Carlo Francesco Ridolfi

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Carlo Ridolfi è nato a Verona nell’aprile del 1957. Ha vissuto nella città scaligera per i primi cinquant’anni della sua vita, poi si è trasferito a Padova. Ha lavorato per quarant’anni in ferrovia. Ha quattro figli. Fin da bambino ha la passione per il cinema, grazie alla quale ha incontrato all’inizio degli anni Novanta il maestro Mario Lodi, col quale ha collaborato fino al 2014. Attualmente in pensione, scrive di cinema su varie riviste ed è coordinatore nazionale dell’associazione di donne e uomini che hanno a cuore l’educazione C’è speranza se accade @ - Rete di Cooperazione Educativa. È giornalista pubblicista dal 1981.

Insegnanti al cinema: ecco i film da non perdere

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Nella settimana dedicata al cinema, ecco un elenco di film in cui gli insegnanti sono i protagonisti

Da La maestra di scuola, realizzato nel 1908 a Torino dalla Itala Film, al recentissimo Il cerchio di Sophie Chiarello, che ha meritatamente vinto il David di Donatello nella sezione “documentari”, i film che parlano di scuola e di insegnanti sono innumerevoli, al punto da farne un vero e proprio genere cinematografico.
L’attimo fuggente

Ve ne sono di famosissimi, come, ad esempio, l’assai ambiguo L’attimo fuggente (Usa, 1989) di Peter Weir.

Ambiguo perché il povero professor Keating, interpretato da Robin Williams, beneficia sì del rapido momento di protesta dei suoi studenti quando viene licenziato (“Oh, capitano, mio capitano!”), ma resta comunque licenziato e i rampolli della ricca borghesia statunitense tornano presto nei ranghi a proseguire il loro percorso per diventare classe dirigente probabilmente dedita a guerre e angherie varie.

(Qualcuno ha suggerito ironicamente di cambiare il titolo del film e chiamarlo L’attimo fuggito…).

Ventiquattro occhi

Ve ne sono di ingiustamente trascurati o dimenticati, come il magnifico Ventiquattro occhi (Giappone, 1954) di Keisuke Kinoshita, che racconta della giovane maestra Oishi che iniziata ad insegnare nel 1928 sull’isola di Shodo ad una classe di dodici allievi e fino al 1946, con la guerra e l’esplosione delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, lavorerà lasciando un ricordo indelebile nei suoi alunni, fino a lasciare l’insegnamento in polemica con le posizioni educative allora in voga (“Non vedere, non parlare, non ascoltare sono i precetti da insegnare ai nostri allievi per farli diventare bravi servitori del Paese”, dirà ad un certo punto del film, e ci sarebbe da riflettere se si tratti di costume pedagogico limitato al Giappone di un tempo).

Mi limiterò in questa sede a richiamare una decina di titoli, in semplice ordine alfabetico, di diversa provenienza e collocazione cronologica, rimandando ad un ben più completo e nutrito catalogo di film che trattano di scuola e di educazione, che è in preparazione con la collaborazione dell’insegnante e esperta di cinema Elisabetta L’Innocente, che dovrebbe ‘veder la luce’ nel prossimo anno con il titolo I bambini fanno la polvere.

L’amore che non scordo – Storie di comuni maestre (Italia, 2007) di Daniela Ughetta e Manuela Vigorita

Ci accompagna in un piccolo ma significativo viaggio, da Milano a Roma passando per Bologna, nel quale incontriamo quattro esperienze di insegnamento nella scuola primaria di grande interesse e peculiarità didattica e pedagogica.

Anghingò (Ole dole doff. Svezia, 1968) di Jan Troell

Descrive la passione e le difficoltà, non sempre sormontabili, di un insegnante di scuola media che combatte quotidianamente con le sue convinzioni etiche e con la realtà, a volte cruda, delle persone che si trova davanti.

Diario di un maestro (Italia, 1973) di Vittorio De Seta

A mio parere, uno dei capolavori assoluti del genere “scuola ed educazione al cinema”. Il grande regista siciliano (di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita), si ispira al libro Un anno a Pietralata di Albino Bernardini, ma inserisce nell’opera, grazie al preziosissimo contributo di consulenza pedagogica che fornì Francesco Tonucci, moltissimi elementi provenienti dalle esperienze del Movimento di Cooperazione Educativa e, in particolare, di Mario Lodi.

Ne scaturisce così un film memorabile (con una memorabile interpretazione di Bruno Cirino), che descrive con precisione appassionata quella che potrebbe esser stata la strada da seguire per una vera innovazione della scuola italiana, purtroppo seguita, anche istituzionalmente, da una minoranza. 

Dottor Korczack  (Korczack. Polonia, 1990) di Andrzej Wajda

Racconta la vicenda di una delle figure più luminose dell’intera storia dell’educazione, quella di Janusz Korczack (nome d’arte del medico ebreo polacco Henryk Goldszmit) che si dedicò per tutta la vita ai bambini dell’orfanotrofio di Varsavia (scrivendo tra l’altro testi fondamentali quali Come amare il bambino e Il diritto del bambino al rispetto), fino al punto estremo di accompagnarli e perire con loro nel campo di sterminio di Treblinka.

Lavagne (Takthe Siah. Iran, 2000) di Samira Makkmalbaf

Descrive la fatica di un gruppo di maestri che, all’epoca della guerra tra Iraq e Iran, peregrinano con la lavagna sulle spalle alla ricerca di alunni e alunne ai quali proporre un’istruzione che sia anche appello alla convivenza.

Così come Non uno di meno (Yí ge dōu bù néng shǎo. Cina, 1999) di Zhang Yimou, attraverso la vicenda di una giovanissima (tredici anni) maestra per caso, che ,spinta inizialmente dalla promessa di un premio in denaro, scopre la valenza etica ed educativa che pone come priorità quella di non lasciare indietro nessuno.

Pesci combattenti (Italia, 2002) di Andrea D’Ambrosio e Daniele Di Biasio

Ci porta nel quartiere di Barra, periferia est di Napoli, dove un gruppo di insegnanti di scuola media lavora senza sosta per riportare a scuola ragazzini e ragazzine che rischiano altrimenti di essere travolti da una realtà sociale di enorme complessità.

Il ragazzo selvaggio (L’enfant sauvage. Francia, 1970) di Francois Truffaut

Insieme al Diario di un maestro di De Seta è, a mio parere, uno dei due film “obbligatori” per chiunque voglia occuparsi di scuola e di educazione, è il racconto dell’esperienza storica di Jean Itard, medico francese vissuto tra il 1774 e il 1838, che all’Istituto Nazionale per Sordomuti di Parigi seguì per anni Victor, il “ragazzo selvaggio dell’Aveyron, trovato a vagare nei boschi del Massiccio centrale.

Itard e il suo lavoro – descritti magistralmente dal grande autore francese, che qui interpreta anche il medico – furono di ispirazione da allora a chiunque si volesse occupare di soggetti in difficoltà, da Maria Montessori ad Adriano Milani Comparetti (fratello di Lorenzo Milani), neuropsichiatra infantile che ha contribuito a porre le basi per le più approfondite e innovative pratiche di assistenza e cura delle persone con disabilità.

La scuola non è secondaria (Italia, 2021) di Alberto Valtellina

È un documentario che riprende un liceo scientifico di Bergamo durante i mesi del primo lockdown dovuto alla pandemia di Covid19, con gli studenti e le studentesse a casa davanti al computer e il corpo insegnante a scuola a comunicare con loro attraverso i canali telematici.

Infine – ma, come detto, questo è solo un primo e del tutto approssimativo elenco – non posso fare a meno di citare una pietra miliare dell’intera storia del cinema come Zero in condotta (Zero de conduite. Francia, 1933) del grandissimo e purtroppo precocemente scomparso Jean Vigo, che, in grandissimo anticipo rispetto a quelle che saranno le sacrosante rivendicazioni dei movimenti studenteschi di tutto il mondo dal Sessantotto in poi, mette in scena una giocosa e liberatoria rivolta degli studenti (e degli insegnanti più attenti alla loro reale crescita che non alle formalità autoritarie) di un collegio.

E in questi tempi, in cui Il collegio è un tristissimo format televisivo che dovrebbe riportare in auge la “vecchia e sana scuola di una volta nella quale ci si alzava in piedi quando entrava l’insegnante”, forse rivedere e far rivedere un film come il capolavoro di Vigo non sarebbe affatto male.

Avevamo già parlato di questo tema in passato, trovi l’articolo qui!

Grosso guaio all’Esquilino – La leggenda del kung fu: un film da non perdere per riflettere sul bullismo

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Con Carlo Ridolfi parliamo di un interessante film da non perdere – disponibile su Prime Video – per affrontare e riflettere sul bullismo

Andando in cerca qua e là sul web e nelle varie piattaforme che, ormai, propongono centinaia di contenuti, tra film e racconti seriali, capita di incrociare produzioni che, alle persone attempate come il sottoscritto, fanno venire in mente – ed è un merito – quei film senza pretese ma con sicuro divertimento che hanno occupato molti pomeriggi domenicali in sale di parrocchia o di periferia. E’ il caso di Grosso guaio all’Esquilino – La leggenda del kung fu, diretto da Niccolò Celaia e Antonio Usbergo, coppia di registi che si firmano YouNuts, con Lillo Petrolo, Carolina Crescentini, Giorgio Colangeli e un bel gruppo di ragazzini e ragazzine. Un’occasione per affrontare e riflettere sul tema del bullismo.

Non conosco il budget di produzione del film (distribuito su Prime Video), ma, a vedere il risultato, posso immaginare che non sia stato proprio di primissimo livello.

Ispirandosi senza nemmeno troppa preoccupazione di celarlo a Karate Kid (1984) di John Avildsen e con qualche ironico rimando al Kill Bill di Quentin Tarantino, il film degli YouNuts ripercorre storie e temi già trattati mille volte, riuscendo tuttavia a mantenere le due ore di durata su un livello di divertimento e di simpatia più che accettabile.

Il merito va principalmente agli interpreti:

Sia adulti (Lillo su tutti, ovviamente, mattatore nel suo costante essere un anti-eroe, ma anche Carolina Crescentini e Giorgio Colangeli), sia adolescenti (in particolare le due “spalle” del giovane protagonista – Davide è il nome del personaggio – Riccardo Antonaci: Mario Luciani, spontaneo e irresistibile nella parte del giovanissimo Yang, che si sente “cinese dentro” e Ludovica Nasti – che consiglierei di tener d’occhio anche nei prossimi anni, perché promette tanto – alla quale basta una battuta del Romeo e Giulietta di Shakespeare per strappare l’applauso).

La trama e l’ambientazione

Più che la trama – un ex-attore fallito e sfrattato viene coinvolto come mentore e insegnante di arti marziali per fornire a un adolescente bullizzato gli strumenti per difendersi e conquistare la ragazza di cui è innamorato – sono da sottolineare sia l’ambientazione che i gustosissimi dettagli d’epoca.

Il rione Esquilino è quello che dalla stazione di Roma Termini si allarga a comprendere una vasta zona limitrofa al centro della capitale, nella quale spiccano, oltre a chiese e monumenti, zone di grande sperimentazione sociale multietnica come piazza Vittorio e ambiti educativi che ormai hanno una pluridecennale storia di partecipazione e ricchezza di proposte come la scuola “Di Donato”.

E’ in questo macrocosmo di lingue, colori, suoni e musiche che si inserisce il ristorante cinese nel quale lavorano le mamme di Davide e Yang e, soprattutto, il sottoscala in cui i due adolescenti si rifugiano, vero e proprio minimuseo di cimeli degli anni Ottanta, tra consolles di videogiochi ormai desueti e vhs di vecchi film di serie C sul kung fu.

Con il consueto e purtroppo generalizzato neo di un eccesso di turpiloquio (che sembra non voler mai esser abbandonato da troppi sceneggiatori contemporanei), il film rappresenta comunque una piacevole occasione di intrattenimento, mantenendo l’equilibrio tra piccolo racconto di formazione e riflessione mai pedante su cause ed effetti del bullismo.

Qui una lista di altri film da non perdere!

“Le pupille”: il film di Alice Rohrwacher candidato agli Oscar

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Dato che l’importante notte degli Oscar si avvicina, vi parliamo di “Le pupille” un bel film che merita la sua candidatura

Non so se vincerà l’Oscar come miglior cortometraggio – questo bellissimo “Le pupille– di Alice Rohrwacher. Sicuramente, per quel nulla che conta, farò personalmente un tifo da stadio (di quelli belli, di quelli veri, di quelli da paese di un tempo), perché regista e film lo meriterebbero senza dubbio alcuno.

Chi è la regista

Alice Rohrwacher esordì nel lungometraggio già nel 2011 (e di anni ne aveva solo trenta), con un film di grande intelligenza e bellezza come Corpo celeste, nel quale dimostrava di saper trattare con delicatezza e profondità temi impegnativi come la religione, l’adolescenza, il mutar dei corpi femminili.

Dopo altri due film come Le meraviglie (20124) e Lazzaro felice (2018), oggi un regista famoso e pluripremiato come Alfonso Cuaròn la nota e ne apprezza il lavoro, sostenendola per la produzione di un corto reso disponibile da una corazzata della distribuzione come la piattaforma Disney+. 

Parliamo del film…senza fare spoiler

Ispirandosi ad una lettera scritta da Elsa Morante a Goffredo Fofi (la regista dice: “maldestramente”, ma il risultato dell’ispirazione smentisce l’understatement), Alice Rorhwacher mette in scena un piccolo racconto ambientato nell’Italia di provincia ai tempi del fascismo, dove le protagoniste sono le bambine ospitate in un orfanotrofio gestito da suore (la superiora è interpretata da Alba Rohrwacher, sorella della regista).

La vicenda non va raccontata, per non far perdere curiosità e meraviglia. Nei trentasette minuti regalati allo spettatore – che può essere sia un adulto che non ha perso lo sguardo da bambino, sia un bambino o una bambina che non pensano che solo il fracasso luminoso dei supereroismi cinematografici valga l’impegno di una visione – possiamo assaggiare e gustare l’infanzia, il teatro, la musica, la danza, la cecità degli adulti, le storie d’amore reali e quelle immaginarie, l’ossequio ai potenti e lo sberleffo agli stessi: il tutto intorno ad una torta in prossimità del Natale.

Ma c’è anche il cinema e i suoi princìpi psico-fisiologici di base e il cinema di animazione, che non richiede necessariamente iperstrumentazioni tecniche e investimenti multimiliardari, ma può esser reso possibile da un foglio e una matita e un paio di forbici.

Un cast quasi interamente al femminile

Sia per quanto riguarda l’interpretazione, tutto il gruppo delle bambine, con la piccola protagonista Serafina-Melissa Falasconi e una deliziosa e sognante ricca innamorata senza consolazione (Valeria Bruni Tedeschi), oltre alla superiora già citata.

Sia quello tecnico, la fotografia è di Hélène Louvart, il montaggio di Carlotta Cristiani, la scenografia di Emita Frigato e Rachele Meliadò, i costumi di Loredana Buscemi, le acconciature di Daniela Tartari e il trucco di Paola Gattabrusi, il montaggio sonoro di Daniela Bassani e Marzia Cordò, le musiche originali del collettivo di musica elettronica Cleaning Women e le melodie cantate di Norina Liccardo.

Al contrario di quello che dice una frase di un racconto (forse) per l’infanzia, qui l’essenziale è visibilissimo agli occhi (e alle orecchie), perché sia nell’imbastitura del racconto che nella sua trattazione Alice Rohrwacher ha messo tutta la sua grande e rara capacità di essere donna adulta che guarda come se fosse una bambina, non perdendo né il candore (peraltro non ingenuo) della seconda, né la saggezza (certo non supponente) della prima. Com’era – il riferimento forse è scontato, ma in questo caso decisamente congruente – in Francois Truffaut.

E le nostre pupille restano aperte e ammaliate dall’inizio alla fine.

Sempre in tema film, non perdetevi gli ultimi titoli, da poco usciti, adatti a tutte le fasce d’età, scoprili qui!

I film da non perdere nei prossimi mesi

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Scopriamo insieme alcuni dei nuovi film in uscita adatti a tutte le fasce d’età.

Eccoci all’anno nuovo, come sempre denso di incognite e di promesse. Provo a indicare alcuni dei titoli di film in uscita sul grande schermo nelle prossime settimane, a parer mio adatti a una visione per le fasce di età che cerco di precisare.

La fata combinaguai

A metà gennaio è uscito La fata combinaguai, film di animazione tedesco con la regìa di Caroline Origer. Adatto anche a bambini e bambine piccoli (dai quattro anni) è la storia di Violetta, fatina dei denti dotata di molta buona volontà ma anche causa di un sacco di pasticci.

Grazie ragazzi

Nello stesso periodo è uscito sugli schermi il remake italiano di un bel film francese (Un triomphe, 2020 di Emmanuel Corcoul), Grazie ragazzi, di Riccardo Milani, con Antonio Albanese come protagonista. E’ la storia (ispirata ad una vicenda realmente accaduta) di un attore disoccupato che accetta l’incarico di mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett con un gruppo di carcerati. (E’ più adatto a ragazzini un po’ più grandi, dai 12 anni in su).

Mary e lo spirito di mezzanotte

A febbraio sarà disponibile il nuovo film di Enzo D’Alò (già regista de La gabbianella e il gatto e di altri lungometraggi più che interessanti). Mary e lo spirito di mezzanotte (tratto dal bel romanzo La gita di mezzanotte di Roddy Doyle), che dovrebbe andar benissimo per un pubblico di età da scuola primaria. E’ la storia dell’undicenne Mary, che sogna di diventare un grande cuoca e che per realizzare il suo sogno farà un lungo viaggio oltre le barriere del tempo. 

Mummie – A spasso nel tempo

Sempre a partire dalla stessa fascia di età e sempre con il linguaggio dell’animazione, sempre a febbraio potremo vedere una produzione spagnola, Mummie – A spasso nel tempo, di Juan Jesùs Garcia, seguendo le avventure di un simpatico quartetto di mummie che approdano nella Londa contemporanea alla ricerca di un anello rubato.

Champions

A marzo, per ragazzi e ragazze dell’ultimo anno di primaria e dei primi anni della scuola media, uscirà Champions, di Bobby Farrelly, nel quale Marcus, un allenatore di basket travolto dall’alcolismo (interpretato da Woody Harrelson) sarà inviato per punizione dai servizi sociali ad allenare una squadra di disabili e scoprirà che l’esperienza potrebbe far molto bene sia a loro che a lui.

Le terme di Terezin

Film certamente più impegnativo – e per questo indicato per un’età che vada almeno dai 14 anni – (previsto in distribuzione nelle sale cinematografiche per aprile) è Le terme di Terezin, di Mauro Conte. Si racconta qui la storia di Antonio, clarinettista italiano, e di Martina, violinista cecoslovacca, due innamorati che vengono deportati nel ghetto di Terezin, a una sessantina di chilometri da Praga. Tristemente famoso per esser stato una specie di terribile luogo di rappresentanza, nel quale i nazisti facevano mettere in scena ai prigionieri una vita falsamente felice, a beneficio delle missioni di inchiesta della Croce Rossa, Terezin è uno dei luoghi della memoria della Shoah che anche questo film può contribuire a non far dimenticare.

Il faraone, il selvaggio e la principessa

A giugno, a conclusione della prima parte di una stagione che si annuncia molto interessante, sarà sugli schermi il nuovo film di animazione del grande regista francese Michel Ocelot: Il faraone, il selvaggio e la principessa. Tre storie – adatte dai 6 anni in su – con ambientazioni storico-geografiche diverse: la prima nell’antico Egitto, la seconda nella Francia medievale, la terza nella Turchia del diciottesimo secolo. 

Un altro film da non perdere, uscito da poco, il nuovo Pinocchio di Guillermo del Toro, ne avevamo parlato qui!

Il “Pinocchio” di Guillermo del Toro, diverso dagli altri

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È uscito da poco il “nuovo Pinocchio” di Guillermo del Toro…parliamone insieme!

Il racconto di Pinocchio di Collodi è senza dubbio un grande classico non solo della letteratura, ma anche dell’illustrazione e del cinema. A partire dalla prima versione, girata nel 1911 da Giulio Antamoro con Ferdinand Guillaume nei panni del burattino.

65 versioni cinematografiche, passando per quella a disegni animati del 1940 della Walt Disney (splendida, con le magnifiche musiche di Leigh Harline e Paul J. Smith, ancorché con una curiosa ambientazione tirolese; versione ripresa lo scorso anno in live action da Robert Zemeckis con un film brutto fino all’imbarazzante). Ma anche per quelle italiane più recenti di Roberto Benigni prima e di Matteo Garrone poi.

Copertine film Pinocchio

Se dovessimo stilare una classifica…

Piazzeremmo al primo posto ancora e sempre quella televisiva di Luigi Comencini (1972, con le musiche di Fiorenzo Carpi e Nino Manfredi come Geppetto). Ma assegneremmo oggi il pari merito al capolavoro in stop-motion di del Toro e Gustafson.

Prima di tutto per la scelta di realizzare il film con l’ausilio del digitale come “facilitatore” tecnico – ma non assegnando ad esso la priorità espressiva – interamente con marionette animate a passo uno.

Per questo ci sentiamo di consigliare anche la visione dei trenta minuti di speciale, disponibili sempre su Netflix, nei quali si riassumono le fasi tecniche della produzione.

La volontà espressiva di Guillermo del Toro

Scelta, come ha dichiarato lo stesso Guillermo del Toro, che è stata innanzitutto dettata da una volontà espressiva.

Un burattino in un mondo interamente fatto di burattini e marionette fa risaltare ancor meglio le caratteristiche che lo rendono diverso dagli altri.

E’ poi praticamente impossibile render conto dello splendore della realizzazione tecnica sia dei personaggi che degli ambienti che delle fasi di riprese. Perché bisognerebbe analizzare sequenza per sequenza, se non persino fotogramma per fotogramma.

Non la solita riproduzione pedissequa dei personaggi

Non ci si attenda una riproposizione pedissequa dei vari passaggi del racconto collodiano.

Anzi: assume una rilevanza fondamentale la figura del Grillo parlante, non c’è la Fata turchina, il Gatto e la Volpe vengono riassunti in un unico e originalissimo personaggio, Mangiafuoco diventa una comparsa e così via.

Ci piace qui ricordare – senza rivelazioni che rovinino il gusto di una visione indispensabile e forse anche da ripetere più volte per gustare meglio i mille particolari del film – come è stata costruito il personaggio di Lucignolo.

In un modo che non solo risulta perfettamente coerente con il tipo di storia che si è scelto di raccontare, ma che è davvero inedito e sorprendente.

Forse – è una interpretazione personale, suscettibile di esser smentita in futuro – con questo suo Pinocchio Guillermo del Toro ha voluto concludere una trilogia sul fascismo e sulla morte.

Iniziata con due splendidi film come La spina del diavolo (2001) e Il labirinto del fauno (2006), non a caso entrambi ambientati in Spagna durante la Guerra civile, e posta a compimento con questo capolavoro.

Il fascismo, come lo ha definito Roland Barthes, inteso non tanto come impedimento a dire e ad esprimersi, ma come costrizione a dire tutti le stesse cose e ad esprimersi tutti nello stesso modo.

In questo senso Pinocchio è antifascista in modo programmatico e strutturale, in quanto ciocco di legno che ha preso vita e che deve imparare a dire e ad esprimersi in forme e linguaggi affatto diversi dalla maggioranza succube o acquiescente.

E lo può fare perché appartiene di diritto al territorio del fantastico, nel quale la morte è abitante con piena cittadinanza.

Anzi, ne è elemento imprescindibile, perché senza il senso della morte e le mille funambolerie ideate per sfuggirle il fantastico non esisterebbe proprio. 

Ma il Pinocchio di Guillermo del Toro è un film per bambini?

La domanda classica che sorge sempre a questo punto… No, verrebbe da dire, se dei bambini e delle bambine continuiamo ad avere un’idea stereotipata e li pensiamo come esseri incapaci di appassionarsi al mistero della vita.

Come esseri da tenere in una zona di conforto – spesso ingannevole e falsa quanto le mille occasioni di consumo effimero alle quali li sottoponiamo – nel quale siano garantiti buoni sentimenti, assenza di conflitti e lieti fini. 

E invece sì, altroché se lo è, vorremmo ribadire. Forse facendo attenzione alle fasce di età più tenere (diciamo scuola dell’infanzia). Perché Guillermo del Toro è regista che ama anche momenti di oscurità e di tensione.

Ma da lì in poi – sempre con adulti al fianco, perché questa è secondo noi regola imprescindibile di ogni visione approfondita – questo è un film che non dovrebbe mancare nella cultura cinematografica di ogni bambino e di ogni bambina.

La figura di Pinocchio ritratta dal regista

E c’è, come ultima di una serie di notazioni che non esauriscono quelle possibili, la questione di Pinocchio come figura cristologica.

Suggeriamo solo (nulla va rivelato per non guastare il gusto della visione) di fare attenzione al braccio del crocifisso costruito all’inizio della storia da Geppetto per la chiesa del paese in cui abita con il figlio Carlo (poteva chiamarsi in un altro modo, vista la paternità letteraria del racconto?) e al braccio del burattino nella sequenza che precede il finale.

Nella – apparentemente semplice, ma con tutta evidenza meditata a lungo e con un’efficacia narrativa e di senso insuperabile – scelta di metter l’accento su una mancanza, sta tutta la forza del grande cinema di portare in primo piano, agli occhi e nella mente dello spettatore, qui davvero invitato a formare con il suo sguardo tutta l’intelligenza del racconto, una presenza.

Affrontare in classe il tema della pena di morte con l’aiuto dei film

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In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, vi proponiamo una lista di film sul tema per affrontare in classe questo delicato argomento.

Non è facile parlare di pena di morte con ragazzi e ragazze. Non è facile perché il tema è molto complesso e tocca questioni delicatissime come colpa/espiazione, vendetta o perdono, giustizia o sopruso.

Da molto tempo, per fortuna, esistono importanti e attive organizzazioni (come Amnesty International o Nessuno tocchi Caino o la Comunità di Sant’Egidio, per fare qualche esempio) che se ne occupano e che, in particolare, in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre, e della Giornata mondiale “Città per la vita”, l’11 novembre, non mancano di realizzare appuntamenti di sensibilizzazione e incontri con ex-condannati a morte che hanno avuto riconosciuta l’innocenza o con parenti di vittime che, lontani dall’idea arcaica dell’occhio per occhio dente per dente, testimoniano percorsi faticosissimi ed esemplari di contrarietà alla pena capitale.

Anche il cinema, ovviamente, se ne è occupato più volte.

Quelli che riporto a seguire sono solo alcuni dei titoli possibili per trattare il tema, ribadendo, una volta di più, che prima di proporli a ragazzi e ragazze (secondo il mio parere, almeno dalla seconda media in avanti), è opportuno che gli educatori li visionino, per essere adeguatamente preparati una volta che decidano di proiettarli in classe o in assemblee pubbliche.

Ecco una lista di film da proporre in classe:

– La parola ai giurati

Un caposaldo che secondo me mantiene ancora intatto tutto il suo valore e tutta la potenza espressiva e narrativa è La parola ai giurati (in originale 12 Angry Men, cioè 12 uomini arrabbiati), diretto nel 1957 da Sidney Lumet, da un soggetto per la Tv di Reginald Rose, che firma anche la sceneggiatura. Dodici è il numero delle persone che secondo il sistema giuridico americano compongono una giuria che debba deliberare su qualche reato. In questo caso si racconta di un processo a un ragazzo accusato di parricidio, e per questo passibile, se condannato, di finire sulla sedia elettrica. Tutto il film si svolge nella stanza in cui è riunita la giuria, nella quale il protagonista Davis, giurato n. 8 (interpretato da un grande Henry Fonda) cerca di convincere gli altri dell’innocenza dell’imputato.

Il buio oltre la siepe

Non parla direttamente di pena di morte, ma è in questione nel racconto proprio il rapporto tra colpa e pena proporzionata al reato il bellissimo Il buio oltre la siepe (1962), regia di Robert Mulligan, tratto dal capolavoro letterario di Harper Lee. Atticus Finch (Gregory Peck) è un avvocato che deve difendere un ragazzo nero accusato di violenza carnale. Tutta la vicenda è vista con gli occhi della figlioletta di Atticus, Jean Louise, detta Scout (interpretata da Mary Badham). Il film è un accorato e toccante appello a uscire dagli stereotipi e dai pregiudizi e a considerare sempre le ragioni degli altri.

– Sacco e Vanzetti

Nel 1971 il regista italiano Giuliano Montaldo realizza con Sacco e Vanzetti una delle migliori opere sul tema. Si parla del famoso caso degli anarchici italiani Bartolomeo Vanzetti (qui interpretato da Gian Maria Volonté) e Nicola Sacco (Riccardo Cucciolla) che furono condannati a morte negli Stati Uniti nel 1920, accusati di rapina a mano armata e omicidio.

Il film segue le fasi di un processo che nella storia viene ricordato come una delle massime vergogne della giustizia americana. Solo il 23 agosto 1977, nel cinquantesimo anniversario dell’esecuzione dei due italiani, il governatore del Massachussets Michael Dukakis riconoscerà ufficialmente, durante una cerimonia pubblica, che si trattò di un errore giudiziario, aggravato dalla malafede dolosa dei giudici.

Uomini contro

Sempre il grandissimo Gian Maria Volontè è uno dei protagonisti di un film uscito l’anno prima, quel Uomini contro che Francesco Rosi trasse dal libro Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, trattando non solo degli orrori della Prima guerra mondiale, ma entrando nei particolari della sciagurata e codarda gestione degli alti comandi militari italiani e delle terribili e assurde fucilazioni ordinate per “riportare la disciplina” fra le truppe.

Segnalo ancora, ma, come detto, non sono che alcune tra le molte indicazioni possibili, altri due film americani.

Il miglio verde

Il miglio verde, 1999, diretto da Frank Darabont e versione cinematografica di un romanzo di Stephen King, racconta della guardia carceraria Paul Eedgecombe (Tom Hanks), che lavora nel braccio della morte della prigione di Cold Mountain, chiamato “il miglio verde” per il colore del pavimento che portava alla sala delle esecuzioni capitali mediante sedia elettrica.

– Il diritto di opporsi

Il diritto di opporsi, realizzato da Destin Daniel Cretton nel 2019 a partire dal libro-documento Bryan Stevenson, che racconta di quando l’autore era un giovane avvocato (nel film interpretato da Michael B. Jordan) che si trovò a dover difendere in aula il boscaiolo Walter McMillan (Jamie Foxx), accusato di omicidio.

Il mosto dei mari: il film d’animazione da non perdere!

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Parliamo de “Il mostro dei mari” il nuovo film d’animazione emozionante e a tratti commovente, con un bel messaggio di fondo.

In un’estate che, come di consueto, propone nelle sale cinematografiche o film horror di serie B o nuove avventure di tonitruanti super-eroi, è disponibile su Netflix un piccolo gioiello che consigliamo di non perdere.
Il mostro dei mari (The Sea Beast, Usa/Canada, 2022), regìa di Chris Williams, che ha anche scritto la storia insieme a Nell Benjamin, è, infatti, un film che mette insieme molte fonti letterarie e cinematografiche, ma per dirci qualcosa di nuovo ed inedito.

Di cosa si tratta:

Maisie Brumble è una ragazzina che vive in un orfanotrofio, dopo aver perso entrambi i genitori, scomparsi nel naufragio del Monarca, una nave che andava a caccia di mostri.

Maisie legge la storia dei mostri e della loro atavica lotta con gli esseri umani su un libro che si porta sempre dietro, anche quando dall’orfanotrofio scapperà per andare, finalmente, in cerca di avventure.

Le capiterà così di incontrare la ciurma dell’Inevitabile, un altro leggendario veliero caccia-mostri, e, in particolare, l’abile marinaio Jacob Holland e il capitano Crow, che ha perso un occhio a causa del più temibile dei mostri, la Furia Rossa, che da allora non ha mai smesso di inseguire.

Un film di animazione che ci racconta molto di più della solita avventura per mare

Questa, però, è solo l’intelaiatura di un racconto che, anche grazie ad una qualità di disegno e di animazione davvero apprezzabile, si dipana per quasi due ore, senza pause e senza cedimenti, dicendoci molto di più di quella che potrebbe sembrare l’ennesima storia di avventure per mare.

Ci sono dentro, infatti, riferimenti a Moby Dick e a Pinocchio, ma anche echi dell’immensa scrittura di Robert Louis Stevenson e di Joseph Conrad. C’è un rapporto che assomiglia molto a quello tra un padre e un figlio di Crow con Holland e tra una figlia e un padre tra Maisie e lo stesso Holland.

Un messaggio significativo…

Soprattutto in quest’epoca in cui sembriamo tornare a considerare normale la risoluzione dei conflitti con mezzi bellici, una profonda riflessione sulla guerra e sulle sue cause.

La maturazione che via via Maisie affronterà prendendo coscienza dell’importanza di conoscere le fonti delle (presunte) ricostruzioni storiche; persino un accenno, per pochi, ma decisivi minuti, all’obiezione di coscienza di fronte agli ordini di usare le armi.

Chris Williams ha scelto, e, visti i risultati, è stata scelta di grande saggezza narrativa, di non ripercorrere strade già usurate riducendo il ‘mostro’ a innocuo cliché, “umanizzandolo” o, ancor peggio, dotandolo di parola per qualche melenso dialogo.

L’ha invece lasciato nella sua dimensione di “diverso”, che risulta, proprio per questo, ancora più significativa nello sviluppo del suo rapporto con la ragazzina e con i cacciatori di mostri.

Sono due ore di grande divertimento, emozione, commozione, che lasciano nello spettatore, in quest’epoca di esaltazione spesso acritica della figura dell’eroe, un pensiero originale e da approfondire con costanza sulle ragioni dell’eroismo, sui suoi effetti negli individui e nelle società, sui mezzi che si utilizzano per raggiungere fini che, in fondo, non sempre sono così limpidi e onesti come tanti racconti vorrebbero dirci.

Affrontare il tema della morte con i bambini con l’aiuto dei cortometraggi

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C’è un tema sul quale noi adulti siamo spesso reticenti, se non addirittura impegnati in velocissime fughe per distanziarcene, e che invece sarebbe bene tener presente nelle nostre relazioni con i bambini e le bambine: la morte.

Quante volte i nostri figli e le nostre figlie (o i nostri alunni e le nostre alunne) entrano in contatto con la morte? Indirettamente, cioè attraverso linguaggi e apparati di mediazione (film, serie, cartoons, videogames, telegiornali etc.); o, anche, direttamente (la scomparsa di una persona cara, ad esempio un nonno o una nonna; oppure la morte di un cane, di un gatto, di un pesce rosso).

La morte fa parte della vita, questa è una considerazione elementare e propria a qualsiasi essere vivente. Quindi non sarebbe male, ogni tanto, provare a trattare anche questo tema con la serenità e la profondità emotiva che richiede.

Qualche cortometraggio, ma sono solo alcuni esempi, ci può aiutare.

I fantastici libri volanti di Mr. Morris Lessmore di William Joyce

I fantastici libri volanti di Mr. Morris Lessmore (è anche un magnifico albo illustrato) racconta di come la vita e la letteratura siano strettamente intrecciate, l’una producendo storie che vengono raccontate dall’altra, in un incessante vortice di esperienze e narrazioni che può andar oltre la fine dell’esistenza fisica.

La noria di Carlos Baena

Più adatto per i ragazzini e le ragazzine degli ultimi anni della scuola primaria o della scuola secondaria di primo grado è La noria di Carlos Baena.

Qui si parla, con alcuni risvolti che potrebbero sembrare horror, ma che contengono una enorme delicatezza e sensibilità, di un ragazzino che trova il modo di entrare in contatto con un padre morto in guerra. Storia, animazione e musica concorrono a creare un cortometraggio che non può mancare di emozionare e commuovere.

The Sinking of the Lusitania

Tornando indietro di più di cent’anni, e nella storia del cinema, è possibile proporre The Sinking of the Lusitania.

Realizzato nel 1918 dal grandissimo Winsor McCay (creatore del personaggio dei comics Little Nemo e della dinosaura Gertie nei disegni animati). Il cortometraggio ricostruisce l’episodio storico dell’affondamento della nave passeggeri Lusitania da parte di un sommergibile tedesco, il 7 maggio 1915, episodio che convinse definitivamente la politica e l’opinione pubblica statunitense a entrare direttamente nel primo conflitto mondiale.

Shoah di Giuliano Parodi

Infine – ma, come detto, le possibilità rintracciabili nel web e in home video sono moltissime – è sempre di grande valore la proposta di partire dai tre minuti e otto secondi di Shoah di Giuliano Parodi.

Per parlare con i bambini e le bambine dei campi di sterminio nazisti, non limitando la memoria ad un unico giorno previsto dalle ricorrenze istituzionalizzate, ma assumendola come bene essenziale per una educazione collettiva alla condivisione del comune destino di abitanti della Terra.

Spesso i film ci vengono in aiuto e ci permettono di affrontare temi delicati ed importanti con i più piccoli. Ne avevamo parlato anche qui.

Natale e dintorni: i film natalizi da guardare in famiglia

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A gran fatica, con una pandemia che non accenna ad esaurirsi e mille situazioni, piccole e grandi, di difficoltà sociale ed umana, si avvicina il Natale. Ecco alcune proposte di film da guardare in famiglia durante il periodo natalizio.

Un tempo, dal punto di vista cinematografico, la scelta per le famiglie era molto semplice: usciva nelle sale il film annuale della produzione Disney e l’appuntamento non si poteva mancare.

E’ evidente che oggi le cose sono molto diverse, non solo perché, purtroppo, la frequentazione di una sala cinematografica al tempo del Covid non è più così facile, ma anche perché l’offerta è molto più ampia e variegata.

Provo quindi a riepilogare alcune delle possibilità che genitori e ragazzi e ragazze hanno quest’anno per festeggiare il Natale anche cinematograficamente.

Encanto

Non manca il titolo Disney, che per il 2021 sarà Encanto, con la regìa di Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith e le canzoni di Lin-Manuel Miranda (che abbiamo già conosciuto come interprete de Il ritorno di Mary Poppins).

Ispirato al folclore colombiano, racconta di una famiglia in cui tutti hanno un particolare dono magico, tranne la giovane Mirabel, che riserverà però più di una sorpresa.

Sotto le stelle di Parigi

Sempre al cinema potremmo andar a vedere Sotto le stelle di Parigi. Diretto da Claus Drexel e interpretato da Catherine Frot e dal piccolo Mahamadou Yaffa, che ci commuove non poco descrivendo il rapporto tra una senza fissa dimora e un giovanissimo migrante in procinto di essere espulso, che per giunta non parla una parola di francese.

Le proposte di Netflix

Passando alle piattaforme di visione casalinga, oltre ai vecchi suggerimenti, Netflix propone Un bambino chiamato Natale. Regia di Gil Kenan col giovane attore Henry Lawfull nei panni di un ragazzino che si mette alla ricerca del padre.

La famiglia Claus, diretto da Matthias Temmermans, con il racconto di un ragazzino che scoprirà quanto le festività che lui odia siano invece parte della vita della sua famiglia e del mondo.

Il delizioso film di animazione Un pettirosso di nome Patty, nel quale l’uccellina (sarebbe una pettirossa, infatti, a dispetto del titolo italiano) Patty, cresciuta in una famiglia di topi, scopre la sua vera natura e l’aspirazione al volo.

Le proposte di Amazon Prime

Amazon Prime Video sembra non mettere in programmazione titoli nuovi, ma ci sarà ovviamente l’occasione per rivedere storie già conosciute come: La banda dei Babbi Natale con Aldo, Giovanni e Giacomo o Dickens – L’uomo che inventò il Natale, che ricostruisce in forma romanzata il processo di scrittura del Racconto di Natale del grandissimo romanziere inglese.

Mimi e Lisa: il mistero delle luci di Natale

Fra i moltissimi titoli che saranno programmati sui canali Rai, molti dei quali si potranno ritrovare su RaiPlay, segnalo in particolare Mimi e Lisa: il mistero delle luci di Natale, un delicato mediometraggio (25 minuti) di animazione di produzione slovacca e ceca. Diretto da Katarina Keresckova e Ivana Sebestova, racconta di come Lisa e la sua amica non vedente Mimi si apprestino a festeggiare la scadenza più attesa dell’anno.

E a me, per quest’anno, non rimane che augurare a tutte e a tutti voi un Felicissimo Natale e un Anno Nuovo che ci porti, finalmente, salute e serenità!

Squid Game, la serie TV al centro delle polemiche

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Parliamo di Squid Game: la serie TV coreana che sta scatenando forti polemiche tra i genitori e non solo.

Capita, con ricorrenze che a volte sono da un decennio all’altro, che una produzione seriale per l’industria culturale di massa scateni furiose dispute etiche e pedagogiche. Anni fa furono gruppi di genitori che si scagliarono contro i (presunti) rischi di Goldrake, suggerendo a Gianni Rodari un memorabile articolo a difesa degli anime giapponesi. Quest’anno il pericolo sembra venire ancora da oriente, nei nove episodi della serie di produzione sudcoreana Squid Game. È quindi forse il caso di provare a fare un po’ di chiarezza.

Punto primo, o delle responsabilità degli educatori.

Squid Game è disponibile alla visione sulla piattaforma Netflix, con l’avvertimento di essere prodotto destinato ai maggiori di quattordici anni.

Ora, per vederlo, è necessario superare almeno tre livelli di difficoltà. E’ necessario cioè avere una connessione Internet (disponibile in casa o su tablet o smartphone in forma di dati per la Sim); è necessario avere un abbonamento a Netflix (che è piattaforma a pagamento e non gratuita); sarebbe necessario aver già compiuto il quattordicesimo anno di età. Se non si fosse sicuri che quest’ultimo requisito sia rispettato, è facoltà dei genitori di inserire una protezione aggiuntiva, sotto forma di un PIN a quattro cifre, scelto da loro e non conosciuto da figli e figlie.

Chi si lamenta del fatto che i propri bambini e le proprie bambine guardano un prodotto seriale non adatto a loro ha quindi la precedente responsabilità di non aver posto sufficiente attenzione alla salvaguardia dei livelli di accesso descritti.

Punto secondo, o delle conoscenze linguistiche degli educatori.

Come molto del cinema asiatico contemporaneo, Squid Game ha livelli di scrittura, di direzione della fotografia, di regìa altissimi. Purtroppo, come spesso accade, non simile al livello di preparazione di molti che lo criticano, lanciando allarmi di tipo etico e pedagogico e chiedendone anche, come anche stavolta hanno fatto alcune associazioni, l’oscuramento totale.

Punto terzo, o della coerenza pedagogica.

Ripetiamolo ancora una volta: Squid Game è “vietato ai minori di 14 anni”. NON è una serie per bambini e bambine.

Ribadito questo, coerenza pedagogica vorrebbe e che gli educatori (genitori, psicoterapeuti, insegnanti etc.) lo avessero visto prima di criticarne dei supposti effetti sociali e che gli stessi considerino nella discussione almeno due altri elementi, corollari di questo terzo punto:

1. Il fatto che la ripetizione ludica di scene viste al cinema o in televisione, anche per emulazione, è comportamento insito nel principio stesso della ricezione audiovisiva (nessuno di noi ha mai giocato a cowboy e indiani, terrestri e alieni, zorro e capitani spagnoli? Nessuno, davvero, ha mai ‘ucciso’ o è mai ‘morto’ giocando, naturalmente rinascendo un secondo dopo la fine del gioco?).

2. Il fatto che l’accusa fatta a Squid Game: “è diseducativo il messaggio che se perdi sei morto” (obiezione che personalmente potrei sottoscrivere del tutto) varrebbe se fosse applicata, con coerenza, a quasi tutto il senso comune che nella scuola e nella società si è diffuso almeno da trent’anni a questa parte. Cos’altro trasmette, a guardar bene, l’aver accettato che un brutto voto, un goal preso su un campetto di periferia, una esclusione da x-factor o simili siano indicatori di una sconfitta radicalmente esistenziale, quindi di una morte sociale?

Guardiamolo insieme, per favore, e discutiamone. È importante ed è un impegno che tutti e tutte dovremmo prenderci.

Cenerentola: è uscito un nuovo film 2021

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Cos’ha, ancora, da dirci, una favola come Cenerentola? Ce ne parla Carlo Ridolfi.

Cos’ha, ancora, da dirci, una favola come Cenerentola? Portato sullo schermo più volte, il racconto di Charles Perrault potrebbe apparire logoro e anacronistico.

Ma la forza dei classici è proprio quella di poter essere reinventati più e più volte, senza perdere in fascino e fantasia.

È il caso della versione sceneggiata e diretta da Kay Cannon e ora disponibile su Amazon Prime Video.

Prima di tutto Cenerentola (Camila Cabello) non è la solita infelice orfana che vive con matrigna e sorellastre e sogna di diventare una principessa. Adesso è una ragazza molto sicura di sé, che ha come obiettivo quello di diventare disegnatrice e realizzatrice di abiti.

Così come la stessa matrigna Vivian (Idina Menzel) ha in realtà un passato da musicista di talento, frustrato per le ristrettezze del ruolo casalingo che si è trovata a dover ricoprire.

E il principe Robert (Nicholas Galitzine) sarà così lontano dallo stereotipo del belloccio figlio di papà da rinunciare alla successione dinastica per vivere il suo amore con Cenerentola, seguendola nella sua attività professionale.

Giocato dall’inizio alla fine sul registro del divertimento e dell’ironia, il film di Kay Cannon è un musical che utilizza sia composizioni originali (di Mychael Danna e Jessica Weiss), sia riproposizioni di grandi successi della musica pop, come Somebody To Love dei Queen, Material Girl di Madonna o Seventh Nation Army degli White Stripes (resa famosissima come coro da stadio a partire dai mondiali di calcio del 2006).

E sono davvero irresistibili i momenti in cui compare in scena una fata madrina interpretata da una “fata” icona gay come Billy Porter.

Madrina che, a sua volta, trasforma i tre topolini amici di Cenerentola in tre nevroticissimi e pasticcioni e simpaticissimi valletti che la accompagnano al ballo (interpretati da Romesh Ranganathan, James Acaster e da quel James Corden, attore e presentatore inglese, di cui si possono trovare in rete spassosissime riproposte dei musical più famosi della storia, interpretate per strada).

Camila Cabello esce da X-Factor Usa. Tra i ballerini c’è anche Giuseppe Giofré, che ha cominciato la sua carriera in Amici di Maria De Filippi.

È la televisione che riproduce se stessa, rimanendo comunque a livelli di competenza artistica e professionalità che, soprattutto negli standard del grande spettacolo americano, sono irrinunciabili.

È intrattenimento di ottima qualità, che permette di passare un paio d’ore tra buona musica, coreografie coinvolgenti e sana, sanissima, ironia che decostruisce i luoghi comuni e le pigrizie intellettuali.

Luca, il film della Disney sulla diversità e l’inclusione

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Carlo Ridolfi ci parla di Luca, il film Disney sul tema della diversità.

Chissà quante volte anche noi abbiamo usato l’espressione “né carne né pesce” per indicare qualcosa, o qualcuno, che non ha una identità definita. E chissà quante volte l’abbiamo usata sottintendendo una connotazione spregiativa. Luca (Usa, 2021) di Enrico Casarosa, un gioiello di inventiva e delicatezza, è partito, forse, dalla stessa frase per darne una rappresentazione affatto diversa.

Luca Paguro è un ragazzino-pesce che vive nelle profondità del mare con i suoi genitori, ma che è, come tutti i preadolescenti, affascinato dalle cose che gli sono proibite, primo fra tutti il fatto di mettere piede sulla terraferma.

L’incontro con il suo coetaneo Alberto Scorfano, che vive senza genitori, sarà il motore primo che lo spingerà a trasgredire il divieto, scoprendo che quando esce dal mare si trasformano, lui e il suo nuovo amico, in esseri umani. Sarà così che incontreranno Giulia Marcovaldo (il riferimento esplicito – e non sarà il solo – è chiaramente a Italo Calvino), ragazzina esuberante che ha come sua massima aspirazione quella di sconfiggere il presuntuoso Ercole Visconti nell’annuale gara di triathlon.

Questa, in poche parole, la trama di un film che ha nella storia l’impalcatura per una costruzione narrativa, visiva, psicologica e sociale davvero magnifica.

È decisiva l’ambientazione geografica: la Liguria delle Cinqueterre (da cui è originario Enrico Casarosa), con le sue piccole baie, le sue calette, i paesini che si inerpicano dal mare direttamente verso la collina. È altrettanto significativa la definizione del periodo storico: siamo all’inizio degli anni ’60, con tutta una serie di rimandi culturali, dalle insegne dei negozi e delle botteghe ai manifesti pubblicitari, dai cartelloni dei film in programmazione alle canzoni che punteggiano la colonna sonora (il quartetto Cetra, Gianni Morandi, Mina, Rita Pavone, con l’unico anacronismo de “Il gatto e la volpe” di Edoardo Bennato, che appartiene al decennio successivo).

C’è, soprattutto, tutta la passione e la sensibilità di raccontare una fase della vita dei ragazzi e delle ragazze, quella, appunto, in cui ciascuno di noi si è trovato ad essere “né carne né pesce”, con accenti di profondità e di delicatezza davvero rari.

Ultima produzione Pixar in ordine di tempo, realizzata con una qualità di animazione in computer graphic che ogni volta non smette di meravigliare (Casarosa aveva già realizzato nel 2011, per la casa di produzione statunitense, un magnifico cortometraggio come La luna) Lucaè un film che va visto, rivisto, gustato e approfondito.

Anche perché, non è che uno dei suoi moltissimi meriti, ma secondo me è importante sottolinearlo, è un film che racconta anche come la passione per lo studio e l’importanza della scuola siano elementi fondamentali per la crescita complessiva ed equilibrata di un ragazzo o di una ragazza.

Come sempre accade nei lungometraggi Pixar, lo si guardi fino alla fine dei titoli di coda, per non perdere un esilarante elogio della stasi della vita negli abissi che è, al contempo, la conferma di quanto necessaria e vitale sia la curiosità impertinente dei preadolescenti e la descrizione in due minuti di come gli adulti che pretendono di essere al centro dell’attenzione non possono che produrre danni gravi quando va peggio o, nonostante la cieca arroganza che è propria di qualsiasi cattivo educatore, al massimo una noia mortale.

(Luca è disponibile sulla piattaforma Disney+, ma l’auspicio è che, come meriterebbe, ne sia resa possibile anche la programmazione in sala e la visione su grande schermo).

Due film sulla famiglia da non perdere!

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Carlo Ridolfi consiglia due pellicole sulla famiglia che vale la pena vedere!

La famiglia è, naturalmente, uno dei soggetti preferiti da chi racconta storie per immagini in movimento. Le dinamiche tra genitori e tra genitori e figli si prestano benissimo, offrendo la possibilità di rappresentare conflitti, dispute, comprensioni e rappacificazioni, a sviluppare narrazioni spesso appassionanti e divertenti.

È il caso di due film che vorrei segnalare questo mese, entrambi disponibili su Netflix, quasi due gioiellini di comicità e tenerezza.

Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria

Il primo si intitola Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria, ed è una coproduzione statunitense-cinese, in animazione CGI, con la sceneggiatura di Audrey Wells e la regia di Glen Keane.

Over the Moon è la storia di una famiglia che deve ricostruirsi. Fei Fei, la piccola protagonista, vive col padre dopo che una malattia ha portato via l’amatissima madre e moglie. Il padre, che gestisce un piccolo negozio di cibo cinese, dopo qualche tempo si innamora di un’altra donna, che ha un figlio, Chin.

Il film vive quindi su un costante doppio binario narrativo: la passione di Fei Fei per la leggenda della dea della luna, Chang’e, e i suoi ricorrenti scontri col fratellino acquisito, che fatica moltissimo ad accettare.

Grazie ad un’altissima qualità di animazione e a una vicenda che si snoda senza intoppi, Over the Moon è un film che ci parla della crescita, faticosa ma decisa, di una bambina che davvero rimane presente nella nostra memoria come esempio di tenacia e di maturità.


I Mitchell contro le macchine

Il secondo film – devo dire che da tempo non si rideva così guardando un lungometraggio – è I Mitchell contro le macchine, scritto e diretto da Mike Rianda e Jeff Rowe, anch’esso in animazione CGI.

In questo caso il conflitto al centro della storia è quello tra Katie Mitchell, un’adolescente appassionatissima di realizzazioni cinematografiche e video, che sta per trasferirsi al college, e suo padre Rick, ancorato ad una vita analogica, che non riesce a comprendere le passioni della figlia. Insieme a loro vivono la moglie/madre Maya, il figlio/fratellino Aaron e il buffo cane Monchi.

Quando il mondo intero viene sconvolto da una ribellione dei marchingegni elettronici, a capo della quale sta una cattivissima “app” che non ha sopportato di esser stata relegata nei softares obsoleti, i Mitchell troveranno il modo di superare i loro conflitti e di allearsi per sconfiggere la minaccia di distruzione che incombe.

Pieno di trovare esilaranti e di battute di dialogo di grande intelligenza (cito solo la migliore, quando a Maya viene detto che si sta comportando benissimo nella durissima battaglia contro i robot, lei risponde: “Sono una maestra elementare, vedo di peggio tutti i giorni a scuola!”), I Mitchell contro le macchine è uno di quei, purtroppo rari, film, che può esser visto, come si sarebbe detto una volta, da grandi e piccini con pari divertimento e uguale possibilità di riflessione e analisi a diversi livelli di contenuto.

Due film che fanno pensare divertendo, come nei migliori casi della produzione cinematografica internazionale.

Aprile è “Bella ciao”

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Credits fotoIstituto Luce
Il 25 aprile festeggiamo la Liberazione e la Resistenza: scopriamo con Carlo Ridolfi alcuni video da non perdere!

“Aprile è il mese più crudele“, dice Thomas S. Eliot iniziando così il suo meravigliosa poema La terra desolata. Per noi italiani, forse, non è proprio così. Aprile è il mese più felice, perché non smettiamo, non dobbiamo smettere, di ricordare che è il mese in cui, nel 1945, l’Italia fu definitivamente liberata dal nazifascismo.

Forse l’avverbio “definitivamente” non è correttissimo. Ancora oggi qualcuno insiste ad avere una efferata nostalgia di uno dei periodi più bui della storia umana. Non mancano le scorribande online di lestofanti che fanno irruzione in riunioni altrui scandendo slogan che inneggiano al nazismo e al fascismo, è quel triste fenomeno che si chiama zoombombing

Ma il nostro dovere di educatori è quello di aiutare le giovani generazioni a non dimenticare. Oggi che, per ragioni di anagrafe, se ne stanno andando quasi tutti i testimoni della Resistenza e della Liberazione.

Il cinema e i media digitali ci possono dare un grandissimo supporto, sia che li vogliamo utilizzare a casa, sia che ci servano come integrazione didattica in ambito scolastico.

In questo aprile, dunque, vorrei segnalare a genitori ed insegnanti alcuni dei, per fortuna, moltissimi materiali che si possono trovare nel Web.

Un lavoro prezioso, da vero servizio pubblico, lo sta facendo RaiPlay, che ha dedicato una corposa sezione  proprio alla ricostruzione documentaria di quel periodo decisivo anche per la nostra storia attuale.

L’Italia della Resistenza

Si intitola “L’Italia della Resistenza” e anche solo l’indice dei titoli a disposizione ci può raccontare quale patrimonio ci sia a disposizione.

25 aprile, la Liberazione (con testimonianze, fra gli altri, di Sandro Pertini, che diventerà uno dei più amati Presidenti della Repubblica); Italia libera (storia di una formazione partigiana nel cuneese, con esponenti del calibro di Duccio Galimberti e Nuto Revelli); La scelta (interviste raccolte oggi da Gad Lerner di donne e uomini che parteciparono alla Resistenza); Le radio clandestine nella Resistenza e Le radio nell’Italia liberata, per raccontare quanto importante fu l’uso di un mezzo di comunicazione che allora era diffusissimo e irrinunciabile; Gli scout e la Resistenza, esempi come quello delle Aquile Randagie milanesi o del gruppo romano di piazza Montecitorio, per raccontare quanto il movimento degli esploratori, sciolto d’imperio da Benito Mussolini che non poteva accettare la loro tensione all’autonomia dei ragazzi e delle ragazze, fu decisivo anche dal punto di vista politico.

Bella ciao

Ma aprile non può che essere, anche, il mese di Bella ciao. Sono innumerevoli, per fortuna, le versioni del canto partigiano più famoso del mondo.

Ne segnalo solo una, rintracciabile senza fatica su YouTube. Un gruppo di vigili del fuoco della Gran Bretagna, per inviare un messaggio di vicinanza e solidarietà ai loro colleghi italiani, in particolare in questo brutto momento di pandemia globale, hanno realizzato un video dove cantano proprio Bella ciao.

Qualcuno è un po’ stonato, ma non importa. Anzi. È ancora più commovente vedere e ascoltare come un canto di resistenza ha valicato epoche e confini nazionali, per diventare patrimonio comune che richiama alla solidarietà.

Gli “anime”: la passione dei nostri figli adolescenti

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Con Carlo Ridolfi ci addentriamo nel mondo degli “anime” giapponesi.

Vorrei rivolgermi a coloro che, come me, sono genitori di ragazzi o ragazze adolescenti. È un’età della vita, lo sappiamo sia per esperienza diretta che per acquisizione culturale, complessa e complicata.

La pandemia, inoltre, ha collaborato in negativo per renderla ancora più ardua sia per chi la sta attraversando, sia per mamme, papà, fratelli o sorelle che vivano insieme al ragazzo o alla ragazza adolescente.

La tendenza quasi spontanea a rimanere chiusi nelle proprie camerette, quasi sempre incollati a strumenti di comunicazione digitale vari (computer, tablet, smartphone, videogames), comunicando solo con i pari-età, è stata moltiplicata all’ennesima potenza dalle chiusure di vario tipo sofferte in questi mesi.

Cosa guardano, i nostri figli e le nostre figlie di 13-14-14 anni?

Non è facilissimo saperlo, perché molto spesso gli adulti vengono chiusi fuori dalle camerette in tutti i sensi: fisico, culturale, dialogico.

Possiamo provare, quindi, a fare un breve e certamente non esaustivo excursus sull’offerta a loro destinata, ipotizzando che si rivolgano principalmente ad essa.

Guardano di sicuro molte serie a disegni animati, quasi sempre di produzione giapponese.

Non sono più i tempi, vorrei sperare, di manifestazioni di genitori indignati contro Mazinga Z, come succedeva all’inizio degli anni Ottanta. Dovremmo aver imparato, anche perché molti che sono genitori oggi erano adolescenti proprio in quel periodo, che dal Giappone arrivano spesso anche produzioni di grandissima qualità sia visiva che narrativa.

Gli “anime”

Gli (mi raccomando, non “le”) “animegiapponesi sono tutt’altro che liquidabili con la  definizione di cartone animato, che sottintende quasi sempre sia una connotazione di “racconto per bambini”, sia quella di “racconto semplice e immediato”.

Ciò che i ragazzini o le ragazzine cercano e guardano non sono sicuramente né racconti semplici né produzioni per l’infanzia.

Serie come  Naruto, che deriva dal manga di Masashi Kishimoto (un dodicenne che aspira a diventare il ninja più importante) o L’attacco dei giganti di Hajime Hisayama (tre amici d’infanzia che lottano contro enormi nemici in un mondo apocalittico). Avvincono per complessità delle trame, caratterizzazione dei personaggi, identificazione possibile con i combattimenti simbolici con se stessi e con gli altri che sono propri di quella età.

Naruto

Non corrispondono esattamente ai gusti e alle preferenze di noi adulti? È normale. Anzi: quando mai i giornalini letti, i film visti, la musica ascoltata dagli adolescenti hanno avuto l’approvazione incondizionata di genitori e insegnanti? (Basta che ciascuno di noi torni con la memoria al se stesso a quella età e si avrà la risposta).

L’attacco dei giganti

L’importante, come sempre, è conoscere. Senza pregiudizi, senza paragoni privi di senso con presunte età dell’orto precedenti. (“Ai miei tempi sì, c’erano cartoni divertenti, fumetti interessanti, bella musica”, è frase sicura per chiudere qualsiasi tipo di comunicazione).

La scuola allo schermo: le iniziative di INDIRE

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Con Carlo Ridolfi scopriamo oggi un “La scuola allo schermo”, un’utile piattaforma educativa di INDIRE.

Sono molto contento di segnalare un’iniziativa di grande interesse, che ha origine da un struttura pubblica, che si chiama INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa), e, in particolare, al suo interno, il progetto che si occupa delle piccole scuole.

Su www.piccolescuole.indire.it è possibile collegarsi ad una iniziativa veramente preziosa, che ha per titolo “La scuola allo schermo”.

Si tratta di una raccolta di risorse audiovisive rivolta a chiunque, in campo educativo, voglia approfondire temi culturali, sociali, economici.

Troviamo un repertorio di film, documentari, cortometraggi, interviste e altri materiali di finzione, per viaggiare tra diverse culture educative e metodi e strumenti didattici differenti.

Particolarmente indicato per la scuola primaria, ma utilizzabile a ogni livello scolastico, il “magazzino virtuale” coordinato da Pamela Giorgi e Giuseppina Rita Jose Mangione.

Il “magazzino” mette a disposizione una ricchissima bibliografia e sitografia e rimanda, tra le altre possibilità offerte, al sito www.cinemaperlascuola.it.

Il sito presenta anche il “Piano nazionale di educazione visiva per le scuole promosso dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero per i Beni Culturali”.

In più una ricca serie di webinar, davvero di grande interesse, in cui esperti e tecnici del settore raccontano le loro esperienze e riflettono sui possibili utilizzi nella didattica

Si va dalla introduzione al linguaggio cinematografico (Neva Cesari, Lanternemagiche) a “Capire, scrivere, fare il cinema a scuola” (Girolamo Macina, media educator), dal lavoro di regista di (bellissimi) documentari e in particolare del loro rapporto con la storia che propone Claudia Cipriani all’approfondimento sulla media education in ambito scolastico proposto da Alessia Rosa dell’INDIRE e dalla regista e docente di scuola secondaria di primo grado Elisabetta L’Innocente.

Questo, e molto altro, che si può trovare grazie ad un esemplare lavoro di servizio pubblico.

Giornata della Memoria: 3 film da non perdere in classe

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3 consigli cinematografici per affrontare in classe la Giornata della Memoria

Come ogni anno, il 27 gennaio celebriamo la Giornata della Memoria.

A volte, soprattutto a scuola, si usano film e filmati per parlarne coi bambini e con le bambine e con i ragazzi e con le ragazze. A volte, purtroppo, si usano incautamente.

Il tema è delicatissimo è trattarlo con una scelta filmografica sbagliata rischia di essere persino controproducente. Un esempio solo, fra i molti.

Proiettare Schindler’s List (Usa, 1993) importantissimo e anche durissimo film di Steven Spielberg, senza un’adeguata preparazione sul linguaggio cinematografico e sull’impatto emotivo di certe sequenze può causare, è successo, che nel momento in cui l’ufficiale nazista si mette a fare il tiro a segno dalla terrazza di casa sua usando come bersagli i prigionieri del campo di concentramento, scoppino applausi inneggianti alla (orrenda) mira del militare.

È necessario, quindi, essere molto attenti, informati, rigorosi e preparati.

Mi limiterò quindi a tre indicazioni filmografiche, fra le molte possibili,  precedute da un semplice ma fondamentale consiglio: non facciamo vedere ai nostri figli e ai nostri alunni nessun film che noi non abbiamo visto e sul quale non abbiamo a lungo riflettuto in precedenza.

Per le classi terze e quarte della scuola primaria

Un brevissimo ma efficacissimo corto di animazione: Shoah di Giuliano Parodi, che trovate qui sotto:

Dura 3 minuti e 8 secondi, ma ha una forza narrativa e un impatto visivo che non possono lasciare indifferenti.

(Conosco, anche qui casi rari ma che vanno segnalati, maestre che l’hanno fatto vedere a bambini e bambine di seconda e, una volta finita la visione, hanno esclamato: “Bene, la Giornata della Memoria l’abbiamo fatta. Adesso passiamo a matematica!”. Ecco, questo è un esempio perfetto di cosa NON bisogna fare).

Per le quinte della primaria e la prima e seconda della secondaria di primo grado

Non riesco a trovar di meglio che il fondamentale Il grande dittatore (Usa, 1940) di Charlie Chaplin, ora disponibile in una versione in dvd magnificamente restaurata dalla Cineteca di Bologna.

Per la terza della secondaria di primo grado e anche per le prime classi della secondaria di secondo grado

Un film davvero molto bello è Una volta nella vita (Francia, 2014) di Marie-Castille Mention-Schaar. Il film ricostruisce la vera storia di una classe di liceo della periferia di Parigi alla quale una bravissima insegnante assegna la sfida di partecipare ad un concorso nazionale sulla memoria della Shoah.

In qualsiasi caso e qualsiasi titolo si scelga, è essenziale che la presenza dell’adulto, insegnante o genitore, aiuti a riflettere meglio su una memoria.

Perché la memoria non può essere semplice ottemperanza didattica, ma che deve radicarsi nell’animo più profondo dei bambini e dei giovani.

Pensare con gli occhi: schermi che educano!

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Scopriamo insieme a Carlo Ridolfi i palinsesti di reti tv e piattaforme web dedicati ai più piccoli: un modo diverso per educare e pensare con gli occhi.

Palinsesti di reti tv e piattaforme web dedicati ai più piccoli: un modo diverso per educare e pensare con gli occhi.

Viviamo in un’epoca difficile, non c’è dubbio. Ma è anche un’epoca, nelle difficoltà, che offre opportunità inedite anche fino solo a pochi anni fa.

A scorrere i palinsesti di reti televisive e piattaforme nel web, raggiungibili comunque tutte con qualsiasi supporto di connessione (smart tv; pc; tablet; smartphone), possiamo infatti trovare un elenco vastissimo di produzioni per bambini e ragazzi, spesso di notevole qualità sia tecnico-artistica che di contenuto.


Non è qui possibile elencarle tutte, perché sono davvero moltissime. Mi limiterò quindi ad una veloce rassegna di alcuni titoli, lasciando la curiosità e il piacere della scoperta a chi legge.

Netflix

Su Netflix, nell’area “bambini”, possiamo trovare, ad esempio, la riproposta completa di due serie fine anni Novanta, già note al grande pubblico delle emittenti private, ma che conservano ancora tutto il loro valore. Sto parlando di Siamo fatti così-Esplorando il corpo umano e di Grandi uomini, grandi idee, serie di produzione francese che ci introducono alla scienza e alla storia. Di produzione più recente invece, provenienti dagli Stati Uniti, sono Chi era? Lo show e Piccoli geni, che dalla storia ai social media, dai germi alle emozioni raccontano e approfondiscono in modo fresco e familiare.

Prime Video

Prime Video si dedica molto alle fasce di età più piccole, prescolari o dei primi anni della scuola primaria. Anche qui potremmo rivedere serie già molto note in tv, come Pimpa Giramondo, Bing o Pocoyo, o grandi capolavori del cinema di animazione come Il flauto magico di Mozart rivisitato da Gianini e Luzzati o La grande avventura del piccolo principe Valiant di Isao Takahata. 

Molto interessanti, soprattutto per bambini e bambine più piccoli, sono Tumble Leaf, nella quale una piccola volpe azzurra scopre il mondo insieme ai suoi amici e ai suoi telespettatori; Creative Galaxy, viaggi nella galassia di una coppia di bambini extraterrestri che risolvono i problemi con l’arte; Dino il dinosauro, con il cucciolo protagonista che manipola oggetti e scopre spazi come fanno davvero i bimbi piccoli.

Disney +

Disney +, oltre a riproporre tutte le serie presenti nei canali Disney delle tv tematiche, offre la possibilità di un’ampia scelta fra documentari naturalistici di ogni tipo.

Rai Play

Notevolissima è, infine, l’offerta di Rai Play, che nella sezione La scuola non si ferma propone un elenco ricchissimo di documentari sull’arte, il cinema, la letteratura, la musica, la natura, la società, la storia, il teatro, i viaggi. Non dimenticando, perché rappresenta un esempio virtuoso di servizio pubblico per l’approfondimento culturale, che sul sito di rai scuola (piattaforma tematica raggiungibile anche al canale 146 del digitale terrestre o al canale 33 della tv satellitare) è a disposizione un patrimonio preziosissimo di programmi, lezioni, speciali che spaziano in ambito multidisciplinare.


ARTE, un canale gratuito da scoprire

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Uno dei migliori canali gratuiti per bambini e ragazzi, ARTE ci propone documentari, fiction, informazione e spettacoli dal vivo, tutti disponibili con sottotitoli in italiano

In questo periodo difficile, nel quale anche cinema e teatri sono chiusi e l’unica possibilità per vedere storie e racconti per immagini in movimento è quella di ricorrere a schermi televisivi o supporti digitali, a volte con necessità di abbonamenti e pagamenti vari, c’è un canale gratuito, raggiungibile con un semplice clic, che va ricordato, sostenuto e utilizzato da genitori e insegnanti.

Sto parlando di ARTE, sigla che sta per Association Relative à la Télévision Européenne, un progetto nato nel 1992 e sovvenzionato con il canone delle reti televisive pubbliche tedesche e francesi, con una programmazione che si compone per il 55% di documentari, per il 25% di fiction, per il 15% di programmi di informazione e per il 5% di musica e spettacoli dal vivo.

Tutto questo prezioso materiale è disponibile su www.arte.tv e tutte le produzioni che vengono proposte hanno i sottotitoli in italiano e possono essere quindi utilizzate sia a scopo didattico che per intrattenimento (ma le due dimensioni non sono in contraddizione fra loro) per bambini e ragazzi a partire dal secondo ciclo della scuola primaria.

Grazie all’offerta produttiva e tematica di ARTE è possibile spaziare dalla storia alla filosofia, dalle scienze alla storia dell’arte, con materiali che vanno dai quattro minuti al lungometraggio o alla ripresa di opere e spettacoli musicali fino a tre ore di durata. Ne ricordo qui solo alcuni, che danno una parziale idea di quante cose si possano trovare e della qualità davvero di altissimo livello con la quale vengono prodotte.

Potremmo vedere, ad esempio, un interessantissimo documentario (durata: 53 minuti) del regista francese Raphael Hitier, dal titolo Crescere davanti a uno schermo, che indaga implicazioni ed effetti della esposizione a smartphone, tablet e supporti di varia natura di bambini e bambine, a volte anche in tenerissima età.

Oppure vedere (e ascoltare) i concerti “casalinghi” che il violinista Daniel Hope (un cognome ben augurante, visto che in italiano significa “speranza”) ha organizzato durante il primo lockdown generale, permettendo a musicisti e spettatori di eseguire ed ascoltare alcuni capolavori della musica classica.

O, ancora, e non è affatto una proposta funerea come potrebbe apparire, un’escursione nel Cimitero del Pére Lachaise a Parigi, grazie a un documentario di 44 minuti diretto da Christophe d’Yvoir e Augustin Viatte, che ci portano in un viaggio al contempo geografico, botanico e storico, dato che in quel luogo sono innumerevoli le ultime dimore di personaggi illustri, da Gioachino Rossini a Georges Méliès, da Jim Morrison a Oscar Wilde.

Ma tutto il palinsesto, rinnovato di settimana in settimana, di ARTE merita di essere seguito, visto e utilizzato. È uno dei migliori esempi di servizio pubblico che l’Europa ci offe.

Halloween: il brivido per bambini… e adulti!

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Film e cartoon per trascorrere in famiglia la serata di Halloween

Da qualche anno anche da noi in Italia ottobre è il mese che si conclude con Halloween. Festa di origine celtica, importata negli Stati Uniti e diventata un appuntamento fisso per ragazzini e ragazzine, per quelli della mia generazione era legata alle strisce dei Peanuts di Charles Schulz nelle quali venivano raccontate le peripezie di Linus alle prese con il Grande Cocomero.

La notte della vigilia di Ognissanti, per un particolare affastellarsi di tradizioni popolari, credenze precristiane ed elaborazioni narrative, è diventata sinonimo sia di divertimento che di racconto di paura.

Non dobbiamo stupirci, fatta la tara di tutto il calcolo commerciale che è stato evidentemente compiuto su questa scadenza, che i racconti di paura, o dell’orrore, rivestano un particolare fascino per ragazzini e ragazzine. La paura è emozione fondamentale per l’essere umano fin dalla notte dei tempi, perché è, al contempo, segnale di allarme che ci permette di allontanarci dai pericoli e sprone a misurarci per superarla.

Sarebbe sterminato l’elenco di film, serie tv, corti di animazione che hanno preso Halloween come tema portante. Non posso quindi che limitarmi a qualche accenno, fra le produzioni che ritengo più significative.

La leggenda della valle addormentata

Inizierei con un gioiellino del cinema di animazione Disney come La leggenda della valle addormentata (Usa, 1949), mediometraggio di una trentina di minuti tratto dal (bellissimo) racconto omonimo scritto nel 1820 da Washington Irving e diretto da un trio di maestri della bottega disneyana come Jack Kinney, Clyde Geronimi, James Algar. Dallo stesso racconto, nel 1999, Tim Burton trasse La leggenda di Sleepy Hollow, ottimo film adatto ai più grandicelli.

Nigthmare Before Christmas

Sempre Tim Burton firma, nel 1993, affidando la gran parte del lavoro di messa in scena a Henry Selick, Nigthmare Before Christmas, che è racconto natalizio con protagonista il delizioso Jack Skeleton, signore del paese di Halloween.

È presente in libreria una bella edizione molto curata.

Piccoli brividi 2 – I fantasmi di Halloween

Molto più recenti e facilmente rintracciabili , sono due divertenti lungometraggi come Piccoli brividi 2 – I fantasmi di Halloween (2018) di Ari Sandel e Hubie Halloween (2020) di Steven Brill, con Adam Sandler.

Ghosts

Infine, per concludere in musica, ricorderei Ghosts (1997) di Stan Winston, un mediometraggio che ha Michael Jackson come protagonista (sia nella parte del buono che in quella del cattivo, anche se i confini fra le due dimensioni morali sono qui davvero incerti). Non manca, ovviamente, una seconda parte ampiamente musicale con coreografie di grande suggestione. Va sottolineato che alla sceneggiatura hanno collaborato, oltre allo stesso Jackson, due scrittori di storie di paura come Mick Garris e, soprattutto, quello Stephen King che è ancora oggi l’insuperato maestro di una letteratura certamente non per bambini piccoli, ma che ha una sua grande dignità in qualità di scrittura e capacità narrative.

Buon Halloween a tutti!

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Gianni Rodari e il cinema

in Arte, Musica e Spettacolo by
Breve storia di un rapporto mai sbocciato, quello tra il cinema e Gianni Rodari, ma che ci ha comunque regalato piccoli capolavori.

Giornalista. Scrittore. Intellettuale. Partigiano e poi militante del Partito Comunista Italiano. Maestro elementare, per un breve periodo. Maestro di fantasia per sempre. Questo e molto altro è stato Gianni Rodari, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Quasi mai, purtroppo, preso in considerazione dal cinema e dalla televisione italiani.

È duro a morire, infatti, un pregiudizio di lontana ascendenza, secondo il quale se le espressioni artistiche non parlano direttamente della realtà non sono degne di molta considerazione. Dimenticando, come potrebbero dimostrare anche esempi di altissimo lignaggio – in fondo né il Dante della Commedia né l’Ariosto dell’Orlando furioso raccontano storie realistiche, ma risultano così universali da parlarci sia del loro tempo che del nostro – che la questione da considerare non è mai il tipo di linguaggio che si utilizza, ma come esso viene utilizzato.

Ecco quindi che delle opere di Rodari in Italia solo due hanno avuto trasposizioni cinematografiche.

La torta in cielo, un non memorabile lungometraggio in live action realizzato nel 1973 da Lino Del Fra e Paolo Villaggio come protagonista.

E La freccia azzurra, trasposto in animazione nel 1996 da Enzo D’Alò, con le voci principali di Dario Fo e Lella Costa, e un risultato artistico che ancora oggi regge al confronto del tempo che passa.

Molto interessanti, tanto da meritare una curata edizione italiana che speriamo prima o poi qualcuno si decida a fare, sono le versioni in animazione di racconti di Rodari prodotte in quella Unione Sovietica che per anni tributò, a volte mettendolo quasi in imbarazzo, grandi riconoscimenti allo scrittore piemontese.

Vanno quindi ricordati Cipollino e il cavalier Pomodoro(1961) di Boris Dezkin (uscito da noi in vhs solo nel 1997), quaranta minuti con disegni e narrazione davvero originali e avvincenti, e, sempre dalle storie del piccolo ortaggio ribelle, la commedia musicale Cipollino(1972, diretta da Tamara Lisitsian con attori e attrici e la voce fuori campo dello stesso Rodari come narratore.

Gianni Rodari collaborò come sceneggiatore anche alla realizzazione di un cortometraggio tratto dal suo racconto La passeggiata di un distratto realizzato in URSS da Anatoly Petrov. Infine, rintracciabile anche su YouTube, un corto di 15 minuti dal titolo Star Taxi che ha ancora origine dal mondo russo, non più sovietico, essendo stato realizzato nel 2016 da Jurai Krumpolec.

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Splendidi film di animazione tutti da scoprire

in Arte, Musica e Spettacolo by
Grazie ai consigli di Carlo Ridolfi, andiamo alla scoperta di alcuni splendidi film di animazione oggi disponibili gratuitamente

Mentre prosegue la vita sospesa da una pandemia che sta cambiando il volto del mondo intero, continuiamo a rintracciare alcune – delle molte ormai disponibili – perle nascoste di animazione fino ad oggi nascoste o addirittura indisponibili.

Due fra le maggiori sono raggiungibili al sito della Cineteca di Milano. Si tratta di due splendidi film di animazione, oggi disponibili in streaming gratuito.

La regina delle nevi (URSS, 1957)

Versione a disegni animati, diretta da Lev Amatanov, di una delle più belle fiabe di Hans Christian Andersen, conserva la freschezza, l’originalità e la grazia di un’opera che non si rivedeva da tempo (a mio parere, con la misura delle differenze d’epoca e di capacità tecnologiche, non inferiore, se non persino più significativo, delle maxiproduzioni statunitensi che hanno prodotto i due film di Frozen).

Putiferio va alla guerra (1968)

Uno dei rarissimi lungometraggi a disegni animati prodotti da quella che è stata una grandissima scuola di inventiva, ironia, divertimento e passione come quella degli animatori italiani. Si tratta di Putiferio va alla guerra (1968), realizzato dai fratelli Gino e Roberto Gavioli, con la collaborazione di Paolo Piffarerio. Per rappresentare la necessità di superare le divisioni tra esseri dal destino comune, la storia della lotta tra formiche (che poi scopriranno di avere un nemico da affrontare insieme) è quanto di più utile e giusto ci sia di questi tempi.

Altro sito di grande utilità è quello di My French Film Festival che fino a fine maggio, almeno al momento, mette a disposizione in visione gratuita venti fra corto e lungometraggi significativi delle ultime dieci edizioni del festival del cinema francese.

Vi si trovano alcuni gioiellini della produzione in animazione internazionale, come Il giorno delle cornacchie (2012) diretto da Jean-Christophe Dessaint fra i lungometraggi, o, fra i corti, i deliziosi Dopo la pioggia (2018) del trio franco-spagnolo Valérian Desterne, Juan Olarte Zuniga e Carlos Osmar Salazar, Il sogno di Sam (2018) di Nolwenn Roberts, Il silenzio sotto la corteccia (2018) di Joanna Lurie, La tigre senza strisce (2018) di Raùl Robin Morales Reyes.

La selezione continua, ma va esplorata e goduta con curiosità e attenzione, con molte altre proposte per bambini e adolescenti, fra le quali ci piace citare lo splendido documentario (in alcuni passaggi forse un po’ arduo come temi trattati e per questo adatto a un pubblico 10+) Come ho odiato la matematica (2012) di Olivier Peyon. Al di là del titolo volutamente provocatorio, si tratta di un’accuratissima e avvincente trattazione dell’evoluzione scientifica e didattica della matematica e della sua importanza nella vita di tutti i giorni.

La storia di Pippi Calzelunghe diventa un balletto.

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Pippi Calzelunghe, nata dalla penna di Astrid Lindgren, è ora la protagonista di un balletto, con il corpo di ballo e l’orchestra di Finlandia, da vedere sul canale gratuito ARTE.

Se c’è un personaggio, fra quelli nella letteratura per ragazzi, che può esser associato alla parola “libertà” questo è sicuramente Pippi Calzelunghe.

Creata nel 1945 da Astrid Lindgren, donna e scrittrice straordinaria, la ragazzina che abita a Villa Villacolle ha avuto, con pieno merito, un lungo e continuo successo non solo per l’originale libro per ragazzi, ma anche per la serie televisiva nella quale fu interpretata da Inger Nilsson, per i film con attori e a disegni animati.

Dallo scorso anno Pippi è anche la protagonista di uno splendido balletto, con le musiche di George Riedel, Stefan Nilsson (che sono stati gli autori della celeberrima canzone diventata la sigla della serie tv) e di Jan Johansson, e con la coreografia di Par Isberg. Messo in scena con il corpo di ballo e l’orchestra di Finlandia, questa versione di Pippi Calzelunghe è disponibile (fino al prossimo 20 aprile) sul canale gratuito ARTE.

Poche forme d’arte raggiungono la sintesi e la purezza creativa come il balletto, in questo caso realizzato al meglio.

Le scenografie di Bo Ruben Hidwall, i costumi di Ann Mari Anttila. Le musiche (con echi del più giocoso Erik Satie e reminiscenze jazz) dirette da Kurt Kopecky. L’interpretazione (solo per citare i ruoli principali) di Abigail Sheppard (Pippi), Kento Jacobs (il sig. Nilsson), Atte Kilpinen (Tommy), Valeria Quintana (Annika). Il tutto rende questo spettacolo davvero entusiasmante e imperdibile.

Guarda il video del balletto
Il primo tempo

C’è tutto il “canone” Pippi che conosciamo. L’arrivo nella sua nuova dimora (l’entrata in scena è compiuta rubando la bacchetta al direttore d’orchestra), la presa di possesso nella nuova casa insieme alla scimmietta sig. Nilsson e al cavallo bianco Zietto (balla pure il cavallo, grazie al mirabile coordinamento sotto il costume di Ville Maki e Lucas Jerkander), il primo incontro con Tommy e Annika.

Ci sono poi un sogno in cui compare il padre marinaio, l’irruzione dei due malcapitati ladri che tentano di sottrarle il prezioso baule contenente il suo tesoro, un nuovo sogno con la madre (“Mia madre è un angelo”, aveva raccontato Pippi ai suoi due nuovi amici, e qui l’angelo si manifesta alla lettera). Questo nel primo tempo.

Il secondo tempo

Il secondo si apre con l’entrata in scena delle comari del paesino che vorrebbero inquadrare Pippi in costumi e abitudini che le sono di certo estranei, tanto che la sua esperienza scolastica (nella quale le lettere dell’alfabeto sono corpi di danzatori che si intrecciano) viene accompagnata anche dalla presenza della polizia.

Ma l’evasione è prossima e viene effettuata grazie all’entrata in scena di una nave che porterà lei e i suoi sodali sopra e sotto il mare, poi nell’isola governata da suo padre e ad affrontare le scimmie, e poi ancora a trovare nuove occasioni di divertimento e danza.

Uno spettacolo magnifico, che si conclude con la rappresentazione della più classica delle memorie iconografiche di Pippi: quella in cui la ragazzina più impertinente e robusta del mondo alza con la forza delle sue braccia il suo amico cavallo.

ARTE è l’acronimo di Associazione Relativa alla Televisione Europea, un progetto franco-tedesco che intende offrire e valorizzare produzioni di servizio pubblico.

A differenza di altre piattaforme in streaming è gratuito ed è sufficiente una connessione di una buona qualità per poter visualizzare documentari, film, concerti di ogni genere di musica, spettacoli teatrali e così via.

Storie per attraversare la notte

in Arte, Musica e Spettacolo by
Con Carlo Ridolfi scopriamo come tutte quelle storie che ci raccontano di apocalisse e fine del mondo, in realtà, ci aiutano a vivere meglio il nostro presente.

Non c’è nulla di più rassicurante che assistere alla fine del mondo comodamente seduti in poltrona, al cinema o nel salotto di casa propria. Questo era uno degli assiomi della psicologia dei mezzi di comunicazione di massa, fino a quando la fine del mondo – non quella reale, ma il diffuso senso di pericolo e di angoscia che eventi come una guerra, un terremoto o, cronaca di questi giorni, la diffusione di un virus – non è entrata a far parte della nostra vita quotidiana. È una dimensione nuova per la gran parte di noi, con la quale è opportuno fin da subito fare i conti, per attrezzare strategie di contenimento dell’ansia e di riscossa positiva. Da sempre – forse non basta a consolarci, ma serve per riaffermare il nostro ineluttabile destino comune – gli esseri umani rispondono raccontando storie.

Lo facevano i nostri antenati quando dipingevano scene di caccia nelle grotte di Altamira o di Lascaux. Lo facevano i giovani fiorentini del Trecento descritti da Giovanni Boccaccio, che per sfuggire e sopravvivere alla peste nera si ritiravano in campagna a condividere le novelle del Decamerone. Lo facciamo anche noi, con mezzi e tecnologie molto più pervasivi e sofisticati, ma con la stessa motivazione di fondo e di sempre.

Potrebbe essere lunghissimo l’elenco di storie per immagini in movimento e suoni – film, cortometraggi, video, serie tv ecc. – che raccontano apocalissi di ogni genere e modi nei quali il genere umano ne sarebbe sopravvissuto. Mi limiterò quindi a pochi titoli indicativi, solo come tracce di alcuni fra i mille percorsi possibili.

Prima traccia: ragazzini su un’isola deserta che si devono reinventare l’esistenza

Un riferimento obbligato potrebbe essere Il signore delle mosche (capolavoro letterario pubblicato nel 1958 dia William Golding e splendido ancorché durissimo film di Peter Brook del 1963). Ma mi piace ricordare qui un grandissimo maestro come Karel Zeman, che con I ragazzi del capitano Nemo (1966) produsse una delle sue principali opere, ispirate come narrazione e scelte iconografiche all’epoca di Jules Verne.

Seconda traccia: famiglie che hanno fatto naufragio

Lost in space: buona riproposizione di una celebre serie televisiva del 1965. Gli abitanti della Terra sono stati costretti a cercare altrove possibilità di sopravvivenza. Una famiglia (di cognome fanno Robinson, ovviamente non a caso) si trova a dover atterrare su un pianeta sconosciuto. Ci sono tutte le dinamiche e gli sviluppi narrativi di un racconto che potrebbe essere quello della vita quotidiana di molti di noi.

Terza traccia: il mondo salvato dai ragazzini

Un bellissimo film francese del 2010, diretto da Romain Goupil: Tutti per uno (titolo originale, forse ancora più bello, Les mains en l’air, Le mani in aria). In un 2009 immaginario il piccolo Youssef, espulso da scuola perché clandestino, viene accolto, nascosto e salvato da un gruppo di suoi compagni di classe. Come a dire che gli adulti producono mondi distopici, per fortuna avversati e risistemati dalla solidarietà fra minori.

E, naturalmente, le tre stagioni, in attesa della quarta, di Stranger Things, di Matt e Ross Duffer, che rendendo omaggio a tutti i miti della loro infanzia-adolescenza degli anni Ottanta del ‘900 (da I Goonies a La storia infinita) hanno creato uno dei più straordinari e indimenticabili gruppi di ragazze e ragazzi degli ultimi anni.

Quarta traccia: il fanciullo eterno

La saga completa di Harry Potter, senza dubbio. Ma anche, per uscire dai territori più conosciuti, un buon film come L’ultimo dominatore dell’aria (2010) di M. Night Shyamalan, che riprende personaggi e vicende creati da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko in una serie a disegni animati dal titolo Avatar, disponibile anche in italiano, nella quale si fondono con convincente ritmo narrativo e non poco umorismo caratteri del racconto epico, filosofie orientali e dinamiche adolescenziali.

Tutti i titoli citati sono disponibili o in homevideo o nella programmazione generalista o nelle piattaforme in streaming. La ricerca, che può assomigliare anche a una piccola ma divertente caccia al tesoro, è ulteriore motivo di appassionante impegno per grandi e piccoli.

“Pinocchio” al cinema: dal 1911 a oggi

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Carlo Ridolfi ci parla di “Pinocchio” dalla prima versione cinematografica del 1911 a quella di Matteo Garrone, al cinema in queste settimane.

Il Pinocchio di Matteo Garrone – interessante, personale, ma che a parer nostro non aggiunge granché all’immortale personaggio creato da Carlo Collodi. Il film, al cinema in queste settimane, non è che l’ultimo in ordine di tempo. Già se ne annuncia una prossima versione di Guillermo Del Toro, di una lunghissima serie di interpretazioni cinematografiche.

Già a partire dal 1911 il regista Giulio Antamoro realizza un primo film (durata: 42 minuti), muto e in bianco e nero, affidando a Ferdinand Guillaume la parte del protagonista.

Nel 1947, sempre in bianco e nero ma con una durata di 100 minuti e il sonoro, Giannetto Guardone dirige Le avventure di Pinocchio. Si ricorda per l’interpretazione di Alessandro Tommei, primo bambino sullo schermo nei panni del burattino, e, come curiosità, di Vittorio Gassman come Pescatore Verde.

In mezzo fra i due c’era stata, nel 1940, l’indimenticabile, se pure strana e di ambientazione tirolese, versione disneyana. Il lavoro collettivo di grandi registi della factory statunitense come Ben Sharpsteen, Hamilton Luke, Norman Ferguson e Wilfred Jackson. Fondamentali i disegnatori animatori come Ward Kimball e Ollie Johnston (ma l’elenco dovrebbe essere molto più lungo). Con le canzoni e le musiche di Leigh Harline e Paul J. Smith.

Di grande interesse è la versione animata realizzata nel 1971 da Giuliano Cenci, Un burattino di nome Pinocchio, e le musiche di Vito Tommaso e Renato Rascel.

Per restare nel disegno animato è necessario ricordare l’ottima produzione del 2012 diretta da Enzo D’Alò, con le musiche di Lucio Dalla.

Ma non andrebbe sottovalutato neppure un titolo come Le avventure di Burattino, diretto nel 1959 in Unione Sovietica da Dmitriy Babichenko.

Per tornare alle realizzazioni in live action, detto del Pinocchio diretto e interpretato nel 2002 da Roberto Benigni, che si fa ricordare per essere a tutt’oggi il film più costoso (45 milioni di euro) realizzato dall’industria nazionale, continuiamo a prediligere la splendida versione televisiva diretta nel 1972 da Luigi Comencini, con Andrea Balestri nei panni di Pinocchio, Nino Manfredi in quelli di Geppetto e le fondamentali musiche di Fiorenzo Carpi.

Che dire della versione di Garrone?

E’ del tutto rurale, in alcuni momenti quasi documentaristica, con un racconto che scende pian piano verso Sud, iniziando in piena toscanità in location scelte nei dintorni di Siena e spostandosi man mano il racconto verso la Puglia.

Così come nelle scelte degli interpreti, che nella prima parte sono di parlata fiorentina (come il Mangiafuoco di Gigi Proietti) e poi diventano quasi esclusivamente napoletani.

Questo Pinocchio ha dei punti di forza innegabili: primo fra tutti, a parer nostro, la miglior coppia di Gatto & Volpe mai vista da molto tempo, grazie al lavoro di recitazione di un sorprendente Massimo Ceccherini (Volpe) e di Rocco Papaleo (Gatto).

C’è uno straordinario lavoro di trucco, realizzato da un grande maestro come Mark Coulier, che ha al suo attivo film come quasi tutta la saga degli Harry Potter o Grand Budapest Hotel.

Coltissimo dal punto di vista iconografico, il Pinocchio di Garrone fa riferimento ai primissimi illustratori dell’opera di Collodi, a partire da Enrico Mazzanti, privilegiando lo zoomorfismo e disseminando la vicenda di esseri umani con aspetto di cani, gatti, scimmie, pesci, uccelli e così via.

La parte più debole sono le musiche, davvero troppo invadenti e poco originali, di Dario Marianelli. Il momento migliore è quello della scuola, con un maestro  (Enzo Vetrano) davvero pedagogico nel suo essere tutto ciò che non bisogna fare per insegnare e un omaggio evidente e azzeccato a Zero in condotta di Jean Vigo.

Ma il bilancio generale è di un’opera che non aggiunge nulla di nuovo e che non risulterà indimenticabile, richiamandoci tuttavia all’attualità senza fine di un racconto fondamentale.

“Klaus – I segreti del Natale” il nuovo film di Sergio Pablos su Netflix.

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Carlo Ridolfi ci racconta “KLAUS – I SEGRETI DEL NATALE” il nuovo film di Sergio Pablos disponibile su Netflix.

(Spagna, 2019)
Regìa: Sergio Pablos
Soggetto: Sergio Pablos
Sceneggiatura: Zach Lewis, Jim Mahoney
Musica: Alfonso G. Aguilar

Distribuzione: Netflix
Animazione
Durata: 96’

“Perché hai scelto di fare la maestra, se non per cambiare le cose?”, chiede ad un certo punto della storia il protagonista Jesper (voce italiana: Marco Mengoni) alla giovane Alva (voce: Ambra Angiolini), che sembra aver rinunciato ai suoi obiettivi e ai suoi sogni.

Domanda bellissima, in un film – uno dei tanti bei prodotti, distribuiti da Netflix – che risulta essere una vera e piacevolissima sorpresa.

L’idea parte da Sergio Pablos, già attivo in alcuni classici film del periodo Disney anni Novanta, che dopo aver costituito una sua società di produzione a Madrid ha immaginato e realizzato un film di animazione classica su Netflix. Ovvero a disegni, con il supporto non invasivo ma decisamente importante delle tecniche digitali.

Rischiare con un film sul Natale poteva essere impresa da far tremare i polsi, perché produzioni sul tema ne esistono millanta, raramente di primissimo livello.

Impresa riuscita (quasi alla perfezione, a parere di chi scrive, perché c’è un lato debole rappresentato da una colonna musicale e da alcune canzoni un po’ stucchevoli), tanto da rendere Klaus un piccolo gioiello davvero da non perdere.

La trama

Jesper è figlio scioperato di un papà che è altissimo dirigente della Reale Accademia Postale di un paese del Nord Europa.

Dopo una serie di insuccessi professionali e caratteriali, il padre lo spedisce in un remotissimo villaggio sull’ancor più lontana isola di Smmerebsburg, quasi al Circolo Polare Artico.

Vincolandolo a garantire da lì l’invio di almeno 6.000 lettere in un anno, pena l’esilio perpetuo.

Arrivato all’isola il giovane si rende conto della quasi impossibilità di riuscita, visto che gli abitanti sono talmente impegnati in una perenne faida gli uni contro gli altri.

Tanto da non aver neanche il tempo e la voglia di mandare i loro figli a scuola. (Di qui le difficoltà dell’aspirante maestra Alva, che si è ridotta a fare la pescivendola per sbarcare il lunario). L’incontro fortuito con l’anziano boscaiolo Klaus (voce: Francesco Pannofino) cambierà la sorte di Jesper, di Alva e di tutti gli abitanti del villaggio sull’isola. Grazie alla bella sceneggiatura di Zach Lewis e Jim Mahoney, il soggetto originale di Sergio Pablos si sviluppa con una serie di soluzioni originali, che attraversano molti registri narrativi – dal fiabesco al malinconico, dal poetico al fantastico, dal comico al sociologico – con un equilibrio nella miscela di divertimento e riflessione davvero rari di questi tempi.

Un film Netflix per famiglie

Si tratta, come sempre accade in questi casi, del miglior esempio di film “per famiglie”, intendendo con ciò una produzione che può esser vista da grandi e piccoli di ogni età, proprio perché ciascuno di noi – genitori, bambini, adulti, insegnanti, nonne etc. – ci potrebbe trovare qualche spunto di pensiero, molto divertimento e non poca commozione che tocca le corde più profonde dell’anima.

Se la prova della validità di una storia – sia essa per parola scritta o per suoni e immagini in movimento – sta nella maturazione che, seguendo le vicende raccontate, produce sia nei protagonisti delle stesse che in chi vi assiste, Klaus è un ottimo esempio di storia più che valida.

Non troviamo qui, per fortuna, nessuno degli stereotipi troppe volte riproposti sulle origini della leggenda di Babbo Natale. Ma una trattazione intelligente, e rispettosa dell’intelligenza anche degli spettatori più piccoli, di uno sviluppo di relazioni sociali che può diventare fonte di grandi e positive trasformazioni.

La presenza nella storia e nella splendida realizzazione visiva della popolazione Sami (o Lappone) aggiunge ricchezza antropologica e culturale.

I buoni sentimenti che vediamo crescere non sono la melassa spesso indigeribile, che viene proposta sotto le feste, ma il prodotto di un processo di crescita e maturazione di tutti coloro che vengono inseriti nella vicenda.

Cambiano le cose in meglio grazie alla consapevolezza di tutti: quale miglior augurio per il Natale?

Pensare con gli occhi | il cinema a scuola

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Carlo Ridolfi ci parla di cinema, tv, serie, supporti digitali, linguaggi e contenuti: conoscerli, per capire ed educare.

Immaginiamo uno zio e una nipote che tra loro abbiano una certa differenza di età. Il primo lo chiameremo Giovanni. Nato nel 1982, quindi ha 39 anni. La seconda la chiameremo Marta. Nata nel 2007, ha 12 anni. Quando Giovanni aveva l’età di Marta, quindi nel 1994, la sua condizione di spettatore di racconti per immagini in movimento e suoni era la seguente.

In casa c’erano tre apparecchi televisivi: uno in sala, uno in cucina, uno in camera dei genitori. Due di questi erano collegati a video-lettori, con i quali Giovanni poteva vedere le molte cassette VHS di film registrati dalla tv che c’erano in casa. Nello studio del babbo c’era un personal computer collegato a internet con un modem esterno. La connessione telefonica era quella con il doppino di rame, con una trasmissione di dati assai lenta. Per Natale Giovanni ricevette un Super Nintendo, con il quale diventò ben presto un campioncino di Super Mario World e The Legend of Zelda. Giovanni e i suoi genitori andavano al cinema in sala circa una volta al mese.

Qual è la situazione di Marta? In casa ci sono due televisori: una smart tv molto grande in sala, con Sky Q (e quindi anche la possibilità di vedere sullo schermo del televisore sia YouTube che Netflix) e un apparecchio collegato col digitale terrestre in cucina.

Entrambi sono collegati ad un video-lettore con il quale Marta può vedere film in dvd o in blue-ray. Sia nello studio del papà che in quello della mamma ci sono dei personal computer.

La connessione Internet è in fibra ottica. Mamma e babbo di Marta hanno uno smartphone, che ogni tanto Marta utilizza. All’età di dieci anni Marta ha ricevuto per il suo compleanno un tablet con connessione wi-fi. Per Natale Marta riceverà in regalo un abbonamento a Google Stadia e il relativo controller, con i quali, avvalendosi dell’offerta di giochi in streaming, potrà sfidare il cugino Antonio, che abita sullo stesso pianerottolo. Marta e i suoi genitori vanno al cinema in sala ogni tre mesi circa.

Sono passati 65 anni dal 3 gennaio 1954, quando la Rai cominciò le trasmissioni su scala nazionale con un solo canale in bianco e nero.

Sembrano passate sessantacinque ere. Il mondo è completamente cambiato e, di conseguenza, ha subito trasformazioni e complicazioni non da poco anche il compito educativo di genitori, insegnanti e quanti abbiano da incontrare generazioni sempre più connesse a dispositivi digitali.

L’offerta di contenuti a disposizione è pressoché infinita e non è certo facile districarsi in un oceano sconfinato di film, serie, video, spot pubblicitari, fulminee incursioni a disegni animati o con riprese dal vero in Instagram o Tik Tok.

L’atteggiamento degli educatori può oscillare tra la vertigine e il disorientamento, la resa incondizionata o l’accettazione supina. Talvolta, ma si tratta di minoranze, si arriva al rifiuto totale di qualsiasi utilizzo di supporti e linguaggi considerati dannosi e pericolosi.

Io credo sia prendere atto almeno di un paio di dati di fatto evidenti.

Il primo è che qualsiasi ragazzino dell’età di Marta (e anche di età inferiori) ne sa in materia molto di più e in maniera molto più approfondita della stragrande maggioranza degli educatori.

Il secondo, conseguente, è che o gli educatori si rendono disponibili ad una alfabetizzazione e a un aggiornamento costanti in merito a supporti, linguaggi e contenuti, oppure la forbice comunicativa tra generazioni sarà sempre più aperta, fino alla totale mancanza di intendimento reciproco.

Sarà proprio il caso di riparlarne.

“MiraggiMigranti. Ospitalità Educazione Condivisione”: parole e pratiche di umanità

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Una sintesi di Carlo Ridolfi sull’VIII incontro nazionale rivolto a insegnanti, educatori, genitori organizzato da Rete di Cooperazione Educativa a Macerata

Quasi due anni di lavoro. Cinque tappe di preparazione in giro per l’Italia (Roma, Verona, Asti, Padova, Busto Arsizio). Donne e uomini che sono arrivati nelle Marche dal Veneto alla Puglia, dalla Sicilia al Piemonte. L’VIII incontro nazionale di C’è speranza se accade @ – Rete di Cooperazione Educativa, associazione di persone che hanno a cuore l’educazione, si è tenuto sabato 19 e domenica 20 ottobre col titolo MIRAGGIMIGRANTI Ospitalità Educazione Condivisione. La sede, bellissima, come bellissimo è stato il clima meteo che ha accolto i partecipanti e quello più propriamente umano, è stata il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, Ateneo che, insieme al Comune, ha patrocinato l’evento. Se si dovessero riassumere in una parola due giornate intensissime forse la più adatta sarebbe “commozione”.

Non altrimenti si potrebbero descrivere le emozioni provate a partire da un breve ma fortissimo spettacolo del gruppo “Ombre resistenti” di Dimitrious Evangelou e Susanna Matonti, che hanno raccontato il dramma delle comunicazioni tra i barconi dei migranti e le capitanerie di porto che comunicano il respingimento degli stessi. Fino alla conclusione nella intera mattinata di domenica 20, dedicata, con un cambiamento difficile ma opportuno dello stesso programma che era stato annunciato, a testimonianze e contributi che hanno avuto come centro di interesse e partecipazione l’appassionata presenza di Fuad Aziz, straordinario poeta e illustratore di libri di origine curda.

Tra questi due punti estremi del convegno, una mattina del sabato che ha visto susseguirsi il dialogo fra don Pierluigi Di Piazza, del centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (UD) con Lina Caraceni, dell’Università di Macerata, insieme al vicesindaco Stefania Monteverde; l’intervento sull’azione educativa di Sonia Coluccelli, maestra della Fondazione Montessori; il confronto e la condivisione, sollecitati da Monica Tappa, del giornalista Concetto Vecchio, autore di “Cacciateli!”, che ha raccontato la sua esperienza di figlio di emigranti siciliani nato in Svizzera e di Salou Baba Tounde, che dal Togo è arrivato in Italia e, in epoca e condizioni diverse, ha attraversato avvenimenti e incontri simili al collega italiano.

E poi suggestioni e pratiche arrivate da luoghi diversi e con diverse modalità. La migrazione raccontata attraverso le canzoni italiane da Odoardo Semellini; il racconto di una scuola al centro di un quartiere multietnico fatto da Alessandra Falconi; le esperienze scolastiche e postscolastiche nella Bari riportata da Gegè Scardaccione, Rosalina Ammaturo e Gianpaolo Petrucci; la costruzione di un Giardino dei Giusti contemporanei nella scuola di Vercelli dove insegnano Carolina Vergerio e Patrizia Pomati; il lavoro di riprogettazione degli spazi esterni come spazi di accoglienza fatto dalle tre donne che animano l’associazione Les Friches a Macerata. Questo il sabato pomeriggio.

La domenica mattina, come detto, è stata ascolto e poesia sulla pace
e sulla guerra, con le filastrocche di Carlo Marconi, il juke-box poetico di Patricia Serrano Garcia, il gioco interattivo di Anna Tosetti di Popoli Insieme, l’incontro e il lavoro dei Bimbisvegli di Giampiero Monaca a Serravalle d’Asti con gli ospiti rifugiati della comunità di Agathon, le letture
clandestine di Barbara Archetti di Ventoditerra. E, dopo la grande emozione dell’intervento di Fuad Aziz e la costruzione comune di un, simbolico ma importante, villaggio globale, una conclusione in danza comune, guidata da Chiara Candeo del Cemea Veneto. Il convegno si è concluso anche con un impegno d’onore – preso dopo aver ascoltato Chiara Pinton, di IBBY Italia, che ha portato con sé una valigia di libri per rappresentare in concreto l’idea di BILL-Biblioteca della Legalità: quello di contribuire con le donne e gli uomini della Rete presenti sull’isola a costruire una BILL anche in Sicilia. Luogo di approdo e di naufragi, di accoglienza e di rifiuto, di sangue e di solidarietà che non può mancare in una ideale mappa della resistenza e della speranza.

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