Beniamino Sidoti

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Esercizi per contare

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Contare come rituale, contare per aspettare, contare per ordinare: ecco un’attività da proporre in classe

Contare è l’operazione fondamentale della matematica: la scopriamo però ancora prima della matematica stessa, e allora è vertigine, gioco, attesa, scoperta del tempo e della durata, filastrocca e ritmo.

Questi esercizi sono una serie di brevi suggestioni da usare in classe, adattandoli alle varie fasce d’età, e alle esigenze concrete del gruppo e dei singoli. Sono esercizi sul contare, e possono aprire molte porte e finestre impreviste. 

Le conte

  • Chiedete se i bambini conoscono un metodo per decidere chi sta sotto o chi inizia un gioco. Insomma: chiedete come fanno la conta. 
  • Ogni conta va bene: anghinghé, passa paperino, sotto il ponte di Baracca, Ambarabà ciccì coccò.
  • Le conte usano parole misteriose, che chiedono di essere mandate a memoria. Esattamente come i numeri in una lingua che non si conosce. 
  • In fondo anche i numeri conoscono quel ritmo segreto delle conte. Provate a cantilenare i numeri in una lingua che conoscete: i primi numeri sono tutti parole misteriose, che dopo un po’ iniziano a richiamarsi tra di loro in grandi famiglie.

Un calendario dell’avvento

  • Prendete un calendario dell’avvento e guardate come è fatto: ci sono tanti numeri, e ogni numero corrisponde a un giorno; ogni giorno bisogna aprire una finestrella, e quindi a ogni numero corrisponde un giorno e un’azione. Il calendario è un ritmo lento di avvicinamento, che ci insegna a gestire un’attesa, e ci prepara all’arrivo di un dato giorno. 
  • Contare è anche scomporre qualcosa in parti più piccole, perché le si possa contare.
  • Facciamo la stessa cosa anche quando chiudiamo gli occhi e contiamo fino a dieci, in fin dei conti.
  • Proviamo a costruire dei piccoli calendari con poche finestrelle, che ci permettano di attraversare momenti anche diversi dal Natale: potremmo avere un minutario per raccontare i momenti prima di andare a dormire, o un secondario che ci aiuta a resistere qualche secondo prima di mangiare il dolce (perché tutti lo abbiano nel piatto).

Dalle finestrelle alle porte

  • Trasformiamo la nostra scuola in un calendario dell’avvento.
  • Non ci sono delle finestrelle, ma potremmo usare le porte.
  • Cerchiamo di capire come potremmo mettere qualcosa di nascosto dietro ogni porta.
  • Poi, dobbiamo decidere in che ordine vanno aperte le porte, e quando (ogni giorno? Ogni settimana?)
  • Le porte hanno di buono che sono grandi: dietro possiamo nascondere anche più di una cosa.
  • Quale ordine abbiamo scelto? Qual è la porta numero 1? 

Le stelle

  • Come potremmo contare le stelle?
  • Certo, sono tante… ma in che ordine possiamo contarle?
  • Come possiamo contare gli alberi di un bosco? E le case di una città?

I barattoli

  • Facciamo un altro semplice calendario dell’avvento, con 24 piccoli barattoli numerati.
  • Invece di aprire una finestrina, dovremo svitare un barattolo.
  • Come sistemiamo i barattoli? C’è un modo ordinato? Possiamo fare per esempio sei file di quattro o quattro di sei… così nascondiamo o scopriamo le moltiplicazioni.
  • Se facciamo delle file ordinate, l’ultima colonna conterrà sempre tutti i multipli di un certo numero: è quello che succede quando contiamo di cinque in cinque, o di dieci in dieci. Mettendo insieme solo le “ultime colonne”, potremo montare la tavola pitagorica.
  • Se invece ci sono delle file più corte, abbiamo “il resto” di una divisione.  

Il barattolo mancante

  • Togliamo un barattolo dal nostro calendario: abbiamo un buco.
  • Contare è anche un ottimo modo per capire quali sono i buchi mancanti all’interno di un ordine, per capire cosa c’è e cosa manca.

Contiamoci

  • Contiamo le parti di noi: abbiamo due occhi, una bocca, un naso e due narici… 
  • Tutti insieme, quanti occhi siamo? Quante dita abbiamo? 
  • Quanti pensieri e quanti sogni abbiamo?

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Foto di copertina by luis arias on Unsplash

Esercizi sulla notte

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Immaginare il buio, immaginare nel buio, sognare da svegli: una divertente attività sulla notte

La notte è, anche per i bambini, il luogo dell’alterità, dell’abbandono, della scoperta: è uno dei pochi momenti che ancora vediamo come misterioso, come tempo di suggestioni, di ascolto, di attenzione e di smisurate possibilità. È anche il luogo cui torneremo nei tempi lunghi della vita: da ragazzi con la nostra solitudine e le nostre intimità, da adulti con i pensieri o i timori; qui accadono anche le cose che non controlliamo, incontriamo i nostri sogni e i nostri incubi, qui siamo meno sicuri, ma vediamo anche la vastità dell’universo. 

Questi esercizi sono una serie di brevi suggestioni da usare in classe, adattandoli alle varie fasce d’età, e alle esigenze concrete del gruppo e dei singoli. Sono esercizi sulla notte, poetici e strani. 

Dipingere con la luce

  • Spostatevi in un luogo buio o fate buio. 
  • Scegliete un pittore e due fotografi (per avere almeno due riprese).
  • Il pittore avrà in mano una torcia elettrica, o al limite un telefono acceso con la torcia luminosa. I fotografi avranno un telefonino con la fotocamera impostata su esposizione lunga.
  • Come variare l’esposizione (per esempio su iPhone; sugli altri modelli si fanno cose simili): Aprite Live Photo. Toccate il pulsante Live Photo vicino alla parte superiore dello schermo. Scegliete Loop, Rimbalzo o Esposizione lunga.
  • Fate dipingere il pittore in aria con la luce, con movimenti lenti e continui. Fermate dopo un minuto circa.
  • Guardate come sono venute le riprese. 
  • Cercate di imparare dagli sbagli; se volete potete aiutarvi con della musica e cambiare le disposizioni: con più pittori, con più fotografi, con piccole luci fisse.
Poesia nella notte

  • Questo è un testo collettivo che si può fare in presenza o a distanza, comunque non al buio.
  • Ognuno scrive un verso (o più di uno) che cominci con le parole “Nella notte”: per esempio “Nella notte buia”, o “Nella notte un grillo” o “Nella notte ho freddo e mi chiudo sotto le coperte”.
  • Via via che i versi sono pronti li si manda via chat (se a distanza) o li si appendono alla parete.
  • Leggiamoli di seguito, e vediamo la poesia che è venuta fuori.
  • Discutiamola: di cosa è fatta la notte? Cosa c’è di concreto? E cosa di impalpabile?
La piccola costellazione

  • Prendiamo delle piccole luci: delle candele, se non abbiamo paura di scottarci o di usare fiamme libere; ma anche dei led di spie di elettrodomestici, caricatori, eccetera.
  • Sistemiamo i vari oggetti in una stanza illuminata. 
  • Oscuriamo i vetri e spegniamo le luci. 
  • Guardiamo la costellazione che si è creata con le luci o con i led.
  • È una nostra costellazione portatile.
Le stelle

  • Una notte, proviamo a vedere le stelle.
  • Per vederle meglio dovremo andare lontano dalle altre luci: è così che scopriamo cosa si intende per inquinamento luminoso.
  • Mentre cerchiamo di vedere le stelle, siamo nel pieno della notte; la temperatura è diversa, i suoni sono diversi. Tutto sembra fatto per farci guardare meglio il cielo.
  • Cerchiamo un punto di riferimento da cui poi capire le mappe stellari; aiutiamoci con una app o con le mappe stellari.
  • Dopo poco capiremo che ci sono anche stelle meno visibili, che si nascondono nel buio: intuiremo la profondità dello spazio, e la vastità.
  • Proviamo a segnare su un foglio di carta delle zone di cielo, disegnando le stelle
  • Proviamo a fotografare il cielo: la foto non rende; il cielo notturno è anche un’esperienza di vastità.
I suoni

  • Chiudiamo gli occhi, in uno spazio tranquillo.
  • Proviamo a fare i suoni della notte.
  • Cambiamoli, non teniamo sempre gli stessi suoni.
  • Non parliamo, riduciamo i suoni.
  • Prendiamoci per mano, sempre a occhi chiusi.
  • Pensiamo a come la notte amplifichi le emozioni. Cosa succede?
La paura del buio

  • Portiamo con noi a scuola i peluche o gli oggetti con cui condividiamo o condividevamo la notte. Chi vuole può intervistarli, per far loro raccontare come fanno a proteggerci durante la notte.
  • Che incontri hanno fatto i pupazzi? Dove gli piace stare? Di cosa hanno paura loro?
  • Possiamo organizzare una notte di pupazzi in biblioteca, come in Una notte in biblioteca (di Kazuhito Kazeki e Chiaki Okada, Kira Kira, 2022): una pratica che si chiama Stuffed Animals Sleepover negli Stati Uniti e Nuigurumi Otomarikai in Giappone.
La possibilità di sognare

  • Chiediamo ai bambini o ai ragazzi se hanno dei modi per influenzare ciò che sogneranno. 
  • Non esistono metodi sicuri per sognare qualcosa che si vuole fortemente sognare: ma c’è un’età in cui lo si crede fortemente, e raccontarlo e condividerlo è un buon modo per esplorare tante cose. Raccontando come ci si prepara a sognare qualcosa di particolare si esplorano i luoghi della preghiera, del desiderio e della meditazione, o qualcosa che gli assomiglia.
  • Ci sono dei disegni o delle forme che attirano i sogni? Quali sono? 
  • Alcune tribù Cheyenne e Lakota costruivano delle piccole ragnatele di filo intrecciato, decorate con perline e penne: i colonizzatori le hanno interpretate come Acchiappasogni (erano in realtà dei segni distintivi di chi abitava una certa tenda). Che cosa potremmo mettere in una trappola per sogni buoni? E in una contro i cattivi sogni?

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Foto di copertina by Javardh on Unsplash

Esercizi di speranza

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Come e perché pensare il futuro: qualche esercizio di speranza da mettere in pratica

Tendiamo a considerare il futuro e le previsioni un terreno minato: lo lasciamo alla scienza salvo poi abbandonarci alla superstizione. La parola chiave per costruire un buon rapporto col futuro è “speranza”.

Quello di speranza è un concetto antico, tanto importante da corrispondere a una dea, Elpis per i greci e Spes (“Ultima dea”) per i latini. La nostra “speranza” viene direttamente da “spes”, che viene a sua volta dal sanscrito spa-, tendere verso una meta.

La speranza è, con fede e carità, una virtù cristiana, e per questo tenuta in buon conto: popolarmente è però anche irrisa e presa in giro (“La speranza è cattivo denaro”, “Chi vive di speranza, disperato muore”, “Chi vive di speranza, satolla lo spirito e affama la panza”). D’altra parte, la speranza è l’ultimo dei mali a rimanere in fondo al vaso di Pandora: da una parte consola e aiuta le persone a sopportare i mali, dall’altra rischia di essere un male di per sé.

Questa dicotomia arriva fino ai giorni nostri: Greta Thunberg ne parla in un suo famoso discorso dicendo di non volere la speranza (cioè le bugie dei governi), ma parlando poi a Milano agli attivisti corregge il tiro: “La speranza sono le persone che vogliono cambiare le cose”.

Riecheggia così un motto di Sant’Agostino: “La speranza ha due figli: lo sdegno e il coraggio”.

La speranza può essere vista (ed effettivamente viene vista) in due maniere: come un sentimento passivo, finalizzato all’accettazione e alla sopportazione di un futuro incerto; o come un’azione consapevole, che fa da sprone per degli obiettivi personali o sociali, un movimento che “tende verso una meta”. È questo secondo tipo di speranza a generare sdegno e coraggio, a poter essere contagioso, e a diventare così importante da essere entrato anche nel dibattito politico di questi anni (“Hope”, speranza, è la parola chiave della fortunata campagna presidenziale di Barack Obama).

In qualche modo, la speranza è una fortuna “attiva”, figlia della consapevolezza, che si fonda su valori personali o condivisi, che può essere costruita in gruppo. 

Più di un gioco si ispira alla speranza: qui mi interessa citarne due. Il primo è “Il gioco della speranza” del bolognese Mitelli (1699), un gioco di fortuna “passiva”, di puro azzardo, in cui si vince e si perde in base a un tiro di dadi: è solo uno dei tanti giochi che si diffondono tra Seicento e Settecento, e che fanno interessare alla statistica filosofi e matematici prima italiani e poi francesi (la lingua francese oltre a espoir registra anche espérance, che viene usato anche nel senso specifico di “valore atteso”). Il secondo gioco “della speranza” viene invece pubblicato esattamente cento anni dopo: è di Alexander Gluck (1799) e conta 36 carte che vengono disposte in ordine a fare un tabellone su cui ci si sposta con i dadi come nel gioco dell’oca e che dà vita a un mazzo di carte (Le Normand) usato per predire il futuro. 

Il futuro passa nel giro di cento anni dall’ambito dell’azzardo a quello della cartomanzia: siamo sempre nei territori della superstizione, ma siamo passati dalla fortuna alla curiosità, dai territori del lancio di dadi a quelli della storia.

Quando inizia il futuro?

  • Il nostro primo esercizio serve a compiere un piccolo passaggio: sentirsi emotivamente vicini al nostro “sé futuro”, senza paura. Come esseri umani, infatti, tendiamo a essere molto empatici nei confronti del nostro passato, ma ci vediamo come degli estranei quando ci confrontiamo con i nostri sé futuri (e infatti è difficile convincere le persone a sacrificare qualcosa del presente per un futuro migliore: è un regalo che facciamo a un estraneo).
  • Chiediamo al nostro gruppo: “Pensiamo al futuro come a un momento in cui molte cose delle nostre vite saranno diverse da come sono oggi. Tra quanto inizia quel futuro?”
  • Scriviamo tutti su un foglietto una data o un lasso di tempo per noi significativo, quindi mettiamoci in ordine di futuro, da chi ha scelto un intervallo di tempo brevissimo a chi ha scelto il più lungo.
  • Spieghiamo perché abbiamo scelto quell’intervallo di tempo, e diciamo in cosa ci immaginiamo diverso il futuro.
  • Il futuro sarà un insieme di predizioni positive e negative, di speranze e di angosce.
  • Proviamo a metterle insieme e a chiederci cosa possiamo fare.
  • Riprendo il gioco da Jane McGonigal, Immagina (Roi Edizioni, traduzione di Rossella Monaco, 2022).

Una lista di obiettivi

  • Si parla molto in questi anni di “positive thinking”, di pensiero positivo a sostegno delle proprie azioni e del proprio stare al mondo: pensare positivo non è un imperativo, ma un approccio all’azione che parte da ciò che vogliamo si realizzi.
  • Riprendiamo la lista di predizioni sul futuro che abbiamo messo insieme con l’esercizio precedente, e proviamo a chiederci quali predizioni vogliamo si realizzino e quali no, cioè interroghiamoci su come possiamo essere parte del cambiamento, magari con l’aiuto di Sdegno e Coraggio, che Sant’Agostino poneva come figli della stessa Speranza. 
  • Stiamo trasformando una lista di “considerazioni sul futuro” in una lista di obiettivi. 
  • Perché un obiettivo sia tale e non solo un desiderio, dovremo metterlo a fuoco: cosa è necessario fare per realizzare quell’obiettivo? Proviamo a scrivere o a discutere insieme, scegliendone uno o più di uno a seconda del gruppo e del tempo che abbiamo.
  • Non abbiate paura della discussione: obiettivi, timori e speranze emergono sempre all’altezza di chi li propone. Vale comunque la pena parlare di futuro sia con i piccolissimi che con i più grandi.
  • Alcuni obiettivi sono più difficili e richiedono un’azione collettiva: cosa possiamo fare per aiutare in prima persona queste azioni collettive? Per esempio: per contrastare il cambiamento climatico possiamo già cambiare alcuni nostri comportamenti, e al tempo stesso dovremo sensibilizzare i governi e i nostri concittadini…
  • Cerchiamo di rendere il più dettagliato possibile almeno un obiettivo: quali sotto-obiettivi comporta? Quali sono le mete da raggiungere per prime?
  • Il futuro inizia sempre tra un attimo: e dipende comunque da noi, è questo il senso più bello della parola speranza.

I giusti di Borges

  • Sta girando per l’Italia da qualche anno un’esperienza che reputo meravigliosa per parlare del valore collettivo e non violento della speranza: è La carovana dei pacifici, lanciata da Roberto Papetti e raccolta da Luciana Bertinato ed Emanuela Bussolati. Il percorso sta andando avanti in molte direzioni: potete seguirlo sul sito curato da Giovanna Sala.
  • I pacifici parlano di tutto ciò che facciamo anche per costruire speranza: ci sono delle cose che riteniamo giuste, e che facciamo senza aspettarci nulla in cambio. 
  • Molti degli incontri dei pacifici si concludono con la costruzione di una serie di piccoli omini che si mettono in cammino. E cominciano con la poesia I giusti di Jorge Luis Borges, che vi presentiamo qui nella traduzione di Domenico Porzio.
  • I giusti: “Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che intuisce un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”
  • Aggiungiamo altre righe alla poesia, dicendo chi, secondo noi, magari senza saperlo, sta salvando il mondo. Per esempio: “Chi sa coltivare il silenzio. Chi fa crescere nel cuore un’emozione. Chi sorride senza uno scopo.”
  • La speranza è anche questo: sapere che ciò che facciamo ha valore, e che salverà il mondo.

Qui è possibile trovare altre attività pratiche da fare in classe.

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Esercizi di gratitudine

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Tre interessanti attività da fare in classe sul tema della gratitudine: “Perché ringraziare fa bene anche a chi ringrazia

La gentilezza non è solo questione di buona educazione: è qualcosa che, lo stanno scoprendo anche le neuroscienze, fa bene a tutti. Ne abbiamo parlato a più riprese su queste pagine, così oggi lo faremo guardando a un aspetto particolare della gentilezza: la gratitudine.
Cosa significa gratitudine

Andiamo anzitutto al significato della gratitudine, che con la tenerezza, l’umiltà e la mitezza, è una delle qualità deboli dell’uomo: deboli nel senso che vincono e superano gli ostacoli non con la forza, la superiorità o il predominio ma con il loro contrario.

La gratitudine ci permette di stare meglio, di vincere le battaglie riconoscendo gli altri e la loro importanza, comprendendo la necessità che abbiamo di essere aiutati e sostenuti, a partire dalle nostre fragilità e dal fatto che ci diamo concretamente una possibilità di crescere, di imparare.

Gratitudine è “essere grati”, “saper dire grazie”. Allargando lo sguardo, è “Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare” (Treccani).

L’essere umano è un animale sociale: la gratitudine è un sentimento talmente positivo da poter essere quasi un istinto sociale.

Negli ultimi anni si sono susseguite ricerche su come gli ormoni siano collegati alle emozioni che proviamo: in particolare, praticare gratitudine abbasserebbe del 23% i livelli di cortisolo, definito anche l’ormone dello stress (secondo le scoperte del ricercatore Robert Emmons dell’University of California).

Da uno studio della University of Birmingham: “La lista di potenziali benefici è circa infinita: meno errori di giudizio, efficaci strategie di apprendimento, più supporto verso le persone, maggiore fiducia in sé stessi, migliore approccio al lavoro…”. 

“La gratitudine fa liberare al nostro cervello l’ossitocina, l’ormone dell’empatia, dell’abbraccio, del voler bene”, dice il neurologo Piero Barbanti dell’Università di Roma; e altri studi dimostrano come alla gratitudine sia legato anche il rilascio di serotonina, un altro ormone “della felicità”.

La scatola dei grazie – Attività 1
  • Costruiamo un barattolo o una “scatola dei grazie”
  • Scriviamo tutti su un foglietto un ringraziamento che dovrà essere completamente anonimo – non si dovrà dire cioè “chi si ringrazia” o “chi ringrazia”, ma solamente “di cosa ringraziamo”.
  • Per esempio, non “Grazie a mamma per avermi dato la vita” o “Grazie, Andrea” ma “Ti ringrazio perché mi tieni per mano anche quando sono arrabbiata o ferita” o “Grazie per tutti i pezzetti di merenda che mi hai dato quando ne avevo bisogno”
  • Mettiamo i foglietti nella scatola
  • Per ringraziare più persone mettiamo più foglietti
  • Leggiamo tutti i foglietti insieme, di fila, ad alta voce. Se ci sono dei nomi, saltiamoli (i ringraziamenti sono anonimi, perché così sentiamo tutti di essere parte di un grande abbraccio, come siamo: e anche perché così evitiamo gelosie o invidie, che sono proprio il contrario della gratitudine).
La festa del ringraziamento – Attività 2
  • Negli Stati Uniti la gratitudine è oggetto di una festa molto sentita, il “Thanksgiving day” o “Giorno del ringraziamento”, in cui tutti ringraziano per ciò che hanno ricevuto. È una festa spirituale, intima e sociale: si può ringraziare il proprio Dio, la vita, la propria famiglia, la Terra… 
  • Lo fa in maniera delicatissima Mariangela Gualtieri con la poesia Ringraziare desidero; ecco come comincia (ma è tutta bellissima, cercatela!): “In quest’ora della sera / da questo punto del mondo / Ringraziare desidero il divino / labirinto delle cause e degli effetti / per la diversità delle creature / che compongono questo universo singolare / ringraziare desidero / per l’amore, che ci fa vedere gli altri / come li vede la divinità / per il pane e il sale / per il mistero della rosa / che prodiga colore e non lo vede / per l’arte dell’amicizia / per l’ultima giornata di Socrate / per il linguaggio, che può simulare la sapienza / io ringraziare desidero / per il coraggio e la felicità degli altri / per la patria sentita nei gelsomini / e per lo splendore del fuoco / che nessun umano può guardare / senza uno stupore antico / e per il mare / che è il più vicino e il più dolce / fra tutti gli Dèi…”
  • Proviamo a scrivere una poesia collettiva, un nostro “Io ringraziare desidero”, scrivendo su dei foglietti delle strofe o dei versi con scritto per cosa vogliamo ringraziare, ringraziando per un oggetto inanimato, o astratto, o per un animale, o un vegetale, un soggetto collettivo… qualsiasi cosa che sia diverso dalle persone (per cui abbiamo aperto la scatola dei grazie).
  • Leggiamola tutti insieme, mettendo ogni tanto in mezzo alle cose per cui ringraziamo un verso “io ringraziare desidero”, potente e misterico.
Il diario delle cose che ci hanno fatto bene – Attività 3
  • Teniamo in classe un’agenda collettiva, un quaderno o un diario, con o senza date
  • Ogni giorno, quando vogliamo, scriviamo qualcosa di cui siamo grati: qualcosa che è successo e che ci ha fatto stare bene, o da cui abbiamo imparato, o che ci ha allargato il cuore per un’improvvisa felicità
  • Si può scrivere tutti insieme, ma si può anche scrivere di nascosto, da soli, purché siano dei grazie
  • Inauguriamo, insieme o dopo un po’ di tempo a seconda del gruppo, anche un quaderno di ciò che poteva andare meglio: non un cahier de doléances in cui lamentarsi, ma un modo di raccontare ciò che ci ha lasciato un po’ di amaro raccontando come vorremmo che andasse la prossima volta.

Qui è possibile trovare altre attività pratiche da fare in classe.

Foto di copertina by Courtney Hedger on Unsplash

Esercizi di sostenibilità – La casa delle coccinelle

in Attività di classe by
coccinella

La sostenibilità è diventata, come è giusto che sia, un tema educativo importante: nell’affrontarla rischiamo però di assumere un atteggiamento prevalentemente normativo, come serie di azioni da fare e non fare, oppure un approccio didascalico e descrittivo.

La sostenibilità invece parla di come funzionano i cicli naturali, di equilibri e di scoperte che sono alla nostra portata, di esperienze che si possono fare: la sostenibilità è un esercizio di bellezza e di speranza che possono essere portate a scuola. 

In questa attività mettiamo al centro uno degli animali simbolo dell’infanzia: la coccinella, che è anche un partner importante nella produzione agricola integrata, cioè è un’antagonista naturale dei parassiti che si combattono per avere raccolti migliori.

Costruire una casa per coccinelle è relativamente semplice, in primavera permette di avere risultati tangibili nel giro di poche settimane (purché si stia in una zona dove le coccinelle sono presenti), e dà un esempio concreto di collaborazione tra uomo e natura. 

L’attività richiede un paio d’ore di lavoro e i tempi lunghi dell’osservazione (preziosi per la scuola e per l’agricoltura). Le coccinelle sono antagoniste naturali di parassiti tipici quali gli afidi o la cocciniglia, e combattono così agenti infestanti in maniera naturale. 

Vediamo passo passo come procedere:

  • Prendiamo una scatola da scarpe (o, meglio, una scatola di legno di analoghe dimensioni)
  • Tagliamo i lati e rimontiamo i pezzi fino ad avere un cubo di circa 12-13 cm di lato, aperto per consentire l’ingresso agli insetti
  • Decoriamo l’esterno con brillanti colori atossici per attirare gli insetti (le coccinelle sono attratte da rosa, azzurro e giallo). 
  • Prepariamo un abbeveratoio: un piccolo coperchio con poca acqua zuccherata
  • Aggiungiamo pietre e foglie, uva passa e paglia (senza esagerare)
  • Aggiungiamo un tovagliolo di carta inumidito e briciole di formaggio
  • Piazziamo la casetta su un albero o vicino alle piante (le coccinelle adorano le ortiche), un po’ in alto; mettiamole l’abbeveratoio vicino
  • A piacere, spruzziamo un po’ di profumo (attira gli insetti, e colpisce l’immaginario)
  • Casette simili possono ospitare altri animali amici dell’agricoltura integrata: pipistrelli, ricci, api…
  • Ragioniamo infine sul percorso fatto insieme e su come le coccinelle possono aiutare il contadino (o il nostro orto scolastico, se ne abbiamo uno).

A scuola si parla già di alimentazione, così come anche di sostenibilità: Librì Progetti Educativi con ISMEA ha di recente dato vita a un progetto, Tutto un altro clima! – da cui è tratta l’attività – che coniuga agricoltura, ambiente e cibo, seguendo il percorso degli alimenti dal campo alla tavola. Di educazione alimentare ne avevamo parlato anche qui.

Il progetto è parte di una campagna di comunicazione per la lotta ai cambiamenti climatici, promossa dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste nell’ambito del programma europeo della Rete Rurale Nazionale.

Foto di copertina Claude Laprise su Unsplash

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