Sabina Minuto

Sabina Minuto has 29 articles published.

Docente di lettere a Savona e formatrice. Con Linee di WRW si occupa di didattica dell’italiano cioè di come si possa insegnare a leggere e scrivere. Il Writing and Reading Workshop le ha fornito idee, strumenti, pensiero. Studia e continua a sperimentare. Collabora con l’associazione culturale T21 nel campo del teatro sociale.

Testo espositivo e WRW: il manuale di storia lo creano gli studenti

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Sabina Minuto da tre anni usa il metodo WRW anche in storia e fa costruire ai ragazzi un testo (personale) che sostituisce il manuale.

Come faccio a lavorare al testo espositivo con il metodo WRW? È abbastanza difficile in effetti. La parte facile è l’autobiografico. Lí, fra attivatori, testi mentore e albi illustrati, diciamo che te la cavi in modo più facile. Ma non è tutto: io devo affrontare il testo espositivo e dare le basi per la futura traccia d’esame. Non mi è mai piaciuta l’impostazione tradizionale data a questo testo dalle antologie e ho sempre pensato che ci fossero modi più “autentici” per scrivere un buon espositivo.

In effetti ho studiato sia sui maestri americani che trattano la non fiction in modo meno asettico, sia su alcuni manuali di scrittura, sia osservando me stessa come scrittrice e come lettrice. Ed è così che ho trovato e sperimentato quello che mi sembra funzioni. Fra i testi in inglese questo credo sia il più semplice: Georgia Heard, Finding the Heart of Nonfiction: Teaching 7 Essential Craft Tools With Mentor Texts (Heinemann). Un testo agevole, ricco di idee che mi hanno convinto. Scrivo ora in ordine sparso le idee che ho sperimentato in questi 5 anni alle superiori.

L’espositivo in storia
Poiché in realtà esporre ha come fine dare informazioni al lettore è da circa tre anni che lo uso per far costruire ai ragazzi un testo sulle informazioni di storia che hanno acquisito. In questo modo ottengo una doppia valutazione di storia e di italiano. Non abbiamo libro. Partiamo solo da fonti iconografiche, presentazioni mie, filmati alla LIM e tante letture in cui applicano lo schema a Y ( domande, connessioni , fatti – che sostituiscono le impressioni). Come letture attingo da documenti storici o più facilmente dalla storia narrata come quella di “Breve storia del mondo” di Enrich Gombrich (Salani) oppure “La storia del mondo in 100 oggetti” di Neil MacGregor (Adelphi). Anche in storia lo schema a Y è veramente uno strumento potente di pensiero. Sempre. I ragazzi, poi, ad ogni paragrafo incollano immagini che abbiamo usato (se vogliono) e ne fanno una didascalia che non è affatto un banale compito. In pratica costruiscono un loro particolare testo di storia con i loro appunti, la loro rielaborazione personale e i loro particolari processi di scrittura. In storia ovviamente l’espositivo perde l’idea della libertà dello scrittore. Cioè sono io, come docente, che decido il periodo o l’argomento. E come saprete la scelta di chi scrive è un caposaldo del metodo WRW. Per ovviare a questo, sperimento ad esempio l’ espositivo su un personaggio a scelta dei ragazzi. Questo mi permette di lavorare con il WRW classico: attivatori, prescrittura, minilesson, stesura bozze, consegna cioè pubblicazione.

Ho usato come attivatore l’albo “Il suo piede destro” di David Eggers (Mondadori) che contiene una lunga parte espositiva sulla storia della statua della libertà ma nel contempo mostra come si possa esporre ed argomentare anche narrando aneddoti e rendendo più vivo il testo. Ho poi proposto testi mentore da mappare: uno sul premio Nobel per la pace 2019 Abiy Ahmed Ali e uno sul calciatore Sadio Manè. Smontandoli abbiamo individuato alcune tecniche di scrittura importanti e le abbiamo mappate. Cosa si intende? Come ho imparato dai maestri americani si può proporre agli studenti di elaborare una leggenda con simboli particolari per segnalare le tecniche usate dopo averle riconosciute. Nel frattempo ognuno ha scelto il suo personaggio, quello su cui aveva piacere di scrivere. A questo punto ho introdotto la tabella KWL: ossia Know What Learn. È una ottima opera di prescrittura per mettere a punto le idee su cui lavorare. I ragazzi hanno compilato in classe la prima colonna e poi si sono fatti domande per arrivare a completare anche la seconda. Cosa so? Cosa invece mi manca e vorrei sapere? A questo punto entra in gioco il cellulare. Lo devono usare per la terza colonna in modo da reperire tutte le informazioni che vogliono imparare sul loro personaggio. Possono anche consultare alcuni testi espositivi facili che ho in biblioteca e ho comperato negli anni (specie sui campioni dello sport o su personaggi come Mandela o Martin Luther King).

Io nel frattempo ho scritto il mio testo espositivo mentore: ho fatto metacognizione sul mio modo di scrivere e impostato alcune minilesson fondamentali.

Eccone alcune:
● Come iniziare? Tre incipit presi da testi mentore diversi. In uno ho insistito molto sugli aneddoti personali della vita del personaggio scelti ovviamente ad hoc in modo da rendere più brillante il testo.
● Come strutturare i paragrafi: minilesson da Jennifer Serravallo sul paragrafo tradizionale (tecnica scatola/ proiettili) e sul paragrafo costruito sui contrasti (perché a me piace molto).
● Come fare una buona chiusura: ho preso idee da me stessa come scrittrice e dal testo di W. Zinsser “ Scrivere bene” (Dino Audino editore 2008 ), una vera bibbia per gli scrittori.
● Ogni testo espositivo deve avere un focus cioè deve attirare il lettore per cui chi scrive deve trovare per cosí dire un buon filo conduttore. Trovare un focus per il proprio testo è attività complessa. Aiuta anche a collegare bene i paragrafi fra loro per tenere unita la struttura.Ci dobbiamo chiedere: cosa voglio che rimanga al lettore di questo argomento? E su quello lavorare.
● Faró di nuovo anche la minilesson indispensabile sui titoli perché li aiuta a lavorare anche in vista della maturità. Le parole chiave saranno anche il modo per rivedere il focus e correggere eventualmente il tiro.

A questo punto siamo alle bozze. Mi pare che i ragazzi stiano lavorando bene. Prima della consegna finale daró loro una check list di controllo per vedere che nel testo ci sia tutto quanto richiesto dalla griglia di valutazione concordata con loro in fase iniziale. Tutto per ora funziona. Il lavoro avviato pare procedere. Ho specificato che non voglio testi banali ma “avvincenti come romanzi e pieni come enciclopedie.” Vedremo i risultati. Io sono fiduciosa

Credits immagine: illustrazione di David Eggers da “Il suo piede destro”, Mondadori ragazzi

Laboratorio di letteratura: la lettera saggio.

in Attività di classe by

La lettera saggio è uno strumento in grado di coinvolgere realmente chi scrive e chi legge: scopriamone di più, insieme ad un interessante – e appassionante – esempio concreto.

Prima di avventurarci a parlare della lettera saggio, riprendiamo le fila dagli ultimi due articoli trattati (qui il primo e qui il secondo), in cui abbiamo provato a mettere a punto alcuni strumenti di lavoro utili al laboratorio di letteratura così come l’ho sperimentato in questi anni.

Nancie Atwell, una delle più famose maestre americane del WRW, ma anche Penny Kittle, parlano diffusamente della lettera saggio, che io considero come uno dei compiti più autentici che può produrre un laboratorio di letteratura.

Le idee oneste

Chiamo compiti autentici quelli che autenticamente coinvolgono gli studenti a mettere per iscritto idee “oneste”, come chiama Frank Serafini le sue tre domande per aprire il Reading Workshop. Perché oneste? Perché presuppongono un coinvolgimento reale, un interesse reale di chi scrive e di chi legge sull’argomento trattato.

Non è infatti un modo per fare un compito da sottoporre a valutazione, ma semmai di ottenere, per iscritto, la stesura di una lettera vera e propria che riguardi un “problema letterario”: un testo, un autore, una prospettiva di studio che ci pare interessante, un percorso. È dunque un modo di far fare un piccolo salto di qualità ai nostri studenti, ponendoli di fronte ad un impegno difficile ma sincero.

La forma epistolare

Fino ad ora ho proposto lettere saggio su argomenti di  taglio ( chiamo così quelli che “tagliano” appunto per traverso un autore o più autori, ad esempio “ lo spazio” in Foscolo e in Ariosto) o su percorsi all’interno delle opere di un autore stesso, lettere dunque più libere e meno complesse.

Ai ragazzi piace molto rivolgersi a me in una  forma che essendo epistolare perde molto della sua qualità di verifica, ma instaura una sorta di intimità fra autore e lettore.

Vietato improvvisare!

Le lettere saggio sono indirizzate a me, ma partono tutte da un modeling molto studiato e strutturato, preparato a monte.

Essendo un lavoro complesso ( come lo speech) non si improvvisa una lettera, ma occorre lavorare con assiduità alla sua preparazione, soprattutto con testi mentore scritto da noi , semplici ma efficaci, mettendo in gioco le qualità di lettori competenti che hanno affinato negli anni precedenti.

Per prima cosa devo chiedermi a cosa debbano servire le mie lettere e come le posso  impostare. Sono un lavoro difficile ma non impossibile.

Io le scrivo a loro, inizio di solito con un “cari studenti”; le completo e le proietto alla LIM. In questo modo le possiamo osservare da vicino, possiamo guardare le parti di cui sono composte e discuterle insieme. Spesso coloro con evidenziatori diversi le varie parti e faccio loro annotare alcune impressioni sul quaderno. Altre volte dopo aver letto ad alta voce il mio testo mentore lo consegno loro di carta con la mia firma e lascio che ognuno ci lavori sopra da solo trovando le parti che gli interessano di più.

Poi tocca a loro. I ragazzi scrivono a me la loro lettera saggio sullo stesso argomento ovviamente dal loro punto di vista. 

La personalizzazione della motivazione

È incredibile vedere come questo incida moltissimo sul loro interesse e sul loro apprendimento; credo che la chiave sia la personalizzazione della motivazione. Voglio dire, se la tua insegnante ti scrive per discutere con te di un percorso letterario comune, è molto probabile che il tuo interesse nel  formulare una risposta intensa, non generica, soggettiva, motivata, sia maggiore. Ho sempre avuto di solito delle grandi soddisfazioni, delle lettere vere piene di  riflessioni e di punti di vista interessanti.

Letteratura come risorsa

Marielle Macé in « Façon del lire, maniere d’être »(Paris, Gallimard, 2011) scrive:

Gli scrittori che cito, li scelgo perché sono appunto più forti di me, perché spostano il mio pensiero, perché dicono cose che avrei voluto poter dire io, ma loro lo dicono meglio e ne dicono di più. La letteratura è una risorsa anche in questo senso: mentre leggo, il testo è il mio alleato, ma è il mio alleato in tutta la sua difficoltà, in tutta la sua alterità, e questo fa sì che io debba fare uno sforzo nei suoi confronti.

È proprio per questo che nella lettera saggio si condensa la vera competenza dello studente che legge letteratura. I ragazzi riescono a percepire anche qualcosa di altro e difficile come parte della loro esperienza, tanto da volerne discutere con me. Non è quella  difficoltà che li spaventa, quanto invece il mettersi alla prova o il ragionare per iscritto, che li stimola. Riescono a poco a poco a non avere più paura di dire ciò che pensano anche attraverso la letteratura, non solo sulla letteratura.

Un esempio

Riporto qui sotto una lettera saggio di un ex studente che conservo perché piena di idee e di passione:

Cara prof Minuto,

prima di iniziare la mia lettera vorrei approfittare della intimità che si crea tra lo scrittore e il lettore per ringraziarla. Vorrei ringraziarla perché anche se non ho scelto la scuola che sto facendo, lei mi sta insegnando la scuola che avrei voluto scegliere e le sono molto grato per questo, come sicuramente lo saranno tutti i miei compagni.

Mentre scrivo questa lettera penso a quando ci ha letto “Cavalleria Rusticana” di Giovanni Verga, mi ricordo che la mia testa pensava continuamente al tradimento della moglie di Turiddu. Immagino che sia stata una scelta difficile quella di tradire il marito o magari no e lei ha solo preferito la compagnia di un uomo presente, che non la solitudine di una vedova con il rammarico di una opportunità persa. Suo marito invece ha dovuto scegliere tra difendere il proprio onore o la comprensione, ma non è facile scegliere quando tutti sanno del peccato commesso e aspettano una tua mossa. Scegliere è sempre stato complicato non per niente è uno dei temi preferiti di alcuni poeti e dai migliori scrittori, c’è chi pensa che le scelte che facciamo nel passato siano quelle che creano l’individuo che siamo oggi, per Verga forse non era così, forse per lui dovevi solo rassegnarti al tuo destino e non cercare di evolvere in base all’esito delle tue scelte. Peró questa frase descrive perfettamente uno dei suoi migliori personaggi, nonché il protagonista della Roba.

“La Roba non è di chi ce l’ha ma di chi la sa fare” questa è una riflessione che fa Mazzarò. Mazzarò è un personaggio molto curioso, infatti è il personaggio che più mi piace delle opere trattate in classe. Con questo personaggio Verga ci mostra come un ex oppresso diventa il nuovo oppressore, colpisce come un personaggio che ha sofferto il lavoro forzato sulla sua pelle poi lo imponga ad altri. Questo personaggio sceglie di dedicare tutta la sua vita alla Roba, non aveva vizi né figli, era un uomo così povero che aveva soltanto i soldi, Forse è per quelle scelte fatte che alla fine della sua avventura, quando giunge la vecchiaia e arriva ľ ora di lasciare la sua Roba e pensare all’anima, Mazzarò in preda ad un miscuglio di pazzia e consapevolezza della solitudine che lo circonda, esce dal cortile come un pazzo, barcolla, prende il bastone e inizia ad uccidere tutte le anatre e i tacchini, urlando “Roba mia, vieni con me”.

Sicuramente farò leggere il racconto della Roba ai miei futuri figli, penso che sia un racconto molto educativo e necessario per capire che strada percorrere nel trascorso della tua vita, per capire o condividere i bei momenti. Non so se quando lo leggerò ai miei figli saprò farlo con lo stesso amore che ha usato lei, so solo che adesso che conosco Verga ho un’altra cosa per la quale ringraziarla.

Cordialmente, 

R.

Studente di 5 manutentori meccanici, istituto professionale

Foto di copertina by Unseen Studio su Unsplash

Il Reading Response: uno strumento di lavoro in classe sul testo letterario

in Attività di classe by
Scopriamo insieme un altro laboratorio di classe dedicato alla Letteratura: il Reading Response. Vediamo di cosa si tratta e come possiamo usarlo

Uno strumento che si è dimostrato subito molto potente nel laboratorio di letteratura è il Reading Response (da ora in poi RR).

Esso è un tipo specifico di breve saggio guidato, tipico del mondo didattico  anglosassone, molto concreto e molto pratico.

In Italia non è molto conosciuto se non a livello universitario, ma anche trasportato nella scuola secondaria può essere riadattato e utilizzato.

Di cosa si tratta

È uno strumento che ribalta completamente l’ottica con cui normalmente viene affrontato lo studio della letteratura nella nostra scuola: si spiega, si assegnano pagine di studio, si interroga.

Si valuta lo studente in base alla corrispondenza fra quello che è stato detto in classe e quello che l’alunno ripete.

Questo metodo spesso non funziona e lo sappiamo per certo: studiare letteratura non produce lettori o amanti della letteratura stessa. Tuttalpiù produce conoscitori di alcuni contenuti, spesso subito dimenticati, spesso appresi in maniera superficiale per una verifica o un’ interrogazione.

L’obiettivo del laboratorio è invece un altro:

Fare dello studente un lettore critico, appassionato, consapevole, che indaghi ciò che è un’opera letteraria, ciò che quella stessa opera gli suggerisce nel qui e ora del suo tempo di studente.

L’obiettivo è in sostanza  “leggere” perché leggere non può rimanere solo un compito scolastico ma una competenza per la vita.

Noi vogliamo che gli studenti pensino mentre leggono. Si sentano dunque lettori attivi e non passivi, siano in un rapporto ravvicinato e “di prossimità” con l’opera letta. Per fare questo occorre ricordare loro che possono e devono pensare, fornendo strumenti appositi (come il RR) di lettura e anche di scrittura.

Il RR è uno strumento utilissimo: ti chiede come lettore di impegnarti in modo critico con un testo assegnato. 

Non ti chiede semplicemente di limitarti alla semplice logica del “mi piace, non mi piace”. Ti chiede invece, una “risposta di lettura” per dirla come gli statunitensi.

Un RR ben strutturato dovrebbe:

 • Dimostrare al docente  di aver letto e compreso il testo

 • Identificare l’argomento principale e lo scopo del testo

 • Affrontare in modo critico il testo utilizzando evidenze dal testo stesso  per sostenere la prospettiva di lettura che si adotta.

Sebbene la lunghezza di RR possa variare in base al compito o al testo a cui si sta rispondendo, esso è comunque una sorta di saggio ovvero uno scritto in cui  il lettore è chiamato ad esprimersi in prima persona. 

In quanto tale, dovrebbe avere un chiaro schema organizzativo che renda facile la comprensione e la compilazione per lo studente lettore e scrittore. L’insegnante dovrebbe modellare il RR su di sé, offrendo agli studenti un modello, appunto, da seguire. 

In definitiva, il RR riguarda ad esempio i punti di forza e di debolezza del testo in questione.  Si è  chiamati ad esprimere un’opinione sul testo letto e tale affermazione deve essere supportata da evidenze testuali.

È del tutto evidente che un lavoro di questo tipo risulta complesso, ma anche molto più stimolante. Molte volte, infatti, ci lamentiamo del fatto che gli studenti non sappiano esprimere un’idea su un testo letterario, quando probabilmente nessuno lo ha mai insegnato loro in modo concreto ( cioè non ha insegnato come si fa) o anche solo glielo ha mai chiesto. Spesso sembra infatti più importante la conoscenza di ciò che altri hanno detto di un autore o di un’opera piuttosto che dell’opera stessa.

Di seguito sono riportate alcune domande che potrebbero aiutare  a chiarire cosa sia un RR e come potrebbe essere strutturato.

  • Quali sono i punti più significativi del testo?  Sta discutendo/ esponendo qualcosa in particolare?  E quindi?
  • Cosa puoi tralasciare?  Quali idee sono meno importanti per il lavoro sul testo che stai facendo?
  •  Puoi collegare questo testo ad altri testi che hai già letto (nella tua classe attuale o al di fuori di essa)?
  • C’è una citazione che vuoi annotare? Perché?
  • Riassumi in tre frasi il contenuto del testo.

La prima volta che l’ho sperimentato è stata sulla novella di Verga “Cavalleria Rusticana”. La versione di allora era molto semplice ed era più o meno questa:

ANNOTARIFLETTI
Qui annota (segna la pagina e sottolinea sul testo )qui scrivi
citazioniè importante perché ….
brevissimo recall ( sunto)





mi ricorda …. (libro , storia, film), lo collego a….
notizie autore che ti hanno colpitoho capito che…
Parole che hai imparato:Ti sono utili? Perché?
Connessioni con Te stessoMondoe quindi? Concludi con una tua idea personale
 
Funziona? Sì. Con alcune precisazioni
  • È assolutamente necessario fare modeling, cioè insegnare a studenti e studentesse “come si fa”.
  • Occorre avere fiducia nelle loro potenzialità di lavoro. Se l’obiettivo è solo dare contenuti e fare più “ programma” (che non esiste) possibile,  questo NON è lo strumento ideale.
  • Con il RR si procede costruendo e negoziando significato, non affidando alla classe  contenuti precostituiti da studiare. Sono due cose completamente diverse. 

Il WRW propone un laboratorio, non uno studio tradizionale. Propone una ricerca, un fare, un ribaltamento di prospettiva. 

Facciamo anche una piccola considerazione su come lavorano di solito i libri di testo. In questi oggetti didattici il percorso è  totalmente diverso. 

Si danno notizie pre confezionate, si presume  studio individuale A CASA, il tutto è lasciato nelle mani del docente che spiega ( cose scritte sulle pagine del testo), legge, chiede prodotti spesso senza interessarsi dei processi.

Nei libri in adozione le domande così dette di “comprensione del testo” quasi sempre presuppongono una comprensione prestabilita che è quella ritenuta corretta da chi scrive. Non c’è  dunque nessuno stimolo all’ allenamento al pensiero, all’istituire connessioni, a formulare domande. Si cerca solo di proporre la memorizzazione di contenuti a volte, perfino, senza che i testi siano nemmeno letti, ma solo citati.

Allora chiediamoci:

Perché a scuola leggo e porto la letteratura? A cosa penso che serva? Devono diventare tutti esperti di filologia e iscriversi alla facoltà di lettere? Lettori dunque per professione? No. 

La letteratura a scuola serve per insegnare a sostare nel pensiero. A formulare domande sul mondo e su se stessi. A capire chi sono, dove voglio andare. Anche a selezionare gusti, interessi, strade da lettore e lettrice.

E dunque fermiamoci un attimo a riflettere: quando io sono diventata/o lettore o lettrice? Quando il gusto del sapere ha prevalso superando la noia e il senso dell’obbligo e del compito per forza? Quando ho capito che quei libri ( vecchi!) in fondo mi riguardavano?

Ecco con questa domanda rivolta a tutti voi, vi do appuntamento alla prossima puntata!

Avevamo già proposto un laboratorio dedicato alla Letteratura nelle scorse settimane, se te lo sei perso recuperalo qui

Foto copertina by Gülfer ERGİN on Unsplash

Rallentare più che accelerare: propositi di letteratura in laboratorio

in Attività di classe by

“Respirare un testo”: puntata numero 1 dedicata alla realizzazione di un laboratorio di letteratura in classe.

Come approcciarsi, in Italia, allo studio della letteratura sottoforma di un laboratorio in classe? Illuminanti per me sono state le parole del maestro americano del WRW (Writing and Reading Workshop) Frank Serafini (F. Serafini “Lesson in Comprehension, Heinemann 2004, p. 47):

Quando viene chiesto agli insegnanti di correre sempre di più e coprire sempre più “il programma”, si perde la profondità di pensiero necessaria per costruire il significato di molti testi che incontriamo. Io sto suggerendo di rallentare e prestare attenzione alla varietà di elementi, agli strumenti letterari, e ai possibili significati. Potremmo imparare tanto di più da un libro che abbiamo letto una volta sola. La qualità della letteratura non rivela se stessa in un singolo passo.

Il problema del tempo

Il tempo per moltissimi docenti italiani è un problema. Sembra che non sia mai abbastanza e sembra che tutto debba per forza risolversi in una corsa infinita e spesso frustrante a concludere un programma che oramai da anni non esiste in nessuna normativa. Di questo tuttavia molti docenti non sono affatto convinti e rimangono legati agli indici delle antologie e delle letterature che dettano i “programmi” che spariti da una parte, da un’altra rientrano.

Ma, se si vuole lavorare in laboratorio, col tempo occorre fare pace per avvicinarci invece, come suggerisce Frank Serafini, a guadagni di altri tipo che nomina con precisione:strumenti letterari, lettura profonda, significati possibili.

Lavorare in questo modo è evidente che comporti scelte precise come del resto tutto quello che avviene nelle nostre aule: insegnare è sempre scegliere in qualche modo; scegliere modi di lavorare, di impostare relazioni, di valutare e dunque anche scegliere contenuti al posto di altri. Di nessuna intera letteratura saremmo in grado di leggere in classe tutti i brani e gli autori proposti. E quand’anche fosse,
servirebbe?

E secondo la logica del WRW?

Secondo la logica del WRW, no. No perché il vero apprendimento non consiste nell’accumulare contenuti su altri contenuti, ma forse nel fornire strumenti di pensiero per amare, rielaborare, criticare quei contenuti. Cito Bruno Munari in una intervista del 1993:

Il laboratorio è il luogo dove il tempo va piano e si supera la paura del non saper fare facendo.

Questo è quello che avviene anche di fronte ad un’opera letteraria: si fa. Non solo si ascolta e si ripete. Non solo si studia ( spesso a memoria )ciò che altri ne hanno detto. Si fa, nel senso che si entra con tutti i piedi dentro il testo e si comincia a navigarci dentro.

“Leggere Lolita a Teheran”

C’è un brano del romanzo “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi (A. Nafisi “Leggere Lolita a Teheran”Adelphi Milano 2004) che dice bene quanto sia importante immergersi in un testo e respirarlo per conoscerlo:

Un romanzo non è un’allegoria, dissi verso la fine della lezione. È l’esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. È così che si legge un romanzo: come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo.

Le “lenti differenti”

Facendo laboratorio di letteratura cerchiamo prima di rendere l’esperienza della letteratura vicina, possibile, respirabile dagli studenti. Cerchiamo di far loro esperire i testi ( e di seguito i contesti) senza però ingozzarli di nozioni ma fornendo loro strumenti di indagine e lavoro.

Frank Serafini chiama questi strumenti, con una metafora che è meravigliosa, “lenti differenti” cioè occhiali da indossare per leggere un mondo che ai ragazzi spesso appare distante e a volte vecchio e ammuffito, incomprensibile, utile solo a ottenere il fatidico voto e non ad una conoscenza sincera e motivata.

Scrivono Simone Giusti e Natascia Tonelli nel QdR 12 di Loescher:

La fruizione e il continuo riuso delle opere letterarie sono proficui innanzitutto per la crescita e per una profonda trasformazione delle persone che frequentano la letteratura, aumentando la loro possibilità di fare esperienze significative e, anche, di dare un senso alla loro esperienza.

Dunque se questo è vero, se possiamo a scuola aumentare con la letteratura la possibilità di dare senso ad esperienze vere di apprendimento, dobbiamo munirci di strumenti in parte diversi da quelli usati fino ad ora, le lenti diverse appunto di cui parla Serafini, precisando per altro subito dopo che dette lenti non devono distruggere “la gioia di leggere”.

Quali sono questi strumenti?

Nel tempo e con fatica, sempre sperimentando e poi provando, ne ho messo a punto qualcuno. Non tutti quelli che avevo costruito sono stati poi messi a regime. Alcuni sono stati abbandonati, altri in anni rimessi a posto e riordinati. Ne fornisco solo un primo elenco breve:

  • la mini lezione inchiesta, come teorizzata dalla maestra del WRW Lucy Calkins (L. Calkins, The Art of Teaching Writing, Ontario, Irwin 1994). Essa parte sempre da una grande domanda aperta a cui inizialmente si cerca sempre di dare risposta, partendo dal far emergere il pregresso, ciò che i ragazzi sanno già. Ad esempio “Chi è Alessandro Manzoni?
  • La mappa indagine su un autore, con la riproduzione (importantissima) anche del suo volto, che i ragazzi e le ragazze (a volte in gruppo) devono riempire, trovando in rete i contenuti mappati dentro una scheda. Di solito nel mio caso aggiungo anche tre link per indirizzare inizialmente la ricerca (nel tempo poi si possono eliminare), scelti con difficoltà diverse e crescenti per proporre agli allievi una responsabilizzazione sul loro lavoro di ricerca.
  • Il Reading Response (RR) su cui mi soffermo qui sotto essendo per me uno strumento molto utile, almeno nelle mie classi.
Il Reading Response

Il RR va costruito secondo le caratteristiche dei lettori e dovrebbe avere un chiaro schema organizzativo che renda facile la comprensione. È una sorta di breve saggio guidato in cui ognuno è chiamato a scrivere davvero ciò che pensa dopo l’immersione in un testo, non dopo aver studiato le pagine di un manuale che spiegano cosa di quel testo si dovrebbe pensare o ha pensato qualcun altro.

Il RR a volte davvero produce miracoli perché parte dalla prospettiva inversa della normale lezione di letteratura in classe: non sono io docente a dirti cosa devi pensare e studiare (la famosa frase “oggi spiego…”), ma sei tu studente che nella comunità di lettori in classe con la guida del docente tutor proverai a “impegnarti” con il testo stesso.

Nei testi di studio americani si usa spesso il termine “engagement” che si riferisce anche al “fidanzamento” tra due persone e questo a me è sempre apparso un termine bellissimo e adatto anche alla letteratura.

“Interpretazione inventiva”

Come sostiene Y. Citton (Y. Citton, Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, :duepunti edizioni, Palermo, 2010) l’incontro con un testo letterario abbisogna di una “interpretazione inventiva” che non si limita a ripetere ma aggiunga un proprio sapere al sapere del testo.

Leggere, comprendere e interpretare un’opera letteraria sono tre azioni fondanti del laboratorio, stimolano nello studente una connessione potente con la propria vita, offrono parole nuove a chi non ne ha ancora a sufficienza, aprono prospettive inedite di rapporto tra passato e presente.

Questi sono solo alcuni degli strumenti sperimentati in anni di lavoro. Non è facile e nemmeno scontato. Fare i conti con il tempo è obbligatorio e quindi anche con il numero di autori da leggere e da proporre in classe. Tuttavia ha dato nel tempo i suoi frutti. In articolo seguenti parleremo di come ho organizzato nel tempo questa scelta ( dopo tante indecisioni) e di altri strumenti di lavoro e anche di valutazione.

Trovi qui altre esperienze di laboratorio in classe.

Foto copertina di Aung Soe Min su Unsplash

Materie umanistiche al Professionale: perché insegnarle gratifica l’insegnante.

in Scuola by

Dare la parola a tutti, fornendo un senso critico che guiderà le scelte di vita dei ragazzi: il punto di vista di un’insegnante di italiano e storia all’Istituto Professionale.

Una volta quando dissi ad una collega che avevo avuto il trasferimento all’Istituto Professionale, questa mi disse:” Poverina!”. Non sapeva che nell’elenco delle scuole lo avevo indicato al primo posto. Era la mia prima scelta. Proverò qui a motivarne il perché.

Insegnare italiano e storia ai manutentori meccanici sembra a volte o assurdo o impossibile. Non è facile certo. Ma non perché a priori come spesso si crede questi studenti “Non sono portati per queste discipline”. È una mistificazione e un inganno. Se mai perché spesso la loro storia pregressa di studenti li ha convinti a non esserlo, a non essere in grado né di leggere né di scrivere. Sarebbe lungo ( e doloroso per me) indagare come ció sia avvenuto, ma avviene.

La didattica del FARE

Dunque spesso abbiamo davanti studenti “stanchi” di essere studenti. Delusi, demotivati, che si aggrappano alla scuola come ultima speranza. La odiano spesso ma ci vengono ugualmente e questo ci dovrebbe far riflettere molto. Il primo nostro lavoro è dunque ricostruire la motivazione. E come si fa? Si fa progettando una didattica del fare, con compiti autentici. Che vuol dire? Vuol dire prediligere prima attività didattiche laboratoriali e cercare di fabbricare senso.

Un compito si dice autentico se riveste significato non solo per chi lo propone ma soprattutto per chi lo riceve. La costruzione condivisa di significato è fondamentale non solo se si legge o si scriv,e ma appunto se lo attribuiamo ad attività ( qualsiasi ) di studio o da svolgere. Sembra facile, non lo è.

Tutti noi oramai sappiamo che si impara solo attraverso emozione, motivazione, coinvolgimento. La didattica in fondo non è altro che questo. Saper creare occasioni di apprendimento per tutti. Non per quelli che già lo fanno o lo farebbero, ma per tutti quelli che mi sono stati affidati.

Dunque tornando alle mie discipline, il primo passo è fare sì che si sentano in grado di leggere e di scrivere. Una bella sfida. Ma non perché retoricamente ( come dicono i ragazzi) è cultura, semplicemente perché è un loro diritto ed è una competenza chiave imprescindibile di cittadinanza. Tutti, proprio tutti possono leggere e tutti possono scrivere. Dipende solo da come tu lo proponi, dall’ambiente di apprendimento che crei, dalla fiducia che si respira e dalla sospensione del giudizio. Un ambiente fortemente giudicante non aiuta ad imparare.

Il compito del docente

Compito del docente non è giudicare le persone ma caso mai valutare la prestazione. Spesso invece facciamo sempre solo la prima delle due cose. Valutare vuol dire “ dare valore” non esprimere giudizi su chi esegue un compito. C’è differenza, una differenza enorme. Gli alunni non valgono “4” o “10”, non sono un numero sul registro, caso mai quei numeri rappresentano l’andamento di una prestazione che può sempre migliorare. Per questo spesso i percorsi scolastici si trasformano in profezie che si auto avverano: perché le etichette appiccicate addosso all’inizio poi spesso non si staccano più. Io cerco nel mio piccolo di incontrare persone in primis. Poi di lavorare con loro per renderle consapevoli delle loro potenzialità e del loro poter essere e quindi poter fare. Non perdo mai di vista il mio obiettivo: progettare azioni didattiche dotate di senso.

Il Writing and Reading Workshop

Ammetto di avere con me uno strumento potente: il laboratorio di lettura e scrittura la metodologia americana detta WRW cioè Writing and Reading Workshop. Se non l’avessi incontrata credo che farei molta e molta più fatica. Il modo di lavorare in laboratorio mi ha insegnato prima di tutto una cosa importante: la differenza tra riempire il tempo e impiegare il tempo.

Nel primo caso il focus è il docente, nel secondo lo studente. Intendo dire che la domanda chiave che noi ci dobbiamo fare come docenti è funziona? Sono efficace? Ho progettato azioni didattiche utili per chi le deve mettere in atto con me? Se così non è allora devo prima di tutto fare metacognizione sul mio modo di lavorare e di intendere l’insegnamento.

In secondo luogo con il WRW si crea un ambiente di apprendimento dove tutti possono lavorare perché si mette al centro il processo non si richiedono solo prodotti. Lì sta tutta la differenza. Lavorare sul processo è lavorare davvero sulle competenze. È smontare una finish line ( traguardo come da normativa) in step su cui agire per provare a portare TUTTI gli allievi verso quel traguardo.

Per ogni step progetto lezioni ( molto brevi) su strategie di lavoro da applicare subito. Si impara facendo non solo ascoltando. La didattica tradizionale frontale non funziona soprattutto per questo motivo: non costruisce percorsi di apprendimento ma lascia allo studente da solo la responsabilità di apprendere. Per questo in molti casi fallisce. La responsabilità invece è mia come docente e la devo condividere con lo
studente.

In pratica il WRW si configura come una didattica equitativa? Sì. Perché? Perché imposta il tempo di apprendimento a scuola e non a casa. Lavora su un apprendimento in classe per tutti e in modo laboratoriale non demandando detto tempo ad attività individuali casalinghe dove è ovvio che le disuguaglianze socio culturali fanno un’enorme differenza. Il WRW lavora nel tentativo di creare autonomia nello studente: si cerca quindi di lasciare ad ognuno il suo spazio e il suo tempo, di costruire insieme in classe un percorso che offre a tutti gli stessi strumenti ma anche la possibilità di impara ad usarli da solo nel rispetto delle caratteristiche individuali di ognuno. Si configura dunque come una didattica altamente inclusiva.

Tornando al “perché”

Tornando ora al problema iniziale e cioè perché insegnare italiano e storia all’istituto professionale appare chiara la risposta. Queste non sono discipline qualsiasi ma sono assolutamente ( come quasi tutte del resto) trasversali. Sono strumenti di cittadinanza. Proprio e a maggior ragione in questi istituti sono necessarie perché altrimenti toglieremm ai nostri studenti un’occasione di crescita fondamentale. Ma non perché “ è cultura” come si diceva prima. Semplicemente perché nessuno deve essere escluso dal potere e dalla bellezza che l’uso della parola conferisce a chiunque.

Il problema infatti non è sapere chi è Dante, ma se mai sapere perché Dante è oggi significativo per me, che ho 17 anni e voglio fare, ad esempio, il manutentore meccanico. È sapere cosa ci potrei fare con questo Dante, che pensieri potrei trarre dai suoi versi, che connessioni con la mia vita.

Siamo tutti convinti infatti che Dante sia imprescindibile ma spesso lo trasformiamo solo in un esercizio pedante per applicare astratte griglie interpretative. C’è molto da riflettere su questo, come si intuisce.
Nelle mie classi leggere e scrivere sono attrezzi di laboratorio come tanti altri. Vanno a riempire una cassetta virtuale che dovrebbe far parte del patrimonio di tutti, ma proprio di tutti semplicemente perché i ragazzi sono persone che devono poter operare scelte consapevoli sulla propria vita e sul proprio futuro.

Come ci ricorda sempre Vanessa Roghi, Rodari scrisse “ tutti gli usi delle parole a tutti”. Ecco: questo è il senso ultimo del lavoro che dobbiamo svolgere. Ed è nella ricerca di questo senso ultimo che cerchiamo di lavorare con fatica ma con speranza dentro alle nostre classi: dare parole a tutti perché ne facciano buon uso.

Foto di copertina di Dan Dimmock su Unsplash

Fare storia con le fotografie

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Con il metodo WRW, le fonti visive diventano potenti stimoli visivi e aiutano gli studenti a memorizzazione fatti e personaggi della storia.

La parola “fare” ha qui il valore del fare in senso quasi manuale. Equivale a costruire la storia. Trovare gli elementi che inquadrano un avvenimento e strutturarli in uno schema di pensiero.

Non ha nulla a che vedere con lo studiare, se per “studiare” si intende leggere su un testo notizie, ripeterle, farsi interrogare, riportare una valutazione espressa in un numero. Questo è il modo in cui tradizionalmente la disciplina storia viene insegnata.

Da quando ho incontrato il WRW ovviamente ho cambiato non solo il mio approccio alla lettura e alla scrittura ma anche alle altre discipline.

Dico ovviamente perché la rivoluzione didattica che ho messo in atto mi ha coinvolto così tanto che è passata anche sulle discipline affini. Io oramai non so lavorare se non attuando un laboratorio, partendo il più possibile da compiti autentici e mettendo sempre al centro l’alunno, non il programma (presunto).

Così, vista l’enorme difficoltà dei miei studenti in storia, sia nella memorizzazione sia nella comprensione dei testi da cui dovrebbero evincere eventi da “studiare”, ho impostato la didattica sulle fonti iconografiche.

Adesso, che per il secondo anno ho una quinta superiore, ho a disposizione tantissimo materiale. Ma anche in terza sto usando lo stesso metodo e mi pare funzioni.

Gli studenti di oggi, ci spiegano le neuroscienze, apprendono in maniera reticolare, non in maniera lineare. Non è il caso qui di discutere perché (la tecnologia ha la sua importanza) e nemmeno se ciò sia meglio o peggio rispetto a prima. Non credo che il problema si ponga in questi termini, se mai nel cercare di capire come avvicinare lo studente a questa materia, che sta diventando per molti sempre più ostica. È evidente che la metodologia tradizionale con questa nuova tipologia di alunni non funziona.

Quindi io parto sempre da fonti visive. Ne scelgo tre o quattro per ogni macro argomento e da lì inizio i miei percorsi. Ci sono foto che dicono più di moltissimi testi scritti. Ci sono alunni che dalle foto imparano molto di più che se leggessero (e non lo fanno) tutto un capitolo. Certo, non è solo un proporre immagini. Dietro ci sono una ricerca e l’adattamento di strumenti già sperimentati.

In molti casi propongo le foto da sole, a inizio percorso. Senza contorno e senza spiegazione. Usiamo la tecnica STW cioè See, Think, Wonder che ho tratto dal testo Making Thinking Visible. Annotiamo sul quaderno cosa vediamo, quello a cui ci fa pensare e infine le nostre ipotesi o previsioni.

È un grande esercizio di pensiero che implica, appunto, lo studiare nel senso profondo della parola. Osservando foto, a poco a poco ricostruiamo un periodo o un evento o analizziamo un personaggio. Spesso poi le tagghiamo: vicino a ognuna mettiamo #, cioè parole chiave che ci aiutino a ricordarle e a collocarle.

In altre occasioni, scendendo più nel profondo, fornisco foto e brevi testi da leggere. Abbiniamo foto ai testi e ci domandiamo perché. È un po’ come costruire un libro di testo fatto da noi. Ogni foto è posseduta dai ragazzi in fotocopia e quando preparano il loro speech (intervento orale che sostituisce l’interrogazione) devono partire sempre dall’analisi di una fonte iconografica.

Ho proposto anche foto di dipinti, ritratti di personaggi famosi, foto storiche e di archivio e anche spezzoni di film o documenti d’epoca. Usiamo le foto anche quando scriviamo i testi espositivi in storia. A ogni paragrafo ne va attribuita una con didascalia esplicativa elaborata dai ragazzi.

Un altro tipo di approccio alla foto consiste nello scrivere a partire da questa, come fosse un attivatore di scrittura, in questo caso di pensiero. I ragazzi notano particolari che a volte io stessa non noto. Fornisco prima una serie di prompt per iniziare il processo di pensiero e scrittura e spesso anche dei testi mentore scritti da me. In questo caso scrivere attiva l’acquisizione di una conoscenza che si stratifica più in profondità e in maniera più duratura. Per gli alunni DSA, ma in genere per tutti, questo modo di calarsi dentro la storia e di farne narrazione diventa più facile e fondamentale.

Oramai tutti sanno che un apprendimento per essere significativo deve essere legato a una emozione o a una motivazione. Se la motivazione non è sufficiente (come spesso accade per molto studenti) l’emozione invece è più facilmente raggiungibile con l’uso delle fonti e in particolare delle fotografie.

Cito ad esempio una foto che ho usato per approfondire il concetto dei nuovi armamenti nella Prima guerra mondiale: la fila lunghissima di cadaveri morti per asfissia sul monte Sabotino nel 1916. Non si può certo dimenticare facilmente. Altre foto che funzionano (anche per la storia che nascondono) sono i pochi scatti rimasti di Robert Capa dello sbarco in Normandia. Oppure le foto di Erwitt dell’America razzista degli anni ’60. A ogni foto si può collegare un mondo, un episodio, una storia. E questa “storia” si può memorizzare meglio perché legata ad un potente stimolo visivo. Anche le foto dei dipinti funzionano. Il quarto stato di Pelizza Da Volpedo ha funzionato benissimo come volano per descrivere l’Italia della fine del secolo XIX.

Crediti copertina: wolfgangfoto

La valutazione che nutre, secondo la metodologia del WRW

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Sabina Minuto ci illustra come la valutazione degli studenti può trasformarsi in un importante momento di crescita.

Siamo al momento dell’anno in cui riempiamo i nostri registri on line di voti, proposte di voti, numeri. Siamo chiamati a espletare un momento difficile ma insito nel nostro lavoro: la valutazione. Scrivo qui qualche appunto su ciò che ho imparato in tanti anni di pratica del WRW.

La valutazione deve essere prima di tutto auto valutazione. Diversamente, non forniremo mai agli studenti strumenti per crescere. Dunque il primo passo è elaborare con loro una griglia o una rubrica di valutazione condivisa. E ogni percorso ha la sua, perché gli obiettivi da raggiungere non sono sempre gli stessi.

È faticoso, ma necessario. I ragazzi hanno diritto di sapere su cosa saranno valutati e in base a che cosa, prima di lavorare in laboratorio, e non solo dopo, a lavoro consegnato. Spesso le griglie sono appiccicate ai loro quaderni/taccuini e le riguardiamo anche prima della consegna finale. Cioè facciamo un lavoro di meta cognizione tramite una check list che fornisco io in fotocopia al momento della revisione testuale.

Un altro elemento che insegna la meta cognizione sul processo è il process paper, cioè la biografia del pezzo che viene consegnato perché l’insegnante lo valuti. Lo studente è guidato con domande apposite a raccontare come ha avuto luce quel testo, le difficoltà incontrate, quelle che sono a suo giudizio le parti migliori. È un approccio tipico della valutazione interpretativo narrativa, che mira a rendere consapevoli gli studenti ma anche i docenti di un processo di apprendimento.

La valutazione deve essere poi una valutazione di percorso, non una semplice media ottenuta da una somma di numeri. Sono anni che la pedagogia sottolinea questo elemento fondamentale, che del resto è pure presente nella legislazione ministeriale.

Tuttavia spesso è abbastanza scontato che questo non succeda. Chiunque ha esperienza di scuola lo sa benissimo. Spesso la valutazione avviene per semplice somma di numeri e divisione per numero delle prove. Forse questo aveva senso anni fa, in una scuola diversa, ma oggi non credo si possa valutare solo così. I numeri hanno certo un valore, ma dovrebbero corrispondere alle tappe di un percorso e di un progetto pensati per lo studente.

La valutazione dovrebbe dunque essere formativa e aiutare lo studente ad avere un’idea, prima di tutto, del “punto a cui si trova” e poi aiutarlo a progettare il suo ulteriore percorso. Non è come un’unica fotografia istantanea. Ma dovrebbe, a mio avviso, essere più simile a una successione di fotografie, uno scatto multiplo, su cui provare a ragionare con l’alunno stesso.

“La valutazione deve nutrire”, secondo i maestri del WRW. E deve anche premiare chi ha provato a mettersi in gioco e a correre rischi.

Nel mio laboratorio, proprio per dare importanza anche al percorso svolto dai ragazzi, valuto due volte a quadrimestre il laboratorio stesso. Condividiamo una griglia che tenga conto degli atteggiamenti e delle caratteristiche che denotano un buon “stare” nella nostra comunità di lettori e scrittori. In questo modo, possiamo equilibrare il rendimento delle prestazioni con la cura e il perseguimento di obiettivi di carattere diverso, più legati alla partecipazione e all’impegno.

La valutazione è sempre un momento importante del lavoro del docente, forse il più difficile. Credo che si debba provare a rifletterci in modo serio e cominciare anche a riconsiderare l’idea che, in fondo, i voti non sono indispensabili. Per insegnare (il che non è per forza legato al dover valutare in questo modo) potremmo benissimo farne a meno.

Crediti fotografia copertina: Thomas Galvez

Il giorno della memoria: un approccio WRW

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Sabina Minuto e il metodo WRW: ricordare in classe il giorno della memoria, costruendo insieme ai ragazzi strumenti di pensiero.

Il 27 gennaio, il giorno della memoria, è arrivato. Non l’ho mai considerato una ricorrenza. Qualcosa da celebrare in classe, anzi. Nemmeno per nobili fini, che tuttavia comprendo. Troppe volte tutto è finito in retorica e la ricaduta didattica è stata zero. Da alcuni anni poi ho come percepito la sensazione che stiamo sbagliando. Stiamo sbagliando tutto.

Altrimenti non si spiega come a distanza di anni da quando è stata istituita questa ricorrenza in Italia, in realtà, le ragioni profonde che dovrebbero farci inorridire di fronte a fenomeni simili non sono diventate patrimonio comune. Lo dimostrano ogni giorno fatti di cronaca noti o meno noti.

Una mia cara collega mi raccontava tempo addietro di come un suo alunno lo scorso anno abbia dimostrato insofferenza verso la visione dell’ennesimo film sui campi di sterminio. Ha detto che non ne poteva più di vedere e sentire ogni anno le stesse cose.

Ecco, questo per me è un segnale che i docenti dovrebbero cogliere.

Si rischia di ottenere con narrazioni ripetute e poco meditate questo effetto. Non è certo colpa dello studente. È colpa credo di come in questi anni abbiamo lavorato (forse male) su questo argomento.

In questa settimana di gennaio, in tutte le mie tre classi faremo un’immersione” in stile WRW. Unendo lettura e scrittura, italiano e storia, comprensione del testo e strategie argomentative.

Ecco alcune delle attività da fare in classe per il giorno della memoria
  • Lettura dei testi con cui alcuni miei alunni hanno vinto un concorso tre anni fa, usando come testo mentore anche l’albo illustrato “L’albero di Anne”. Si tratta di testi semplici ma incisivi. Storie di donne nei campi di sterminio e storie di oggetti di Anna Frank. Ci avvicineremo così all’argomento.
  • Lettura dell’albo illustrato “La storia di Erika” dove è evidente (anche nelle tavole) la dicotomia vita/morte.
  • Schema a Y e molte domande.
  • Nessun film quest’anno. Non ne posso più. Nemmeno foto dei campi. Se ne vedono troppe già in giro. L’abuso non aiuta. Invece filmato originale del processo Eichmann. Senza troppe parole di introduzione. Userò la routine suggerita dal testo Making thinking visible che sto studiando da un po’, STW: cioè guarda/pensa/fai domande o supposizioni in modo da rendere il pensiero degli studenti visibile e scritto su carta per step successivi.
  • Consegna di qualche estratto originale dal testo di Hannah Arendt “La banalità del male” e lavoro con la routine del sottolineare le tre frasi che: ti stupiscono, ti ricordano, ti fanno venire in mente una domanda.
  • Quick write su una frase scelta da quel testo.
  • Letture (brevi e scelte sul momento a seconda dell’umore della classe) dal libro della Segre e dal libro di Primo Levi “I sommersi e i salvati”.
  • Infine share time strutturato, dal titolo “La linea di confine”, ovvero: da che parte stiamo? Dove sta il male? Come è potuto succedere tutto ciò? (che nelle terze ci sta a pennello perché sto lavorando sul concetto di frontiera dall’inizio dell’anno). In quinta sarà esercizio di scrittura (3 paragrafi) per l’esame.

Sono pronta a imbattermi anche in affermazioni spiacevoli o immotivate, tipiche dei ragazzi che non sanno accettare sfumature o non conoscono a sufficienza cosa successe o hanno visto solo e sempre “La vita è bella” e “Il bambino con il pigiama a righe”. Bei film (a me non sono piaciuti ma non vuol dire) che però non costruiscono pensiero o almeno non bastano a costruirlo.

Io credo che dobbiamo alzare un po’ l’asticella e chiedere di più ai ragazzi. Credo che occorra farli pensare. E per farli pensare occorre costruire strumenti di pensiero.

So già quale sarà la connessione iniziale della mia ML sul processo Eichmann:

“L’11 aprile 1961 fu per il mondo una data storica. Non perché sono nata io, ma perché iniziò in Israele un processo che avrebbe cambiato per sempre la storia della Shoah e degli ebrei dello stato di Israele e del mondo”.

E poi via a leggere e a collegare lettura e scrittura. Perché, come sostengono anche studi recenti, scrivere da ciò che si legge o di ciò che si legge aiuta la comprensione. E noi, credo, proprio di comprendere abbiamo bisogno. O di rassegnarsi alla non comprensione come frutto però di un lavoro collettivo alla ricerca del significato condiviso in una comunità di persone che leggono e scrivono insieme.

Strategie didattiche del WRW: lo schema a Y

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Sabina Minuto ci racconta del metodo WRW e dello schema a Y: un organizzatore di pensiero e non solo.

“Lo studio di strategie letterarie e dei  componenti (del testo) non deve essere autoreferenziale e fine a se stesso, ma deve offrire un ulteriore supporto per la relazione fra la letteratura e chi legge. Il nostro obiettivo non è quello che gli studenti identifichino trama, personaggi…. ma piuttosto quello di aiutare i lettori a usare queste strutture letterarie per costruire interpretazioni approfondite e più ricche sui testi letterari che incontrano”.

(Frank Serafini “Lesson in comprehension” Heinemann 2004)

Qui sopra ho citato un passo da uno dei testi base per costruire  un laboratorio di lettura secondo il metodo del WRW. Ora leggete qui.

“Il gusto per la lettura resta un obiettivo primario dell’intero percorso di istruzione, da non compromettere attraverso una indebita e astratta insistenza sulle griglie interpretative e sugli aspetti metodologici, la cui acquisizione avverrà progressivamente lungo l’intero quinquennio, sempre a contatto con i testi e con i problemi concretamente sollevati dalla loro esegesi. A descrivere il panorama letterario saranno altri autori e testi, oltre a quelli esplicitamente menzionati, scelti in autonomia dal docente, in ragione dei percorsi che riterrà più proficuo mettere in particolare rilievo e della specificità dei singoli indirizzi liceali”.

(Indicazioni nazionali per i Licei . Licei! Avete letto bene!)

Non stiamo parlando o leggendo della stessa cosa? Non si sta forse sostenendo, negli stessi due testi, che la comprensione vera di un testo non è la semplice individuazione di elementi base, precostituiti da docenti o più spesso da antologie?

Che per scendere in profondità nella lettura e appropriarsi di strumenti di consapevolezza e comprensione non servono o non bastano “astratte griglie interpretative”?

Quante delle mie lezioni passate si basavano solo su questo! Ora il WRW ha cambiato del tutto il mio approccio anche all’insegnamento della letteratura. Ho imparato ad usare, fra i tanti, due strumenti importantissimi.

Di uno di questi, che oramai è molto conosciuto, vorrei parlare. Lo uso sempre. I miei studenti oramai lo conoscono a menadito. Anche nelle lezioni di storia ha trovato il suo spazio e lo uso in  pratica ogni volta che ho bisogno di farli pensare, cioè sempre. Si tratta dello schema a Y.

Gli statunitensi hanno un enorme pregio: sono concreti. Io lo trovo fantastico. Anche nelle loro lezioni, a scuola, non si perdono tanto in ciance, ma elaborano ed usano strumenti grafici di supporto al pensiero: i graphic organizers.

Lo schema a Y è uno di questi. È banale a pensarci bene. Visto a posteriori, dopo l’uso di anni, mi viene spesso da chiedermi perché io non ci abbia mai pensato prima. Perché, in fondo, cosa rende “ buona” una scelta didattica? La capacità di in-segnare a tutti in modo profondo, di essere incisiva, pratica, utile. Lo schema a Y fa tutto questo. In pratica serve a suddividere lo spazio del foglio in tre parti. In ognuna di esse poi si scrivono (annotano) tre elementi diversi: connessioni, impressioni, domande.

Ora, a pensarci bene, sono proprio le tre procedure mentali che il nostro cervello mette in atto durante una lettura profonda come ci dimostrano le neuroscienze ( vedi il fondamentale testo di Marianne Wolf “Lettore vieni a casa”).

In pratica mentre si legge ognuno di noi applica questi meccanismi di comprensione base: si fa domande, attua connessioni con la sua esperienza personale ( di vita e di lettore), rimane stupito o “impressionato” da alcuni passaggi, da alcuni vocaboli, da alcune sfumature o dettagli. Quello che conta, tuttavia, è esserne coscienti e saperne prendere nota e ragionare poi insieme con altri lettori nella comunità della classe. ( una vera, in questo caso, pungola comunità ermeneutica). Quello che conta dunque è anche insegnare davvero la meta cognizione.

Per esperienza so che all’inizio non è affatto semplice. Non a tutti riesce di annotare. Specie fra i miei studenti che sono poco allenati al pensiero astratto. Così, negli anni, ho modificato il mio modo di proporre lo schema a Y. Ora, inizialmente, lo propongo a tappe. Faccio tre ML singole per ogni “buco “ da riempire e modello su di me il loro lavoro. Uso moltissimo il “thinking aloud” (di cui parlerò in altro articolo) per mostrare loro come io procedo per completare il mio personale schema a Y. Una volta le domande (“dal testo o dalla testa”), una volta le connessioni (mondo/ io/ altri testi) una volta le impressioni che per lettori fragili sono sempre la parte più complessa.

Dopo anni di esperienza devo dire che questo approccio funziona. Certo non è una bacchetta magica. Ma quanta differenza con le mie astratte lezioni di una volta! Quanta più comprensione vera.

Il miracolo, chiamiamolo così, avviene quando lo schema diventa proprio di ogni alunno che lo rielabora in modo personale. Allora io posso vedere davvero la differenza: prima tutto passava sulle loro teste, inesorabilmente lontano e poco interessante. Ora invece anche gli studenti sono padroni della interpretazione di quello che leggono. Riescono a farsi domande sul testo da soli, a condividerne i risultati a discuterne. Riescono a scrivere dai testi riflessioni personali. Riescono a trovare tantissime connessioni.

Quando leggo ad alta voce lo schema a Y campeggia sui quaderni. Spesso le connessioni affiorano così potenti che i ragazzi stessi interrompono la lettura gridando: “Prof! Mi è venuta una connessione!”.

Allora ognuno di noi, comunità di lettori e scrittori, scrive per qualche minuto (tecnica del quick write) oppure semplicemente condivide ciò che ha pensato con la classe. È sempre un momento molto importante iniziare una discussione vera da un testo letterario.

Intendo con il vocabolo “vera”, una discussione frutto di pensiero originale non mediato dalle solite pagine studiate a memoria della storia della letteratura. Pagine che quando va bene sono ripetute sufficientemente a memoria, quando va male non sono nemmeno acquisite e ripetute perché non capite o estranee.

Ultimamente, ad esempio, sul canto III dell’Inferno di Dante le domande scaturite sono state moltissime. E anche le connessioni. “Perché Dante sviene?”. Oppure: “Perché Virgilio ha sempre il ruolo di difensore di Dante?”. O ancora: “Perché Caronte non ha l’aspetto di un diavolo tradizionale?”.
E via dicendo.

Le hanno fatte loro, queste domande. E ci hanno portato, ad esempio, a cercare sul telefono la foto dell’affresco del battistero di Firenze sul Giudizio Universale e a fare una piccola ricerca iconografica. Ci hanno suggerito anche altre connessioni con il nostro immaginario collettivo e non sulla figura del diavolo. Io non avevo pensato in precedenza ad approfondire questo aspetto. Sono i ragazzi che mi hanno guidato a farlo.

Insomma lo schema a Y è molto potente. È davvero uno strumento di pensiero efficace. Lo uso oramai anche in storia dopo la lettura ad alta voce e la visione di brevi video alla Lim. Lo uso in pratica sempre.

Ritornando a quanto scritto sopra, credo davvero di essere in linea con le indicazioni nazionali. C’è solo una piccola differenza: io non insegno in un liceo ma in un istituto professionale. Forse che i miei studenti hanno da invidiare qualcosa agli altri? O forse è che a loro la Divina Commedia non serve a nulla? Non credo proprio.

Basta allontanarsi da “astratte griglie interpretative”. Del resto io chiamo la mia scuola il Liceo del lavoro.

Crediti foto: Lubomir Simek

Catalizzatori di lettura: come e perché

in Attività di classe by
Sabina Minuto ci racconta il suo ultimo “Reading Workshop”: catalizzatori di lettura, strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi.

Con Sara Moretti e Teatro21 abbiamo vinto il bando Cepell Educare alla lettura. Il percorso pensato (incontri con autori, corsi per docenti, incontri con illustratori, teatro sociale) sta volgendo al termine. A Loreto il 23 novembre scorso c’è stato uno degli ultimi incontri, dedicato ai docenti, sul Reading Workshop.

Le linee guida del laboratorio sono state poche ma calibrate per dare ai docenti strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi. Troppo spesso infatti anche corsi di aggiornamento molto interessanti peccano nel non fornire ai docenti degli strumenti pratici e delle indicazioni concrete.

L’inizio è stato come sempre una pratica riflessiva comune su spunti teorici  da vari autori: Massimo Recalcati, Umberto Galimberti, Marielle Macé, Marianne Wolf, Bernard Friot.

Ci siamo interrogati su cosa voglia dire “insegnare a leggere”, individuando ciò che per esperienza non funziona e ciò che invece potrebbe funzionare.

L’origine innaturale dell’alfabetizzazione significa che i piccoli o grandi lettori non hanno un programma su base genetica per lo sviluppo delle connessioni cerebrali del cervello che legge. Tali circuiti sono plasmati e sviluppati da fattori naturali e ambientali incluso lo strumento attraverso il quale la lettura viene acquisita e si sviluppa.

Marianne Wolf (da “Lettore vieni a casa”) suggerisce profonde riflessioni per chi vuole avvicinare lettore e libro. Lo stesso strumento con cui io vorrei insegnare a leggere ai miei studenti è portatore di significato a prescindere e sortirà effetti positivi o negativi. Anche solo per essere quello strumento e non un altro.

Non basta infatti, anche nelle scuole superiori, mettere in mano ad un ragazzo un libro e dirgli: “leggi”. Non può bastare. Se le sue esperienze di lettura pregresse non hanno sortito effetto; se non hanno attivato alcuna mappa neuronale, ma anzi magari sono state fonte di frustrazione e fatica, quel ragazzo non leggerà mai. Ossia non diventerà un lettore per la vita ma semmai un lettore solo per la scuola o per il voto che l’insegnante assegna.

Noi invece come docenti dovremmo procurare agli studenti altre esperienze di lettura che nutrano e facciano crescere lettori autonomi e consapevoli. Lettori in grado di scegliere quale libro leggere e di utilizzare strumenti di comprensione profonda cioè quello che nel Reading Workshop si chiama Deep Reading.

La comprensione, infatti, è sempre un processo e non un prodotto: non deve essere considerata un qualcosa che si ottiene quando si finisce di leggere. La comprensione è un processo. Cioè un’attività che viene esercitata sempre mentre si legge e deve essere supportata e sostenuta in classe.

Nella seconda parte, dunque, ci siamo chiesti soprattutto come fare, non solo cosa.

L’obiettivo è stato attraversare i sette elementi della lettura attiva attraverso organizzatori grafici del pensiero.

I sette punti sono: predire, visualizzare, inferire, identificare, fare domande, connettersi e valutare.

Per ognuno di questi abbiamo visto, e applicato ad un incipit di racconto, letto da me ad alta voce, degli organizzatori grafici di pensiero. Gli organizzatori grafici si sono rivelati interessanti anche per gli adulti lettori esperti.

Al livello visualizzare, ad esempio, abbiamo sperimentato come anche il disegno sia un modo per entrare profondamente nella comprensione di un testo. Se il lettore riesce a visualizzare una parte del testo che ha letto o gli viene letto, riferirlo agli altri con parole o disegni, applicare su questa attività meta cognizione, la comprensione risulterà supportata e quindi più facilmente assunta come propria.

In pratica si impara a leggere, come dice Aidan Chambers, da adulti che leggono (“Il lettore infinito”); ma anche da adulti che esplicitano ad alta voce e con il loro personale esempio il processo che avviene nella mente del lettore in un determinato momento.

In ultimo, ma non per importanza, ci siamo concentrati sugli albi illustrati come attivatori di lettura e di scrittura per tutte le età.

Divisi in gruppo abbiamo lavorato su un singolo albo fra quelli a disposizione seguendo una scheda preparata in precedenza. La scheda era semplice, ma poteva fornire spunti interessanti per collegare il  leggere allo scrivere e per usare gli albi in classe come inizio di percorsi di lettura tematici o di genere. Le quattro attività proposte sono state svolte con entusiasmo dai docenti perché cimentarsi in una didattica che produce idee e si confronta con quelle degli altri è sempre entusiasmante.

Credo che l’incontro abbia avuto una certa ricaduta sui colleghi, almeno abbia dato loro idee su cui ancora lavorare e ancora riflettere.

Non c’è mai nulla di acquisito per sempre nell’insegnare come nel leggere. Come afferma Frank Serafini (“Around the Reading Workshop in 180 Days: A Month-by-Month Guide to Effective Instruction”) infatti la domanda giusta dalla quale partire non è solo “Come insegnare a leggere”, ma più esattamente “Quali tipi di lettori vogliamo creare e supportare?”.

E solo dopo che avremo descritto i tipi di lettori che vogliamo che i nostri alunni diventino allora il Reading Workshop potrebbe essere considerato uno dei modi più efficaci  di insegnare la lettura. Così come pensando a quale tipo di insegnanti di lettura vorremmo  essere, potremo davvero diventare incisivi all’interno delle nostre classi.

I “Promessi Sposi”: un approccio WRW al romanzo di Manzoni

in Attività di classe by

Sabina Minuto ci racconta alcuni metodi per approcciare in classe i “Promessi Sposi” di Manzoni.

C’è un romanzo che io non amo affatto: “I Promessi Sposi” di Manzoni. Credo me lo abbia fatto odiare la scuola. L’ho sempre letto per obbligo.
Pur gustandomi alcune parti in seguito, da adulta, non sono mai riuscita ad apprezzarlo davvero. Questo però non influisce affatto sulla mie scelte didattiche. Mi sono spesso chiesta: è necessario farlo conoscere? Farlo leggere? E in che grado di scuola? Anche alle medie o solo al biennio? La mia risposta è sì. È necessario. Mi sembrerebbe di togliere ai ragazzi qualcosa che poi rischiano di non ritrovare mai più.

Certo i modi con cui proporlo sono tanti e multiformi: un modo per ogni classe, sempre diverso, sempre adattabile ad alunni diversi per età e per ordine di scuola.

Se c’è una cosa che ho imparato nella mia pratica laboratoriale del WRW è che la lezione perfetta per tutti non esiste. Non esiste nemmeno il percorso perfetto. Nessuna didattica laboratoriale che si rispetti è monolitica: cambiano gli studenti e così cambiano gli approcci.
La metodologia tiene, è solida,  proprio perché ha una forte cornice che la sostiene. Al suo interno le vie da seguire sono invece molteplici.
E adattabili e perfettibili sempre.

Per questo il WRW non richiede in fondo l’uso di nessuna antologia. Ognuno imposta la didattica con le proprie mini lezioni e con i testi mentore che ritiene utili ogni volta come esemplificativi. Ed è libero di apportare ogni variazione possibile, ogni sostituzione di brani con altri brani sia in lettura che in scrittura.

Anche per i “Promessi Sposi” vale la medesima riflessione. Di anno in anno, dalle medie al biennio, ho trovato linee di percorsi diversi utilizzando il romanzo di Manzoni come testo mentore per la scrittura e per la lettura.

Due esempi.

Manzoni in scrittura è stato oggetto di ricalco. Abbiamo preso “l’addio ai monti”, l’abbiamo analizzato, fatto nostro e riscritto. Ognuno ha fatto il suo addio al suo luogo del cuore. Utilizzando in sostanza lo scheletro di Manzoni, ma sostituendo le parole di Lucia con le proprie. Ecco che Alessandro diventa maestro di scrittura anche in una classe della scuola media.

La storia di Gertrude è diventata nel biennio spunto di un testo argomentativo sotto forma di lettera. Abbiamo elaborato una risposta al padre della sventurata, trasportando la storia nella contemporaneità.

Ognuno a suo modo ha provato ad elaborare una breve argomentazione a sostegno della propria tesi: non voglio obbedire a un ordine che mi distruggerà la vita. In questo modo, utilizzando varie ML sulla struttura del testo in oggetto,  Manzoni è diventato da un lato oggetto di studio, dall’altro motivo di riflessione. “Io, Gertrude” era il titolo del lavoro elaborato in una classe tutta maschile.

Se passiamo al Reading invece i percorsi da fare all’interno del romanzo sono molteplici. Io ne ho sperimentato uno in particolare quello della scelta.

Molti personaggi scelgono nel testo. Per svariati motivi e in situazioni diverse. La scelta è in realtà uno dei motori di questa storia come di tutte le storie. Analizzarne i contorni è stato oggetto di studio e di svariate mini lezioni di deep reading (lettura in profondità).

Insegnare la comprensione vera di un testo, negoziando significato e non porgendone uno precostituito è fondamentale. Chi sceglie in questo romanzo? Don Abbondio ovviamente. Don Rodrigo. Fra Cristoforo. Gertrude. Renzo a Milano. Tutti scelgono in certe occasioni condizionati o meno, liberamente o meno. La costruzione dei personaggi in Manzoni sembra un meccanismo da orologio svizzero e per insegnare alcune tecniche di analisi  testuale il testo funziona benissimo. Persino gli studenti del biennio del professionale hanno colto la potenza di certe descrizioni o di certi dialoghi.

Ho usato anche per i “Promessi Sposi” la tecnica “Notice and Note” che prevede l’uso di “segna posto speciali” per riconoscere certe caratteristiche testuali ricorrenti. Funziona anche questa.

Lo so. Molti  si chiederanno dove rimangono  la storia della letteratura, di Manzoni, la sua biografia, il contesto. Ci sono. Solo sono scoperte. Non sono significati dati a priori da un prof o da un testo. Sono continue messe a punto dei ragazzi con l’aiuto di ricerche sul web e di brevi mini lezioni ad hoc. Come dice Recalcati noi siamo fatti di parole come i libri.

Anche quel monumento dei Promessi Sposi funziona allo stesso modo. Se riusciamo a costruire uno scambio tra noi e il testo in modo che il testo cambi noi e noi cambiamo un poco il  testo ogni volta che lo leggiamo, il gioco è fatto. Credo che ritrovando “ la gioia di leggere al di là di astratte griglie interpretative” potremo rendere anche al nostro Alessandro un buon servizio.

( indovinare da dove è tratta l’ultima citazione”)

Inchiesta su Dante: la Divina Commedia al professionale

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Sabina Minuto porta Dante e la Divina Commedia nella sua terza meccanici all’Ipsia di Savona. Ecco come sta procedendo…

In terza meccanici e nella mia nuova terza di manutentori elettrici ( con più circospezione essendo poco conosciuta) ho iniziato il mio percorso su Dante. Le prime domande che mi sono posta prima di partire sono state: perché penso che i miei studenti debbano leggere Dante? Cosa voglio ottenere? Da dove partiamo? Credo che Dante sia una lettura per tutti e di tutti (come direbbe Munari). É per tutti perché a nessuno può essere negato almeno l’avvicinarsi al poema, alla sua potenza espressiva. Dante ci parla ancora oggi come nel XIV secolo parlava ai suoi concittadini, contemporanei, amici e anche nemici. É anche DI tutti Dante. Ossia un’opera che costruisce valori comuni, contiene moltissime parole della lingua italiana di oggi, é stata già dall’inizio un best seller, un’opera letta, commentata, studiata, diffusa. Dante quindi deve arrivare anche da noi, nel mio istituto professionale.

E come ci deve arrivare? Come fa dire Salinger al suo Giovane Holden: Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.. Per me la letteratura (tramite il WRW) è questo: leggere come esperienza di vita, come diceva Rodari. Se no non è. Questo non vuol dire non costruire contesto, ma scoprirlo se mai insieme agli studenti con un percorso inchiesta. In più ho deciso anche un percorso a tema: tratteremo quest’anno tutta la letteratura per indagare il valore e i significati del termine “frontiera. Dante avrà molto da dirci su questo. Ne sono sicura. Quindi siamo partiti.

L’inchiesta è iniziata con la raccolta degli indizi: tutto quello che so su Dante. Ho usato un brainstorming alla lavagna e la tabella KWL (cosa conosco, cosa vorrei sapere, cosa ho imparato) completata in divenire. Gli studenti sanno molte cose di Dante. Alcune precise, altre confuse.Ho lottato sulla datazione costruendo poi con loro una linea del tempo dove abbiamo calcolato quanti anni ci separano da lui e collocato i tre grandi del ‘300. Ho usato una minilesson inchiesta: nel tempo frontale ho impostato la traccia delle domande a cui trovare risposta. Poi nel tempo individuale ho lavorato a coppie con il cellulare per cercare risposte. Li ho lasciati abbastanza liberi di andare per tentativi. Sono stati bravi. Nella condivisione finale hanno esposto le loro evidenze.

Quindi abbiamo interrogato alcuni testimoni: ho fornito loro testimonianze di Boccaccio (testimone oculare) e di Roberto Benigni. Abbiamo anche interrogato un ritratto di Dante e osservato la sua tomba a Ravenna. Qui ci é stato utile lo schema a Y: trovare connessioni, impressioni, domande è fondamentale. Tutto è stato registrato sul quaderno taccuino. A questo punto ho introdotto una nuova e diversa forma di testimonianza: il video. Come in tutte le inchieste avevamo un filmato. Certo non dell’epoca. Fra i tanti ho scelto quelli della Divina Commedia in HD che trovo completi e facili, disponibili su YouTube. Hanno anche bellissime illustrazioni dell’epoca o posteriori . L’idea infatti é di lavorare molto sulle fonti iconografiche perché per i miei studenti vedere è imparare.

Ricostruito un contesto di domande e risposte ci siamo soffermati molto sull’esilio e sui problemi di Dante politico. Ai ragazzi interessava capire perché non fosse mai tornato a Firenze. É arrivato poi il momento di addentrarci nel testo: tutto il canto primo è stato letto da me ad alta voce. Non credevo, ma erano interessati. Si è aperto ai loro occhi e ai loro orecchi (vedere con le orecchie come dice Friot) un mondo intero: l’abisso dell’Inferno. La lettura é sempre stata mediata da me con grande negoziazione dei significati. Ci siamo soffermati sulle fiere, la selva, il colle: la spiegazione dell’allegoria è nata naturalmente. Ci sono arrivati da soli.
Ognuno poi ha deciso quale peccato rappresenta invece per lui la fiera in oggetto

Abbiamo steso un quickwrite partendo dalla presentazione di Virgilio: presentiamoci come Dante presenta il suo maestro: senza nominarlo.
Il tema del percorso sulla frontiera si sta delineando in pratica da solo: Virgilio è morto? Sì. Dove lo colloca Dante? Nell’inferno. Ma lo chiama maestro e autore, lo stima, lo considera un modello. Perché allora? Dove passa la sua linea di frontiera fra il giusto e l’ingiusto? È venuta automatica la connessione con il racconto di FabioGedaLa cosa giusta” (contenuto in “La fuga” ed. Il Castoro) letto infatti come preparazione e avvicinamento.

Adesso stiamo preparando lo speach: in un tempo di tre o cinque minuti ognuno di loro mi deve presentare quello che sa e vuole dirmi di Dante. Scopo: convincermi che sa molte cose, tutto se possibile ciò che abbiamo fatto. Appronteremo insieme una griglia di valutazione. Proprio oggi abbiamo steso una tabella fatta da loro con i punti salienti da toccare. Io ho solo chiesto di evitare inizi banali e libreschi. Mi devono interessare all’argomento non annoiare. Il resto sarà affar loro. Ho fatto per prima io il mio (modeling) e ne farò un altro diverso. Loro nel tempo di lavoro indipendente si eserciteranno a coppie

È un lavoro duro per i miei studenti a cui spesso difetta non lo studio, ma lo strumento per esprimersi. Lo troveranno piano piano. Intanto oggi, come laboratorio di scrittura, ognuno ha scelto quale secondo lui è il peccato più grave e illustrato perché. Cinque minuti di scrittura veloce ma molto intensa. La falsità impera. Nessuno sopporta il non essere sincero di qualcuno. Il tradimento anche, specie degli amici. Ecco qui. Il nostro Dante è planato in 3 B meccanici ed elettrici. Ancora parecchia strada c’è da fare. Ma abbiamo iniziato l’inchiesta e non la lasceremo a metà.

Tre albi per un nuovo inizio

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Sabina Minuto racconta il percorso svolto in classe per lavorare sul testo autobiografico in prosa.

I percorsi di inizio anno sono sempre importanti. Stabiliscono il clima della classe, lo creano. Io spesso mi ritrovo con tanti studenti nuovi in una classe già conosciuta. Impiego le prime settimane per ricreare il gruppo, rimodellare equilibri, capire chi ho davanti. Lo scorso anno ho messo in atto una bella esperienza. Bella No. Parola abusata. Diciamo utile e anche piacevole. Come sempre i miei percorsi nell’ambito del WRW partono dagli albi. Ne abbiamo letti tre per lavorare sul testo autobiografico in prosa. Una sfida grande per i ragazzi. Oltre l’incubo della banalità c’è pure l’incubo della forma che incombe. Ma io sono convinta che se impari strategie e tecniche scrivendo di ció che ti sta a cuore le stesse strategie potrai usarle per sempre. I pilastri non cambiano.

Quindi per ritornare al percorso ho usato:

Vetro di Silvia Vecchini

Il Nuotatore di Paolo Cognetti

Nel buio di Nicola Barca e Michela Baso.

Perché li ho scelti: per la potenza evocativa delle immagini, delle storie, delle parole. Ognuno a modo suo ha saputo guidarci alla ricerca del dentro di noi che ci aiuta a scrivere. Come ho imparato ad Anghiari il praticare ascolto pensoso fa i miracoli. Ascolto pensoso di testi scritti da altri, siano autori siano compagni. Ho scritto anche io ovviamente insieme a loro e sempre ho condiviso. Che concetto potente ascolto pensoso! Non c’è nel WRW. Ma nella settimana dell’autobiografia alla LUA ho imparato tanto e non sono una che si ferma ad una metodologia sola. Amo il mondo meticciato come dice il mio amico ivoriano Ben e anche la didattica meticciata,dunque.

Ho letto gli albi come sempre, in circolo, negoziando significato ad ogni pagina. Ogni studente annotava sul quaderno a fine lettura impressioni, connessioni, domande (schema a Y). Ci siamo soffermati sulle domande chi siamo? Siamo grandi? Quando siamo diventati grandi? E sulle domande: è stata una scelta a farci crescere? Quale scelta? In quale punto della vita siamo? Stiamo cambiando? Chi ci aiuta a cambiare?

Le immagini degli albi sono molto evocative e quindi le abbiamo usate per brevi quick write e per generare attivatori anche grafici. Nel Nuotatore c’è un tuffo reale ma metaforico. Abbiamo disegnato anche il nostro tuffo reale o metaforico, ad esempio. Abbiamo raccolto per circa due settimane molto materiale su cui scrivere. Ho anche letto loro alcuni brani tratti dal testo di autori vari “ La prima volta”. Soprattutto per avere Mentor text sui tipi di incipit diversi. Nel testo della Vecchini c’è una ragazzina che scrive una cartolina a se stessa per ricordarsi come è in quel momento, non sapendo come diventerà. Abbiamo fatto così anche noi. Ho fatto io con il pc una sorta di cartolina postale e ognuno l’ha scritta e imbucata nella nostra buca delle lettere che già dallo scorso anno è in classe.

L’abbiamo poi aperta l’ultimo giorno di scuola. Chi ha voluto ha letto. Molti hanno preferito di no. Decisione che io sempre rispetto, ovviamente. Il primo giorno come da testo della Vecchini, ho consegnato loro un vetrino che ho raccolto al mare. Per me cosa facilissima, non faccio che raccogliere pietre al mare. Se lo sono messi nell’astuccio o in cartella. Qualcuno in una tasca particolare. Uno per ciascuno. L’anno prima era un bullone, più prosaico. Abbiamo osservato e scritto cosa voglia dire vedere distorto. Guardare attraverso un vetro semi opaco se stessi o il mondo che sta fuori. Tutto è finito ovviamente nel taccuino/ quaderno ( chiamarlo taccuino da noi è dura!) .

Quando abbiamo iniziato a lavorare sul percorso per la consegna del primo pezzo tutto avevano molti argomenti o appunti da usare e su cui riflettere. “La scelta” è stata molto gettonata, ma anche i ricordi legati alle cose (avevamo fatto anche un attivatore grafico: la scatola delle cose piccole). Vi regalo un incipit che in me ha lasciato il segno. Lo lasciamo anonimo. “Anche se so che se mi vedessi ora, con la sigaretta, ti arrabbieresti, e non saresti felice di me, penso che questo sia uno dei i pochi modi concessi per farmi vedere che sei qui con me, anche se non ti vedo, anche se non ti sento. Osservo attentamente la sigaretta che si consuma, il fumo che allontanandosi delicatamente da essa danza nell’aria, fino a svanire. Io mi immagino che sei tu con il dito che come una direttrice d’orchestra, accompagni il fumo e i suoi spostamenti proprio per farmi capire che riesci ancora a sentirmi. E scrivo questo anche per fare in modo che tu lo veda, perché so che a parole non potrai mai rispondermi, mentre a piccoli gesti sì e appunto ti chiedo di continuare, continua a far danzare il fumo nella stanza, che se io vedo te, tu di sicuro leggerai QUI.”

Siamo, eravamo in seconda professionale. É inutile dire che io amo profondamente i miei studenti per quello che sono e che mi danno.

Se Invalsi non dialoga con la scuola che competenze valuta?

in Scuola by
I test Invalsi mettono in luce il cortocircuito didattico di un mondo docente in confusione tra il “saper fare” e il “sapere”

Vanessa Roghi in un recente articolo (Il Manifesto, 20 luglio) ha messo in luce quanto la cosiddetta fotografia dei test dell’Invalsi che mette sotto analisi la scuola italiana del 2019 sia in realtà appunto una fotografia e come tale non affatto asettica, ma assumente sempre un punto di vista, un’ottica particolare. La fotografia non è mai oggettiva. Nemmeno è il caso di dirlo. La fotografia usa parametri impostati in precedenza: anche Invalsi lo fa. I dati che ne escono quindi sono i dati raccolti in quella prospettiva. Cioè dati che danno un risultato di un certo tipo: ragazzi che non leggono e non comprendono. Meglio al Nord, ma insomma male un po’ ovunque (perfino a Bolzano).

Io non sono fanatica dei test anzi non mi piacciono per nulla. Ma lo Stato che è il mio datore di lavoro mi chiede di farli e io li faccio fare. Tuttavia non preparo gli studenti. Non li addestro. Lo stesso Invalsi raccomanda di non farlo. Molti istituti hanno questa ansia di miglioramento del rendimento e molti DS anche. Io no e nemmeno il mio Istituto.C’è peró una considerazione da fare.

Invalsi dice da anni di valutare competenze. Cioè in pratica cosa sanno fare con le conoscenze acquisite i ragazzi. Non cosa sanno. Invece, per quello che io vedo nella mia piccola prospettiva, nella stragrande maggioranza dei casi, si lavora e si insegnano contenuti e conoscenze. E qui dunque occorre fare una scelta: o si leggono bene le Indicazioni per il curricolo e le Linee guida degli istituti Superiori, si aggiornano i docenti su cosa sia lavorare per competenze, o, come pare, se nessuno lo vuole fare e si crede non sia utile (così dicono i colleghi) si lasci tutto com’è e non si propinino più i test.

Nella mia seconda superiore i ragazzi li hanno affrontati prima di tutto con serenità e serietà, il che non è scontato. Si sono messi davanti ai pc (lascio perdere tutte le difficoltà organizzative) e poi hanno fatto il loro. Non hanno avuto grosse difficoltà nella comprensione: eppure quasi il 60 per cento dei miei alunni non è italiano. Sarà perché da due anni leggiamo tanto ad alta voce? Perché negoziamo significati, ci fermiamo sui vocaboli, ragioniamo di idee? Non so. Io so che lavorando così i ragazzi traggono piacere dal leggere. Più leggono più imparano strategie di comprensione. Perché diciamolo ma come si insegna la comprensione di un testo? Questa è la domanda delle domande. Non certo con gli esercizi delle antologie, di questo sono sicura. Dove la comprensione è predefinita quindi fasulla. È già data per scontata la risposta giusta! Quindi non eserciti capacità di comprensione personale, caso mai ti destreggi nell’indovinare quella presunta da altri.

La comprensione di un testo si impara comprendendo. Cioè mettendo in atto strategie precise che io cerco di insegnare o meglio di far “vedere” perché loro le applichino poi da soli. Prevedere , visualizzare , fare domande al testo, fare inferenze, ripetere, riassumere, monitorare la propria comprensione sono alcuni dei passi che facciamo insieme. Questo non puoi impararlo né leggendo brani da solo su una antologia e facendo relativi esercizi, né ascoltando la spiegazione di un docente, anche bravissimo, né ripetendo i contenuti per una interrogazione. Ma questa è la scuola italiana ancora oggi. La maggioranza dei docenti lavora così ed è convinta che sia corretto e giusto. Io non discuto, Forse lo sarà. Allora però, se ciò è vero, (e magari lo è, puó darsi) sarebbe meglio non fare più i test Invalsi. Perché questi “fotografano “ altro. Non dico di meglio o di peggio. Altro. Sarebbe meglio dirci a chiare lettere che Invalsi deve cambiare rotta, oppure iniziare da zero una applicazione realistica di un insegnamento per competenze.

Sono stata invitata a parlare a Roma al convegno Invalsi in ottobre. Ho percepito interesse per una didattica diversa e nuova. Invalsi sa bene che deve farsi una mossa. Mi hanno pure fatto più di una intervista telefonica. Non so se mai sarà resa nota. In ogni caso la loro visione a me è apparsa chiara. Stanno cercando di modulare i test (e si vede negli ultimi anni) sulle competenze vere. Il problema che Invalsi è Invalsi. Un’agenzia esterna al ministero. Sembra infatti che non si parlino. Forse dovrebbero iniziare a farlo. Ma una proposta similare comporterebbe la rifondazione di tutta una didattica convalidata da anni di “abbiamo sempre fatto così”. Il che in effetti mi sembra davvero durissimo.

Credits immagine: https://photogrist.com/dreamlike-louis-kellner/

Report da Mare di Libri, il festival che ogni docente dovrebbe conoscere

in Letture in classe by
La prima volta di Sabina Minuto: per formare una biblioteca di classe, per informarsi sulle ultime uscite, per incontrare autori e ascoltare gli adolescenti, Mare di Libri, a Rimini , è davvero imperdibile.

Non ero mai stata (per motivi scolastici) a Mare di libri, il festival dei ragazzi che leggono, in programma quest’anno dal 14 al 16 giugno 2019. Quest’anno non ho voluto perderlo. Vuoi per motivi personali di dolore profondo, vuoi perché sono dannatamente curiosa, vuoi perché era quasi necessario per me esserci credo di avere fatto la scelta giusta. È stata una esperienza esaltante. Cercherò di darne la mia piccola visione personale.

La parte straordinaria sono i ragazzi, tutti. La loro serietà quasi mette noi adulti in soggezione. Lavorano a turno in modo composto e professionale. Si preparano, sono puntuali, sono precisi. Ma tutto è in effetti eccezionale a Rimini in quei giorni. L’atmosfera è quella di una festa, non di una fiera per addetti ai lavori o per editori. Al centro ci sono i libri e il loro essere letti e criticati da lettori adolescenti. Non c’è una occasione migliore per avvicinarsi a nuovi testi, fare incetta di titoli, chiacchiere con autori che raramente trovi tutti radunati nello stesso luogo. Lí invece, vagando per il centro storico, li trovi disseminati in orari diversi, in contesti diversi, disposti a fare dichiarazioni e a firmare il loro libro. Se ti devi formare una biblioteca di classe o se vuoi informarti sulle ultime uscite devi essere a giugno in quel luogo.

Antonio Dikele Di Stefano al cinema Fulgor, Mare di Libri 2019

Cosa ho apprezzato di più? Sono rimasta profondamente colpita da Antonio Dikele Di Stefano. Conoscevo il suo libro “Non ho mai avuto la mia età“, Mondadori, ma l’ho comprato di nuovo per regalarlo a mio figlio, con autografo. Sí perché quando ha affermato che lui, da scrittore, “fa la sua piccola parte di rivoluzione scrivendo non solo scendendo in piazza” ( cosa che non ha fatto) mi ha reso chiaro ciò che ho sempre chiamato “fare la piccola differenza”. Ognuno al suo posto, dignitosamente, con gli strumenti che gli sono congeniali. I suoi sono pure i miei: i libri. Il suo ha pure vinto il premio finale. Ci speravo perché è potente. Non è un libro a tema. Non è un libro scritto per i giovani ma scritto da un giovane. Da quel giovane, con quella storia. Niente narrativa scontata, emerge il pensiero del protagonista (Zero) con una semplicità ma anche forza sorprendente. Lui, Antonio è sorprendente, quando dichiara di non essere scrittore, di non avere ancora imparato. Come tutti noi che sempre ci arrabattiamo per migliorare, migliorarci.

“Il razzismo viene dal potere”’ ha detto. L’ho scritto sul mio taccuino perché ci voglio riflettere con i ragazzi di quinta il prossimo anno. Non dall’ignoranza, come molti dicono, dal potere.

Poi ho scoperto una voce che non avevo mai udito e mi si è aperto un mondo, che io amo in particolare: lei è Isabella Leardini, il mondo è quello della poesia. Ho già letto due volte il suo libro appena acquistato “Una stagione d’aria” (Donzelli editore). Più lo leggo, più ci trovo me stessa. Forse succederà lo stesso ai ragazzi? Io ho fiducia nella poesia in mano agli adolescenti. So che può fare miracoli . Arriva molto di più al cuore dei ragazzi e in questo Isabella è stata maestra. “La poesia nasce dal segreto” ha detto. E chi di noi non ne ha uno? Isabella cura laboratori di poesia nelle scuole superiori. Ho già provato a prenotarla per il prossimo anno. Voglio che i miei ragazzi di terza incontrino lei e la sua fede nella parola.

Loro non sanno che la parola ha tanto potere, perfino quello di chiarire te a te stesso. O meglio lo intuiscono, ma devono saperlo di più, per farne uno strumento del loro percorso personale di crescita. Le parole, se le trovi in altri o in te, ti salvano la vita.

Poi ho di nuovo sentito parlare Gabriele Clima. Dici di nuovo perché mi onora della sua amicizia ed è venuto nella mia classe. La gentilezza che lo contraddistingue emerge perfino quando parla di un romanzo così forte come “La stanza del Lupo” (San Paolo). I miei studenti lo hanno amato. Nico era sempre qualcuno di loro, ogni volta che leggevamo. Le connessioni personali e con il mondo non si contavano. Le domande scaturivano originali sui personaggi e sulle loro scelte.

Perché un buon libro per i ragazzi a mio avviso deve lasciare domande e non fornire troppe risposte. Deve essere profondo ma gentile, scavare senza fare troppo male come da fare Gabriele.

Infine, ma non per ordine di importanza, vorrei ricordare Carlo Greppi. È uno storico prestato alla scrittura. Ha presentato con le domande dei ragazzi due suoi libri “Bruciare la frontiera” e “Non restare indietro” (Feltrinelli) che ho letto. È vero sono libri a tema, ma. Ma sono ben scritti. Del resto Grepppi è uno storico con una visione personale della storia. Ne ha parlato a Rimini. La sua visione della “storia piena di storie” di tante persone e non di date a me piace molto. Collegare avvenimenti e riflessioni importanti a vicende personali e umane inventate dall’autore può essere una chiave per discuterne in classe. Specie con alunni non lettori forti come i miei. Credo che in quinta, per l’anno prossimo, sceglierò uno di questi libri da leggere ad alta voce. Perché ciò mi permetterà di far godere di una storia, di una narrazione ma anche di introdurre avvenimenti e concetti storici importanti. Ad esempio il senso della parola “frontiera”. Cosa è per noi? Per chi esce? E per chi vuole invece entrare? Greppi ha messo insieme due storie diverse con due punti di vista diversi. Nella mia classe penso che la discussione sarebbe interessante e produttiva.

Per finire: sono davvero contenta. Sono rientrata “piena” come dai “viaggi”, non dalle vacanze, come mi piace dire quando parto e quando torno. “ Mare di libri” è un viaggio. Una esperienza.

Nuova maturità: in classe, immaginando un orale possibile

in Scuola by
Sabina Minuto all’Ipsia di Savona ha lavorato quasi solo con il metodo WRW e i suoi studenti affrontano la maturità. Le sue speranze, i suoi timori

Il 19 Giugno iniziano gli esami di maturità. È anche il mio esame, in fondo. Per la prima volta affronto un impegno così oneroso avendo lavorato quasi solo con il metodo del Writing Reading Workshop. Non è l’anno buono? O lo è? Tutte queste novità dell’ultimo secondo (oserei dire) sono un’opportunità per noi o una condanna? Che cosa temo? In cosa invece confido? Andiamo con ordine. Cambiare in corsa non è mai bello. Cambiare in corsa senza idee chiare è difficile. Cambiare in corsa senza ancora avere avuto al 30 maggio indicazioni certe sull’orale dei ragazzi (nemmeno l’USR ce le ha date) è una pazzia.

Detto questo io per natura sono per trovare soluzioni non per esasperare problemi che, in ogni modo, non ho creato io.

Quindi non mi sono mai disperata ma rimboccata le maniche. Questo nuovo esame a me (che cerco di lavorare su competenze non su presunti programmi) non dispiace. Anzi. Obietto solo che forse sarebbe stato il caso di prendere tempi più distesi e spiegarlo per bene a noi docenti in primis, e ai ragazzi. In secondo luogo ci sono incongruenze che vanno sanate e a cui credo dovrebbe mettere mano la singola commissione d’esame nella sua autorevolezza.

Cosa ho dunque fatto? È da settembre che in realtà io lavoro sulle immagini. In storia davvero funziona. Ci abbiamo pensato io e Grazia Amoruso di Bisceglie costruendo insieme percorsi e mini lessons per avvicinarli alla lettura e alla scrittura con un metodo che se non è WRW, poco ci manca.

Abbiamo cercato di dare ai ragazzi conoscenze fattive che diventino cultura condivisa e costruiscano pensiero

Abbiamo scritto tanto in classe: potenziando la fluency e lavorando per strategie, simulando sia io che gli studenti testi modello a cui fare riferimento. Questo lavoro ha cambiato davvero il modo di scrivere dei ragazzi. L’uso di testi mentore per me è davvero un grande punto di svolta. Analizzare, smontare, riscrivere è un modo per fare proprio e riprodurre. Le immagini rappresentano, per i nostri alunni con così tanti problemi nell’esposizione orale, un buon punto d’appoggio.

Avendo poi scoperto la questione delle tre buste mi sembrava di essere stata previdente. Ma qui tutto si è complicato: cosa ci debba stare dentro le buste nessuno credo lo abbia tanto chiaro. La norma è stata interpretata così tante volte in modi diversi che mi sono sentita persa. Non ho voluto agitare i ragazzi più del dovuto e quindi è da un po’ che cerchiamo di immaginarci un orale possibile. Io non credo che debbano “sapere tutto” come dicono i colleghi. Credo che debbano orientarsi usando competenze acquisite. In realtà questo orale dovrebbe addirittura semplificate non rendere difficoltoso il percorso.

Ma c’è un enorme problema: è un orale che dà per scontate le competenze o meglio che tutti abbiamo lavorato così. Non è vero. Vuoi per affezione a didattiche tradizionali, vuoi per tipologie di discipline, vuoi per altri miliardi di motivi così non è. Io me ne accorgo in questi giorni: nelle simulazioni i ragazzi fanno molta fatica. pensano anche in modo profondo ma poi magari non sanno del tutto i contenuti. Fanno connessioni interessanti e sanno farsi domande, ma cadono se si arriva al nozionismo.

Chi interrogherà i ragazzi quest’anno avrà un bel dubbio da discernere: COME? Il mio dirigente ci ha più volte spiegato che non si devono fare domande disciplinari (!) ma solo invitare a creare collegamenti. Lo studente si muoverà da solo per dimostrare davvero la sua maturità. Sarà fattibile? Non lo so. Io non sono preoccupata in effetti. So come ho lavorato. Ancora oggi abbiamo fatto l’ipotesi di trovarci di fronte alla foto del muro di Berlino e da lì i ragazzi hanno argomentato arrivando a Trump, i muri metaforici e fisici, i limiti, e altre idee interessanti. Basterà? Non lo so. Davvero non lo so. Credo non lo sappia nessuno.

Di una cosa sono sicura: io ho lavorato per l’esame ma a mio modo. E il mio modo implica l’insegnare ad annotare sempre nello schema a Y: impressioni, connessioni, domande. Sempre. Vedremo i risultati. So che sarà durissima. Che ci saranno sorprese anche negative. Rimpiango tanto di non aver avuto più tempo. Per il resto aspetto a vedere prima di dare un giudizio. E intanto cerchiamo di portarli tutti all’esame perché « la scuola pubblica li promuove tutti perché li prepara tutti” ovviamente ognuno a suo modo. Una riflessione che viene da lontano ma che dovrebbe guidarci ogni giorno nel nostro lavoro.

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