udito e musica possono considerarsi in simbiosi in qualsiasi pratica di laboratorio. Scrivere con la musica ha molte funzioni, ad esempio sblocca le libere associazioni e fa tornare alla mente scene o sensazioni paralizzate da tempo.

Importante è scegliere un brano strumentale o comunque una musica che non contenga parole riconoscibili, altrimenti chi scrive ne sarà distratto o influenzato.

Altre attività attraverso cui sollecitare l’udito possono essere fatte anche all’aperto, magari entrando all’interno di un mercato o di un evento sociale altamente frequentato.

Ma interessanti input di scrittura possono essere forniti anche in classe richiamando musica, suoni preferiti o, all’opposto, suoni o rumori ritenuti insopportabili.

Il tatto

Per sollecitare il tatto, le scatole sensoriali – provenienti da un’idea della grande Maria Montessori – rappresentano una strategia estremamente efficace.

Per realizzarle occorrono scatole comuni da sigillare dopo aver praticato un foro laterale per poter inserire la mano e permettere l’esplorazione dell’interno.

Nella scatola potranno essere inseriti i materiali più disparati: ovatta, forchette di plastica, spugne, oggetti in metallo, carta vetrata, seta, pelouche, piume d’uccello.

Si inserisce la mano, si stimola il senso del tatto e si scrive ciò che si percepisce e ciò che la mente ci suggerisce.

Se la scatola sensoriale può apparire di difficile gestione o realizzazione, può andare benissimo l’utilizzo di sacchetti di stoffa con le medesime modalità.

Qui un video-tutorial per creare scatole sensoriali secondo il metodo Montessori:

Ed è ancora Antonella Cilento a chiarire il valore e l’importanza di queste prime attività di scrittura dedicate alla sollecitazione sensoriale:

Queste prime lezioni dedicate ai sensi producono nei quaderni del laboratorio materie molteplici e indisciplinate ma potenti. Senza allenamento alla libera scrittura, senza la pesca cieca dentro di noi, senza il nostro corpo, le regole della storia vi paralizzeranno. Lo scopo non è la performance finale, ma la varietà dell’esperienza interiore, senza la quale scriveremmo storie scolastiche, ovvietà. La cura, la continuità, la disciplina edificano e allargano la scrittura: ci è chiesto di tenere pulito il canale da cui emergono le voci, le storie, le sensazioni e le confuse emozioni che noi siamo. E, in un altro momento, ci è chiesto di pulire e limare. E tutto questo va fatto senza ansie, senza paura e senza pigrizia. La scrittura chiede che le emozioni profonde saltino fuori e che cadano le maschere. La scrittura chiede che si smetta di recitare l’esistenza per entrare nel grande teatro del sogno.

Foto copertina di Solstice Hannan su Unsplash

Wattpad: una piattaforma free per leggere e scrivere a volontà

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Vediamo cos’è e come funziona Wattpad, piattaforma per chi vuole sperimentare attività di scrittura e lettura in modo libero, condiviso e gratuito. 

Wattpad è una piattaforma social, ideata nel 2006 dagli ingegneri canadesi Allen Lau e Ivan Yuen.

Vi sono registrati oltre 90 milioni di utenti e rappresenta un’enorme comunità di persone interessate a far leggere i propri scritti o ad una vasta scelta di nuovi libri da leggere.

Il servizio erogato da Wattpad è interamente gratuito.

A cosa serve Wattpad

Wattpad è una piattaforma online in cui scrittori e lettori possono interagire tra loro: coloro che hanno intenzione di cimentarsi nella stesura di una storia possono scriverla e condividerla online, così da ricevere feedback e pareri immediati dai loro lettori.

Contemporaneamente, tanti appassionati di lettura hanno l’opportunità di leggere un’enorme quantità di testi, con possibilità di esprimere all’autore opinioni e consigli sulle storie lette.

Le categorie sulla versione italiana di Wattpad sono le seguenti: avventura, azione, casuale, classici, fanfiction, fantascienza, fantasia, horror, lupi mannari, mistero, narrativa generale, narrativa storica, paranormale, poesia, romanzi rosa, saggistica, spirituale, storie brevi, storie d’amore, teen fiction, thriller, umorismo, vampiri.

Come avviene per altri social network, anche su Wattpad si può scegliere di seguire storie e autori che rispondono ai nostri interessi.

Come funziona Wattpad

Si può accedere alla piattaforma Wattpad da pc collegandosi al sito www.wattpad.com, ma anche tramite  app su smartphone e tablet con Android e Ios.

Wattpad presenta tre diverse sezioni denominate scopri – crea – comunità:

  • scopri: permette di scegliere le storie sulla base del genere letterario preferito. Gli scritti sono suddivisi per hashtag e nelle sottocategorie “nuovo”-“in salita”-“in primo piano”-“sensazionale” sulla base del gradimento riscontrato tra i lettori. Per leggere il libro scelto basta cliccare su titolo ed è possibile commentare pubblicamente durante la lettura o a conclusione della stessa;
  • crea: permette di scrivere una nuova storia tramite editor di testo; a fine stesura si può pubblicare quanto scritto e, per cercare di tutelare il proprio prodotto, anche assegnare un livello di copyright (esiste comunque il rischio concreto di essere plagiati prima della pubblicazione ufficiale);
  • comunità: permette di partecipare ai concorsi letterari organizzati dalla community.

Quali storie vanno forte su Wattpad

Le storie che su Wattpad funzionano di più riguardano tematiche legate a identità, amore, stereotipi, orientamento di genere e vissuti personali, anche se il gradimento maggiore lo ottengono le fan-fiction, cioè racconti scritti a partire da personaggi esistenti (ad esempio Youtuber o personaggi letterari come Harry Potter).

Gli scrittori che ottengono un alto numero di visualizzazioni possono divenire Star Wattpad e le loro storie possono diventare romanzi-film-serie tv di successo spesse trasmesse su Netflix.

Vista la sua natura di piattaforma libera e gratuita, su Wattpad si possono trovare anche molti testi di bassa qualità letteraria.

Numerosi sono stati i romanzi, scritti e commentati su Wattpad, che hanno ottenuto un notevole successo editoriale, come After di Anna Todd o Fabbricante di lacrime di Erin Doom.

Una gradita scoperta di Wattpad è stata la scrittrice italiana di origine nigeriana Sabrina Efionay che, con i suoi libri contenenti tematiche legate soprattutto a discriminazione e razzismo, è riuscita a diffondere tra il grande pubblico argomenti su cui riflettere di notevole spessore.

Wattpad e scrittori di professione

In tempo di pandemia, anche il pluripremiato romanzo dello scrittore Davide Morosinotto La più grande, avvincente storia della piratessa cinese Shi Yu, è stato ideato, scritto e condiviso su Wattpad.

Questo libro, come altri di Morosinotto, è nato sulla piattaforma Wattpad in un confronto diretto con i lettori che hanno potuto godere della storia di Shi Yu ben prima che venisse pubblicata e quando ancora era in costruzione. A conclusione del libro si trovano le pagine di ringraziamenti a tutti i ragazzi e le ragazze che hanno contribuito a far prendere forma a questa storia

(Roberta Favia)

La più grande - Davide Morosinotto - Wattpad

Sempre nel 2020 lo scrittore Daniele Nicastro ha partecipato con altri colleghi al progetto “BOTteghe aperte” della celebre agenzia di storytelling Book on a tree, scrivendo su Wattpad un romanzo distopico young-adult che ha ottenuto il riconoscimento Wattys 2021.

All’inizio e al fondo dei vari capitoli inserivo commenti legati alla scrittura, alle scelte narrative e domande agli utenti. Insomma li facevo entrare nella mia bottega di narrazione. Wattpad è un buon posto per sperimentare la scrittura e mettersi in gioco per capire che effetto fanno le cose che si scrive sugli altri utenti, lettori e lettrici. Finché facciamo leggere i nostri scritti soltanto a parenti e amici non avremo mai un vero confronto

(Daniele Nicastro)

Wattpad, nel complesso, rappresenta un mezzo efficace per cimentarsi nella scrittura, conservando tutte le dinamiche negative e positive dei social, ad esempio la pressione per le visualizzazioni e i follower che possono incidere sull’autenticità dei testi scritti, ma anche amicizie virtuali e la possibilità di fare rete con persone appassionate di storie con cui condividere feedback e testare reazioni in tempo reale.

Per concludere, qualche consiglio pratico di Daniele Nicastro per tutti coloro che vogliono avventurarsi nell’esperienza di scrittura su Wattpad:

puntare su capitoli brevi, di facile lettura; creare una community rispondendo ai messaggi e facendosi conoscere leggendo anche storie scritte da altri; scrivere in libertà ma cercando di creare storie ben strutturate perché se si scrive tanto per scrivere, cioè senza che succeda nulla di interessante, i lettori e le lettrici presto si stuferanno perché, come e ancor più dei libri cartacei, online c’è la liberta di chiudere e aprire subito un’altra storia

Se sei alla ricerca di metodi alternativi per fare didattica, leggi anche questo articolo!

CREATORI DI MONDI FANTASTICI

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Il Fantasy nella narrativa e nel gioco

Webinar del 11 ottobre 2023 – ore 16:00

Relatore: Andrea Angiolino

Andrea Angiolino ha ideato giochi per radio e TV, riviste, pubblicità e internet. È stato nominato “Esperto inventore di giochi” dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Abstract

Cos’è il fantasy e cosa lo distingue dalla fantascienza e dalle altre forme di letteratura fantastica? Scopriremo le radici di questo filone passando in rassegna alcuni degli autori più importanti per parlare della loro capacità di ideare mondi in cui far muovere i personaggi. Vedremo poi come l’immaginario fantasy abbia segnato non solo la letteratura, il cinema e il fumetto ma anche il gioco, soprattutto nelle sue forme più recenti e innovative (giochi di ruolo, videogame, libri-gioco, carte collezionabili…), rendendo così possibile abitare questi mondi e inventarvi storie sempre nuove.

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(In)Sostenibili Terrestri: la campagna educativa dedicata alla sostenibilità!

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Essity, l’azienda leader nell’igiene e nella salute, lancia “(In)Sostenibili Terrestri – Piccoli gesti per salvare il pianeta”, una campagna educativa tutta green: scopriamola insieme!

(In)Sostenibili Terresti -– Piccoli gesti per salvare il pianeta è il nome della campagna educativa promossa da Essity – azienda leader nell’igiene e nella salute, con brand dal calibro di Nuvenia, Tempo e Tena – in collaborazione con Legambiente, che vede anche la partecipazione di aBetterPlace (realtà leader in Italia nello studio dei comportamenti umani) e del giornalista ambientale e geografo Emanuele Bompan.

(In)Sostenibili Terresti: di cosa si tratta?

L’idea di fondo è indagare sul gap tra intenzioni sostenibili e comportamenti reali degli italiani, promuovendo al contempo pratiche quotidiane di consumo improntate alla sostenibilità, grazie ad una pratica guida con utili consigli da seguire.

Se infatti da una parte si parla sempre più frequentemente di sostenibilità, dall’altra molti continuano a non essere consapevoli dei comportamenti corretti da adottare nel quotidiano per essere, appunto, più sostenibili.

La guida, che si presenta come un libro di narrativa, è già online ed è scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale del progetto (disponibile anche in audiolibro): la trovate qui!

La campagna scuola

È partita a settembre la campagna scuola legata al progetto (In)Sostenibili Terresti -– Piccoli gesti per salvare il pianeta, realizzata da Librì Progetti educativi, e che coinvolge 500 classi Secondarie di I e II grado di tutto il territorio nazionale.

Le classi partecipanti riceveranno gratuitamente un kit didattico composto da una guida per il docente curata dalla scrittrice Paola Zannoner, con attività laboratoriali e Infografiche di approfondimento. Come supporto ai materiali cartacei, una piattaforma digitale all’interno della quale trovare risorse aggiuntive per gli studenti, incluso un podcast. I docenti delle classi partecipanti riceveranno un attestato con i crediti formativi MIM.

Le classi coinvolte nel progetto avranno l’opportunità di affrontare un percorso di approfondimento sulle diverse tematiche legate alla sostenibilità ambientale, tra cui:

  • Scelte alimentari sostenibili;
  • Attuazione di comportamenti attenti all’ambiente come la riduzione dei rifiuti, la riduzione degli sprechi energetici, un utilizzo corretto dell’acqua;
  • Adozione di una mobilità sostenibile

A conclusione del percorso educativo, poi, gli studenti effettueranno un’inchiesta dedicata a un’emergenza ambientale sul territorio del loro quartiere o comune.

Infine, un concorso premierà le migliori inchieste con un set da vero reporter sul campo: fotocamera, pc portatile e videocamera!

Essity: un’azienda dal cuore green

È senza dubbio green il cuore di Essity, che già si occupa di economia circolare e di supporto alla popolazione femminile in condizioni di estrema vulnerabilità.

Come ha spiegato Massimo Minaudo, Amministratore Delegato dell’azienda:

In Essity ci impegniamo ogni giorno per rompere le barriere al benessere delle persone, creando al contempo valore sostenibile negli ambiti di igiene e salute. Il nostro obiettivo per il 2050 è di arrivare a zero emissioni nette e tutte le nostre innovazioni si muovono in questa direzione. Sono però importanti il coinvolgimento e il contributo di tutti, soprattutto delle nuove generazioni.

Essity ha infatti dimostrato grande attenzione verso quelli che sono gli obiettivi dell’Agenda 2030; in particolare il 3 (Salute e benessere), il 5 (parità tra i sessi), il 6 (Acqua pulita e buone pratiche d’igiene), il 12 (consumo e produzione responsabili), il 13 (agire per il clima) e il 15 (una vita migliore).

Ma scopriamo di più su questa azienda dal cuore green facendo due chiacchiere con Laura Deni, Italy Communications Manager di Essity.

Come è nato il progetto (In)Sostenibili Terrestri?

(In)Sostenibili Terrestri – Guida Supermoderna per umani che vogliono salvare il Pianeta…o quasi” nasce da una ricerca che abbiamo condotto in Essity a livello globale nel 2021 per indagare le abitudini dei consumatori e, in particolare, gli effetti della pandemia sui loro comportamenti in tema di sostenibilità. Dai dati relativi all’Italia, è emerso come la pandemia abbia modificato gli stili di vita e aumentato la consapevolezza delle persone di far parte di un ecosistema da salvaguardare. Tuttavia, si è rilevato un importante gap tra il “dire e il fare”, un divario tra quanto gli italiani dichiarano e come di fatto agiscono, dovuto a molteplici fattori.
In collaborazione con Legambiente, aBetterPlace (realtà leader in Italia nello studio dei comportamenti sociali e di consumo) ed il giornalista ambientale Emanuele Bompan, abbiamo quindi lavorato per oltre un anno alla ricerca di soluzioni volte a colmare questo gap. E così è nato (In)sostenibili Terrestri, la nostra “guida” ai comportamenti sostenibili, non l’ennesimo vademecum che dica cosa fare e cosa non fare, ma un racconto illustrato, dal linguaggio diverso, il tono fresco e coinvolgente, un prodotto narrativo divertente e adatto a tutte le età. 

Il protagonista del racconto è un alieno che per errore arriva sulla Terra, entra in contatto con gli esseri umani e con i loro comportamenti e inizia a farci notare che, nella vita quotidiana, siamo un po’ tutti “insostenibili terrestri”. Con un linguaggio semplice e a tratti ironico, questa narrazione (disponibile sia in formato scritto che in audiolibro) ci ricorda che ognuno di noi può fare davvero la differenza nella propria quotidianità.

Cosa vi ha spinto a realizzare una campagna educativa da promuovere nelle scuole?

In Essity ci impegniamo ogni giorno per rompere le barriere al benessere delle persone, creando valore sostenibile negli ambiti di igiene e salute e al contempo contribuendo alla salvaguardia del pianeta con le nostre innovazioni. Siamo convinti che siano importanti il coinvolgimento e il contributo di tutti, soprattutto delle nuove generazioni. Per questo abbiamo deciso di percorrere un pezzo di questo nostro percorso al fianco di Librì, editore leader in Italia nei progetti realizzati per le scuole. Il progetto educativo che è nato insieme a Librì porta l’esperienza di (IN)sostenibili Terrestri in un dialogo diretto rivolto ai più giovani. Sono loro i protagonisti del futuro e oggi più che mai stanno diventando via via più consapevoli degli sforzi necessari per viverlo davvero in modo sostenibile.

Che risultati vi aspettate da questa campagna educativa?

Il progetto (IN)sostenibili Terrestri entrerà in oltre 500 classi, secondarie di I e II grado, di tutto il territorio nazionale e, grazie a percorsi strutturati con gli insegnanti, i ragazzi coinvolti avranno l’opportunità di affrontare un percorso di approfondimento su diverse tematiche legate alla sostenibilità ambientale. Siamo molto orgogliosi di questo progetto e non vediamo l’ora di raccogliere le idee ne nasceranno!

Grazie ad un concorso a conclusione dell’esperienza, contiamo di raccogliere tantissimi utili spunti dai ragazzi, che siamo certi saranno fondamentali per far vivere (IN)sostenibili Terrestri nell’esperienza diretta.

Avete già in mente degli sviluppi futuri relativi a questa campagna educativa?

(IN)sostenibili Terrestri è un progetto in divenire, che intendiamo aprire ad ogni spunto e sviluppo di chi vorrà parteciparvi attivamente, crediamo che sarà accolto con entusiasmo dai ragazzi e ci auguriamo che il percorso possa essere ancora lungo e stimolante. Questo è il primo anno in cui viene avviata la campagna educativa insieme a Librì, una prima volta in assoluto per noi: siamo curiosi di vedere come verrà accolta dai ragazzi e dagli insegnanti. Loro sono il nostro target primario, rappresentano il nostro futuro, sono loro che oggi hanno le potenzialità per migliorare la terra che abitiamo, noi “adulti” abbiamo però il compito di fornire loro gli strumenti migliori per poterlo fare.

Sono convinta che la nostra guida possa diventare nelle loro mani un ottimo strumento per aiutarli a ragionare e a scovare quelle “cattive” abitudini che purtroppo facciamo fatica ad abbandonare e a trovare nuovi modi per cambiare marcia. Allo stesso tempo, sono fiduciosa che saranno loro i primi a darci una mano per studiare insieme il futuro di questa campagna. Ascoltare le loro voci, le loro esperienze pratiche e tutto quanto emergerà nelle loro classi sarà la risposta migliore.

Cliccando qui è possibile avere maggiori informazioni sulla campagna educativa e richiedere il kit gratuito!

Festival “Educhiamoci – Giornate per l’Educazione”: al via la terza edizione!

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A Vittorio Veneto dal 16 al 21 ottobre, il Festival dedicato all’educazione proporrà tanti eventi gratuiti sia in presenza che in diretta web!

Un festival per studenti, genitori, insegnanti, professionisti dell’educazione e della salute e per chiunque abbia interesse verso il mondo e la crescita dei giovani: questo è “Educhiamoci – Giornate per l’Educazione”!

Organizzato dal 16 al 21 ottobre dal Comune di Vittorio Veneto, il festival – di cui Librì Progetti Educativi è Media Partner – è alla sua terza edizione, che per questo anno ha come titolo “Ci vuole coraggio”.

“Coraggio”, termine che evoca la possibilità di superare le nostre paure, e che contiene al suo interno la parola “cuore”, fondamentale in educazione.

Pensare con il cuore – esiste infatti anche un cervello del cuore, luogo del sentire, dell’affettività, della connessione con le emozioni degli altri – è ciò che ogni genitore, educatore, insegnante dovrebbe fare, imparando da chi è maestro in questo: i bambini e le bambine.

“L’educazione” – dice Antonella Caldart,  Assessore alle Politiche Scolastiche e al Sociale – “è per noi e per tutti gli esperti che a vario titolo offriranno il proprio contributo a questa iniziativa, un tema di interesse centrale per costruire un presente di qualità e un futuro migliore: un impegno serio verso le nuove generazioni, da condividere con l’intera società di cui siamo parte”. 

I relatori di quest’anno (trovi QUI l’elenco completo) saranno dunque chiamati, prima che a “fare”, ad “essere”, guardandosi dentro di sé per poter entrare in relazione con il bambino, la bambina, il ragazzo e la ragazza.

Il festival – il cui programma è stato ideato da I AM SERVIZI –  propone 20 incontri, 24 relatori, laboratori per le scuole e i professionisti e tante altre iniziative per le famiglie. 

Tutti gli eventi sono gratuiti in presenza e visibili in diretta online sulle pagine Facebook e Youtube del festival.

Scarica QUI la brochure con il programma dettagliato, iscriviti QUI agli eventi gratuiti e clicca QUI per visitare il sito del festival, dove trovare tutte le informazioni a riguardo!

Smart studio: le opportunità di formazione di alta qualità da casa.

in Webinar e formazione by

Una lista di Webinar formativi gratuiti su emozioni, life skills, educazione finanziaria.

Alcuni suggerimenti per prendersi cura della propria formazione professionale. Con il nuovo anno scolastico, partono nuovi cicli di webinar dedicati alla formazione dei docenti. Vi proponiamo una selezione di momenti formativi gratuiti disponibili per l’AS 2023/24 e legati alla produzione editoriale di Librì Progetti Educativi.

Tutti gli incontri online sono gratuiti e danno diritto al riconoscimento dei crediti formativi.

Sono disponibili anche sulla piattaforma SOFIA.

All’interno del progetto Scrittori di Classe che da molti anni è presente nel panorama dell’offerta formativa e didattica italiana, quest’anno è disponibile un ciclo di webinar sui temi dell’educazione emozionale.

In 8 incontri, da ottobre a novembre, esperti presenteranno strategie operative pensate per aiutare gli insegnanti a supportare gli studenti nella gestione emotiva.
Qui il programma completo e i link alle iscrizioni.

I posti sono limitati a 500 partecipanti per ciascun webinar.


Uno splendido ritratto, è il progetto educativo per parlare in classe di educazione finanziaria

utilizzando un approccio artistico e analizzando famose opere d’arte, in un vero percorso interdisciplinare per rendere più agevole una materia un po’ arida ma che è diventata obbligatoria nei curricula scolastici.

A completare l’offerta educativa un ciclo di 3 webinar sui Pilastri dell’educazione finanziaria.

Il professor Mario Pomini, professore associato di Economia Politica dal Dipartimento di Scienze Economiche ed Aziendali della Università di Padova.

Gli argomenti del webinar: Finanza; Moneta; Risparmio verranno trattati con un taglio divulgativo per consentire ai partecipanti di impostare in classe i propri percorsi di Educazione finanziaria.

Programma completo

Life skills, consapevolezza di sé e sviluppo delle competenze emotive,

alcuni degli argomenti che verranno trattati nel ciclo di 4 webinar collegato al progetto educativo Una costellazione Luminosa che Airc promuove per parlare in classe di Stili di Vita, ricerca scientifica e prevenzione.

Programma completo

Crediti fotografici: Allison Brown Licenza Creative Commons BY-NC 2.0 DEED

Gli oggetti parlanti: trasformare le tracce in fonti di informazione.

in Attività di classe by

Un’attività per la scuola secondaria di primo grado per lavorare sulle fonti di informazione

Come insegnante di scuola secondaria di primo grado, e soprattutto come esperta di laboratori didattici, mi domando continuamente come poter utilizzare le meravigliose potenzialità del “Laboratorio didattico” nelle mie lezioni.

I laboratori didattici, che propongo attraverso il percorso Mani in Gioco, hanno specifiche caratteristiche e alcune di esse, non sono sostenibili nella didattica quotidiana perché:

  • Sono condensati di attività (giochi, racconti, esperimenti…) che creano meraviglia e curiosità per attirare velocemente l’attenzione dei ragazzi.
  • Hanno sempre una parte manuale che attiva e allena la parte creativa degli alunni.
  • Sono brevi, di circa 2 ore, e hanno tempi ben scanditi.
  • Di solito supportano un unico tema che si affronta a scuola.
  • Le attività sono studiate per dare autonomia ai ragazzi e ai bambini e in questa modalità si crea una bella confusione sonora e di movimento perché viene richiesto spesso di muoversi dai propri banchi, di collaborare, di lavorare su diverse postazioni… 

Organizzare un laboratorio didattico è impegnativo, ma anche molto stimolante per la classe

Per tutti questi motivi e per altri, organizzare un laboratorio didattico è molto impegnativo per l’insegnante, e secondo me, è possibile realizzarne al massimo 3 o 4 all’anno.

Le caratteristiche del laboratorio didattico che invece non vorrei perdere e che penso siano inseribili in un percorso di “didattica laboratoriale sostenibile” sono:

  • Gli studenti vengono messi al centro dell’attività didattica e si parte da ciò che conoscono e vivono.
  • L’attività prevede che gli alunni siano attivi e, dati man mano gli obiettivi, si muovano in autonomia.
  • Durante un laboratorio didattico gli studenti vanno alla ricerca di qualcosa, stimolando curiosità e desiderio di saperne di più.
  • Nel laboratorio didattico ognuno è libero di esprimere le prorpie ipotesi o di commettere errori che sono utili a tutti per ripartire facendo meglio.
  • Il tempo è disteso e, anche se i tempi sono ben scanditi, si lascia il tempo a ciascuno per arrivare al traguardo.
  • Spesso si lavora insieme (che è una delle cose più difficili) cercando di adeguare il proprio passo a quello degli altri per arrivare alla meta.

Non volendo quindi perdere questi ed altri aspetti positivi, ho pensato a come progettare una percorso di “didattica laboratoriale sostenibile” che prenda spunto dall’esperienza dei laboratori didattici ma che appunto sia sostenibile nella quotidianità e mi permetta di non impazzire nella preparazione.

In questa modalità di lavoro posso così alternare: lavori di gruppo, attività più manuali, flipped classroom, attività sulla linea del tempo, lezioni frontali, ricerche ecc… 

Progettare i percorsi e definire gli obiettivi

Per farlo mi affido all’esperienza maturata nell’Associazione Clio ‘92, definendo preventivamente sia i “concetti fondanti” che voglio supportare con la mia attività sia “processi di trasformazione” che voglio trattare in classe. 

Nei prossimi articoli troverete descritte 3 brevi attività che possono essere inserite nell’attività quotidiana e che mi aiutano a lavorare, durante l’anno scolastico, in modo particolare sul concetto fondante di Traccia che, se interrogata, può trasformarsi in Fonte di informazione.

Gli oggetti parlanti: l’attività

Ho chiamato questa prima attività “Gli oggetti parlanti” e consiglio di realizzarla all’inizio dell’anno proprio per cominciare a lavorare sul concetto fondante di Traccia \ Fonte perchè, come ci ricordano le Indicazioni Nazionali è importante che i nostri alunni sappiano “usare fonti di diverso tipo per produrre conoscenze sui temi definiti”.

Partiamo con un a domanda utile: Perchè chiamiamo “Traccia” gli oggetti costruiti dall’uomo (o le tracce del suo passaggio) e non “Fonti di Informazione”? 

Perchè un oggetto di per sé è neutro, non ci da informazioni a meno che noi non gli facciamo alcune domande e a quel punto, ricercando in quell’oggetto la risposta, lo trasformiamo in fonte di informazione! 

Un oggetto di conseguenza può essere contemporaneamente diversi tipi di fonte (scritta, visiva ecc…) e custodire anche diversi tipi di informazioni (chi lo ha fatto, il materiale, lo stile ecc…).

Per introdurre il concetto di oggetto che è traccia e diventa fonte di informazione,  leggo in classe, prima dell’attività vera e propria l’albo illustrato  “la casa che un tempo”; il racconto letto mi serve per attivare la riflessione sulle tematiche trattate senza che sia io a parlare: l’ascolto crea già da solo quelle domande e quella curiosità che mi servono per attivare la memoria dei miei ragazzi!

In questo racconto i due bambini, protagonisti della storia, esplorano una casa abbandonata e, grazie agli oggetti curiosi che trovano in essa, cominciano a farsi delle domande…

Da qui prende il via l’attività chiamata “Gli oggetti parlanti” che si sviluppa in diverse fasi:
  1. Chiedo ai bambini di portare a scuola un oggetto di quando erano piccoli e di consegnarmelo mettendolo dentro ad un sacco, senza che i compagni lo vedano; l’oggetto può essere qualunque cosa: gioco, coperta, pupazzo, foto ecc…
  2. Una volta raccolti gli oggetti scrivo alla lavagna alcune domande chiave che ci guideranno nell’analisi:
  • Che cos’è?
  • A cosa serve?
  • Per quale età è indicato?
  • E’ per un maschio o per una femmina?

I ragazzi scriveranno sul loro quaderno queste domande.

  1. A questo punto cominciamo ad analizzare gli oggetti che verranno estratti dal sacco e non verrà detto a chi appartengono.
  • Per ogni oggetto estratto facciamo delle ipotesi, confrontandoci fra noi; poi alla fine il proprietario confermerà o smentirà le nostre ipotesi.
  • Requisito fondamentale per giocare è il non giudicare le risposte degli altri! Non ci saranno risposte giuste o sbagliate ma solo ipotesi.
  • Alla fine dell’attività chiedo ai ragazzi di scegliere tre oggetti fra quelli estratti  e di descrivere l’analisi fatta in classe e poi la conferma ( o la correzione) da parte del proprietario.

4. Alla fine dell’attività chiedo ai ragazzi di scegliere tre oggetti fra quelli estratti  e di descrivere l’analisi fatta in classe e poi la conferma ( o la correzione) da parte del proprietario.

Per altre attività da fare in classe visita la sezione dedicata qui!

L’autunno a scuola: novità e date da ricordare

in Scuola by

Rassegna stampa: date da ricordare, suggerimenti di didattica innovativa e comportamento a scuola

Il mese di ottobre si apre con alcune date importanti da segnalare, qualche spunto per una didattica alternativa e innovativa, corsi di formazione per docenti; infine, la proposta di legge riguardo la violenza contro i docenti, il bullismo e la disabilità e i risultati di un’indagine sulla attuazione delle “regole di comportamento” in classe.

Giornate importanti di ottobre:

Giornata Mondiale degli Insegnanti

Il 5 ottobre si festeggia la Giornata Mondiale degli Insegnanti. “L’impegno dei docenti è fondamentale per fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva e opportunità di
apprendimento per tutti”.

Per la ricorrenza Rai Scuola propone alcuni video di approfondimento: https://www.raiscuola.rai.it/scienzesociali/articoli/2022/09/Giornata-Mondiale-degli-Insegnanti-5c63ebd7-e8a5-4813-b7e3-82f99d6f407d.html

Fridays for Future, sciopero il 6 ottobre: i ragazzi tornano in piazza per il clima

Tornano gli sciopero dei ragazzi e delle ragazze per il clima, uniti nel movimento mondiale ispirato e promosso da Greta Thumberg.
https://www.skuola.net/scuola/manifestazioni-studentesche/fridays-for-future-scioper-6-
ottobre-per-il-clima.html

Suggerimenti di didattica e corsi di formazione

ChatGPT e compiti dei ragazzi: una guida per insegnanti

E se il compito degli studenti è fatto con ChatGPT? Ecco alcuni metodi facili per scoprirlo:
https://www.skuola.net/scuola/come-scoprire-testo-scritto-da-chatgpt-guida- insegnanti.html

Quaderno di attività per una didattica all’aperto

L’idea di base del progetto è quella di aiutare le scuole a considerare lo spazio esterno come parte integrante dell’ambiente di apprendimento secondo il format della learning story già sperimentato da INDIRE.

“L’ambiente fa scuola. Fare didattica all’aperto nelle piccole scuole”. Trovate qui tutti i dettagli e il Quaderno da scaricare:
https://www.indire.it/2023/09/26/online-il-nuovo-quaderno-delle-piccole-scuole-sulla-
didattica-allaperto/

La cultura della cancellazione (#CancelCulture): corso gratuito per docenti

Il MIM organizza per questo anno scolastico un progetto di Storia sulla “Cultura della Cancellazione a partire dalla Damnatio Memoriae e dall’altro fornire strumenti utili alla progettazione e alla pianificazione del lavoro dei docenti”. Il Corso è rivolto a docenti della Scuola secondaria di primo e secondo grado, in particolare agli insegnanti di Storia e Lettere.

Ci si può iscrivere qui:
https://www.miur.gov.it/web/guest/-/progetto-di-storia-la-cultura-della-cancellazione-cancel-culture-prospettive-storiche-dall-antichita-ad-oggi-anno-scolastico-2023-2024-26-ottobre-2023

Violenza contro i docenti, bullismo ai danni della disabilità e attuazione delle regole di comportamento a scuola

La proposta di legge contro le violenze ai docenti

Inizia alla Camera la discussione sulla violenza a scuola: introduzione dell’aggravante per studenti e genitori che aggrediscono un docente.

https://www.repubblica.it/scuola/2023/10/03/news/legge_violenza_scuola_aggravante_studenti_genitori-416646043/

Il fenomeno del bullismo ai danni della disabilità

“Approfondire l’argomento del bullismo e della disabilità è inevitabile. Infatti, almeno la metà della popolazione scolastica afferma di essere stata vittima delle angherie altrui durante il periodo della propria educazione”.

Le persone con disabilità sono ancora più vulnerabili al bullismo, perché i bulli possono scegliere di sfruttare le loro debolezze percepite per metterle in una posizione di svantaggio.
https://www.lascuolaoggi.it/news-scuola-docenti/bullismo-e-disabilita/

Vietato l’uso dei telefonini e dress-code per 8 studenti su 10

Abbigliamento e telefonini a scuola: secondo un’indagine – che ha coinvolto1.000 ragazze e ragazzi di scuole medie e superiori – la maggior parte degli istituti cerca di indicare dei criteri di comportamento per il dress code a scuola, ma soprattutto di far rispettare le regole, già attive dallo scorso anno, per l’uso indiscriminato degli smartphone.

https://www.rainews.it/articoli/2023/09/scuola-regole-per-il-nuovo-anno-sullutilizzo-dei-telefonini-ma-anche-dress-code-59e65f71-3e38-4fec-82ab-d93cde96cfcb.html

Se ti sei perso le news della scorsa settimana, recuperale qui!

Riflessione sull’Educazione Civica

in Scuola by

La riflessione di una insegnante di scuola secondaria di secondo grado sull’Educazione Civica

Qualche anno fa, la legge n. 92 del 20 agosto 2019 e successive integrazioni ha delineato il nuovo
volto dell’Educazione Civica nella scuola italiana.

Mi è venuto spontaneo ripensare ai manualetti elencati nella lista dei libri che i miei genitori diligentemente compravano per noi ed altrettanto diligentemente venivano rivenduti come nuovi perché non li usava nessuno, non credo per nostra cattiva volontà, ma perché a scuola non c’era mai abbastanza tempo per leggerli. Ricordo anche che in realtà fu mio padre a spiegarmi il significato ed i passaggi più importanti della Costituzione.

Come insegnante di scuola superiore ho visto quindi con interesse la riproposizione articolata dello studio della Costituzione e, a dispetto di quello che si sente dire correntemente, mi è sembrata più un’opportunità che l’ennesima seccatura per noi docenti.

Lo penso perché da qualche anno ormai le linee di tendenza per l’esame di Stato portano al colloquio multidisciplinare, che parte da un tema assegnato sul momento che si sviluppa su di un certo numero di discipline. Durante l’anno scolastico però l’approccio multidisciplinare è poco coltivato, presi come siamo dalla necessità di arrivare in fondo con il programma completato e oggettivamente quest’anno, nell’esperienza che ho avuto mi è sembrato piuttosto carente.

In realtà però, se in sede di programmazione proviamo ad evidenziare i grandi temi posti dalla Costituzione, ci rendiamo conto che o tramite i contenuti (e mi riferisco soprattutto ad Italiano, Storia, Filosofia, Inglese ed anche Greco e Latino) o tramite i metodi (e qui chiamo in causa le materie scientifiche) gli argomenti interdisciplinari sono numerosi ed altrettanto numerose sono le possibilità di declinarli in modi differenti.

Questo diventa una risorsa sul piano didattico perché permette di sviluppare un approccio ad ampio raggio. Ovviamente è prima di tutto il docente che non deve limitarsi ad una somministrazione anchilosata di contenuti. All’esame di Stato mi è capitato di sentire, alla domanda rituale sull’educazione civica, delle risposte del tipo “Abbiamo fatto questo” e poi la recita mnemonica del contenuto senza alcun raccordo, arricchimento o contestualizzazione.

L’educazione civica deve essere una forma mentale che deve entrare nel nostro approccio al sapere perché facciamo parte della società umana e deve essere un modo di vedere il mondo, con responsabilità e con rispetto. La riprova di questa necessità sono le varie voci che si sollevano da più parti circa l’opportunità di introdurre nella scuola (ignorando che esistono da un pezzo) l’educazione alla salute, l’educazione all’ambiente, l’educazione stradale, la lotta al bullismo e quant’altro. Dobbiamo educare a tutto, e chissà quando possiamo lavorare sulle materie di studio.

È inutile proporre pacchetti di ore per un argomento o un altro, che poi erodono il monte ore da dedicare a programma, verifiche ecc.. Occorre una visione che ci consenta di attraversare la nostra storia, la nostra cultura, la natura stessa ed attraverso questa lente affrontare lo studio con i suoi argomenti, le sue verifiche, i suoi approfondimenti.

Quindi non è tanto un manualino o un capitolo in fondo al libro che tampona il problema dell’educazione civica, quanto piuttosto un sistema di percorsi che permetta di far emergere o di costruire da zero (nel caso in cui il contesto familiare non sia efficace) una sensibilità a tutto campo, che ci consenta di appartenere al mondo nel mutuo rispetto degli uomini e della natura.
Questo sarebbe utile anche in sede di colloquio di esame di Stato perché l’approccio ad un tema di largo respiro coinvolgerebbe più materie e favorirebbe la possibilità di valutare veramente se uno studente è “maturo”.

Ben venga quindi, invece del manuale, una raccolta di mappe concettuali o di proposte di percorso che colleghino il sapere scolastico con le grandi tematiche come la libertà, la cittadinanza, il diritto al lavoro, l’ambiente e con i metodi scientifici che permettono di quantificare, studiare e connettere i dati del mondo, perché i giovani comprendano pienamente ed obiettivamente la realtà e ne siano protagonisti consapevoli.

Come si diventa insegnante?

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Rassegna stampa e news: accesso ai concorsi, avvisi di ricerca personale docente e piattaforme digitali per la classe

Il ministro Valditara presenta il DPCM sulla formazione dei docenti della Secondaria di I e II grado.

Nelle parole del Ministro l’enfasi al percorso di formazione disciplinare e pedagogico e sui meccanismi di valutazione per migliorare l’efficacia didattica.

Con l’inizio dell’anno scolastico si rinnovano in alcuni casi le difficoltà nel reperimento di insegnanti supplenti.  E poi: piattaforme didattiche, Educazione Stradale , l’annuario statistico con i dati della scuola italiana.

Grazie a queste misure avremo una nuova generazione di insegnanti fortemente strutturati

Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione

Percorsi abilitanti, ricerca personale e dati a.s. 2023/24

Percorsi abilitanti docenti: come accedere ai concorsi per insegnare.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che definisce i nuovi percorsi di formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria di I e II grado firmato lo scorso luglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale.  “Finalmente varata una riforma attesa da oltre un anno. I prof dei nuovi percorsi avranno una formazione molto strutturata disciplinarmente e pedagogicamente. Sarà decisiva la capacità di motivare i ragazzi e di valorizzarne i talenti”

https://www.miur.gov.it/-/scuola-firmato-il-dpcm-sulla-formazione-dei-docenti-della-secondaria-di-i-e-ii-grado

Avvisi aperti per le scuole che cercano docenti per supplenze.

Si rinnovano anche quest’anno le difficoltà delle scuole per il reperimento dei supplenti.

Da Orizzontescuola una selezione di avvisi di ricerca divisi per materie.

https://www.orizzontescuola.it/mancano-i-docenti-per-alcune-classi-di-concorso-le-scuole-li-ricercano-da-mad-o-tramite-interpello-avvisi/

Primi dati sull’a.s. 2023/2024: in classe ci saranno circa 7,2 milioni di studenti

Sono tornati sui banchi più di 7 milioni di studenti delle scuole statali: è disponibile sul sito del MIM l’approfondimento con i primi dati sull’anno appena iniziato:

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/scuola-disponibili-i-primi-dati-sull-a-s-2023-2024-in-classe-circa-7-2-mln-di-studenti-1

Educazione stradale

Recenti fatti di cronaca hanno acceso un riflettore sull’importanza di percorsi di Educazione Stradale all’interno delle scuole. Riparte il progetto Edustrada

Piattaforme digital anche per alunni

Attivazione piattaforma Google Workspace for Education per gli alunni:

https://www.orizzontescuola.it/attivazione-piattaforma-google-workspace-for-education-per-gli-alunni-un-esempio-di-circolare-e-liberatoria-adattabile-ad-altre-piattaforme/

Ripristinare la cultura del rispetto e prevenire gli episodi di bullismo: torna a scuola la valutazione sul comportamento.

Il disegno di legge approvato dal Consiglio di Ministri prevede la valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. “Dare risalto al comportamento – preferisco non chiamarlo condotta – degli alunni, prevedendone una rigorosa valutazione – ha dichiarato il Ministro Valditara– è ormai divenuta un’esigenza, anche alla luce dei sempre più frequenti, inquietanti episodi di violenza, bullismo, vandalismo, ecc”.

Leggi qui tutto l’intervento: https://www.tuttoscuola.com/voto-di-comportamento-valutazione/

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L’accoglienza: pratiche di inclusione

in Approcci Educativi by

L’accoglienza di un nuovo alunno in classe: come comportarsi in un momento così delicato per il nuovo arrivo e per gli equilibri del gruppo.

Abbiamo già avuto modo, in precedenza, di affrontare l’argomento dell’accoglienza in classe (trovi qui un articolo a riguardo). Del resto, accade piuttosto spesso che, durante l’anno, arrivi un nuovo elemento all’interno della classe. Un ragazzo o una ragazza proveniente da un’altra città, o persino regione o stato, verso il/la quale è opportuno attuare una serie di pratiche di accoglienza volte ad integrarlo/a al meglio nel gruppo, e nel minor tempo possibile.

Scopriamole insieme a Marcella Papeschi, insegnante nella scuola primaria e secondaria, con competenze nell’approccio ai disturbi dell’apprendimento e nella didattica musicale. Con all’attivo varie pubblicazioni di libri di narrativa e testi scolastici in diversi ambiti disciplinari, attualmente scrive racconti per bambini con strategie per la facilitazione della lettura e della comprensione del testo.

Il nuovo arrivo

Quando un nuovo alunno entra in una classe già formata e avviata, noi insegnanti dovremmo predisporre un’accoglienza che lo faccia sentire, fin dal primo momento, a suo agio.

Non abbiamo notizie su quel bambino  o su quella bambina, sappiamo però che non è un’esperienza indifferente inserirsi ad anno iniziato in una nuova realtà scolastica, dopo averne lasciata una conosciuta e sicura.

Abbiamo chiamato questo alunno/a Battista, nome sia maschile che femminile, prendendolo in prestito della simpatica sorella di Cosimo Piovasco, il Barone Rampante di Rondò e abbiamo immaginato che faccia ingresso in una classe seconda del primo ciclo di studi.

Prepariamo l’accoglienza

Iniziamo subito da un problema pratico: dove possiamo far sedere Battista?  

Sembra un quesito banale, ma in realtà, nei ricordi di molti di noi, la posizione che occupavamo in classe nei primi giorni di scuola è ancora  presente nella memoria.

Probabilmente tale postazione risulterà provvisoria, perché ci riserveremo di capire col tempo in quale situazione Battista potrà essere a suo agio; al momento, per non sbagliare,  riserviamogli una posizione centrale ma non troppo, meglio se laterale, magari  confinante con la parete, dalla  quale Battista potrà  rivolgere uno sguardo d’insieme sulla classe proteggendosi almeno parzialmente, dagli sguardi altrui.

Non è infatti certo che il nuovo arrivato possa desiderare una posizione di primo piano: alcuni bambini amano inserirsi gradualmente nelle nuove realtà, ed è proprio a loro che dobbiamo prestare maggiore attenzione, evitando di forzarli e di farli sentire inadeguati alle nostre richieste. Chiediamo poi ai nostri alunni se qualcuno avrebbe piacere di sedersi vicino al nuovo ospite. Spieghiamo che il volontario dovrà aiutare Battista  a orientarsi nell’organizzazione scolastica, condividendo nei primi giorni libri o altri materiali  e segnalando eventuali problemi all’insegnante.

Battista entra in classe

Battista  probabilmente entrerà  accompagnato da un commesso o da un applicato. Andiamogli incontro  e conduciamolo al banco dopo avergli chiesto il nome ed esserci presentati.

Lasciamogli  il tempo di orientarsi senza puntargli il cannocchiale addosso; eviteremo  il suo imbarazzo inserendolo subito nel vivo della classe, spieghiamogli l’attività che in quel momento si sta eseguendo e provvedendo a fornirgli, fin da subito, il materiale necessario.

Battista entra in classe – illustrazione di Marcella Papeschi

Primi passi

Nel primo momento libero, o durante l’intervallo, sarebbe importante richiamare Battista in disparte e iniziare la conoscenza. 

Se intuiamo che si tratta di un bambino riservato, riduciamo al minimo le domande.

Possiamo chiedergli: Come stai? Ti piace questa classe? Com’era la tua? Come si chiamavano le tue maestre? domande generiche che possono aiutarlo a rompere il ghiaccio. Presentiamoci poi con la nostra area disciplinare e introduciamo anche gli insegnanti che in quel momento non sono presenti.

Sarebbe importante, in questa fase, una prima comunicazione con la famiglia.

Potrebbero essere gradite ai genitori alcune righe  sul diario in cui  chiediamo  un colloquio, con la richiesta, in quell’occasione, di farci avere i quaderni delle diverse discipline per orientarci sul livello del bambino e sulle sue caratteristiche scolastiche.

Circle time

La disposizione in cerchio,  per terra o sulle sedie, è ottimale per facilitare la conoscenza tra compagni. In questa situazione ognuno è importante come gli altri  Noi insegnanti rivestiremo un ruolo di coordinamento e occuperemo una postazione a fianco dei bambini.

Possiamo lanciare uno stimolo di discussione non troppo impegnativa che permetta a chi lo desidera, di prendere facilmente la parola: sarebbe importante che ogni alunno, prima di parlare, dicesse  il suo nome.

Ecco alcune idee per iniziare la nostra chiacchierata:

  • Raccontiamo  un’esperienza  che abbiamo fatto quest’estate e che c’è piaciuta tantissimo.
  • Riferiamo un episodio che è successo in classe, divertente, strano o particolare.
  • Parliamo di un animale  domestico che conosciamo o perché abita con noi o perché lo abbiamo incontrato qualche volta.
  • Parliamo dei nostri gusti delimitando un campo: possiamo affrontare l’argomento del cibo specificando quello ci piace di più e quello che ci piace di meno, oppure parliamo dei giochi che amiamo  fare quando siamo a casa, con o senza fratelli e sorelle.

Non insistiamo se Battista in questa occasione resterà in silenzio; ci stupiremo in seguito nel verificare che ricorderà i nomi dei compagni e che sceglierà da subito i suoi preferiti.

Vi racconto una storia

Un’altra attività utile a sbloccare la conoscenza tra compagni è quella di proporre una storia strutturata secondo la canonica forma.

Protagonista > desiderio > ostacolo > raggiungimento del desiderio


Possiamo iniziare il racconto e interromperlo dopo la presentazione dei protagonisti chiedendo ai bambini di continuare esplicitando il desiderio, oppure chiedendo di creare gli ostacoli, o di inserirsi più avanti con la risoluzione della storia. Potremmo far narrare oralmente la vicenda a chi si dimostri desideroso di intervenire, senza forzare gli interventi.

In seguito la classe potrà tornare ai banchi e illustrare con un disegno la propria storia o quella inventata da un compagno.

Queste esposte finora sono solo briciole d’accoglienza e inclusione, ne possono esistere tante altre, migliori e più efficaci, ma è solo per sottolineare che l’ingresso di un nuovo alunno è  un evento importante che in qualche modo va accolto e riconosciuto.

Battista sicuramente, inserendosi nel gruppo, creerà nuovi equilibri e per questo motivo l’evento va accompagnato e non lasciato ai margini: il fiume classe sperimenterà con lui un nuovo corso.


Foto di copertina by CDC on Unsplash


Fake news, non ti temo!

in Approcci Educativi by

Per i nostri studenti (e non solo) è molto importante distinguere le informazioni vere da quelle false e imparare a navigare su web con consapevolezza. Vediamo come lavorare in classe sulle fake news.

Perché parlare di fake news a scuola?

Perché obiettivi e competenze coinvolti sono da considerarsi cruciali, specie dopo il periodo pandemico in cui il tempo trascorso online ha subìto un notevole incremento. 

Saper distinguere tra notizie vere e notizie false permette agli studenti (e non solo) di:

  • sviluppare il pensiero critico in merito all’attendibilità dei contenuti su web;
  • sviluppare la capacità di valutare le informazioni online anche partendo da un’attenta considerazione delle fonti;
  • imparare a riconoscere una notizia vera da quella falsa;
  • diventare consapevoli della fruizione e condivisione dei contenuti presenti in rete.
Che cosa sono le fake news?

In classe possiamo partire proprio da questa domanda.

Dopo aver discusso sul’idea di fake news che hanno i ragazzi, si può cominciare leggendo alcune pagine del libro di Daniele Aristarco Fake – Non è vero ma ci credo, che affronta proprio questa tematica.

Aristarco chiarisce anche il significato di “bufale”, da considerarsi sinonimo delle stesse fake news.

“Le fake news sono notizie false, inventate da qualcuno e poi messe in circolazione e spacciate per vere. In Italia spesso vengono chiamate “bufale”. Con questo termine identifichiamo, più in generale, tutte le narrazioni truffaldine in grado di “menarci per il naso”, proprio come si fa con i buoi e i bufali quando ce li tiriamo dietro tenendoli per l’anello attaccato al naso”

E visto che le fake news grazie al web e ai social – tanto utilizzati dai nostri studenti – si diffondono con incredibile facilità, vediamo quali attività possiamo svolgere in classe per lavorare sulla responsabilizzazione e sulla consapevolezza di un’utenza giovanile.

Come navigare sicuri in rete e come riconoscere le fonti attendibili? 

Far comprendere che la prima cosa da tenere d’occhio quando si cercano informazioni sul web è vedere qual è la fonte di provenienza.

Devono essere considerate sicure solo le informazioni provenienti da fonti attendibili, affidabili.

Per riconoscere quali sono le fonti attendibili su internet occorre fare attenzione alle seguenti caratteristiche: 

  • devono indicare da dove provengono le informazioni che riportano;
  • la stessa informazione può essere reperita anche in altra forma o in altro luogo (altri siti, libri, quotidiani cartacei…);
  • fonti ufficiali da considerare sicure sono i quotidiani nazionali o l’Ansa (far porre l’attenzione sul fatto che siano scritte nel modo corretto, dal momento che alcuni siti riportanti notizie false copiano grafica e nome del sito ufficiale apportando minime variazioni); 
  • le informazioni devono essere esposte con linguaggio medio-alto ma, nel contempo, chiaro e comprensibile.
  • inoltre è sempre consigliabile la consultazione di fonti diverse, che permette di valutare la diversa interpretazione che di uno stesso avvenimento si può dare, mettendo anche in luce l’importanza della pluralità delle fonti.
Come riconoscere una fake news?

Provare a stabilire quali sono le caratteristiche delle fake news, analizzandone in classe alcuni esempi:

  • la grafica è semplice, il linguaggio utilizza slogan o frasi che colpiscono alla prima lettura;
  • la notizia non compare nelle fonti ufficiali e non dichiara la fonte da cui proviene;
  • la notizia non fa riferimento a date o luoghi precisi;
  • la notizia appare in un sito carico di messaggi pubblicitari che rendono difficoltosa la lettura (e che cercano di catturare l’attenzione dell’utente per indirizzarlo verso prodotti commerciali precisi).
“Virtuale è reale”

Per i nostri ragazzi, sempre immersi sul web, occorre far comprendere che è importante non farsi ingannare perché in rete si può trovare davvero di tutto. È bene anche far capire che è una responsabilità condividere notizie di cui non si è certi e che potrebbero rivelarsi false.

Interessante è leggere in classe il primo articolo del Manifesto della comunicazione non ostile, redatto dall’associazione Parole Ostili che si occupa della corretta informazione in rete per limitare bugie e forme di odio on-line, che recita “virtuale è reale”.

Si può inoltre proiettare in classe il video, sempre di Parole Ostili, dal titolo Cosa sono le fake news? Consigli per riconoscerle – Fake news per bambini che riassume, in modo semplice ed efficace, le principali informazioni su fonti attendibili e bugie diffuse in rete.

Disegni, slogan, vademecum

Per rendere gli studenti protagonisti attivi del loro apprendimento, possiamo proporre attività coinvolgenti attraverso le quali poter verificare l’attendibilità di falsi messaggi e di notizie ingannevoli, suggerendone strategie di superamento.

Possiamo far consultare siti appositamente dedicati allo svelamento di bufale (ad esempio www.bufale.net) e mettere a confronto quelle informazioni con quelle diffuse da fonti ufficiali.

Possiamo far consultare anche siti che si occupano volutamente di distorcere le informazioni per finalità umoristiche, come www.lercio.it, e far notare ancora le modalità di presentazione della notizia.

Un’idea potrebbe essere quella di far creare direttamente ai ragazzi delle fake news partendo dalle caratteristiche individuate nelle notizie false lette ed analizzate.

Ma si possono far realizzare in classe tante altre attività interessanti, come slogan o disegni a tema, oppure dei veri e propri vademecum dedicati alle regole da seguire per riconoscere le fake news, da realizzarsi sia in forma cartacea che in formato digitale

Insomma, rendere consapevoli i nostri studenti della pericolosità della diffusione di false notizie è un compito estremamente importante perché, come dice ancora Aristarco

“Le fake news sono bugie insidiose e, al tempo stesso, molto seducenti.

Talvolta si fanno beffa della nostra ‘creduloneria’.

La maggior parte delle volte, però, possono essere molto pericolose.

Se non vengono prontamente smascherate, sono in grado di modificare

profondamente le nostre abitudini, di scompigliare i nostri progetti e,

talvolta, di minare i più profondi convincimenti”

E proprio per questo occorre che i nostri studenti ne divengano consapevoli e responsabili.

Qui le fasi delle attività proposte in classe e tutte le foto dei lavori realizzati dai ragazzi:

https://dragoniprof.blogspot.com/2021/02/fake-non-ti-temo.html

https://dragoniprof.blogspot.com/2021/02/fake-non-ti-temo-i-nostri-lavori.html

Foto di copertina by Markus Winkler su Unsplash

Gli albi illustrati per creare un buon gruppo classe

in Attività di classe by
Una bella attività di laboratorio che, partendo dalla lettura di albi illustrati, ci aiutano a impostare un buon gruppo classe fin dall’inizio dell’anno.

Un tema che negli ultimi anni mi ha molto incuriosita è l’uso degli albi illustrati nella didattica. Mi sono iscritta così a un corso di perfezionamento in “Letteratura per l’infanzia” che mi ha portato ad approfondire l’argomento dal punto di vista letterario, pedagogico e didattico.

Alla fine del percorso di studi ho elaborato una tesina che, partendo dall’uso degli albi illustrati come attivatori emotivi e cognitivi, tenta di fornire strumenti pratici e strategie per affrontare uno dei periodi più delicati dell’anno scolastico: l’inizio.

Il mio lavoro è rivolto alle classi secondarie di primo grado dove insegno italiano, storia e geografia, ma con qualche aggiustamento è sicuramente valido anche per altri gradi di scuola.

La mia tesi parte da un concetto molto semplice, a cui sono arrivata con l’esperienza ma che è anche scientificamente sostenuto, ovvero: si impara meglio e di più, quando in classe c’è un buon clima!

Leggiamo nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo: “Particolare cura è necessario dedicare alla formazione della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti indotti dalla socializzazione.”

In tanti anni di lavoro a scuola mi sono resa conto di come il gruppo classe influisca in modo forte nell’apprendimento di ciascun membro, trainando, se positivo, alunni in difficoltà, e spegnendo, se negativo, ogni desiderio di stare a scuola!

Ho visto classi eccellenti dove però vigeva un clima freddo senza relazione e dove ognuno pensava a se stesso, così come ho visto classi camminare davvero insieme cercando di  non lasciare indietro nessuno.

Capitare in una buona classe è certo questione di fortuna, ma credo sia indispensabile dedicare una parte dell’anno – la prima – a conoscere i ragazzi, a fare in modo che conoscano i loro compagni e decidere con coscienza quale direzione prendere come gruppo classe.

Il percorso che ho progettato si divide in tre incontri da circa 2 ore ciascuno.

– Il primo incontro si intitola “Chi sono io?” durante il quale, attraverso alcune attività, ogni ragazzo sarà invitato a riflettere su se stesso e a condividere le proprie riflessioni con agli altri.

Nel secondo incontro, intitolato “Io e gli altri”, l’obiettivo è quello di riflettere sui tanti rapporti che si possono impostare in un gruppo classe e più in generale in un gruppo.

Nel terzo incontro, intitolato “La Classe in gioco: regole e obiettivi condivisi per camminare insieme”, i ragazzi saranno invitati a scegliere quale tipo di classe vorrebbero avere e a darsi alcune regole per convivere bene.

Primo incontro: “Chi sono io?”

È la domanda a cui tutti cerchiamo di dare una risposta, per trovare un posto nel mondo e la motivazione per sopravvivere nei momenti difficili.

La scuola secondaria di primo grado è la scuola in cui comincia l’età della metamorfosi, l’età dello sviluppo; i maschi tardano un po’, le femmine di solito anticipano ma i grandi cambiamenti, sia mentali che fisici, cominciano a cavallo di questi tre anni.

Questo periodo della vita non per tutti è uguale naturalmente: c’è chi lo affronta come un momento desiderato in cui finalmente si cresce, si cambia forma, si diventa alti, barbuti, formosi, si diventa grandi…

Per alcuni invece la metamorfosi è una grande fatica: a metà fra l’infanzia e l’adolescenza, questo momento di passaggio è un cambiamento non desiderato che va a complicare magari altre situazioni.

Volenti o nolenti comunque, in questi tre anni avvengono o cominciano cambiamenti importanti nella mente e nel corpo; e in tanti, guardandosi allo specchio, faticano a riconoscersi.

Come aiutare i nostri ragazzi a riconoscere quell’estraneo che da tempo ormai li guarda dallo specchio? Per prima cosa possiamo far notare che quello non è proprio un vero estraneo! In effetti nello specchio ci sono sempre io con le mie caratteristiche, solo un po’ diverso; il primo passo quindi è riconoscere quella parte di me che ancora c’è e che probabilmente ci sarà sempre.

Ecco quindi che l’estraneo non è più tale, ed il compito è più semplice: si tratta di conviverci fino a quando la figura nello specchio diventerà famigliare.

Come traghettare i ragazzi nel conoscere e riconoscere se stessi?

Per riconoscermi e poi conoscermi ho necessità di sapere chi sono ed ecco perciò la domanda che apre il primo laboratorio. Credo che per stare bene con gli altri prima sia necessario stare bene, almeno un po’, con noi stessi, per questo il percorso comincia con un lavoro personale.

Le tre regole

Cominciamo il primo dei tre incontri dedicando un po’ di tempo alla presentazione del progetto in generale con i suoi obiettivi, le sue tempistiche e le sue regole; per riuscire a creare un buon clima in cui tutti si sentano liberi di esprimersi è necessario partire da tre atteggiamenti fondamentali: l’ascolto reciproco, il rispetto e la compartecipazione. L’enunciare queste regole non vuol dire che saranno rispettate sicuramente dai ragazzi, ma riuscire a rispettarle è un obiettivo a lungo termine, da ribadire di volta in volta senza stancarsi. Per realizzare l’attività ci mettiamo in cerchio, che è la più democratica fra le figure geometriche!

Perché usare gli albi illustrati

Dopo la presentazione entriamo nel vivo dell’esperienza dedicando circa 20, 25 minuti alla lettura ad alta voce degli albi scelti dall’insegnante. Nella mia tesi ho dedicato un intero capitolo al perché scegliere gli albi illustrati per cominciare un progetto ma qui, per questioni di praticità, citerò i motivi principali lasciandovi alla lettura di testi completi sulla questione scritti da insegnanti che da anni li usano nella didattica.

Nella mia personale esperienza mi sono resa conto che un albo illustrato, se ben progettato, può davvero essere una porta per entrare in altri mondi e per questo è molto utile all’inizio di un’attività di laboratorio, per introdurre l’argomento. Il “raccontare” in generale, se ben fatto, trasporta l’ascoltatore in un’altra dimensione in cui vi scivola spesso in modo incosciente.

La scelta degli albi illustrati come apertura di un’attività di laboratorio è motivata quindi dalle molteplici capacità di questo genere letterario: parlare un linguaggio profondo e polisemico, che unisce parola e immagine; mostrare punti di vista differenti; avere per ciascuno di noi un significato diverso in base all’esperienza vissuta; parlare in modo trasversale a piccoli e grandi ecc…

Un altro aspetto importante degli albi illustrati è quello di saper creare meraviglia e curiosità, entrambe emozioni che aiutano i ragazzi nel loro processo di apprendimento. Infine, ma non certo per importanza, mi affascina la gratuità del gesto della lettura ad alta voce perché, oltre ad essere dono, è anche creatore di relazione intima e positiva. Nella mia esperienza personale chi ha  potuto essere fruitore di lettura ad alta voce, diventa a sua volta dispensatore di essa creando un circolo virtuoso di dono e relazione.

Per questa parte del percorso (Chi sono Io) ho selezionato alcuni albi che conosco, ma naturalmente potrebbero essercene tanti altri…

“Dentro me”, A. Cosseau, Topipittori, 2008

“Casa di Fiaba”, Giovanna Zoboli e A. E. Laitinen, Topipittori, 2013

“Io sono Io”, Maria Beatrice Masella e J. Muñiz , Il leone verde, 2015

 “A che pensi”, L. Moreau, Orecchio acerbo 2012

Dopo la lettura appoggiamo un cartellone bianco sul pavimento in mezzo al cerchio e chiediamo ai ragazzi di ripetere a voce e poi scrivere alcune immagini, frasi o parole che la lettura ha fatto risuonare dentro di loro.

Dopo qualche minuto di “risonanza” togliamo il cartellone e consegniamo a ciascun ragazzo un foglio A4 con disegnato un omino stilizzato al centro; questo foglio sarà il nostro “attivatore grafico” che servirà ai ragazzi per riflettere su se stessi. Da alcune parti del corpo dell’omino partono delle frecce che terminano in fumetti; all’interno dei fumetti ci sono alcune domande: cos’ho in mente? Cosa so fare? Quali sono le cose che mi danno equilibrio? Ecc…

Una volta spiegata l’attività ogni alunno è invitato a cercarsi “un angolino” della classe dove svolgere, da solo, il lavoro richiesto.

Terminato il tempo del lavoro personale comincia la riflessione nel gruppo. Il lavoro di riflessione su se stessi è di per sé già molto utile ma lo è ancora di più se condiviso con altri e questo per alcuni motivi:

• ascoltando gli altri imparo sempre qualcosa su me stesso

• ascoltando gli altri vedo altri punti di vista.

• nell’ottica di dover condividere con i membri della classe tre anni di scuola, è utile e piacevole conoscere meglio gli altri membri della classe non limitandoci ad una conoscenza superficiale.

Messe in chiaro queste cose e ribadite le tre regole spiegate all’inizio del laboratorio, si comincia il giro di presentazione. 

Concludiamo il primo incontro incollando tutti i nostri “me stesso” su un cartellone che appenderemo in classe.

In copertina “Dentro me”, A. Cosseau, Topipittori, 2008

Esercizi sulla notte

in Attività di classe by

Immaginare il buio, immaginare nel buio, sognare da svegli: una divertente attività sulla notte

La notte è, anche per i bambini, il luogo dell’alterità, dell’abbandono, della scoperta: è uno dei pochi momenti che ancora vediamo come misterioso, come tempo di suggestioni, di ascolto, di attenzione e di smisurate possibilità. È anche il luogo cui torneremo nei tempi lunghi della vita: da ragazzi con la nostra solitudine e le nostre intimità, da adulti con i pensieri o i timori; qui accadono anche le cose che non controlliamo, incontriamo i nostri sogni e i nostri incubi, qui siamo meno sicuri, ma vediamo anche la vastità dell’universo. 

Questi esercizi sono una serie di brevi suggestioni da usare in classe, adattandoli alle varie fasce d’età, e alle esigenze concrete del gruppo e dei singoli. Sono esercizi sulla notte, poetici e strani. 

Dipingere con la luce

  • Spostatevi in un luogo buio o fate buio. 
  • Scegliete un pittore e due fotografi (per avere almeno due riprese).
  • Il pittore avrà in mano una torcia elettrica, o al limite un telefono acceso con la torcia luminosa. I fotografi avranno un telefonino con la fotocamera impostata su esposizione lunga.
  • Come variare l’esposizione (per esempio su iPhone; sugli altri modelli si fanno cose simili): Aprite Live Photo. Toccate il pulsante Live Photo vicino alla parte superiore dello schermo. Scegliete Loop, Rimbalzo o Esposizione lunga.
  • Fate dipingere il pittore in aria con la luce, con movimenti lenti e continui. Fermate dopo un minuto circa.
  • Guardate come sono venute le riprese. 
  • Cercate di imparare dagli sbagli; se volete potete aiutarvi con della musica e cambiare le disposizioni: con più pittori, con più fotografi, con piccole luci fisse.
Poesia nella notte

  • Questo è un testo collettivo che si può fare in presenza o a distanza, comunque non al buio.
  • Ognuno scrive un verso (o più di uno) che cominci con le parole “Nella notte”: per esempio “Nella notte buia”, o “Nella notte un grillo” o “Nella notte ho freddo e mi chiudo sotto le coperte”.
  • Via via che i versi sono pronti li si manda via chat (se a distanza) o li si appendono alla parete.
  • Leggiamoli di seguito, e vediamo la poesia che è venuta fuori.
  • Discutiamola: di cosa è fatta la notte? Cosa c’è di concreto? E cosa di impalpabile?
La piccola costellazione

  • Prendiamo delle piccole luci: delle candele, se non abbiamo paura di scottarci o di usare fiamme libere; ma anche dei led di spie di elettrodomestici, caricatori, eccetera.
  • Sistemiamo i vari oggetti in una stanza illuminata. 
  • Oscuriamo i vetri e spegniamo le luci. 
  • Guardiamo la costellazione che si è creata con le luci o con i led.
  • È una nostra costellazione portatile.
Le stelle

  • Una notte, proviamo a vedere le stelle.
  • Per vederle meglio dovremo andare lontano dalle altre luci: è così che scopriamo cosa si intende per inquinamento luminoso.
  • Mentre cerchiamo di vedere le stelle, siamo nel pieno della notte; la temperatura è diversa, i suoni sono diversi. Tutto sembra fatto per farci guardare meglio il cielo.
  • Cerchiamo un punto di riferimento da cui poi capire le mappe stellari; aiutiamoci con una app o con le mappe stellari.
  • Dopo poco capiremo che ci sono anche stelle meno visibili, che si nascondono nel buio: intuiremo la profondità dello spazio, e la vastità.
  • Proviamo a segnare su un foglio di carta delle zone di cielo, disegnando le stelle
  • Proviamo a fotografare il cielo: la foto non rende; il cielo notturno è anche un’esperienza di vastità.
I suoni

  • Chiudiamo gli occhi, in uno spazio tranquillo.
  • Proviamo a fare i suoni della notte.
  • Cambiamoli, non teniamo sempre gli stessi suoni.
  • Non parliamo, riduciamo i suoni.
  • Prendiamoci per mano, sempre a occhi chiusi.
  • Pensiamo a come la notte amplifichi le emozioni. Cosa succede?
La paura del buio

  • Portiamo con noi a scuola i peluche o gli oggetti con cui condividiamo o condividevamo la notte. Chi vuole può intervistarli, per far loro raccontare come fanno a proteggerci durante la notte.
  • Che incontri hanno fatto i pupazzi? Dove gli piace stare? Di cosa hanno paura loro?
  • Possiamo organizzare una notte di pupazzi in biblioteca, come in Una notte in biblioteca (di Kazuhito Kazeki e Chiaki Okada, Kira Kira, 2022): una pratica che si chiama Stuffed Animals Sleepover negli Stati Uniti e Nuigurumi Otomarikai in Giappone.
La possibilità di sognare

  • Chiediamo ai bambini o ai ragazzi se hanno dei modi per influenzare ciò che sogneranno. 
  • Non esistono metodi sicuri per sognare qualcosa che si vuole fortemente sognare: ma c’è un’età in cui lo si crede fortemente, e raccontarlo e condividerlo è un buon modo per esplorare tante cose. Raccontando come ci si prepara a sognare qualcosa di particolare si esplorano i luoghi della preghiera, del desiderio e della meditazione, o qualcosa che gli assomiglia.
  • Ci sono dei disegni o delle forme che attirano i sogni? Quali sono? 
  • Alcune tribù Cheyenne e Lakota costruivano delle piccole ragnatele di filo intrecciato, decorate con perline e penne: i colonizzatori le hanno interpretate come Acchiappasogni (erano in realtà dei segni distintivi di chi abitava una certa tenda). Che cosa potremmo mettere in una trappola per sogni buoni? E in una contro i cattivi sogni?

Scopri tante altre attività divertenti da fare in classe, qui!

Foto di copertina by Javardh on Unsplash

DA SCATTO NASCE… COSA? Sei proprio una bestia, parola di Erwitt.

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

La seconda attività foto-illustrata è dedicata ad un grande fotografo: Elliot Erwitt

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo. 

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco.

La foto.

Confesso: sono un topolino di città, di quelli che appena li porti in campagna, nonostante la fascinazione sincera e un barlume di istinto selvatico ancora in circolo, si sentono subito a disagio, in disordine, a volte persino un po’ in pericolo.

Sono cresciuta in mezzo a regole sfacciatamente umane, codici da acquisire per dimostrare di “sapersi comportare”.

Però… però arriva, prima o poi, quel momento in cui quell’ordine si rivela più precario di quanto sembrasse e per fortuna un po’ di imprevedibilità trova il modo di manifestarsi. In fondo, le storie si accendono proprio quando qualcosa interrompe il ritmo del rassicurante quotidiano.

Bu! E facciamo un salto, ma stavolta non come quello delle modelle di Munkàcsi di cui vi parlavo nello scorso articolo: stavolta è quel buontempone di Elliott Erwitt (Parigi, 26 luglio 1928) che si è messo ad abbaiare così dal nulla e ci ha fatto scomporre, a noi e a quel buffo cagnolino che la signora che ci cammina accanto sta portando a passeggio (sì, ha fatto un salto pure lei).

Faceva così Erwitt, lo dice lui stesso, sperando di generare le condizioni di uno scatto riuscito in cui il protagonista animale si possa prendere la scena, sparigliando per un attimo la compostezza a cui lo ha indotto la padrona. 

“I cani sono come gli umani, solo con più capelli” dice il nostro Erwitt

Fotografo statunitense (dopo una parte di infanzia passata a Milano, la famiglia emigra negli USA) specializzato soprattutto nella fotografia pubblicitaria e documentaria, con qualche esperienza anche in campo cinematografico.

Forse ha ragione: i nostri amici a quattro zampe ci somigliano molto più di quanto pensiamo, ma qualcosa loro, a differenza nostra, non l’hanno dimenticata.

Gli scatti di Erwitt sono pieni di ironia, non solo quella che ci fa ridere sfociando nella vera e propria comicità, ma anche quella sottile e straniante che si genera da un accostamento inconsueto che può lasciar spazio a più interpretazioni.

Degli animali di città apprezza ovviamente il fatto che, pur vivendo adattandosi a noi, si trasformano spesso nel nostro contraltare spettinato, nel riflesso inconsapevole di quello che noi facciamo di tutto per contenere e arginare.

Le fotografie più riuscite hanno un’ironia gentile che insinua uno o più dubbi” dice in un’intervista e, infatti, i suoi scatti a volte sono anche destabilizzanti e malinconici. Ma oggi restiamo sulla pista tracciata dalle zampe e vediamo quanto lontano ci può condurre.

Adesso tocca a voi.

Se gli animali piacciono tanto a Elliott Erwitt perché sono liberi dalle inibizioni e imprevedibili, proviamo anche noi a piacergli (e magari piacerci?) un po’ di più trasformandoci in uno di loro.

La sfida foto-illustrata di oggi prevede di risvegliare istinti e forme animalesche tra cappotti, vestiti e stivaletti trasformando i soggetti dei nostri scatti in bestiole di città.

Chissà cosa ordinerebbe un carlino se lo incontrassimo seduto al tavolo del bar… e poi quel gabbiano sta davvero benissimo con quel cappello… eh ma come è in forma oggi, signora gatta!

Partendo da foto che raffigurano persone ambientate in città, disegnate al posto delle loro teste delle fisionomie animalesche e inventate nuovi personaggi capaci di rendere decisamente sorprendente la nostra passeggiata. 

Si parte quindi in modalità “street photography”

Ovvero macchina fotografica alla mano, a zonzo durante la giornata con gli occhi bene attenti, cercate di catturare un soggetto non troppo lontano da voi altrimenti sarà difficile poi cambiargli i connotati.

Trovate quindi la giusta misura perché si veda sia la persona sia un po’ dello spazio circostante: qualcuno che telefona su una panchina, una persona in bicicletta ferma a guardare l’orologio, qualcun altro che sta passeggiando indossando un look particolare… nessuno deve essere in posa, ma colto in un momento il più possibile spontaneo.

Potete trasformare anche voi stessi nei soggetti delle vostre fotografie e farvi foto a vicenda.

Una volta scelti gli scatti, stampateli della dimensione desiderata e iniziate a fare ricerca: per trasformare i protagonisti in animali, bisognerà scegliere quali animali e il web, i libri, i documentari saranno ovviamente le fonti con cui riempirsi gli occhi (e le pagine del blocco schizzi) di appunti per cogliere dettagli e raccogliere le idee.

Quando avrete fatto alcune prove e trovato la testa animalesca adatta al vostro soggetto, sarete pronti a disegnare per davvero. Potete intervenire direttamente sulla fotografia (pennarelli acrilici, rapidograph e matite possono essere i vostri alleati): divertitevi a incastrare perfettamente la testa tra i vari accessori (cappelli, scollature, maniche,…), decidete se tenere i capelli (di solito l’effetto è molto buffo!) o coprire con altri elementi. Braccia e gambe possono restare umane per amplificare l’effetto straniante della vostra opera.

Corredate il vostro reportage bestiale con delle didascalie che lascino la storia un po’ in sospeso. Potete ispirarvi a dettagli che sono finiti nell’inquadratura o aggiungere degli indizi voi contaminando anche l’ambiente (ma, attenzione, che sia solo un dettaglio).

Potete iniziare così, per esempio: “Ho visto un gabbiano con un gran bel cappello, lo sguardo interdetto, chissà poi perché…”

E ora indovinate chi si nascondeva originariamente sotto questa foto!

Insegnanti al cinema: ecco i film da non perdere

in Arte, Musica e Spettacolo by

Nella settimana dedicata al cinema, ecco un elenco di film in cui gli insegnanti sono i protagonisti

Da La maestra di scuola, realizzato nel 1908 a Torino dalla Itala Film, al recentissimo Il cerchio di Sophie Chiarello, che ha meritatamente vinto il David di Donatello nella sezione “documentari”, i film che parlano di scuola e di insegnanti sono innumerevoli, al punto da farne un vero e proprio genere cinematografico.
L’attimo fuggente

Ve ne sono di famosissimi, come, ad esempio, l’assai ambiguo L’attimo fuggente (Usa, 1989) di Peter Weir.

Ambiguo perché il povero professor Keating, interpretato da Robin Williams, beneficia sì del rapido momento di protesta dei suoi studenti quando viene licenziato (“Oh, capitano, mio capitano!”), ma resta comunque licenziato e i rampolli della ricca borghesia statunitense tornano presto nei ranghi a proseguire il loro percorso per diventare classe dirigente probabilmente dedita a guerre e angherie varie.

(Qualcuno ha suggerito ironicamente di cambiare il titolo del film e chiamarlo L’attimo fuggito…).

Ventiquattro occhi

Ve ne sono di ingiustamente trascurati o dimenticati, come il magnifico Ventiquattro occhi (Giappone, 1954) di Keisuke Kinoshita, che racconta della giovane maestra Oishi che iniziata ad insegnare nel 1928 sull’isola di Shodo ad una classe di dodici allievi e fino al 1946, con la guerra e l’esplosione delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, lavorerà lasciando un ricordo indelebile nei suoi alunni, fino a lasciare l’insegnamento in polemica con le posizioni educative allora in voga (“Non vedere, non parlare, non ascoltare sono i precetti da insegnare ai nostri allievi per farli diventare bravi servitori del Paese”, dirà ad un certo punto del film, e ci sarebbe da riflettere se si tratti di costume pedagogico limitato al Giappone di un tempo).

Mi limiterò in questa sede a richiamare una decina di titoli, in semplice ordine alfabetico, di diversa provenienza e collocazione cronologica, rimandando ad un ben più completo e nutrito catalogo di film che trattano di scuola e di educazione, che è in preparazione con la collaborazione dell’insegnante e esperta di cinema Elisabetta L’Innocente, che dovrebbe ‘veder la luce’ nel prossimo anno con il titolo I bambini fanno la polvere.

L’amore che non scordo – Storie di comuni maestre (Italia, 2007) di Daniela Ughetta e Manuela Vigorita

Ci accompagna in un piccolo ma significativo viaggio, da Milano a Roma passando per Bologna, nel quale incontriamo quattro esperienze di insegnamento nella scuola primaria di grande interesse e peculiarità didattica e pedagogica.

Anghingò (Ole dole doff. Svezia, 1968) di Jan Troell

Descrive la passione e le difficoltà, non sempre sormontabili, di un insegnante di scuola media che combatte quotidianamente con le sue convinzioni etiche e con la realtà, a volte cruda, delle persone che si trova davanti.

Diario di un maestro (Italia, 1973) di Vittorio De Seta

A mio parere, uno dei capolavori assoluti del genere “scuola ed educazione al cinema”. Il grande regista siciliano (di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita), si ispira al libro Un anno a Pietralata di Albino Bernardini, ma inserisce nell’opera, grazie al preziosissimo contributo di consulenza pedagogica che fornì Francesco Tonucci, moltissimi elementi provenienti dalle esperienze del Movimento di Cooperazione Educativa e, in particolare, di Mario Lodi.

Ne scaturisce così un film memorabile (con una memorabile interpretazione di Bruno Cirino), che descrive con precisione appassionata quella che potrebbe esser stata la strada da seguire per una vera innovazione della scuola italiana, purtroppo seguita, anche istituzionalmente, da una minoranza. 

Dottor Korczack  (Korczack. Polonia, 1990) di Andrzej Wajda

Racconta la vicenda di una delle figure più luminose dell’intera storia dell’educazione, quella di Janusz Korczack (nome d’arte del medico ebreo polacco Henryk Goldszmit) che si dedicò per tutta la vita ai bambini dell’orfanotrofio di Varsavia (scrivendo tra l’altro testi fondamentali quali Come amare il bambino e Il diritto del bambino al rispetto), fino al punto estremo di accompagnarli e perire con loro nel campo di sterminio di Treblinka.

Lavagne (Takthe Siah. Iran, 2000) di Samira Makkmalbaf

Descrive la fatica di un gruppo di maestri che, all’epoca della guerra tra Iraq e Iran, peregrinano con la lavagna sulle spalle alla ricerca di alunni e alunne ai quali proporre un’istruzione che sia anche appello alla convivenza.

Così come Non uno di meno (Yí ge dōu bù néng shǎo. Cina, 1999) di Zhang Yimou, attraverso la vicenda di una giovanissima (tredici anni) maestra per caso, che ,spinta inizialmente dalla promessa di un premio in denaro, scopre la valenza etica ed educativa che pone come priorità quella di non lasciare indietro nessuno.

Pesci combattenti (Italia, 2002) di Andrea D’Ambrosio e Daniele Di Biasio

Ci porta nel quartiere di Barra, periferia est di Napoli, dove un gruppo di insegnanti di scuola media lavora senza sosta per riportare a scuola ragazzini e ragazzine che rischiano altrimenti di essere travolti da una realtà sociale di enorme complessità.

Il ragazzo selvaggio (L’enfant sauvage. Francia, 1970) di Francois Truffaut

Insieme al Diario di un maestro di De Seta è, a mio parere, uno dei due film “obbligatori” per chiunque voglia occuparsi di scuola e di educazione, è il racconto dell’esperienza storica di Jean Itard, medico francese vissuto tra il 1774 e il 1838, che all’Istituto Nazionale per Sordomuti di Parigi seguì per anni Victor, il “ragazzo selvaggio dell’Aveyron, trovato a vagare nei boschi del Massiccio centrale.

Itard e il suo lavoro – descritti magistralmente dal grande autore francese, che qui interpreta anche il medico – furono di ispirazione da allora a chiunque si volesse occupare di soggetti in difficoltà, da Maria Montessori ad Adriano Milani Comparetti (fratello di Lorenzo Milani), neuropsichiatra infantile che ha contribuito a porre le basi per le più approfondite e innovative pratiche di assistenza e cura delle persone con disabilità.

La scuola non è secondaria (Italia, 2021) di Alberto Valtellina

È un documentario che riprende un liceo scientifico di Bergamo durante i mesi del primo lockdown dovuto alla pandemia di Covid19, con gli studenti e le studentesse a casa davanti al computer e il corpo insegnante a scuola a comunicare con loro attraverso i canali telematici.

Infine – ma, come detto, questo è solo un primo e del tutto approssimativo elenco – non posso fare a meno di citare una pietra miliare dell’intera storia del cinema come Zero in condotta (Zero de conduite. Francia, 1933) del grandissimo e purtroppo precocemente scomparso Jean Vigo, che, in grandissimo anticipo rispetto a quelle che saranno le sacrosante rivendicazioni dei movimenti studenteschi di tutto il mondo dal Sessantotto in poi, mette in scena una giocosa e liberatoria rivolta degli studenti (e degli insegnanti più attenti alla loro reale crescita che non alle formalità autoritarie) di un collegio.

E in questi tempi, in cui Il collegio è un tristissimo format televisivo che dovrebbe riportare in auge la “vecchia e sana scuola di una volta nella quale ci si alzava in piedi quando entrava l’insegnante”, forse rivedere e far rivedere un film come il capolavoro di Vigo non sarebbe affatto male.

Avevamo già parlato di questo tema in passato, trovi l’articolo qui!

Progetto Lettura: 11 buoni motivi per realizzarlo a scuola

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Paola Zannoner ci racconta il Progetto Lettura: un percorso interdisciplinare che stimola la creatività, l’ascolto, la concentrazione e molte altre capacità dei bambini e dei ragazzi. Scopriamo cos’è e cosa occorre per realizzarlo!

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100 artisti decorano una scuola di Parigi durante un festival dedicato all’arte urbana, il risultato è spettacolare

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La filosofia e il negativo: il tempo per essere veri

in Storia e Filosofia by
Le riflessioni di Antonio Vigilante, prof di filosofia, dopo un dialogo con i suoi studenti iniziato con una domanda: com’è studiare questa materia?

I momenti più belli dell’anno scolastico sono i primi giorni di giugno, quando il programma è ormai finito e, liberi dall’incombenza delle lezioni, è possibile parlare seduti sull’erba, godendosi il sole e la compagnia. In uno di questi momenti ho provato a fare un bilancio dell’anno con gli studenti di quarta. Una classe che ho preso quest’anno, e con la quale c’è stato qualche problema iniziale dovuto alla sensibile differenza di metodo tra me ed il docente dell’anno precedente. In quest’anno scolastico abbiamo attraversato più di mille anni di filosofia, dalle certezze del pensiero medievale fino alle inquietudini kantiane. Come è andata, dunque?

Dopo qualche complimento di rito viene fuori un aggettivo che, nonostante la bella giornata, mi gela: deprimente. Studiare filosofia è stato deprimente. Poiché so che spesso i ragazzi danno alle parole un significato un po’ diverso da quello corrente, chiedo spiegazioni. E viene fuori che la filosofia è deprimente perché toglie ogni certezza. Non abbiamo assistito solo al crollo della visione del mondo medioevale. Non abbiamo seguito solo Cartesio nel suo dubbio metodico. Ci siamo interrogati anche sulla validità dello stesso cogito cartesiano. Quanto è solida la certezza di noi stessi? Chi siamo davvero? Hume ci ha gettato addosso un bel po’ di domande; con Kant siamo finiti ad interrogarci sulla realtà di ciò che vediamo.

E ci siamo fatti poi mille domande morali.

È possibile, ad esempio, dimostrare che è sbagliato uccidere qualcuno? Certo, lo sappiamo tutti che è sbagliato, ma come dimostrarlo? La maggior parte dei miei studenti hanno attraversato il dubbio. Molti di loro si dichiarano atei o agnostici. Ma qui c’è qualcosa di diverso: di più radicale. Deprimente vuol dire, mi pare di capire, destabilizzante. Può essere, naturalmente, che sia una mia interpretazione autoassolutoria (terribile pensare di aver passato un anno a deprimere delle persone); se così non fosse, significherebbe che ho fatto più o meno il mio lavoro. Perché la filosofia, per come la vedo io, è soprattutto questo. Un acido gettato sulle cose allo scopo di essenzializzarle, metterle alla prova, rivelarne la natura (o l’assenza di natura).

Una attività corrosiva nei confronti di fedi, ideologie, convinzioni, che si esercita anche verso le stesse filosofie.

So che per molti la filosofia non è questo, o non è solo questo. Altri amano la pars construens: il sistema, la solidità rassicurante di una interpretazione del mondo, la certezza di appartenere a una scuola. Mi pare anzi che sia questa la percezione dominante della filosofia. Quella che dà origine a figure come il consulente filosofico, uno che ti aiuta a orientarti nella tua stessa vita, e che certo non può essere una persona deprimente, né destabilizzante. Resto convinto tuttavia che la filosofia sia, nella sua essenza, questa azione di spietata verifica, più che di edificazione della verità.

Mi piacerebbe poter dire che questa attività è anche importante per la nostra democrazia – che esige la critica più di ogni altra cosa -, ma cadrei in due errori, uno pedagogico e uno filosofico: considerare valido ciò che si fa a scuola non per sé, ma per i risultati che porterà in futuro per il singolo o per la collettività (mentre la scuola deve essere fondata sulla sensatezza di ciò che si fa qui ed ora) e cercare una giustificazione fondata sull’utile, che è una categoria che la filosofia sottopone a critica non diversamente da ogni altro fenomeno (compresa la democrazia e la società).

La filosofia è deprimente anche in un altro senso, più aderente al significato corrente del termine. Un filosofo che amo molto, Giuseppe Rensi, scrisse un libro intitolato Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte. Ogni filosofia, in realtà, è un confronto con queste cose. Una discesa nel negativo, che può essere più o meno radicale, compiuta con la fune di sicurezza di qualche fede o senza alcuna garanzia di uscirne. Una attività imbarazzante. Siamo nella società della positività: della giovinezza, dei sorrisi, della gioia di vivere ribadita in ogni immagine televisiva, in ogni post su Instagram.

Siamo nella società che ha bandito la vecchiaia e la morte, e per la quale il dolore è un inconveniente da cancellare con adeguate dosi di anestesia.

Un’aula scolastica in cui si discuta di morte, di male, di sofferenza diventa un posto strano. Una situazione umana sempre più rara, in qualsiasi contesto sociale. Una situazione deprimente, destabilizzante, forse. Una situazione nella quale, sospese verità rivelate, fedi, certezze e ideologie, è possibile provare qui ed ora ad essere veri.

Scrapbook: l’album dei ricordi da fare con i bambini

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci fornisce indicazioni per creare in classe uno scrapbook, individuale o collettivo, al rientro dalle vacanze

Non sono mai stata una persona ordinata. Cerco di disciplinarmi e magari ci riesco anche bene ma, quando muovo pensieri e mani senza incombenze lavorative di mezzo, mi accorgo di essere molto più vicina all’accumulatrice compulsiva che a Marie Kondo. Disegnare e soprattutto fare ricerca prima di impostare un progetto mi ha insegnato tante cose sull’ordine e sul disordine, sull’importanza di entrambi e sulla misura con cui gestirli di volta in volta. Quando incontro i bambini, per quanto le attività siano guidate da me, c’è spesso un momento di “disordine” in cui le idee possono circolare con fluidità, in cui non è ancora importante il peso che diamo alle cose (quello lo sceglieremo dopo, quando avremo un obiettivo da realizzare), in cui ci godiamo una divertita fase di “raccolta”. Le esplorazioni dei bambini sono fatte un po’ così, in fondo: non procedono necessariamente per prudenti e misurati passi, ma si slanciano da una parte all’altra, registrando informazioni a cui il peso specifico verrà attribuito e ridefinito consapevolmente magari in un secondo momento, anche molto lontano nel tempo. Intanto si fa archivio.

credits: Marianna Balducci

Complici le vacanze e quindi una finestra di tempo un po’ ampia libera dalla routine scolastica, potrebbe essere un buon momento per approfittare di tutto questo disordine e sfidare i piccoli esploratori a una grande raccolta. Obiettivo finale: confezionare uno scrapbook che somigli però un po’ anche a un carnet di viaggio, non importa se l’oggetto delle esplorazioni è il posto in cui stanno andando in vacanza o il proprio quartiere in quel particolare periodo dell’anno. D’accordo, un po’ vi sto imbrogliando: questo disordine avrà in realtà qualche input a cui rispondere, ma d’altra parte anche la stessa Marie Kondo continua a confondermi quando mi esorta a liberarmi di ciò che non è essenziale e, al contempo, mi consiglia di conservare le cose che mi rendono felice.

Partiamo da lui, lo scrapbook, per capire meglio cos’è e come potrebbe diventare fonte di gioco ma anche di lavoro. Lo scrapbook è tecnicamente un quaderno che raccoglie ritagli, segni, tracce funzionali a restituire una certa atmosfera, un mood estetico (infatti viene molto usato anche nelle primissime fasi di lavorazione delle collezioni di moda), o semplicemente, come sarà il nostro caso, a conservare la freschezza del ricordo di un’esperienza. Lo scrapbook non ha necessariamente un formato omogeneo, può essere pieno di cose stampate, fotocopiate, disegnate ma anche di piccoli reperti. Diciamo che è un album dei ricordi molto spettinato e con molta personalità. Ha un’origine antica e, in alcuni casi, anche una vera e propria deriva artistica molto affascinante.

credits: Marianna Balducci

Per comporre il proprio scrapbook esplorativo ciascuno dovrà impegnarsi a raccogliere e conservare, durante le sue vacanze, un insieme di elementi che parlino del posto in cui è stato. Il tutto verrà assemblato insieme, quando ci si ritroverà per raccontare cosa abbiamo fatto e visto, ma la fase di ricerca e accumulo dovrà essere libera di svolgersi con i tempi e le modalità che ciascuno riterrà più congeniali. Anche se la composizione dell’album avverrà una volta rientrati a scuola, è importante mostrarne alcuni esempi prima di mettersi in cerca. In rete se ne trovano moltissimi (vi consiglio un account instagram che ne ha archiviati alcuni davvero preziosi: PaperScrapbooks History). Mostrare tanti esempi darà una prima idea del possibile risultato finale, sarà un incoraggiamento e un suggerimento per far sì che il piccolo archivio di ciascuno non si fermi solo a cartoline e fotografie, ma includa scontrini di merende, sassolini e conchiglie, biglietti dell’autobus, bustine di zucchero, foglie e fiori secchi,…

Un piccolo aiuto potrebbe essere dare a tutti un quadernino e una scatola o un sacchetto con l’invito a riempirli di appunti, disegni, oggetti e riportarli a scuola per condividerli e comporli insieme. Vi lascio sbirciare tra i miei, raccolti e stilati durante un breve soggiorno in montagna. È importante che passi l’idea che non ci sono errori e non ci sono limiti. Le cose ci parlano, tutte intorno, l’unica bestiaccia da rifuggire è la pigrizia in favore della curiosità (e, se ci troviamo in un posto nuovo, è facile che quest’ultima vinca). Più oggetti e appunti raccoglieremo, più cose avremo da mostrare ai compagni per dar loro l’impressione di aver viaggiato un po’ con noi. E una volta rientrati? L’esito può essere la composizione di uno scrapbook personale o collettivo (creando vari collage su un formato condiviso, da rilegare o inanellare in un grande raccoglitore). Bisognerà scrivere il nome dei posti visitati e un bell’elenco di parole da distribuire accanto ai reperti conservati.

credits: Marianna Balducci

Il disegno ci viene in aiuto, per trasformare quanto raccolto in una galleria di storie che magari potremmo trascrivere o inventare tutti insieme nel corso dell’anno, utilizzando le nostre esplorazioni come spunto per comporre poesie, confezionare altre attività, condurre più approfondite ricerche. Ci sarà spazio per il disegno più didascalico con cui descrivere un paesaggio, ma anche per qualche sfida a trasformare gli oggetti raccolti in oggetti parlanti e renderli portavoce di una sensazione provata durante il soggiorno o maturata in seguito dopo averne parlato tutti insieme.

4 modi per promuovere la lettura nei bambini

in Attività di classe by
lettura insegnante bambini
4 fasi per insegnanti e genitori che aiutano i bambini a sviluppare strategie per trasformare la lettura da compito a piacere

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Dal macro al micro, dal generale al particolare

in Attività di classe by
Per allenare lo sguardo e “fare amicizia col territorio” in questo articolo Marianna Balducci ci invita a “condurre una linea a fare una passeggiata”

Paul Klee diceva che “Il disegno è l’arte di condurre una linea a fare una passeggiata” e anche la mia matita ogni tanto ama prendersi il tempo giusto, moderare i passi e il fiato, guardarsi attorno. Mi capita di definire spesso il disegno come il mio modo preferito di misurare e conoscere il mondo e, se siamo partiti addentrandoci nelle fessure e nelle crepe dei muri, adesso è il momento di aprire lo sguardo e concederci un più ampio respiro.

Quando ho lavorato a questo progetto foto-illustrato avevo un committente specifico: una voce istituzionale (parte di un più ampio progetto europeo) di un territorio dalla forte tradizione agricola, impegnato nella riscoperta della sua storia e proiettato verso scenari futuri sostenibili e socialmente virtuosi. Per quanto i contenuti di quello che sarebbe diventato un video fossero già scritti, c’era da scegliere chi sarebbero stati i “testimonial” che li avrebbero accompagnati. Volevo che fosse la terra, la natura a parlare, la vera protagonista, quella che sente su di sé il sollievo delle piogge, che accoglie con fiducia i vitigni e gli alberi da frutto, che si pettina con l’aratro per le grandi occasioni di semina.

Ma per interpretare la sua voce, dovevamo conoscerci un po’ meglio perciò (assieme a Diego Zicchetti, responsabile delle riprese e del montaggio video di questo progetto) è partita l’esplorazione, la “passeggiata” della linea, con l’intenzione di campionare i frammenti di quel paesaggio da raccontare. Hanno iniziato a fare capolino strani fantasmi delle colline, donne dai capelli frondosi, squadre di arance succose,… personaggi nascosti tra le pieghe del paesaggio che, come spiriti protettivi, mostravano il loro amore per la terra che li aveva ospitati.

Mi piace pensare che questa passeggiata della linea si possa fare anche a scuola, accompagnati dalle insegnanti proprio come quando si progetta una gita.

Si sceglie insieme, innanzitutto, la destinazione e in questo caso, per agevolare il nostro ampio respiro, è bello pensare a un luogo che ci permetta di misurarci con paesaggi naturali (il bosco, il parco, la campagna, ma anche il mare se ci sono zone un po’ incontaminate con gli scogli per esempio). Si traccia poi l’itinerario (magari si disegna una mappa che tutti terranno come riferimento). Basteranno anche solo 3 punti di interesse su cui concentrare l’attenzione. Nei 3 esempi estrapolati dal mio progetto ci sono un campo ampio (un panorama), un campo medio che si concentra su un solo elemento (l’albero), un campo ristretto su un dettaglio (le arance). Ragionare su quali tipi di sguardo ci permette di adottare il luogo che visiteremo è già un buon esercizio (dal macro al micro, dal generale al particolare).

Macchina fotografica alla mano, si va quindi a caccia di scatti cercando di rispettare la consegna data e concentrarci proprio su quei 3 sguardi. Confrontarsi su come organizzare l’esplorazione è importante per non disperdere le energie in un ambiente che sicuramente ci darà tantissimi stimoli. Per rendere la sfida più interessante e costringere i nostri piccoli fotografi a una selezione più ragionata, si possono stabilire dei vincoli: solo 9 foto a testa (3 scatti per ogni tipologia di sguardo).

Una volta rientrati a scuola, sarà bello confrontare le foto di tutti, stamparle e iniziare a pensare a dove collocare gli spiriti del paesaggio che la fantasia sarà in grado di risvegliare

Anche in questo caso, il disegno sulle foto si può realizzare con pennarelli acrilici oppure con la tecnica del collage. Un altro modo divertente di intervenire può essere disegnare sulla carta da lucido che renderà i fantasmi ancora più nebbiosi e misteriosi.

In un momento storico che ci implora di essere sensibili verso la natura circostante, sempre più consumata, ignorata, male interpretata, magari non possiamo imbarcarci in grandi imprese ma iniziare da cose semplici come sviluppare la consapevolezza di quel che abbiamo vicino per proteggerlo e averne cura. Non discorsi astratti ancora troppo grandi per essere davvero afferrati, ma piccole esplorazioni quotidiane alla nostra portata, che ci facciano spezzare il fiato (come si dice per le camminate in montagna) prima di raggiungere vette più ambiziose. Quanta natura abbiamo intorno a noi? Come è fatta? Chi la abita? Che storie custodisce?

Ogni spirito disegnato porterà un suo messaggio o magari un piccolo racconto nato dall’approfondimento fatto in classe o dalle testimonianze di chi la natura la conosce meglio di noi.

Quanto addentrarci, con lo sguardo e col pensiero, è una scelta che si può calibrare in base al tempo, alle risorse disponibili, agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Il risultato saranno tante cartoline o magari un album collettivo che ci avrà aiutato a fare amicizia con l’ambiente che ci sta attorno, portando gli occhi e la matita a passeggio in un posto che ci sta a cuore, come si fa con i più cari amici.

Credits: tutte le illustrazioni sono courtesy of © Marianna Balducci

Tre esempi letterari di gioiosa selvatichezza infantile

in Letture in classe by
Li chiamano “monelli” ma è proprio la selvatichezza dell’infanzia che consente di sviluppare conoscenza e ingegno immaginativo.

Wilderness nella nostra lingua non è traducibile. È il richiamo della foresta, che porta l’uomo alla ricerca di un qualcosa che – a dire il vero – ha costantemente posseduto: la selvatichezza.

E selvaggio è, nell’accezione comune, il bambinoindomabile: tanti di questi appartengono alla letteratura dedicata all’infanzia. Alcuni sono stati descritti dalla penna felice di Astrid Lindgren. In altri termini sono i monelli.

Ma può considerarsi davvero un monello, se non addirittura un selvaggio, il piccolo Emil di Astrid Lindgren che punito per una marachella – l’ennesima! – intaglia buffe figurine nel legno? All’età di 5 anni sappiamo che ne ha già scolpite più di 50. Tante sono state le volte che per una monelleria è stato chiuso nella falegnameria “a meditare sulla sua natura di bambino selvatico”. In realtà nella falegnameria ci si diverte molto. Ci sono tanti pezzi di legno e assi con cui si possono fare una quantità di cose, ci fa sapere Emil, mentre intaglia con abilità e sveltezza marionette mettendo in atto un istinto assolutamente naturale.

Così Pippi Calzelunghe: è una bambina capace di uscire e cercare cose, vedere in queste cose possibilità nascoste, lo spunto per un nuovo gioco, per un viaggio che porterà lontano? Sembra più qualcosa che nasce da una sapienza interiore, quasi un bagaglio genetico, no?

Riconoscere e sostenere la selvatichezza dell’infanzia consente di procurarsi e di organizzarsi gli oggetti del loro gioco, del loro progetto.

Del loro potersi muovere liberamente e sviluppare conoscenza e ingegno immaginativo, liberandoli da un prodotto finito che, assediandoli, li depaupera di quel verde così necessario.

Riconoscere e sostenere la selvatichezza dell’infanzia consente, ai bambini e alle bambine, di procurarsi e di organizzarsi gli oggetti del loro gioco, del loro progetto

E vogliamo parlare di Liam? Il protagonista dell’albo Il giardino curioso di Peter Brown? Se non fosse stato libero di stare all’aperto, anche nei giorni di pioggia, non avrebbe potuto fare alcune scoperte sorprendenti.

Proprio da alcune piantine in difficoltà nate tra i binari abbandonati della High Line newyorchese si desta in Liam quella selvatichezza. Chein questo caso si eplicita nell’atto di cura, nell’occuparsi con costanza di quel verde selvatico.Verde che invade binari, vecchi idranti, rottami assortiti e vecchie auto abbandonate. Senza saperlo Liam mette in atto un vero e proprio progetto di rinnovamento ecologico, di urban wildlife. Altro che monellerie!

Sei stato selvaggio, un tempo. Non lasciarti addomesticare.
(Isadora Duncan)

Indossare la cultura? Una storia digitale della moda

in STEM ed Esperienze digitali by
cultura arte moda
Indossiamo la cultura è il progetto sviluppato da Google Arts&Culture per digitalizzare 3000 anni di storia della moda

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Imparare a vedere, per una rinnovata educazione artistica

in Approcci Educativi by
Cosa vuol dire insegnare a vedere? E quanto è importante per un’educazione artistica che non si limiti alla nozionistica?

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Genitori, insegnanti: i consigli di lettura per voi… con un pizzico di ironia!

in Letture in classe by

Guida semiseria per libri da mettere in valigia: pensati per gli adulti, ecco i nostri consigli di lettura per ritemprare mente e corpo!

Lo dichiariamo subito: l’intento è quello di offrire a genitori e/o insegnanti, spassosi consigli di lettura da ombrellone (o da picco di una montagna, o da sdraio nel giardino di casa!), in grado di sollazzare e, perché no, anche regalare qualche utile insegnamento, strizzando l’occhio a un po’ di sana ironia!

Iniziamo dunque la sfilata invitando sul nostro red carpet un grande successo letterario dal 2020, ovvero il Quaderno di compiti delle vacanze per adulti, ben 150 esercizi passatempo che regalano fino a 120 ore di divertimento. Una sola regola da seguire: spegnere il cellulare e prendere una matita!

Annoiarsi: che privilegio!

Tra lavoro e hobby, questo ultimo anno e mezzo, vissuto in clima pandemico, ha aumentato notevolmente il vostro rapporto con uno schermo (pc, laptop, cellulare)? È il momento di riappropriarvi del tempo e della mente, riguadagnandovi qualcosa di tremendamente sottovalutato: il diritto alla sana noia! Se la cosa vi stuzzica, dunque, tra i nostri consigli di lettura non può mancare il libro Come annoiarsi meglio!

Parola d’ordine: relax!

Mettiamoci belli comodi, pennarelli alla mano, e godiamoci un po’ di sano, sereno e calmo relax, perché no colorando bellissimi disegni: la psicologia, infatti, ci conferma l’utilità del colorare per combattere lo stress.

Infatti, quando ci si concentra su un’ attività manuale – come appunto il colorare – la mente si alleggerisce da preoccupazioni e pensieri che continuamente ci tormentano!

E se colorare casette e gattini non fa per voi, ecco la soluzione:  il libro Sono allergico alla stupidità, mi fa salire il sarcasmo vi regala 35 pagine antistress, con frasi irriverenti da colorare per rilassarsi e mandare via lo stress!

Preferite una versione più “Girl power”? Eccovi Non c’è limite a ciò che noi Donne possiamo realizzare, il libro da colorare motivazionale dedicato alle donne!

Andiamo nel pratico!

Se al colorare o al risolvere rebus e giochi di abilità preferite libri più pratici, in grado di insegnarvi l’abc di un hobby che nasce da una vostra passione, la scelta allora è veramente ampia: dai manuali per principianti per imparare uno strumento musicale, a quelli per far proprie le frasi in inglese più utili per viaggiare all’estero, passando per il vademecum per diventare professionisti di uncinetto o, perché no, disegnatori di manga e anime, argomento, come abbiamo visto qui, molto amato anche dai ragazzi! C’è davvero solo l’imbarazzo della scelta!

E se adesso il dubbio vi assale perché la scelta su cosa leggere in vacanza è diventata assai ardua, potete sempre ricorrere al Libro delle risposte che stavi aspettando: saprà sicuramente sciogliere i vostri dubbi amletici!

Buona lettura!

Foto copertina on Unsplash

Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano

in Zigzag in rete by

Il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano non è un museo qualunque: immergersi nelle storie che contiene al suo interno rende la visita un’esperienza di vita indimenticabile

Il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, è un incredibile museo in cui, nel corso del tempo, sono stati raccolti diari, lettere e memorie che raccontano le esperienze di vita delle persone comuni nelle varie fasi della nostra storia. 

Si tratta di memorie private che assumono valore di storie collettive e universali, così che la storia delle persone comuni si interseca alla storia da tutti conosciuta rendendola più autentica e partecipata.

Il museo ha dimensioni ridotte (da qui il nome di Piccolo museo), ma al suo interno al visitatore verrà concessa un’esperienza forte ed emozionante che, sicuramente, non dimenticherà.

Un’esperienza interattiva e multisensoriale

Il percorso multisensoriale e immersivo del museo comincia con una stanza dai cassetti variopinti e posizionati in ordine alfabetico  all’interno dei quali si trovano le pagine che raccontano le storie personali.

Esse vengono interpretate dalle voci di attori che ne valorizzano la preziosità e proiettate in un gioco di luci dal forte potere evocativo.  

I visitatori vengono accompagnati in una incredibile realtà di immagini, voci, suoni, rumori, proprio come se le storie uscissero dalle pagine e prendessero vita.

Grazie ad un allestimento innovativo e multisensoriale realizzato dal dotdotdot di Milano – studio di progettazione all’avanguardia nell’exhibit interattivo, immersivo e digitale – il visitatore viene trasportato in un percorso espositivo, studiato nei minimi dettagli, dal forte impatto emotivo.

Ma le sorprese e le suggestioni sensoriali continuano fino all’ultima stanza: una delle zone più suggestive del museo è quella in cui è contenuto il lenzuolo di Clelia Marchi, una contadina di Poggio Rusco, paesino in provincia di Mantova, rimasta vedova all’età di 72 anni.

La donna aveva continuato a condividere i suoi pensieri con il marito morto scrivendogli lettere su carta, ma esaurito il supporto cartaceo, decide di iniziare a scrivere sul suo lenzuolo più bello, memore del fatto che gli Etruschi avvolgevano i loro morti in lenzuoli pieni di scritte, come aveva avuto modo di ascoltare in classe dalla maestra durante una lezione di storia. 

“Il museo è tecnologico e interattivo, ma conserva un’elevata emotività.

Io amo definirlo un ecosistema narrativo, con voci che escono dai cassetti

e fanno vivere a pieno le storie ai visitatori. Le persone sono coinvolte in

racconti di cui all’inizio no sentono di far parte, mentre al termine della visita sì,

c’è un forte senso di partecipazione, condivisione e appartenenza”

(Natalia Cangi, direttrice organizzativa della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale 

e presidente della Commissione di lettura del Premio Pieve Saverio Tutino)

Com’è nata l’idea di un piccolo museo del diario

Saverio Tutino, partigiano in Val d’Aosta e nel Canavese durante la seconda guerra mondiale e giornalista in giro per il mondo dopo la fine del conflitto, è colui che ha avuto l’intuizione di raccogliere le memorie delle persone comuni.

Vista la sua esperienza personale, la sua capacità narrativa e il suo grande desiderio di raccontare le storie del mondo attraverso le persone che lo vivono. 

Le sue idee contribuiranno significativamente alla creazione di uno spazio culturale in cui raccogliere diari, lettere e scritture autobiografiche nazionali e non solo, e porteranno all’istituzione dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano di cui Tutino è stato, appunto, il fondatore.

Due anni dopo la sua morte, avvenuta nel 2013, nasce il Piccolo museo del diario.

Nel 2016 esso entra a far parte dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei

Qui il sito del Piccolo museo del diario.

Se avete diari, lettere, memorie o autobiografie potete contattare direttamente il museo o inviarli al Premio Pieve Saverio Tutino che si tiene ogni anno. Oppure depositarli nell’Archivio di Pieve Santo Stefano, che ne avrà cura per sempre. 

Del Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano ne avevamo già parlato anche qui!

Estate: tempo di giochi all’aperto!

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Scopriamo, insieme a Giovanni Lumini, tanti divertenti giochi all’aperto, i cosiddetti giochi di lancio, per divertirci con gli amici e i compagni in questa lunga estate!

Origini antiche ma divertimento assicurato, parliamo dei Giochi di lancio, rappresentano la soluzione perfetta per passare gli assolati pomeriggi d’estate in compagnia degli amici!

I giochi di lancio

I giochi di lancio hanno un’origine antichissima. Non deve sorprendere che in tutte le culture, in qualunque parte del mondo, esistano tipologie di giochi nei quali l’attività principale è quella di lanciare qualcosa in direzione di qualcos’altro.

La prima cosa che viene da pensare è che tutti questi giochi all’aperto abbiano una radice comune: la necessità giornaliera, dalla preistoria in avanti, di colpire le prede necessarie alla sopravvivenza. Così come, probabilmente, la necessità altrettanto importante di allenarsi. È una suggestione probabilmente molto vicina alla verità, ma non è questo il luogo per una ricerca storica.

Viaggiando in rete è comunque estremamente affascinante trovare e osservare che i giochi di lancio sono una realtà diffusissima con mille sfaccettature. Tipologie, varianti, materiali sono i più vari e i più strani. E non è solo una ricerca sulla tradizione e sui giochi del tempo passato. Al contrario, il gioco di lancio conosce, al giorno d’oggi, una continua rivisitazione e aggiornamento. Alcuni dei giochi che troviamo hanno origine recente o recentissima, frutto di invenzioni moderne, non tradizionali.

Possiamo evidenziare alcune categorie, ovviamente non fisse ma liberamente utilizzabili, integrabili e modificabili, per ordinare tutti i tipi di giochi all’aperto di lancio che si possono trovare, ben sapendo che, oltre a quelli citati negli esempi, mille altri giochi ci aspettano in ogni angolo del mondo.

Lanci in orizzontale di distanza

I giochi in cui si lanciano corpi più o meno pesanti per raggiungere una distanza più lontana possibile. Essi richiedono tecnica e soprattutto potenza. Questo tipo di gioco di lancio si è trasformato ben presto (sicuramente già dall’antica Grecia, ma probabilmente anche nella Scozia di molti anni fa) in un’attività sportiva. Lo scopo è solitamente quello di stabilire un record, di migliorare, dal punto di vista numerico, una prestazione.

Tra gli esempi: lanci olimpici (disco, peso, martello, giavellotto), lanci negli Highlands Games, tiro della rulla o della forma di formaggio, tipica di alcune zone d’Italia.

Lanci in orizzontale di precisione

Questa tipologia raggruppa quei giochi in cui la precisione è fondamentale, quindi risulta vincente l’abilità più che la forza. In questi giochi si deve raggiungere qualcosa utilizzando un oggetto per lanciare.

Tra gli esempi: bocce/petanque; tiro degli anelli; ferri di cavallo; freccette; la grenouille; giochi con le biglie

Lanci in orizzontale contro ostacolo

Sono giochi di precisione con lo scopo di rovesciare un ostacolo, abbattere qualcosa. Essi comprendono le numerosissime varianti di giochi di birilli, diffusissimi in Spagna (ma anche in tutta Europa) e molteplici giochi di “palet” (Francia) o piastrelle.

Tra gli esempi: molkky; tiro ai barattoli; bowling.

Giochi di lancio complessi

In questa categoria sono compresi quei giochi che non implicano unicamente il lancio verso qualcosa, ma che inseriscono questa caratteristica in un gioco più complesso, solitamente disputato da squadre.

Tra gli esempi: cornhole, kubb.
Voglio dedicare all’ultimo gioco menzionato un po’ più di spazio.

KUBB

Dal 2006 in Italia è attivo il Gruppo Italiano Kubb, un’organizzazione formata da tutti coloro che conoscono e praticano il gioco del Kubb. Fra mille difficoltà, con l’aiuto dell’Associazione GiocOvunque di Firenze, il Gruppo ha organizzato ben 14 campionati nazionali. Al di là della dicitura “campionato”, l’obiettivo è sempre stato, anche in questi tornei, quello di mantenere vivo e inalterato il carattere di “gioco”, di libera attività, evitando la creazione di federazioni sportive o strutture simili.

Gioco

Il kubb è un antichissimo gioco vichingo. Storicamente, ha avuto origine sull’Isola di Gotland (la più grande isola svedese del Mar Baltico). Giocare a kubb era un passatempo molto diffuso all’epoca dei Vichinghi, durante le feste o semplicemente per divertirsi dopo le battaglie. Si usavano i ceppi di legno da caminetto.

Giocatori

Il numero dei giocatori varia da 1 a 6 per squadra.

Regole

Il kubb si gioca su un campo di gioco di 8 x 5 metri, a volte delimitato da bastoncini (4). Il terreno di gioco può essere il più vario: si gioca sul prato, sul cemento, per strada, sulla spiaggia, sulla neve, ovunque sia possibile segnare il campo.

Al centro del campo viene posta una figura di legno che rappresenta il re (1). Sulle linee orizzontali di fondo campo vengono sistemati 5 pezzi di legno più piccoli, i cavalieri, detti kubb (2). Per il gioco si usano 6 bastoni da lancio (3) che vengono passati da una squadra all’altra, dopo ogni turno di gioco.

Il gioco consiste nel cercare di abbattere tutti i kubb della squadra avversaria e,  successivamente, solo alla fine, il re. La partita finisce con la vittoria della squadra che consegue questo obiettivo. Attenzione però: abbattere il re prima del tempo comporta la sconfitta!

Per leggere le regole più in dettaglio, potete cliccare qui.

Si può sempre ridurre il campo di gioco e il numero di bastoni da lanciare e da abbattere per giocare con le bambine e i bambini più piccoli, come è possibile vedere in questo godibile, breve filmato.

E per chi volesse saperne di più:

Giocare all’aria aperta!, di A.J. Hanscome, edito da Il Leone Verde, per scoprire che il movimento e il gioco libero all’aperto sono vitali per lo sviluppo cognitivo e fisico dei nostri figli, e offrono strategie divertenti e coinvolgenti che li aiutano a trasformarsi in adulti sani, equilibrati e resilienti.

52 cose da fare all’aria aperta, di L. Gordon, edito da Salani, un mazzo di carte illustrato con tante attività e idee per giocare e stare all’aria aperta.

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Siamo l’animale che narra

in Storia e Filosofia by

Una riflessione scientifica sulla peculiare necessità degli esseri umani di raccontare (e ascoltare) storie

Per molti anni ho fatto la contastorie. Giravo scuole e piazze raccontando storie. Ho sempre notato che il pubblico - sia quello dei bambini sia quello degli adulti - era stregato dalla narrazione. Io stessa ero affascinata dai contastorie. 

Per anni e a più riprese ho scritto e riflettuto sulla fascinazione della narrazione. I miei studi di Storia del Teatro e dello Spettacolo mi confermavano che la narrazione è trasversale a ogni cultura (un po’ come il Teatro di Figura, che siano burattini o ombre o marionette).

La narrazione appariva come fondamentale e necessaria per l’Uomo e non solo per la trasmissione di informazioni e tradizioni. Da qualche anno sappiamo che questa fascinazione ha un fondamento scientifico. Ma andiamo per gradi perché è un argomento oggetto di studi e aggiornamenti continui.

L’uomo è l’animale che narra. Siamo circondati di storie

I bambini inventano storie continuamente quando giocano: nelle case sugli alberi, nelle capanne e nei covi segreti, giocando “alle signore” e “alla guerra” (il gioco è narrazione), le storie stanno nei film, nella strada, nei mercati, nei tribunali, nei videogiochi e, ovviamente, nei libri.

Ma perché inventiamo, raccontiamo e ascoltiamo storie? Gli studiosi sono ormai unanimemente concordi nel sostenere che accanto all’evoluzione fisica c’è stata un’evoluzione del cervello in direzione delle storie; il fatto di essere l’animale che narra ha inciso sulla nostra evoluzione, sul modo nel quale il nostro cervello si è evoluto. La nostra passione per le storie ha plasmato il nostro cervello.

Bisogna essere cauti, lo dicevo prima, perché gli studi sono in continuo divenire e nonostante a noi piacerebbe ripercorrere la complessa strada delle neuroscienze e riallacciare le teorie letterarie alle scienze cognitive, è necessario avere cautela e procedere con lentezza, per evitare di piegare le teorie al nostro volere, come spesso accade.

Il nostro cervello è un processore di storie

Perché se Il nostro cervello, come dicono le neuroscienze, è un processore di storie e Il comportamento narrativo ha di fatto dato forma e fortemente condizionato lo sviluppo delle capacità cognitive dell’Homo Sapiens allora diventa affascinante studiare, per quanto è possibile, come tutto ciò sia accaduto.

Aprirebbe nuovi orizzonti anche negli studi sull’apprendimento; cosa che, di fatto, sta già accadendo. Per poter sapere come, quanto e quando i primi Homo Sapiens narrassero, abbiamo bisogno di ritrovamenti fossili. Se questo appare ovvio per i vari utensili, lo è meno per il comportamento narrativo; è proprio verro che non ci sono giunti i fossili del tale comportamento?

Michele Cometa, docente di Storia comparata delle culture e Cultura visuale presso l’Università degli Studi di Palermo, nel suo amplissimo e affascinante studio analizza la narrazione nel contesto della teoria dell’evoluzione e delle scienze cognitive.

Lo studioso parte dal legame tra la produzione di utensili (in particolare i bifacciali) e lo sviluppo di capacità narrative; narra come lo scolpire alcuni utensili, secondo una determinata catena operativa che prevede una coscienza dell’operato e una consapevolezza del Tempo e dei tempi, abbia influito sulla costruzione narrativa del mondo.

Gli studi sperimentali su questo tipo di procedure hanno dimostrato che le parti del cervello che presiedono alla scheggiatura sono le stesse parti che presiedono alla lingua, alla costruzione della lingua del mondo.

Entriamo in un campo di studi ancora in divenire e complesso che affonda le radici negli studi di antropologia, linguistica e soprattutto in una nuova disciplina: la biopoetica, ovvero la disciplina che si propone di far convergere scienze del bios e teoria letteraria nel contesto più ampio di uno studio del comportamento narrativo e della nicchia ecologica dell’Homo sapiens.

Le storie ci appartengono

Tutta quest’enorme quantità di studi complessi e multidisciplinari mi porta ancora una volta a riflettere su come le storie ci appartengano.

A cosa servono le storie e perché l’Homo Sapiens aveva e ha un comportamento narrativo? Sono solita dire, provocatoriamente, che leggere non serve a niente. Ma la mia è, appunto, una provocazione per cercare di pulire la lettura, soprattutto in alcune situazioni, dal didattismo. Tuttavia le storie sono servite all’Uomo – alla sua evoluzione – e se noi siamo l’animale che narra, un motivo evoluzionistico deve esserci. 

Jonathan Gottschall, professore di letteratura e teorico della letteratura statunitense e autore di L’istinto di narrare (traduzione di Giuliana Maria Olivero, Bollati Boringhieri, 2017), fa sue le teorie di Joseph Carroll e riduce il comportamento narrativo dell’Uomo a una sorta di simulatore di volo.

Così come il pilota usando il simulatore di volo si allena a volare, l’Uomo attraverso le storie si allena alla vita. Per questo, secondo Gottschall, le storie hanno uno schema fisso che vede il protagonista affrontare delle difficoltà incontrare un aiutante e risolvere il problema.

Insomma le storie ci insegnano a vivere e ad affrontare i problemi. A mio parere questa teoria è riduzionistica e fa della letteratura (che è il prodotto narrativo più recente dell’Uomo) una sorta di manuale.

Cometa va più a fondo e ci parla dell’antropologia dell’ansia. L’Uomo è l’unico animale che ha il senso del tempo e della finitezza. La mia gatta, che dorme di là al sole, ha paura della morte ma non lo sa.

Non si pone il problema della sua finitezza; risponde istintivamente ai pericoli. L’Uomo per motivazione legate alla struttura del suo cervello ha consapevolezza della propria finitudine e le storie e la narratività ci hanno aiutato a sopravvivere e ci aiutano a vivere, ma non perché ci consentano di inventare mondi finti ma per fare e dare ordine al Mondo.

L’Uomo narra per fare ordine

L’Uomo narra per fare ordine nell’Universo e per nominare il Mondo (Adamo nella Bibbia dà nome alle cose); senza quest’ordine non potrebbe sopravvivere perché sprovvisto di quell’istinto che sostiene gli altri animali. Trovo affascinante e bellissimo che questa funzione specie-specifica sia il nostro modo di stare nel mondo e di abitarlo (il nostro abito).

Concludo questa prima parte del mio contributo facendo mia una riflessione che Michele Cometa accenna alla fine dello studio citato. Prendendo spunto da alcuni scritti di Walter Benjamin tra cui un brano de L’Infanzia berlinese, lo studioso palermitano accenna al potere terapeutico della narrazione, in particolare della narrazione pre-verbale e gestuale.

E io non posso non pensare allo sciamano e al valore curativo della sua danza che è narrazione, al gesto curativo del dio e del sacro; attenzione, ho detto cura non medicina!

Dove stanno le storie oggi?

Leggere gli studi sull’animale narrante, sul cervello e sulla narratività nell’evoluzione mi ha portata a riflettere ancora una volta su dove stiano le storie oggi nella nostra società.

Mi sembra che, svuotando di storie il mondo, l’Uomo si sia ridotto a cercarle in altri luoghi meno curanti e svincolati dallo spirito; questo sta influendo moltissimo sui bambini che sembrano sempre più in balia di un razionalismo adulto e nichilista. 

Le citazioni in corsivo sono in Michele Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria, Raffaello Cortina Editore, 2017

Lettera ad una professoressa. 100 anni con Don Milani

in Scuola by

La lettura del testo di Don Milani e della Scuola di Barbiana riesce ancora oggi – dopo 100 anni – a proporre spunti di riflessione sulla scuola e gli insegnanti.

Si celebrano quest’anno i 100 della nascita di Lorenzo Milani, mancato nel giugno del 1967 e protagonista negli anni sessanta per il suo contributo alla determinazione di quella che oggi potremmo chiamare “la vision di un’epoca”, gli anni sessanta e, per fertilità conseguente, gli anni settanta.

La sua opera più famosa ha una firma collettiva “Scuola di Barbiana” e viene scritta cinque anni dopo l’istituzione della “scuola media unica” che, dal 1962 ha sostituito l’avviamento professionale al quale erano destinati i figli delle classi popolari, e che produsse una quantità di bocciature abnormi in una scuola ancora culturalmente gentiliana e operativamente selettiva.

Molte le iniziative che celebrano questo centenario

Personalmente partecipo in veste di tenore a quelle proposte dal “Coro Daneo” di Genova che intervalla letture dalla “Lettera” e da “L’obbedienza non è più una virtù” a canzoni culturalmente affini (si trovano filmati in rete, nel repertorio, a titolo di esempio: Prendi la chitarra e vai, È dall’amore che nasce l’uomo, Power to the people, Here’s to you, Il disertore, C’era un ragazzo, Ti ricordi Joe?).

Viene tuttavia da domandarsi, approfittando della ricorrenza, quali siano i limiti della scuola di oggi al fine di attualizzare l’azione politica di Don Milani, anche superandone gli errori, spesso figli di un’epoca, probabilmente facendo di conseguenza i nostri. “Aiutami a fare da solo!” è un motto montessoriano che mi sembra giusto evocare a questo punto per attinenza.

La scuola è molto cambiata e la legislazione scolastica è assai avanzata e inclusiva

La lettura dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti, come il D.P.R. 122/2009 e il D.Lgs. 62/2017 che trattano di valutazione e, soprattutto, le indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, le linee guida degli istituti professionali, quelle degli istituti tecnici e le indicazioni nazionali per i licei delineano, sulla carta, un contesto ricco, avanzato, personalizzato e inclusivo.

Ma nel mondo reale le cose stanno veramente in questo modo? La legislazione è attuata? Le linee guida trovano corrispondenza nelle prassi? Purtroppo occorre ammettere di no.

Faccio un piccolo esempio tratto dal mio lavoro

Ricevo una studentessa in lacrime. Confessa di avere saltato una verifica al penultimo giorno di scuola, avendo fino ad allora maturato valutazioni dignitose e sufficienti. È entrata in ritardo all’ultimo giorno proprio per saltare quella materia.

L’insegnante la raggiunge, la tira fuori dall’aula e la interroga fuori orario. Le assegna una grave insufficienza che rischia di compromettere la promozione. La studentessa piange in corridoio ed è intercettata da un insegnante che la porta da me. Lei non vuole farlo perché ha paura della vendetta dell’insegnante, ma si lascia convincere.

Grazie alla mediazione dell’insegnante che me l’ha portata, comunque vuota il sacco. Confessa, si scusa e piange perché è sempre stata promossa e quest’anno, per questa bravata rischia la sospensione del giudizio. Siamo quindi di fronte ad un atteggiamento poco maturo da parte di una persona in formazione (che quindi ha diritto ai suoi errori).

Ma perché la studentessa ha saltato quella verifica?

Perché una studentessa che ha sette nel primo quadrimestre, si ritrova a “giocare in difesa” negli ultimi giorni di scuola?

Perché pensa che un’unica prova finale possa inficiare un intero anno scolastico?

La risposta è semplice: quell’insegnante basa la sua azione didattica entro la dinamica del potere ed è autocentrata. Strilla in classe, strilla in corridoio, strilla anche coi colleghi. Non è a disposizione dell’apprendimento, ma del proprio narciso.

Vuole che le si riconosca il fatto che nelle sue classi non vola una mosca, poco importano gli insegnamenti di Daniela Lucangeli sull’apprendimento emotivo, sulla significatività dell’esperienza didattica quando avviene in contesti che valorizzano la curiosità e non stigmatizzano l’errore.

Ciò a cui alcuni insegnanti abituano gli studenti e le studentesse è una mera rappresentazione dell’apprendimento entro l’insensatezza della didattica che ho battezzato “spiego, studi, interrogo, dimentichi” (SSID). Per tredici anni di scuola.

La professionalizzazione della classe docente

Ecco, credo quindi che la battaglia degli anni venti del ventunesimo secolo sia quella della professionalizzazione della classe docente che deve diventare strutturalmente esperta di psicologia dell’età evolutiva e di dinamiche di gruppo (nella mia vita di insegnante di sostegno ho osservato diverse volte che, quando un adolescente discute con un insegnante, non sempre si notano le differenze nell’atteggiamento e nelle argomentazioni), di pedagogia dell’inclusione, di tecniche didattiche cooperative, di docimologia della valutazione formativa e di legislazione scolastica.

È probabilmente inutile immaginare il ripristino delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario quando basterebbe istituire un supervisore della formazione per ciascun insegnante al fine di indirizzare ognuno, in maniera sartoriale fondato sul bisogno formativo del singolo, entro le risorse formative offerte dal territorio che tra ambiti scolastici, università e tessuto culturale cittadino (nella mia città, ad esempio, penso a Palazzo Ducale e alle tante associazioni che promuovono eventi e cultura dal basso) possono incarnare quanto già in vigore nell’attuale contratto collettivo nazionale quando, nel profilo professionale degli insegnanti, li si descrive in questo modo bellissimo: «Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica».

Leggere una graphic novel a scuola: ecco alcuni spunti

in Letture in classe by

L’estate è il momento giusto per scoprire una forma narrativa che può piacere a grandi e piccini: il (o la) graphic novel. Conosciamola meglio.

In estate i tempi distesi permettono a grandi e piccini di leggere con maggior libertà e senza particolari costrizioni. Perché non approfittarne per leggere, e per far leggere, qualche graphic novel? 

Graphic novel: cos’è?

Visto che l’espressione inglese “graphic novel” viene convenzionalmente tradotta come “romanzo grafico”, la concordanza col sostantivo maschile richiederebbe l’uso dell’articolo “il”, ma in italiano vengono ammesse anche le forme con l’articolo femminile perché largamente in uso.

La graphic novel può considerarsi come una forma narrativa in cui le storie vengono rappresentate in modalità grafica e, come accade nei romanzi, risultano autoconclusive e possiedono intrecci di una certa complessità. 

”storie grafiche che hanno il respiro del grande racconto, dell’affresco ambizioso, dell’opera narrativamente compiuta”

(Gino Frezza)

Secondo il disegnatore Andrea Artusi, visto che in inglese il termine “graphic” non significa solo “grafico” ma anche “esplicito”, meglio sarebbe definire la graphic novel non romanzo grafico, bensì esplicitazione per immagini di un contenuto narrativo.

Graphic novel: quando e perché nasce?

Nel 1978 Contratto con Dio dello statunitense Will Eisner viene convenzionalmente ritenuta la prima vera e propria graphic novel, in quanto novella drammatica auto conclusa che racconta la storia con maggior intensità rispetto al fumetto e che si rivolge in modo diretto ad un pubblico adulto.

Per i librai, vista la diversità rispetto alle composizioni prodotte fino ad allora, diventava difficile perfino assegnarle un posto negli scaffali!

Con la graphic novel, in effetti, si sentì l’esigenza di raccontare storie di ampio respiro separate dal cliché del fumetto e di sperimentare forme grafiche e narrative non in veste seriale.

Nel 1986 enorme successo ottenne la graphic Maus di Art Spiegelman incentrata sulla tematica della Shoah in cui i protagonisti assumevano l’aspetto di animali dalle caratteristiche antropomorfe: gli ebrei rappresentati come topi e i nazisti come gatti.

Anche in Italia si sperimentano per la prima volta le potenzialità di questa forma narrativa sia con Corto Maltese, una ballata del mare salato di Hugo Pratt (1967) che con Poema a fumetti di Dino Buzzati (1969).

Graphic novel e didattica

Visto che le tematiche affrontate nelle graphic novels sono di un certo spessore, perché non proporle in lettura, magari nel periodo estivo, o impiegarle in classe per riflessioni e approfondimenti dei contenuti disciplinari?

Il ricorso all’immagine, inoltre, incide positivamente su motivazione e interesse nei confronti della lettura. 

Se noi docenti ne diveniamo fruitori, potremo constatare che le graphic novels appartengono a diversi generi, affrontano temi variegati e si rivolgono a determinate e differenti fasce d’età.

La loro struttura narrativa ricalca quella del romanzo, trama e caratterizzazione dei personaggi risultano paragonabili a quelli letterari, quindi interessanti da comprendere e analizzare.

La correlazione fortissima tra testo e immagine renderà ancora più stimolante la discussione e le attività di comprensione e produzione testuale.

Riflessioni sui tratti grafici, sull’uso del colore o del bianco-nero, sulle inquadrature o sui punti di vista avranno ricadute positive in termini di capacità di osservazione e allenamento allo spirito critico.

Il plot delle graphic si dipana con la tipica struttura della “montagna della storia”: inizio, rottura dell’equilibrio, problema che complica la vicenda, climax, problema che va risolvendosi, epilogo.

A livello didattico, sulla base di questa impostazione, possono essere attivati numerosi spunti di riflessione sia in modalità orale che scritta e lo stesso può dirsi per la psicologia dei personaggi e loro evoluzioni.

Produzioni testuali, potenziamenti lessicali, lavori su competenze di analisi e sintesi sono solo alcuni esempi di attività applicabili in classe a partire dalla lettura e dalla osservazione di alcune graphic novels.

Molto interessanti potrebbero, inoltre, rivelarsi connessioni e approfondimenti non solo a livello disciplinare, ma anche inter e transdisciplinare.

Quali graphic nella scuola secondaria di primo grado? 

A titolo puramente esemplificativo, e senza alcuna pretesa di esaustività, propongo dieci titoli di graphic novel che possono essere  lette nella scuola secondaria di primo grado per vicinanza a vissuti, sensibilità e tematiche riferite a quella particolare fascia di età.

Tutte le dieci graphic sono state lette nelle mie classi, in modalità parziale o integrale, e ciascuna ha riscontrato un discreto gradimento e rappresentato proficue occasioni di dibattito e confronto.

1. Fantasmi

di Raina Telgemeir, per parlare di presenze sovrannaturali più o meno fastidiose, ma anche di malattia e solidità dei rapporti familiari.

2. Drama

di Raina Telgemeir, con protagonisti adolescenti, dietro le quinte di un teatro e di una sceneggiatura di prossima realizzazione, alle prese con piccoli-grandi problemi di ogni giorno.

Tutte le graphic di  Raina Telgemeir, comunque, sono di ottima qualità (Il club delle baby-sitter, Sorelle…)

3. Thornill

di Pam Smy, storia dei segreti inquietanti di un vecchio orfanotrofio che vi farà venire i brividi.

4. Persepolis

di Mariane Satrapi, vita in Iran di una ragazza costretta a sopportare tante avversità.

5. Anya e il suo fantasma

di Vera Brosgov, storia dell’amicizia tra un fantasma e una ragazza che non riesce a integrarsi coi suoi coetanei.

6. Invisibile

di Brenna Thummler, gestire una lavanderia e la scuola per una ragazza che frequenta le medie non è affatto semplice, ma una strana presenza le sarà di aiuto.

7. Il mio migliore amico è fascista

di  Takoa Ben Mohamed, razzismo e stereotipi superati da due compagni di banco molto diversi tra loro: uno simpatizzante delle dittature e una musulmana di origine tunisina.

8. Le parole possono tutto

di Silvia Vecchini - Sualzo, la potenza delle parole come cura per i drammi e le difficoltà della vita di ogni giorno.

9. Sotto il burqa

di Deborah Ellis, ispirata a Parvana, ragazza afghana coraggiosa e ribelle protagonista di libri e film sulle terribili condizioni di uomini e donne (specialmente donne) sotto il regime dei Talebani.

10. Anne Frank, diario

di Ari Folman – David Polonsky, fedelissima rappresentazione grafica (e testuale) del celebre diario della ragazzina ebrea più famosa di tutti i tempi.

Ari Folman, insieme a Lena Guberman, produce un’altra graphic su Anne Frank vista dall’originalissimo punto di vista di Kitty che riesce a materializzarsi e a diffondere il messaggio dell’amica con la quale aveva “conversato” nelle pagine del suo diario. Il suo titolo è Dov’è Anne Frank.

DA SCATTO NASCE… COSA? Un salto nella fotografia d’autore con Martin Munkàcsi

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Un’attività che coniuga educazione all’immagine, creatività, tecnica e… tempismo con l’uso di una fotografia d’autore

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo. 

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco. 

La foto

Avremmo potuto fare un primo passo in questa nuova rubrica e invece facciamo proprio un salto! Senza paura, ma sempre con una certa eleganza, accompagniamo in una surreale passeggiata a qualche centimetro da terra la modella ritratta in questo celebre scatto di Martin Munkàcsi (Cluj-Napoca, 1896 – New York, 1963).

Munkàcsi non solo è il fotografo della moda in movimento, ma della donna in movimento!

Di modelle splendidamente in posa e posate ne abbiamo avute a sufficienza, i soggetti di Munkàcsi sono dinamici e al passo con un rinnovato tempo di liberazione dei corpi e presto anche dei ruoli. Si chiama “Neues Sehen” (dal tedesco, “nuovo sguardo”) il movimento che dagli anni ’20 del ‘900 vede protagonisti molti esponenti (non solo fotografi) che privilegiano prospettive e inquadrature inconsuete, valorizzando sempre più la pratica fotografica come pratica che sia anche artistica, attraverso la quale esprimere una propria cifra stilistica. 

Martin Munkàcsi viene dalla fotografia sportiva e forse anche per questo, quando approda alla moda, sfrutterà la sua familiarità col tempismo per ritrarre modelle e grandissime star del cinema in azione!

Adesso tocca a voi.

Ci servono gambe elastiche e mani veloci. Fotografarsi saltando non è mica così facile! Se avete un cellulare o una fotocamera con modalità multiscatto potete un po’ “barare”, ma cogliere al volo nel momento perfetto il proprio soggetto è una soddisfazione a cui vi consiglio di non rinunciare, a costo di dovervi cimentare in più tentativi.

Chi scatta può scegliere di collocarsi frontalmente, alla stessa altezza di chi verrà catturato. Ma, se vogliamo davvero esercitare anche noi il “neues sehen” di Munkàcsi e colleghi, dovremo abbassarci un po’ rispetto al soggetto (stare almeno in ginocchio) e orientare l’obiettivo dal basso verso l’alto per amplificare l’effetto dell’elevazione.

Chi salta, dal canto suo, dovrà mettere alla prova slancio e coordinazione:

non è fondamentale saltare molto in alto, ma riuscire a tenere in aria anche solo per pochi decimi di secondo una posa precisa potrebbe complicare il gioco e renderlo più divertente.

Provare per credere! Iniziamo da una camminata sospesa proprio come la modella del celebre scatto: gambe e piedi tesi e non scordiamo di usare anche le braccia (alternate, aperte, incrociate). Potete prendere una piccola rincorsa per coprire col vostro passo volante una distanza maggiore e aumentare le possibilità di ottenere una buona foto oppure trovare un piccolo dislivello (un sasso, un gradino) da cui compiere il salto.

Fatto il primo salto “buono”, sbizzarritevi!

Fate tante prove: accennate passi di danza, saltate selvaggi come un animale in agguato, fate un salto di esultanza e uno come se foste in procinto di spiccare il volo,…

Un consiglio per chi scatta: lasciate un margine ampio attorno al corpo del saltatore, vi lascerà più spazio per disegnare dopo.

Rientrati alla base, è il momento di visionare gli scatti e decidere su quali disegnerete.

Obiettivo: trasformarli nella locandina del vostro personalissimo film… d’azione, ovviamente. Osservate le pose e le storie che vi suggeriscono: potreste diventare nuovi supereroi (o supercattivi!), creature magiche, combattenti!

Lasciatevi ispirare dalla vostra espressione (una smorfia buffa, un grido di battaglia?). Il gioco funziona anche al contrario ovvero progettando prima che tipo di film vorrete interpretare. 

Scelto lo scatto perfetto, si stampa e si disegna.

Come vi ho suggerito in altre occasioni, potete lavorare sovrapponendo la carta da lucido alla foto per progettare il disegno e poi disegnare direttamente sulla foto quando sarete sicuri dei vari elementi.

Pennarelli acrilici (magari anche colorati) e rapidograph saranno, come sempre, utili alleati soprattutto se stamperete su carta comune. Se stampate su cartoncino, potrete osare anche tempere e pennelli. 

Non dimenticate di lasciare il posto per il titolo del vostro film (titoli e sottotitoli potranno essere scritti a mano o composti a collage con font d’impatto scritti al computer) e magari, a parte divertitevi, a scriverne la trama. Pronti, scattanti… azione! 

Esercizi di speranza

in Attività di classe by

Come e perché pensare il futuro: qualche esercizio di speranza da mettere in pratica

Tendiamo a considerare il futuro e le previsioni un terreno minato: lo lasciamo alla scienza salvo poi abbandonarci alla superstizione. La parola chiave per costruire un buon rapporto col futuro è “speranza”.

Quello di speranza è un concetto antico, tanto importante da corrispondere a una dea, Elpis per i greci e Spes (“Ultima dea”) per i latini. La nostra “speranza” viene direttamente da “spes”, che viene a sua volta dal sanscrito spa-, tendere verso una meta.

La speranza è, con fede e carità, una virtù cristiana, e per questo tenuta in buon conto: popolarmente è però anche irrisa e presa in giro (“La speranza è cattivo denaro”, “Chi vive di speranza, disperato muore”, “Chi vive di speranza, satolla lo spirito e affama la panza”). D’altra parte, la speranza è l’ultimo dei mali a rimanere in fondo al vaso di Pandora: da una parte consola e aiuta le persone a sopportare i mali, dall’altra rischia di essere un male di per sé.

Questa dicotomia arriva fino ai giorni nostri: Greta Thunberg ne parla in un suo famoso discorso dicendo di non volere la speranza (cioè le bugie dei governi), ma parlando poi a Milano agli attivisti corregge il tiro: “La speranza sono le persone che vogliono cambiare le cose”.

Riecheggia così un motto di Sant’Agostino: “La speranza ha due figli: lo sdegno e il coraggio”.

La speranza può essere vista (ed effettivamente viene vista) in due maniere: come un sentimento passivo, finalizzato all’accettazione e alla sopportazione di un futuro incerto; o come un’azione consapevole, che fa da sprone per degli obiettivi personali o sociali, un movimento che “tende verso una meta”. È questo secondo tipo di speranza a generare sdegno e coraggio, a poter essere contagioso, e a diventare così importante da essere entrato anche nel dibattito politico di questi anni (“Hope”, speranza, è la parola chiave della fortunata campagna presidenziale di Barack Obama).

In qualche modo, la speranza è una fortuna “attiva”, figlia della consapevolezza, che si fonda su valori personali o condivisi, che può essere costruita in gruppo. 

Più di un gioco si ispira alla speranza: qui mi interessa citarne due. Il primo è “Il gioco della speranza” del bolognese Mitelli (1699), un gioco di fortuna “passiva”, di puro azzardo, in cui si vince e si perde in base a un tiro di dadi: è solo uno dei tanti giochi che si diffondono tra Seicento e Settecento, e che fanno interessare alla statistica filosofi e matematici prima italiani e poi francesi (la lingua francese oltre a espoir registra anche espérance, che viene usato anche nel senso specifico di “valore atteso”). Il secondo gioco “della speranza” viene invece pubblicato esattamente cento anni dopo: è di Alexander Gluck (1799) e conta 36 carte che vengono disposte in ordine a fare un tabellone su cui ci si sposta con i dadi come nel gioco dell’oca e che dà vita a un mazzo di carte (Le Normand) usato per predire il futuro. 

Il futuro passa nel giro di cento anni dall’ambito dell’azzardo a quello della cartomanzia: siamo sempre nei territori della superstizione, ma siamo passati dalla fortuna alla curiosità, dai territori del lancio di dadi a quelli della storia.

Quando inizia il futuro?

  • Il nostro primo esercizio serve a compiere un piccolo passaggio: sentirsi emotivamente vicini al nostro “sé futuro”, senza paura. Come esseri umani, infatti, tendiamo a essere molto empatici nei confronti del nostro passato, ma ci vediamo come degli estranei quando ci confrontiamo con i nostri sé futuri (e infatti è difficile convincere le persone a sacrificare qualcosa del presente per un futuro migliore: è un regalo che facciamo a un estraneo).
  • Chiediamo al nostro gruppo: “Pensiamo al futuro come a un momento in cui molte cose delle nostre vite saranno diverse da come sono oggi. Tra quanto inizia quel futuro?”
  • Scriviamo tutti su un foglietto una data o un lasso di tempo per noi significativo, quindi mettiamoci in ordine di futuro, da chi ha scelto un intervallo di tempo brevissimo a chi ha scelto il più lungo.
  • Spieghiamo perché abbiamo scelto quell’intervallo di tempo, e diciamo in cosa ci immaginiamo diverso il futuro.
  • Il futuro sarà un insieme di predizioni positive e negative, di speranze e di angosce.
  • Proviamo a metterle insieme e a chiederci cosa possiamo fare.
  • Riprendo il gioco da Jane McGonigal, Immagina (Roi Edizioni, traduzione di Rossella Monaco, 2022).

Una lista di obiettivi

  • Si parla molto in questi anni di “positive thinking”, di pensiero positivo a sostegno delle proprie azioni e del proprio stare al mondo: pensare positivo non è un imperativo, ma un approccio all’azione che parte da ciò che vogliamo si realizzi.
  • Riprendiamo la lista di predizioni sul futuro che abbiamo messo insieme con l’esercizio precedente, e proviamo a chiederci quali predizioni vogliamo si realizzino e quali no, cioè interroghiamoci su come possiamo essere parte del cambiamento, magari con l’aiuto di Sdegno e Coraggio, che Sant’Agostino poneva come figli della stessa Speranza. 
  • Stiamo trasformando una lista di “considerazioni sul futuro” in una lista di obiettivi. 
  • Perché un obiettivo sia tale e non solo un desiderio, dovremo metterlo a fuoco: cosa è necessario fare per realizzare quell’obiettivo? Proviamo a scrivere o a discutere insieme, scegliendone uno o più di uno a seconda del gruppo e del tempo che abbiamo.
  • Non abbiate paura della discussione: obiettivi, timori e speranze emergono sempre all’altezza di chi li propone. Vale comunque la pena parlare di futuro sia con i piccolissimi che con i più grandi.
  • Alcuni obiettivi sono più difficili e richiedono un’azione collettiva: cosa possiamo fare per aiutare in prima persona queste azioni collettive? Per esempio: per contrastare il cambiamento climatico possiamo già cambiare alcuni nostri comportamenti, e al tempo stesso dovremo sensibilizzare i governi e i nostri concittadini…
  • Cerchiamo di rendere il più dettagliato possibile almeno un obiettivo: quali sotto-obiettivi comporta? Quali sono le mete da raggiungere per prime?
  • Il futuro inizia sempre tra un attimo: e dipende comunque da noi, è questo il senso più bello della parola speranza.

I giusti di Borges

  • Sta girando per l’Italia da qualche anno un’esperienza che reputo meravigliosa per parlare del valore collettivo e non violento della speranza: è La carovana dei pacifici, lanciata da Roberto Papetti e raccolta da Luciana Bertinato ed Emanuela Bussolati. Il percorso sta andando avanti in molte direzioni: potete seguirlo sul sito curato da Giovanna Sala.
  • I pacifici parlano di tutto ciò che facciamo anche per costruire speranza: ci sono delle cose che riteniamo giuste, e che facciamo senza aspettarci nulla in cambio. 
  • Molti degli incontri dei pacifici si concludono con la costruzione di una serie di piccoli omini che si mettono in cammino. E cominciano con la poesia I giusti di Jorge Luis Borges, che vi presentiamo qui nella traduzione di Domenico Porzio.
  • I giusti: “Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che intuisce un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”
  • Aggiungiamo altre righe alla poesia, dicendo chi, secondo noi, magari senza saperlo, sta salvando il mondo. Per esempio: “Chi sa coltivare il silenzio. Chi fa crescere nel cuore un’emozione. Chi sorride senza uno scopo.”
  • La speranza è anche questo: sapere che ciò che facciamo ha valore, e che salverà il mondo.

Qui è possibile trovare altre attività pratiche da fare in classe.

Foto di copertina by Courtney Hedger Jr on Unsplash

Un’insegnante alle prese con l’intelligenza artificiale

in STEM ed Esperienze digitali by

Grazie al contributo di un’insegnante di scuola secondaria di secondo grado, parliamo dell’uso inappropriato dell’intelligenza artificiale a scuola

Oggi vi voglio raccontare una piccola “disavventura” scolastica, che però è il segnale dell’avvento di un problema molto complesso: l’intelligenza artificiale. Giorni fa mi misi con rassegnazione a svolgere una delle attività che maggiormente detesto nel corso dell’anno scolastico: la correzione di 39 verifiche (due classi quinte di liceo, 4 testi diversi) su caratteristiche e comportamento chimico dei derivati degli idrocarburi. La detesto perché è un argomento ampio e articolato, che non va studiato a memoria ma va capito, per cui cerco di dare domande aperte di ragionamento, ma ciò implica che poi devo seguirli e controllarli tutti, questi 39 ragionamenti, e in questa operazione soffro moltissimo per capire attraverso quali percorsi mentali i miei alunni arrivano alle risposte.

Inizio, mi scandalizzo qua e là, arrivo al compito di D., lo leggo.

Fluido, ricco di aggettivi, prodigo di informazioni, non trascura nessun dettaglio: 8 colonne di doppietti elettronici non condivisi, interazioni deboli, lacune elettroniche, atomi polarizzati mi danzano davanti agli occhi con grande disinvoltura, laddove gli altri ne hanno scritte al massimo 3….

Eppure qualcosa non funziona, le conclusioni non sono quelle che mi aspetto.

Prima di dubitare di lui, dubito di me stessa, controllo sul testo e sulle mie fonti, ma non trovo conferme. Sono stanca, lascio lì il compito e lo riprendo il giorno dopo. Niente, sembra che sappia tutto, tira fuori certe considerazioni che io non ho mai fatto, scardina le mie convinzioni, mi fa pensare che l’Alzheimer sia alle porte, eppure….

Lo accantono, riprendo gli altri, ritrovo gli strafalcioni a cui sono affezionata e le mie certezze. Passa un altro giorno e la mattina dopo a scuola trovo che la mia giovane collega laureata in Chimica ha l’ora libera insieme con me. Ne approfitto, le chiedo se mi dà un parere sul compito di D..

Lo rileggiamo insieme passo passo e le esterno i miei dubbi, che progressivamente diventano anche i suoi. Siamo così immerse ed avvitate nella discussione che non ci rendiamo conto che un’altra collega ci osserva incuriosita. Ci vede leggere, discutere, ipotizzare, smentire… Ad un certo punto ci chiama e ci offre una interpretazione possibile:

il ragazzo si è servito di chatGPT?

Mi sembra strano: mi sono fatta consegnare i cellulari e gli smartwatch , ma niente impedisce che abbia avuto altre diavolerie addosso. E poi, chatGPT, non era stata bloccata? Certo, ma si può scaricare ugualmente per vie traverse.

A riprova di quello che dice mi chiede di formulare una domanda sull’applicazione e vedere che risposta dà. La risposta ovviamente non è identica al compito, ma lo stile è inequivocabilmente lo stesso. Ci guardiamo in faccia sfinite e stupefatte. La collega ci dice “Ragazze, questo è ciò che ci aspetta per il futuro”. Io penso a 39 compiti così e mi sento male. Però penso anche che sto per andare in pensione, e questo mi rincuora moltissimo.

Qualche giorno più tardi viene pubblicata sul New York Times un’intervista, poi ripetuta dalla BBC, a Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, dimessosi da Google proprio per avere libertà di parola sull’argomento. Oltre all’inquietudine sollevata dall’ammonimento sul pericolo che tale strumento finisca nelle mani sbagliate, mi colpisce un passaggio che mi auguro sia originale, in quanto virgolettato:

“Attualmente, ciò che stiamo osservando è che sistemi come GPT-4 sono in grado di oscurare una persona per quanto riguarda la quantità di conoscenza che sono in grado di apprendere, e la oscura di gran lunga. Per quanto riguarda il ragionamento, al momento non è molto buono, ma questi sistemi sono già in grado di formulare ragionamenti semplici.”

Mi rendo conto che l’affermazione calza perfettamente sui miei riscontri. Probabilmente nel sistema non sono ancora previste le domande sul comportamento chimico dei derivati degli idrocarburi, ma nozioni generali di chimica con cui giostrarsi ci sono già.

A mio avviso la possibilità da parte della scuola di accedere con facilità ad un patrimonio “superumano” di conoscenze può permettere di realizzare percorsi molto più interessanti, connessi e ricchi di informazioni, anche se ho qualche dubbio sulla possibilità di strutturazione di tutto questo sapere a livello didattico, però allo stesso tempo si apre un grosso problema nella gestione delle verifiche scolastiche.

Il lavoro di valutazione diventa faticosissimo ed è fatalmente destinato a fallire a mano a mano che l’AI si perfeziona e rende impossibile identificare l’apporto autonomo dello studente.

Metto un 5 al compito di D., il quale giustamente, convinto di aver scritto la Treccani, non se ne fa una ragione. Però mi sono preparata, e ribatto punto per punto. Alla fine cerco di estorcergli una confessione, ma non mi dà soddisfazione, ammette solo di aver guardato qualche video su Youtube.

Una cartolina per te da Monte Conchiglio

in Attività di classe by

In compagnia di Marianna Balducci, ancora una volta, andiamo oltre lo sguardo quotidiano con l’aiuto di una cartolina!

Che si appartenga al team dei nostalgici che ancora la mandano per posta, o a quello del digitale che sceglie la rete, la cartolina resta impigliata nell’immaginario, efficace, immediata da interpretare per chiunque. 

Un’immagine testimonia il nostro passaggio in un certo luogo, e poche parole esprimono il nostro pensiero a una persona cara. Nella cartolina cartacea, in particolare, mi piaceva quando, oltre ai saluti, ci trovavo o ci annotavo caratteristiche del luogo (il clima, il cibo, un aneddoto). Mi piaceva trovare la misura perché tutto restasse privato e affettuoso, pur esponendo le parole alla mercé del postino, perché il testo sul retro non godeva della protezione della busta.

Una cosa mi piaceva più di tutte e cioè il pensiero che potesse anche trattarsi di un grande bluff: comprare il cartoncino nella località di passaggio che non è proprio quella del soggiorno perché si era di fretta, inscenare false partenze o falsi ritorni spedendo tutto in differita quando si è già di nuovo a casa, peggio ancora, oggi, rubacchiare un’immagine in rete per far credere che si è gente di mondo (e c’è chi lo fa, ve lo assicuro). Ma c’è un altro tipo di bluff che mi interessa di più ed è quello che, passando per la grammatica della fantasia (per dirla alla Rodari), è capace di far viaggiare ancora più lontano, laddove si annidano le storie. 

E allora “saluti dal…” mare? Così sembrerebbe visto che qui ho un mucchio di conchiglie e sassolini ritrovati sulla battigia e un cartoncino screziato di azzurro (che mi sono divertita a realizzare con un tutorial trovato in rete perché l’acqua era difficile da catturare). Partiamo quindi da una prima fase di raccolta di cose ma anche di suggestioni (come le bolle riprodotte sulla texture del cartoncino) che ci ricordino il posto in cui le abbiamo trovate. Andranno bene allora sia i reperti che il mare mi consegna, sia l’idea di mare che mi sono fatta e che sono in grado di riprodurre. Lavorare con i pattern utilizzando anche gli stessi oggetti trovati intinti nel colore a tempera come fossero timbri può essere un modo interessante di ricreare effetti grafici tutti da scoprire.

Credits: Marianna Balducci

Però vi ho promesso una cartolina bugiarda e dispettosa perciò non sarà dal mare che manderò i miei saluti.

Bruno Munari sarebbe d’accordo, lui che la bugia l’ha portata fin dentro alle teche del suo museo impossibile di “oggetti trovati”, un campionario di reperti raccolti in modo apparentemente arbitrario e presentati come fossero le tracce di un’antica civiltà, come testimonianze interessanti della vita che accade e della natura che agisce. Lui che ha visto un sasso che però “da lontano era un’isola”, proprio lui mi ha spinta a pensare che forse, anche quando mi sembra di stare in un posto solo, in realtà sono potenzialmente in tanti altri posti diversi e incredibili. Guardo il mio mare in scatola e penso al suo opposto: le conchiglie diventano fronde di alberi antichissimi, colline arse dal sole, montagne dal cucuzzolo perlato. E poi ce n’è una, con strani buchi, somiglia al becco di un rapace… Ormai è chiaro, non sono stata al mare, sono alle pendici di Monte Conchiglio. 

Capovolgere lo sguardo è quindi il secondo esercizio: partire dal luogo di ispirazione e spingerci mentalmente quanto più lontano possibile. Sono stata al mare? Allora la mia cartolina dispettosa vi parlerà di montagne. Sono stata al parco? E chi lo dice che in realtà non fosse il suolo di un pianeta inesplorato? Non ci sono limiti alla messa in scena del meccanismo di ribaltamento che molto verrà aiutato dall’osservazione di quanto si è raccolto. Prima di decidere che sarà davvero una cartolina di montagna, mi guardo il mio mare in scatola da tutti i versi, penso con la testa e con le mani, rigirando e componendo sul foglio gli oggetti in piccoli assembramenti per assecondare le loro forme e distaccarmi, piano piano, dall’idea del posto a cui originariamente appartengono. Lavorando con un gruppo di bambini può essere interessante concentrarsi sul medesimo luogo di raccolta (magari effettuando la caccia al reperto tutti insieme) e poi lasciando che ciascuno inventi il suo “non-luogo” con quanta più fantasia possibile. La sfida è generare spaesamento e arrivare a confezionare una cartolina che, pur nella sua assurdità, sia assolutamente credibile.

Una volta disposti gli oggetti a ricreare il nuovo orizzonte desiderato, bisognerà fotografare ciascuna composizione e stamparla in un formato uniforme (magari un 13×18 cm che conserva l’idea delle cartoline postali ma ci lascia un po’ più di spazio rispetto al più vincolante 10x15cm standard). È arrivato il momento di disegnare gli elementi mancanti per rendere la nostra cartolina dispettosa davvero completa. Può essere utile stampare più copie per consentire ai disegnatori di effettuare più prove. Si può disegnare con la matita una traccia e poi procedere con pennarelli acrilici e indelebili o confezionare piccoli disegni da incollare. Non servono tanti colori, anche solo il bianco e il nero potrebbero essere sufficienti visto che interveniamo su una foto già molto ricca di elementi. E poi servono i saluti e pensarci mentre si sta disegnando aiuterà l’uno e l’altro processo: se mi trovo a Monte Conchiglio dovrò spiegare perché, dovrò descrivere chi ho incontrato e come ci sto. E allora, ancora una volta, il disegno segue a ruota le idee che sarà divertente stimolare osservando insieme le foto su cui lavorare mescolando anche gli spunti dei compagni. Io a Monte Conchiglio mi sono trovata benissimo e magari la prossima volta ci torniamo insieme.

Foto di copertina by regularguy.eth on Unsplash

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