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Attivare attenzione e concentrazione in classe

in Approcci Educativi/Scuola by

Fondamentali in qualsiasi tipo di apprendimento scolastico e non, attenzione e concentrazione sono competenze trasversali a cui vale la pena dedicare tempo e… divertimento!   

Che cos’è l’attenzione

Dal punto di vista dell’evoluzione è, un meccanismo di difesa utile alla sopravvivenza della specie. Consiste infatti nella risposta del nostro cervello a stimoli sensoriali in continuo mutamento che provengono dall’ambiente esterno. L’attenzione ci permette di organizzare le informazioni visive, uditive, olfattive, tattili e del gusto e di agire di conseguenza. In tre punti possiamo quindi dire che l’attenzione è:

  • Una funzione cognitiva innata 
  • Non ha bisogno di essere insegnata
  • È momentanea.

Tuttavia, il nostro cervello non risponde solo a stimoli esterni che fanno parte dell’ambiente, ma funzionando per associazioni, analogie e dati immagazzinati nella nostra memoria, reagisce anche a stimoli interni. Quelli che in termini puramente scolastici chiamiamo… distrattori.

Distrattori esterni 

Per quanto riguarda i distrattori esterni, sappiamo bene quali e quanti possano essere in classe: un uccellino che si posa sul davanzale della finestra, un elicottero che passa, il profumo dei biscotti che la mamma di Marco gli ha infilato nello zaino per paura che muoia di fame, i passi di qualcuno nel corridoio, il viso di Elena che mentre va in bagno si affaccia alla porta della classe e mille altri. 

Distrattori interni

Per quanto riguarda i distrattori interni, beh, vi propongo l’esempio de “La balena e la formica”.

Entriamo in classe e sappiamo bene che cosa vogliamo fare. Per esempio, insegniamo arte e chiediamo di riempire una bella balena: prima di righe e poi di puntini. Una bambina apre il pennarello nero, fa un puntino, poi si alza dal banco con il pennarello in una mano e il tappo nell’altra. Guardandosi intorno, come se andasse a fare un giretto, viene verso di noi. Se siamo sedute, si appoggia alla cattedra con le braccia incrociate, fa leva sui gomiti, alza una gamba all’indietro e si sbilancia, facendosi una riga sulla guancia.

«Stai su… che cosa c’è?»

«Mio papà ieri aveva una formica nel piatto».

«Lascia perdere le formiche e vai a finire».

«La formica era piiicola piiiccola come un puntino nero…» continua la bambina avvicinando il pollice all’indice e mettendoceli a un millimetro dall’occhio destro.

Un compagno ha sentito. «Mio nonno mangia le lumache».

Quello dietro, molla i pennarelli, si mette entrambe le mani alla gola e strabuzza gli occhi: «Bleah! Che schifo!»

Credo di non dover continuare; tutti e tutte sapete che cosa si può scatenare in una classe partendo da un semplice puntino nero.

Però, confessate… sarà più interessante riempire una balena di puntini o ascoltare la storia della formica nel piatto di papà?

Che cos’è la concentrazione

È la capacità volontaria di focalizzare l’attenzione su un determinato argomento o una determinata azione e di mantenerla nel tempo. La concentrazione è quindi un susseguirsi di attimi di attenzione ed è:

  • Volontaria
  • Si impara
  • Si insegna

Beh, se è volontaria si può imparare, e quindi possiamo insegnarla. Per farlo dobbiamo semplicemente paragonarla a un muscolo che più si allena e più sarà tonico, energico e resistente nel tempo. 

Come attivare e allenare la concentrazione in classe

Il mio modo per attivare e allenare la concentrazione in classe è instaurare la rubrichetta GAD the CAT ovvero una routine di 15 minuti alla settimana in cui insegnare a concentrarsi attraverso: 

Giochi – Attività – Divertenti (il cui acronimo è GAD).

Stimolando la Curiosità attraverso Anticipazioni e allungando man mano il Tempo di durata del gioco. 

Giochi per allenare la concentrazione

I giochi che esigono concentrazione sono molti e coinvolgono uno o più canali sensoriali, quelli che vi propongo in questa occasione sono principalmente basati sul canale uditivo.

Calzino puzzolente 

Attivate la curiosità della classe dicendo che farete un nuovo gioco. Anticipate che si intitola “Calzino puzzolente”, e già avrete bambine e bambini pronti ad ascoltare in modo concentrato il funzionamento del gioco. Spiegatelo. Dite che farete loro una serie di domande a catena. Indipendentemente dalla domanda, la loro risposta dovrà essere: “Calzino puzzolente”.

Date il via al gioco. Iniziate con domande anche abbastanza difficili come ad esempio: “Quante città ci sono in Italia?”, “Qual è il vulcano più alto del mondo?” ecc. All’inizio e soprattutto se si tratta di una domanda complicata di cui non conoscono la risposta, per loro sarà semplice replicare “calzino puzzolente”, tuttavia dopo qualche minuto, qualcuno avrà già perso la concentrazione e se intercalerete domande difficili a domande come per esempio “Quanti anni hai?” vi accorgerete di chi si è distratto.

Nessun sì e nessun no 

Fate a ogni bambino e bambina una serie di domande a cui dovrà rispondere senza dire o no. Il gioco è più difficile di quanto possa sembrare, ed esige una grande concentrazione. Le sequenze classiche in cui si perde la concentrazione sono:

– Da dove vieni? 

– Da Milano. 

– Milano in Italia?

Oppure

– Qual è il tuo colore preferito? 

– Il rosso. 

– Non il blu?

Parole nascoste ma non troppo

Cercate un breve testo con una parola ricorrente, che può essere un verbo, un nome, una preposizione, e comunicatela ai ragazzi. Leggete il testo ad alta voce e invitate i ragazzi a fare una X ogni volta che sentono la parola stabilita. La lunghezza e la difficoltà del testo sarà proporzionale sia all’età dei ragazzi sia alla familiarità con il gioco proposto.

Un esempio in cui concentrarsi e segnare tutti i “DI” può essere:

“Il campanello suonò di nuovo e i bambini aprirono la porta di casa. Di fronte al cancellino c’era un arzillo vecchietto di circa sessant’anni. Alf, il nonno di Gio e Roby, indossava un casco rosso fiammante da cui uscivano ciuffi di capelli bianchi, un giubbotto di pelle nera con le borchie, jeans azzurri e pesanti stivali di cuoio. «Wow!» esclamò ancora Gio. «È nuova?»

Alf sorrise soddisfatto. «Sì, nuova di zecca. Era da più di un anno che desideravo motocicletta e finalmente eccola qua! Veloce, comoda, sicura e di color fuoco! Questi sono i vostri caschi. Salite, si parte!”

Oggi mi va di…

Funziona esattamente come preparo lo zaino, ma il primo giocatore dirà: “Oggi mi va di…” farà un movimento, senza parlare. Il giocatore successivo dirà: “Oggi mi va di…” e imiterà il primo movimento aggiungendone un secondo, sempre senza parlare, e così via. La difficoltà maggiore consiste nel compiere un’azione senza denominarla.  

Una pagina bianca di un albo: direttamente dal Giappone, tanti spunti interdisciplinari

in Letture in classe by

Un albo, tanti spunti: direttamente dalle terre nipponiche, numerosi spunti disciplinari e trasversali a partire… da una pagina bianca.

Perché non provare a far conoscere ai nostri alunni l’albo illustrato proveniente da terra nipponica? Ce ne sono di bellissimi e vengono letti sia da un pubblico giovanile che da un pubblico adulto.

In Giappone, poi, gli albi illustrati sono considerati testi di alta qualità e ad essi vengono dedicati festival a tema e iniziative letterarie specifiche.

Da diversi anni, infatti, i ragazzi della scuola secondaria di primo grado, e forse anche di altri ordini di scuola, sono attratti dal Giappone. Oltre ad elettronica e videogiochi, negli ultimi tempi particolarmente apprezzati risultano anime, manga e diverse tipologie di sushi.

L’albo illustrato Da una pagina bianca: tanti obiettivi e tanti motivi per leggerlo

L’albo che ho deciso di leggere nella mia classe terza di una secondaria di primo grado si intitola Da una pagina bianca ed è incentrato sulla biografia dell’illustratrice nippo-americana Gyo Fujikawa.

Perché ho scelto di leggere proprio questo albo? 

Per una serie di motivi:

  • fa conoscere del Giappone aspetti storico-sociali meno conosciuti;
  • facilita connessioni con lo studio della storia di metà Novecento;
  • include riferimenti artistici stimolanti e centrati;
  • permette di parlare di scelte di vita in ottica di orientamento e riflessione/conoscenza di sé;
  • consente di impostare interessanti percorsi di educazione civica focalizzati su lotta alle discriminazioni, salvaguardia dei diritti umani, società multietnica, pace e parità di genere (tematiche riconducibili agli obiettivi dell’Agenda 2030) 

E, naturalmente, valgono per l’albo Da una pagina bianca tutti gli obiettivi formativi e didattici che vengono attivati nel corso della lettura di testi di questo genere:

  • stimolo alla riflessione critica e alla negoziazione dei significati;
  • miglioramento delle capacità di osservazione e concentrazione;
  • incentivo alla ricerca individuale e finalizzata (anche ad un eventuale percorso d’esame);
  • occasione di socializzazione e di accoglienza di multivisioni prospettiche;
Orientamento e conoscenza di sé

Nel disegno di copertina appare una donna che apre una grande pagina bianca e, da dietro, si vedono comparire bambini dai tratti somatici differenti.

Come sempre, sarà bene partire da titolo e immagini di copertina/risguardi per stimolare anticipazioni sul contenuto e soprattutto osservazioni attente di illustrazioni e uso di texture e tonalità di colore.

Nelle prime pagine si fa riferimento alla passione del disegno manifestata dalla protagonista fin dalla sua tenere età.

L’immagine di una pagina bianca per disegnare le azioni della giornata e segnare ogni volta un nuovo inizio può prestarsi come ottimo spunto per far riflettere i ragazzi su di sé, sulle proprie passioni e sui nuovi inizi che immaginano all’orizzonte.

Gyo sapeva cosa voleva diventare? Non ancora.
Sapeva solo che le piaceva disegnare.
Ogni giorno cominciava per lei con una pagina
bianca e vuota che riempiva di figure.

Ad attività di disegno e scrittura su pagina bianca, possono essere affiancate letture di altri libri, albi o testi di canzoni sempre indirizzati sul potere, ma anche sul timore, esercitato da un simbolico foglio bianco. Tra questi l’albo Il Punto di Peter Reynolds o il testo della canzone di Elisa Pagina bianca.

“Perderci” nell’arte giapponese

Scorrendo le pagine, vediamo la Gyo bambina crescere e sentirsi sempre più sola, specie dopo il trasferimento in un villaggio di pescatori della California. I colori mutano e le parole si fanno più intense. 

Gyo continua a dipingere, torna nel suo paese per “perdersi” nelle stampe giapponesi e, a causa delle regole rigidissime imposte dai maestri, studia arte da autodidatta.

Proviamo anche noi a “perderci” nella pittura giapponese e ad ascoltare le nostre emozioni di fronte a opere di Hiroshige. Utamaro e Hokusai. Come rimanere indifferenti, ad esempio, di fronte alla famosa grande onda di Kanagawa di Hokusai?

Connessioni con la storia (conosciuta e non)

Tornata in America e ottenuto a New York un primo contatto con la Walt Disney, Gyo assiste ai terribili avvenimenti storici degli anni ’40 del Novecento.

I suoi familiari, rimasti a vivere in California, subirono il destino di tutti i giapponesi residenti nella costa occidentale degli Stati Uniti ai tempi dell’attacco di Pearl Harbour, ovvero la deportazione e la reclusione nei campi di prigionia. 

Disegni in prospettiva e uso dei colori diventano nell’albo ancora più impattanti. Le pagine si prestano ad approfondimenti su un avvenimento storico poco conosciuto in Occidente, oltre che a riflessioni più generali sulla funzione consolatoria dell’arte.

Il mondo sembrava grigio, il colore la risollevava
Gyo si chiedeva: può l’arte confortare e risollevare anche gli altri?

Tanti spunti di lavoro per l’educazione civica

L’albo presenta scenari  più cupi in riferimento alla guerra e, a pace raggiunta, la protagonista si ritrova, suo malgrado, testimone dei grandi fermenti sociali in atto in questi anni. Vi sono riferimenti alle lotte contro la segregazione razziale, alle richieste di parità di diritti tra persone di colore e genere diversi.

In base agli interessi emersi durante le discussioni di classe, possono essere assegnate ricerche o suggeriti lavori di approfondimento da inserire in percorsi di educazione e partecipazione civica responsabile.

I ragazzi possono aver modo di conoscere figure quali Rosa Parks, Martin Luther King e mettere a raffronto le forme di discriminazione razziale statunitensi con quelle perpetrate in altre parti del mondo, sia in prospettiva sincronica che diacronica.

Gyo riesce a farsi strada in un mondo dominato da uomini, insistendo su tematiche riferite a diversità e multiculturalità. Abbatté stereotipi fondamentali per i tempi in cui visse. Nei suoi disegni vi sono bambini diversi e dalla pelle di vario colore e tratto grafico; gradazione di colori e vivacità d’ambiente nelle ultime pagine dell’albo vengono ancor più messe in risalto.

Perché i bambini assumono, alla fine, il ruolo di protagonisti: sulle parole conclusive dell’albo si possono impostare discussioni e motivi di riflessioni incredibili, base di qualsiasi intenzione progettuale futura.

I bambini sono pronti per un mondo più grande e migliore.

Ed eccoli diventare essi stessi protagonisti effettivi non solo dell’albo illustrato appena letto, ma anche delle immagini colorate dell’Agenda 2030 appesa in classe.

A proposito di albi illustrati, trovi qui un altro articolo sul tema.

Foto di copertina by Miika Laaksonen su Unsplash

Attività didattica da scaricare n°14: “Alla scoperta del parco”

in Attività di classe by

In vista della bella stagione, ecco un’attività da fare all’aperto per andare alla scoperta della aree verdi intorno a noi

La parola “parco” evoca l’idea del verde, del gioco, dell’aria pura, del luogo in cui divertirsi insieme
agli altri, passeggiare, correre, andare in bicicletta.

Ma tutte le aree verdi che ci circondano svolgono una funzione sociale importante consentendo la convivialità, la condivisione e la socialità.

È il momento dunque di andare alla ricerca dei parchi che più ci piacciono e partecipare ad una bella attività da fare all’aria aperta.

Scarica il pdf gratuitamente da seguire come guida!

COMPILA LA FORM E SCARICA GRATUITAMENTE L’ ATTIVITA’ DIDATTICA!

A questa pagina troverai altre attività didattiche su differenti argomenti, pronte per essere scaricate e utilizzate in classe.

Foto di copertina by Oakville News on Unsplash

Fare per capire: la didattica laboratoriale

in Approcci Educativi/Attività di classe by

La didattica laboratoriale nasce dalla consapevolezza che i bambini imparano con maggiore facilità attraverso un fare concreto: proposta di laboratorio pedagogico-emotivo come spazio affettivo.

Quando parliamo e ci approcciamo alla “didattica laboratoriale” ci riferiamo a una metodologia didattica che affonda le sue radici nel “Learning by doing”, l’apprendimento attraverso il fare. 

Già Jean Piaget nel 1956 scriveva:

L’intelligenza è un sistema di operazioni, l’operazione non è altro che azione: un’azione reale, ma interiorizzata, divenuta reversibile.

Ma è con i lavori di John Dewey che l’apprendimento attraverso l’esperienza viene calato maggiormente nel contesto scolastico. La scuola che immagina Dewey è un ambiente in cui l’insegnamento non si basa sulla trasmissione di nozioni da imparare a memoria, bensì “sull’attività volontaria del bambino”, occupato in osservazioni che rispondono ai suoi interessi e ai suoi bisogni. 

Come fare didattica laboratoriale oggi a scuola?

Quella che attualmente si chiama “didattica laboratoriale” nasce proprio dalla consapevolezza che i bambini imparano con maggiore facilità attraverso un fare concreto, potenziando “il dialogo interiore”, ossia il meccanismo attraverso il quale si elabora una propria visione degli eventi e degli apprendimenti, commentando internamente ogni esperienza. 

Il laboratorio non è quindi un momento separato e staccato dalla quotidiana realtà scolastica, ma una modalità e una strategia didattica. Siamo perfettamente in linea con un apprendimento per competenze, soprattutto il “laboratorio pedagogico-emotivo” punta a potenziare le “competenze di vita”, dove la competenza non è solo il risultato di una pratica ma deriva dalle riflessioni e interiorizzazioni del processo di apprendimento sperimentato.

Il ruolo attivo del bambino

Attraverso il laboratorio pedagogico-emotivo il bambino assume un “ruolo attivo” nella costruzione della sua realtà. L’insegnamento, in questo caso attraverso i linguaggi della favola, della filastrocca, del gioco e della musica, diviene personalizzato e ad ogni alunno/a si attribuisce un’importanza primaria, con le sue potenzialità, risorse e motivazioni. Da Pedagogista e docente, progetto da oltre dieci anni laboratori pedagogici-emotivi per educare all’affettività e per coltivare l’intelligenza emotiva, in questi anni nelle scuole ho verificato con la mia esperienza quanto sia efficace la “didattica laboratoriale” perché offre degli spazi di apprendimento cognitivo ed affettivo, un luogo di incontro, multidimensionale, che favorisce la motivazione, la creatività, la rielaborazione.

Didattica laboratoriale come spazio di personalizzazione

Ma non solo: “la didattica laboratoriale è lo spazio della personalizzazione”, in quanto si offrono più proposte didattiche che possono rispondere alle diverse esigenze e stili di apprendimento e accresce la socializzazione poiché si impara a lavorare insieme e a costruire conoscenze condivise. La mia ultima pubblicazione “Emozioni in Festa”, illustrato da Alessia de Falco e curato da portalebambini.it, è un vero e proprio eserciziario emotivo che permette di realizzare “laboratori pedagogici del cuore”, attraverso le mie poesie e filastrocche i bambini potranno riflettere in modo nuovo, originale ma anche profondo, sulle principali festività del calendario scolastico, un’occasione di crescita emotiva e personale.

Educazione civica

L’apprendimento laboratoriale è trasversale ed è necessario perché esso punta non solo al benessere degli alunni ma getta le basi per una vera e propria “educazione civica”, poiché solo una comunità in cui ognuno di noi sta bene può formare una rete solida e solidale. Secondo le mie osservazioni, le emozioni soprattutto oggi sono uno strumento prezioso oltre ad essere la prima forma di linguaggio, penso fortemente che in classe siano lo strumento inclusivo e compensativo per eccellenza.

Il “Terzo comune”

Mi viene in mente il concetto di “common third” ossia il “terzo in comune” teorizzato dal filosofo danese Micheal Husen. Indica quei momenti in cui si impegna tutti insieme in un’ottica inclusiva, in un’attività che naturalmente facilita la comunicazione perché il focus è sulla “terza azione” in comune che stiamo svolgendo insieme e non sull’atto del conversare in sé. Questo per spiegare come in un laboratorio -pedagogico emotivo o creativo ognuno partecipa dando spazio al proprio “io emotivo” attraverso i propri canali immaginativi, verbali e non, creativi, musicali, attraverso la propria originalità creando “apprendimento trasformativo” perché nessuno neanche l’insegnante o il pedagogista che partecipa rimane quello di prima ma diventa altro.

Quali strumenti operativi possiamo portare in classe e in famiglia?

Vorrei qui presentarvi un mio laboratorio pedagogico -emotivo per creare in classe l’appello delle emozioni nel momento dell’accoglienza a scuola (sul tema della pedagogia delle emozioni, leggi qui). Il Laboratorio si compone di una filastrocca dal titolo “La collana emozionata” dove presento la nascita delle emozioni primarie attraverso la metafora della collana:

Ho diritto ad esprimere me stesso/a
e conosco solo un modo per farlo 
che è quello di esprimere le mie emozioni con il viso,
con gli occhi e con il mio sorriso.

Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamente

L’attività che accompagna questa riflessione emotiva è composta dalla realizzazione della Collana Emozionata per ogni bambino/a per poi indossarla e rendere visibile la propria emozione attraverso l’utilizzo del “Sorriso-Metro”, ossia del pannello emotivo che consente di riflettere sul proprio stato emotivo e di esprimerlo associandolo ad una delle sei emozioni primarie indicate. 

Nel laboratorio pedagogico si può concludere che attraverso il “metodo riflessivo” ogni bambino e bambina assume un ruolo centrale ed è una metodologia attiva che stimola la partecipazione e favorisce una didattica per tutti. Non dobbiamo mai dimenticare che l’educazione non è per il bambino/a ma con il bambino/a. 

Bibliografia:

  • Jean Piaget, “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”, edito da Bollati Boringhieri, anno 2013;
  • J. Dewey, “Democrazia ed educazione”-Una introduzione alla filosofia dell’educazione. Nuova edizione– Edizione integrale, 23 maggio 2018;
  • J. Dewey, Come pensiamo, curatore Chiara Bova, edizione Raffaello Cortina, anno 2019;
  • J.J. Akexander, C. Andersson, “Il metodo danese per giocare con tuo figlio”, edito da Newton Compton, anno 2020;
  • Marta Tropeano, “Emozioni in Festa”, illustrazioni di Alessia De Falco, edito da portalebambini.it, anno 2022;

Foto di copertina by CDC su Unsplash

Fare didattica con i manga: perché no?

in Letture in classe by

È possibile incanalare l’interesse dei ragazzi verso i manga per fare didattica? Sì, lo è. Vediamo come.

I nostri alunni vanno pazzi per i manga, fumetti seriali di piccolo formato che vengono direttamente dal Giappone. Ne leggono in grande quantità e ne apprezzano storie e personaggi.

Noi insegnanti non dovremmo nutrire troppi pregiudizi verso questa loro passione, perché avere modo di accedere al mondo dei nostri studenti può aiutarci a comprenderli meglio. Ma non solo. Guidarli al raggiungimento di certi obiettivi didattici attraverso percorsi e attività che possano maggiormente coinvolgerli, andrà a beneficio di tutto la comunità classe, docente compreso.

In aula abbiamo una piccola biblioteca dove trovano posto romanzi, graphic novel, albi illustrati; sono stati i miei stessi studenti a farmi conoscere il mondo dei manga, un universo fino a quel momento per me sconosciuto. Così ne ho letti alcuni di mia iniziativa e altri su loro proposta.

Non tutti i manga che ho letto li ho considerati degni di nota, ma alcuni li ho trovati davvero interessanti per strutturarci su percorsi didattici significativi.

Manga e didattica

Con i manga, infatti, è possibile far lavorare su certe competenze, far sviluppare capacità di osservazione/comprensione e spirito critico: tutti obiettivi conformi a quanto richiesto dalle Indicazioni nazionali.

Tenendo presente precisi obiettivi didattici – esattamente come succede per ogni altra attività proposta in aula – possiamo provare a far lavorare i ragazzi sulle storie dei manga per incidere sulle competenze linguistiche, ma anche per analizzarne in modo critico e consapevole tematiche, ambientazioni e caratterizzazioni dei personaggi. L’importante è affidarsi a un prodotto di qualità.

Riconoscere fumetti (manga) di qualità

Come fare a riconoscere quando un fumetto, nello specifico un manga, è un prodotto di qualità? Il disegnatore Andrea Artusi ci indica cinque elementi che contraddistinguono un fumetto di qualità:

  • leggibilità
  • coerenza grafica
  • credibilità dei personaggi
  • capacità di coinvolgimento
  • editing

Questi cinque elementi, a mio parere, sul manga Komi can’t communicate sono tutti presenti.

Come costruire un percorso didattico sul manga Komi can’t communicate 

Progettare un percorso didattico su questo manga è interessante perché diversi sono gli elementi di nota presenti in questo prodotto editoriale.

Innanzitutto la storia. La protagonista Komi è una liceale bellissima e ammirata da tutti, che deve però fare i conti con un importante disturbo della comunicazione. Questo le impedisce di interagire con gli altri e di svolgere una vita sociale al pari dei suoi coetanei.

Quindi una storia che ben si presta a riflessioni e discussioni notevoli come l’incapacità di comunicare con gli altri e la sofferenza per i propri limiti.

Copertina e formato

Come per qualsiasi altro prodotto editoriale, anche per i manga facciamo notare ai ragazzi la scelta del titolo, le immagini della copertina e le informazioni contenute nel risguardo.

Le differenze rispetto ai fumetti diffusi in Occidente diverranno subito motivo di riflessione (come la lettura da destra verso sinistra o i tratti tipici dei personaggi, quali il fisico longilineo o gli occhi in risalto).

Il tema centrale del manga viene precisato sia nella copertina che nella prima vignetta del manga, quindi si può cominciare a far parlare e a far scrivere i ragazzi chiedendo loro cosa ne pensano dell’incomunicabilità.

La condivisione l’ascolto e l’accoglienza dei vari punti di vista sono aspetti che incidono profondamente e positivamente sul clima relazionale della classe. Se le sollecitazioni provengono da prodotti apprezzati come lo sono i manga, con molta probabilità la risposta della classe non deluderà le aspettative.

Osservazione dei personaggi

Come dice lo scrittore Daniele Nicasto, i manga si soffermano più sui personaggi che sulla storia, quindi obiettivo primario sarà analizzare le caratteristiche dei personaggi a partire da lei, Komi.

La ragazza più bella della scuola, che quando si muove incanta tutti coloro che la guardano, mostra in realtà imbarazzo e frustrazione fin dalle primissime vignette. Interessante è far notare come vengano ben rappresentati i diversi punti di vista tra chi, da fuori, mostra un atteggiamento adorante e chi, da dentro, prova ansia e disagio.

Far riflettere su noi e gli altri, sulla nostra autenticità interiore, sul nostro senso di inadeguatezza sarà più semplice passando attraverso fiction e personaggi con i quali i ragazzi si identificano.

Chiedere di scrivere come veniamo visti dagli altri e come, in realtà, ci sentiamo noi stessi può configurarsi  come un’ attività di orientamento significativa.

Personaggi dei manga e connessioni con il vissuto personale

Dall’osservazione del personaggio di Komi si può notare come la ragazza nel manga venga spesso ritratta in occasioni che dimostrano ansia ed emotività.

Il disegno ne mette in risalto le ombre, gli occhi grandi, i tratteggi che indicano tremore, sudore e l’incapacità di proferire parola. La produzione scritta può prevedere diverse sollecitazioni riferite alla spiegazione dei suoi sentimenti o all’immedesimazione in condizioni simili.

E intanto i ragazzi scrivono a partire da uno spunto che sentono vicino e motivante.

Personaggi dei manga e connessioni letterarie

Interessante è far notare come personaggi letterari dalle caratteristiche simili a quelli del manga vengano rappresentati attraverso un linguaggio in prosa del romanzo.

Un esempio possiamo riscontrarlo nel personaggio di Nico, co-protagonista del libro di Daniele Nicastro Vengo io da te, caratterizzato da una grave forma di ansia sociale.

Oppure sollecitare parallelismi tra il manga di Komi e il bellissimo albo illustrato Io parlo come un fiume (testo di Jordan Scott e illustrazioni di Sydney Smith), dove l’incapacità di comunicare con gli altri e il senso di frustrazione e solitudine che ne deriva vengono espressi in modo eccellente sia da un linguaggio testuale che da un potente linguaggio iconografico.

Ma anche un altro personaggio può condurre ad una connessione letteraria audace e inaspettata. l’amico di Komi, Tadano, che nel manga aiuterà la ragazza a trovare cento amici, viene inizialmente descritto come pusillanime, interessato solo a seguire la corrente e a vivere nella maniera meno problematica possibile.

Tutti aspetti che possono permettere rimandi niente meno che con il famosissimo Don Abbondio manzoniano, seppur si tratti di un personaggio proveniente da un mondo letterario lontanissimo dal manga sia a livello tematico che a livello spazio-temporale.

Evoluzione dei personaggi nei manga

Continuando ad osservare Komi, possiamo arrivare a proporre il classico organizzatore grafico del “viaggio dell’eroe”, tanto usato in narratologia, anche per far notare l’evoluzione del personaggio di un manga.

Anche questo è fare comprensione del testo, anche così si fa analisi profonda dei personaggi di una storia.

Manga: una sfida senza pregiudizi

Lavorare in classe con i mangi, insomma, si può. Come afferma Andrea Artusi:

Consiglio ai diffidenti di abbandonare i pregiudizi e di accogliere il mondo dei manga con un approccio più libero possibile. Si tratta di avvicinarci ai gusti dei ragazzi e a capire perché li leggono (ed è bene che leggano).

E anche Franco Lorenzoni, maestro sostenitore di una didattica sperimentale e innovativa, così si esprime a proposito dell’avvicinamento ai manga da parte degli insegnanti: 

Visto che noi proponiamo di continuo a bambini e ragazzi di entrare nel nostro mondo culturale, di cui non è sempre facile per loro individuare il senso, soprattutto quando è spezzettato in discipline che non comunicano tra loro, credo sarebbe importante accogliere a volte qualche frammento del loro mondo culturale, anch’esso frammentato, cercando insieme il senso che la cultura può dare alle domande che ci urgono e alle sofferenze che accompagnano inevitabilmente ogni vita e ogni convivenza.  È una sfida difficile, ma necessaria.

Io sono d’accordo e accetto la sfida.

Sempre sul tema di fumetti giapponesi, trovi qui un articolo di approfondimento sugli anime!

Foto di copertina by Gracia Dharma su Unsplash

Esercizi di gratitudine

in Attività di classe by
immagine gratitudine copertina

Tre interessanti attività da fare in classe sul tema della gratitudine: “Perché ringraziare fa bene anche a chi ringrazia

La gentilezza non è solo questione di buona educazione: è qualcosa che, lo stanno scoprendo anche le neuroscienze, fa bene a tutti. Ne abbiamo parlato a più riprese su queste pagine, così oggi lo faremo guardando a un aspetto particolare della gentilezza: la gratitudine.
Cosa significa gratitudine

Andiamo anzitutto al significato della gratitudine, che con la tenerezza, l’umiltà e la mitezza, è una delle qualità deboli dell’uomo: deboli nel senso che vincono e superano gli ostacoli non con la forza, la superiorità o il predominio ma con il loro contrario.

La gratitudine ci permette di stare meglio, di vincere le battaglie riconoscendo gli altri e la loro importanza, comprendendo la necessità che abbiamo di essere aiutati e sostenuti, a partire dalle nostre fragilità e dal fatto che ci diamo concretamente una possibilità di crescere, di imparare.

Gratitudine è “essere grati”, “saper dire grazie”. Allargando lo sguardo, è “Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare” (Treccani).

L’essere umano è un animale sociale: la gratitudine è un sentimento talmente positivo da poter essere quasi un istinto sociale.

Negli ultimi anni si sono susseguite ricerche su come gli ormoni siano collegati alle emozioni che proviamo: in particolare, praticare gratitudine abbasserebbe del 23% i livelli di cortisolo, definito anche l’ormone dello stress (secondo le scoperte del ricercatore Robert Emmons dell’University of California).

Da uno studio della University of Birmingham: “La lista di potenziali benefici è circa infinita: meno errori di giudizio, efficaci strategie di apprendimento, più supporto verso le persone, maggiore fiducia in sé stessi, migliore approccio al lavoro…”. 

“La gratitudine fa liberare al nostro cervello l’ossitocina, l’ormone dell’empatia, dell’abbraccio, del voler bene”, dice il neurologo Piero Barbanti dell’Università di Roma; e altri studi dimostrano come alla gratitudine sia legato anche il rilascio di serotonina, un altro ormone “della felicità”.

La scatola dei grazie – Attività 1
  • Costruiamo un barattolo o una “scatola dei grazie”
  • Scriviamo tutti su un foglietto un ringraziamento che dovrà essere completamente anonimo – non si dovrà dire cioè “chi si ringrazia” o “chi ringrazia”, ma solamente “di cosa ringraziamo”.
  • Per esempio, non “Grazie a mamma per avermi dato la vita” o “Grazie, Andrea” ma “Ti ringrazio perché mi tieni per mano anche quando sono arrabbiata o ferita” o “Grazie per tutti i pezzetti di merenda che mi hai dato quando ne avevo bisogno”
  • Mettiamo i foglietti nella scatola
  • Per ringraziare più persone mettiamo più foglietti
  • Leggiamo tutti i foglietti insieme, di fila, ad alta voce. Se ci sono dei nomi, saltiamoli (i ringraziamenti sono anonimi, perché così sentiamo tutti di essere parte di un grande abbraccio, come siamo: e anche perché così evitiamo gelosie o invidie, che sono proprio il contrario della gratitudine).
La festa del ringraziamento – Attività 2
  • Negli Stati Uniti la gratitudine è oggetto di una festa molto sentita, il “Thanksgiving day” o “Giorno del ringraziamento”, in cui tutti ringraziano per ciò che hanno ricevuto. È una festa spirituale, intima e sociale: si può ringraziare il proprio Dio, la vita, la propria famiglia, la Terra… 
  • Lo fa in maniera delicatissima Mariangela Gualtieri con la poesia Ringraziare desidero; ecco come comincia (ma è tutta bellissima, cercatela!): “In quest’ora della sera / da questo punto del mondo / Ringraziare desidero il divino / labirinto delle cause e degli effetti / per la diversità delle creature / che compongono questo universo singolare / ringraziare desidero / per l’amore, che ci fa vedere gli altri / come li vede la divinità / per il pane e il sale / per il mistero della rosa / che prodiga colore e non lo vede / per l’arte dell’amicizia / per l’ultima giornata di Socrate / per il linguaggio, che può simulare la sapienza / io ringraziare desidero / per il coraggio e la felicità degli altri / per la patria sentita nei gelsomini / e per lo splendore del fuoco / che nessun umano può guardare / senza uno stupore antico / e per il mare / che è il più vicino e il più dolce / fra tutti gli Dèi…”
  • Proviamo a scrivere una poesia collettiva, un nostro “Io ringraziare desidero”, scrivendo su dei foglietti delle strofe o dei versi con scritto per cosa vogliamo ringraziare, ringraziando per un oggetto inanimato, o astratto, o per un animale, o un vegetale, un soggetto collettivo… qualsiasi cosa che sia diverso dalle persone (per cui abbiamo aperto la scatola dei grazie).
  • Leggiamola tutti insieme, mettendo ogni tanto in mezzo alle cose per cui ringraziamo un verso “io ringraziare desidero”, potente e misterico.
Il diario delle cose che ci hanno fatto bene – Attività 3
  • Teniamo in classe un’agenda collettiva, un quaderno o un diario, con o senza date
  • Ogni giorno, quando vogliamo, scriviamo qualcosa di cui siamo grati: qualcosa che è successo e che ci ha fatto stare bene, o da cui abbiamo imparato, o che ci ha allargato il cuore per un’improvvisa felicità
  • Si può scrivere tutti insieme, ma si può anche scrivere di nascosto, da soli, purché siano dei grazie
  • Inauguriamo, insieme o dopo un po’ di tempo a seconda del gruppo, anche un quaderno di ciò che poteva andare meglio: non un cahier de doléances in cui lamentarsi, ma un modo di raccontare ciò che ci ha lasciato un po’ di amaro raccontando come vorremmo che andasse la prossima volta.

Qui è possibile trovare altre attività pratiche da fare in classe.

Foto di copertina by Courtney Hedger on Unsplash

Proposta per un’analisi del testo senza figure retoriche

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Nell’analisi del testo le figure retoriche potrebbero non essere così importanti. L’obiettivo è capire e apprezzare la letteratura, non dissezionarla.

La cosiddetta analisi del testo, con dentro l'individuazione delle figure retoriche, è la principale e più curata competenza nella didattica di italiano in qualsiasi ciclo scolastico. 

Già a suo tempo Claudio Giunta aveva però espresso dello scetticismo sull'esagerata attenzione data alle figure retoriche e io qui, pensando anche alla prima prova dell'Esame di Stato, vorrei provare a riprenderne il discorso con una mia proposta didattica.

L’analisi certosina delle figure retoriche è davvero l’approccio giusto?

Il mio punto di partenza è che l’analisi certosina delle figure retoriche non porta davvero alla piena comprensione di un testo letterario. Nessuno ha mai capito meglio una poesia soltanto dopo averla passata ai raggi X dell’analisi strutturale e retorica, così come nessuno ha mai amato un film soltanto dopo aver appreso cosa è una dissolvenza incrociata o un piano americano. Queste cose sono importanti, ma per il tecnico, non per il lettore in senso generale.

Il focus è un altro…

Se, invece, concentrassimo l’attenzione degli studenti su ciò che conta, ovvero sul personale godimento di quell’intreccio di forma e contenuto che è la letteratura, avremo colto l’obiettivo di creare lettori indipendenti che sanno ricercare e apprezzare il testo letterario anche se le cognizioni retoriche rimangono poche ed essenziali. 

E per apprezzare la letteratura l’unica cosa utile è frequentarla assiduamente. Ogni libro letto regala maggior finezza al lettore, ogni confronto con passate letture ne affila lo sguardo. Pian piano ogni lettore scopre cosa gli piace e cosa no; impara a gestire le aspettative create dai testi, a notare se e quanto si allineano ai canoni del genere, a percepirne i toni, le variazioni e i sottintesi, tanto di lingua quanto di contenuto.

La competenza si costruisce così: interiorizzando le proprie letture.

Non esiste lettore esperto che non abbia letto tanto e l’analisi minuziosa, guidata, tecnicista del testo non è un sostituto valido dell’esperienza. Passare in rassegna tutte le particolarità metriche, stilistiche e retoriche di una poesia non permette di percepirla meglio, se nel proprio bagaglio di lettura di poesie ce n’è solo una mezza dozzina o giù di lì.

Si badi bene che in questo approccio la riflessione sul testo è centrale. Parlare di letteratura aiuta a capirla meglio, perché le nostre idee non possono essere chiare finché non le abbiamo ordinate ed esposte: è la cosiddetta “meta-cognizione”.

Bisogna quindi imparare a descrivere e spiegare le proprie reazioni a un testo.

Leggendo, a puro titolo di esempio, Languore di Verlaine, l’importante non è descriverne  l’armamentario tecnico, bensì avere una reazione emotiva di fronte all’immagine di un poeta che si identifica con l’Impero Romano morente, per poi saperla articolare in frasi e ragionamenti.

Questo significa che non ci si deve tanto soffermare su anafore o chiasmi, ma su quello che quegli strumenti tecnici, che possono anche rimanere invisibili, vogliono portarci a vedere. 

Se c’è una cosa che il lettore deve mettere di suo, piuttosto, è una qualche conoscenza pregressa di ciò che è stata Roma antica. Devo avere qualcosa in mente da evocare quando Verlaine parla di di  decadenza dell’Impero Romano.

Se non conosco la storia di Roma, quel languore per me rimane morta a prescindere da qualsiasi analisi retorica. Insieme con quello letterario, infatti, quel che serve davvero è un buon bagaglio culturale in senso generale: solide cognizioni di storia, geografia, scienze e tanto altro.

Se tale bagaglio culturale e letterario ce l’ho, il testo sotto i miei occhi non solo prende vita e significato, ma posso metterlo in relazione con mille altre suggestioni, con altri testi simili od opposti, in una ricerca che si amplia continuamente.

Ed è con una buona esperienza di lettura che posso cogliere tono e registro di una poesia:

È popolaresca o raffinata? Esplicita o allusiva? Se nel mio bagaglio culturale ci sono sia filastrocche popolari, sia poesie colte, le analogie di una nuova poesia con le une e con le altre emergeranno,  e noterò anche le sfumature. Potrò esprimere opinioni personali e dire se passaggio è roboante e magniloquente o intimo e delicato anche senza contare anafore e aposiopesi.  Ovviamente lo stesso vale per la prosa.

Invece di polverizzare la letteratura nel mortaio dell’analisi tecnica, può quindi essere utile fare letture comparative.

Si provi a leggere una poesia di Montale e una di D’annunzio nella stessa lezione, e si vedrà che le rispettive vene poetiche diventano subito più chiare. Se si prova a leggere qualche ottava scanzonata di Ariosto accanto a quelle solenni di Tasso, si capiranno subito meglio l’uno e l’altro. 

In tal senso è importante non solo accostare alla letteratura anche altre forme di espressione culturale (pittura, fumetto, cinema, ecc.) ma reimpostare lo studio cronologico della letteratura, sia pure senza abbandonarlo. 

Invece di proporre la tradizionale lettura biologica-evolutiva della letteratura

Può essere più utile proporre agli studenti ampie sintesi di quel che nel corso del tempo andranno a studiare e affrontare preliminarmente mirate antologie di testi rappresentativi delle epoche e dei movimenti da approfondire poi più avanti con maggior agio (con periodiche riprese del quadro di riferimento per mantenerlo vivo e chiaro). 

Non servono grosse introduzioni, se non definizioni ben calibrate e quanto basta del contesto. Se uno studente ha modo di avere di fronte a sé, in chiave contrastiva, testi stilnovisti, rinascimentali, contro-riformistici e barocchi, avrà subito un bagaglio di concetti e di forme letterarie che lo orienteranno, e faciliteranno, nelle letture successive, attivando sin dall’inizio la sua intelligenza di lettore. Ne guadagneranno gli approfondimenti successivi, che diventeranno più fertili, precisi e focalizzati.

E’ un modo di insegnare la letteratura più vivo e che val la pena di provare.

Leggi i miei vecchi articoli qui

Foto di copertina by Payton Tuttle su Unsplash

Laboratorio di letteratura: la lettera saggio.

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La lettera saggio è uno strumento in grado di coinvolgere realmente chi scrive e chi legge: scopriamone di più, insieme ad un interessante – e appassionante – esempio concreto.

Prima di avventurarci a parlare della lettera saggio, riprendiamo le fila dagli ultimi due articoli trattati (qui il primo e qui il secondo), in cui abbiamo provato a mettere a punto alcuni strumenti di lavoro utili al laboratorio di letteratura così come l’ho sperimentato in questi anni.

Nancie Atwell, una delle più famose maestre americane del WRW, ma anche Penny Kittle, parlano diffusamente della lettera saggio, che io considero come uno dei compiti più autentici che può produrre un laboratorio di letteratura.

Le idee oneste

Chiamo compiti autentici quelli che autenticamente coinvolgono gli studenti a mettere per iscritto idee “oneste”, come chiama Frank Serafini le sue tre domande per aprire il Reading Workshop. Perché oneste? Perché presuppongono un coinvolgimento reale, un interesse reale di chi scrive e di chi legge sull’argomento trattato.

Non è infatti un modo per fare un compito da sottoporre a valutazione, ma semmai di ottenere, per iscritto, la stesura di una lettera vera e propria che riguardi un “problema letterario”: un testo, un autore, una prospettiva di studio che ci pare interessante, un percorso. È dunque un modo di far fare un piccolo salto di qualità ai nostri studenti, ponendoli di fronte ad un impegno difficile ma sincero.

La forma epistolare

Fino ad ora ho proposto lettere saggio su argomenti di  taglio ( chiamo così quelli che “tagliano” appunto per traverso un autore o più autori, ad esempio “ lo spazio” in Foscolo e in Ariosto) o su percorsi all’interno delle opere di un autore stesso, lettere dunque più libere e meno complesse.

Ai ragazzi piace molto rivolgersi a me in una  forma che essendo epistolare perde molto della sua qualità di verifica, ma instaura una sorta di intimità fra autore e lettore.

Vietato improvvisare!

Le lettere saggio sono indirizzate a me, ma partono tutte da un modeling molto studiato e strutturato, preparato a monte.

Essendo un lavoro complesso ( come lo speech) non si improvvisa una lettera, ma occorre lavorare con assiduità alla sua preparazione, soprattutto con testi mentore scritto da noi , semplici ma efficaci, mettendo in gioco le qualità di lettori competenti che hanno affinato negli anni precedenti.

Per prima cosa devo chiedermi a cosa debbano servire le mie lettere e come le posso  impostare. Sono un lavoro difficile ma non impossibile.

Io le scrivo a loro, inizio di solito con un “cari studenti”; le completo e le proietto alla LIM. In questo modo le possiamo osservare da vicino, possiamo guardare le parti di cui sono composte e discuterle insieme. Spesso coloro con evidenziatori diversi le varie parti e faccio loro annotare alcune impressioni sul quaderno. Altre volte dopo aver letto ad alta voce il mio testo mentore lo consegno loro di carta con la mia firma e lascio che ognuno ci lavori sopra da solo trovando le parti che gli interessano di più.

Poi tocca a loro. I ragazzi scrivono a me la loro lettera saggio sullo stesso argomento ovviamente dal loro punto di vista. 

La personalizzazione della motivazione

È incredibile vedere come questo incida moltissimo sul loro interesse e sul loro apprendimento; credo che la chiave sia la personalizzazione della motivazione. Voglio dire, se la tua insegnante ti scrive per discutere con te di un percorso letterario comune, è molto probabile che il tuo interesse nel  formulare una risposta intensa, non generica, soggettiva, motivata, sia maggiore. Ho sempre avuto di solito delle grandi soddisfazioni, delle lettere vere piene di  riflessioni e di punti di vista interessanti.

Letteratura come risorsa

Marielle Macé in « Façon del lire, maniere d’être »(Paris, Gallimard, 2011) scrive:

Gli scrittori che cito, li scelgo perché sono appunto più forti di me, perché spostano il mio pensiero, perché dicono cose che avrei voluto poter dire io, ma loro lo dicono meglio e ne dicono di più. La letteratura è una risorsa anche in questo senso: mentre leggo, il testo è il mio alleato, ma è il mio alleato in tutta la sua difficoltà, in tutta la sua alterità, e questo fa sì che io debba fare uno sforzo nei suoi confronti.

È proprio per questo che nella lettera saggio si condensa la vera competenza dello studente che legge letteratura. I ragazzi riescono a percepire anche qualcosa di altro e difficile come parte della loro esperienza, tanto da volerne discutere con me. Non è quella  difficoltà che li spaventa, quanto invece il mettersi alla prova o il ragionare per iscritto, che li stimola. Riescono a poco a poco a non avere più paura di dire ciò che pensano anche attraverso la letteratura, non solo sulla letteratura.

Un esempio

Riporto qui sotto una lettera saggio di un ex studente che conservo perché piena di idee e di passione:

Cara prof Minuto,

prima di iniziare la mia lettera vorrei approfittare della intimità che si crea tra lo scrittore e il lettore per ringraziarla. Vorrei ringraziarla perché anche se non ho scelto la scuola che sto facendo, lei mi sta insegnando la scuola che avrei voluto scegliere e le sono molto grato per questo, come sicuramente lo saranno tutti i miei compagni.

Mentre scrivo questa lettera penso a quando ci ha letto “Cavalleria Rusticana” di Giovanni Verga, mi ricordo che la mia testa pensava continuamente al tradimento della moglie di Turiddu. Immagino che sia stata una scelta difficile quella di tradire il marito o magari no e lei ha solo preferito la compagnia di un uomo presente, che non la solitudine di una vedova con il rammarico di una opportunità persa. Suo marito invece ha dovuto scegliere tra difendere il proprio onore o la comprensione, ma non è facile scegliere quando tutti sanno del peccato commesso e aspettano una tua mossa. Scegliere è sempre stato complicato non per niente è uno dei temi preferiti di alcuni poeti e dai migliori scrittori, c’è chi pensa che le scelte che facciamo nel passato siano quelle che creano l’individuo che siamo oggi, per Verga forse non era così, forse per lui dovevi solo rassegnarti al tuo destino e non cercare di evolvere in base all’esito delle tue scelte. Peró questa frase descrive perfettamente uno dei suoi migliori personaggi, nonché il protagonista della Roba.

“La Roba non è di chi ce l’ha ma di chi la sa fare” questa è una riflessione che fa Mazzarò. Mazzarò è un personaggio molto curioso, infatti è il personaggio che più mi piace delle opere trattate in classe. Con questo personaggio Verga ci mostra come un ex oppresso diventa il nuovo oppressore, colpisce come un personaggio che ha sofferto il lavoro forzato sulla sua pelle poi lo imponga ad altri. Questo personaggio sceglie di dedicare tutta la sua vita alla Roba, non aveva vizi né figli, era un uomo così povero che aveva soltanto i soldi, Forse è per quelle scelte fatte che alla fine della sua avventura, quando giunge la vecchiaia e arriva ľ ora di lasciare la sua Roba e pensare all’anima, Mazzarò in preda ad un miscuglio di pazzia e consapevolezza della solitudine che lo circonda, esce dal cortile come un pazzo, barcolla, prende il bastone e inizia ad uccidere tutte le anatre e i tacchini, urlando “Roba mia, vieni con me”.

Sicuramente farò leggere il racconto della Roba ai miei futuri figli, penso che sia un racconto molto educativo e necessario per capire che strada percorrere nel trascorso della tua vita, per capire o condividere i bei momenti. Non so se quando lo leggerò ai miei figli saprò farlo con lo stesso amore che ha usato lei, so solo che adesso che conosco Verga ho un’altra cosa per la quale ringraziarla.

Cordialmente, 

R.

Studente di 5 manutentori meccanici, istituto professionale

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Imparare con un CLAP per migliorare le funzioni cognitive

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Come un gioco di battiti di mani migliora l’apprendimento e ogni CLAP favorisce lo sviluppo delle funzioni cognitive e delle competenze trasversali di bambini e bambine.

Clap, clap clap clap! Questo suono vi ricorda un gioco da bambini dell’era pre-tablet e pre-cellulare di quando ci si divertiva con niente? Sicuramente, sì. Recitare scioglilingua e filastrocche, cantare canzoncine in coppia o in gruppo battendo le mani era uno dei passatempi più comuni.

Si giocava a scuola nell’intervallo, in cortile, durante la coda per entrare al cinema e perfino in auto durante i viaggi. E, se non si aveva compagnia, lo si giocava battendo le mani contro lo schienale del sedile anteriore… anche se la tolleranza dei grandi non durava mai a lungo. Uffa!

Da Maria Montessori alle neuroscienze

Eh, sì! Giochi come questo sono spesso considerati troppo fisici, poco intellettuali, frivoli, senza senso. Eppure, le cose non stanno proprio così e mentre le funzioni motorie sono state considerate per molto tempo di livello inferiore rispetto a quelle cognitive, ora è scientificamente provato che esiste una relazione diretta e una sinergia intrinseca tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo.

Secondo i recenti studi, il corpo e il movimento sono direttamente responsabili della mente, della formazione del pensiero e del linguaggio.

Lo stretto connubio tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo era già stato fortemente affermato da Maria Montessori che in “La mente del bambino” definiva i muscoli organi psichici attraverso cui l’individuo scopre, apprende e conosce.

Ora che sono passati cento anni, studiosi di tutto il mondo condividono le sue scoperte e la considerano una precorritrice delle neuroscienze: 

“Le esperienze senso motorie sono il punto di partenza per la maturazione delle aree corticali responsabili delle procedure esecutive come attenzione, memoria e decision making per il linguaggio e il pensiero complesso” .

(Alberto Oliverio, Early Roots of Adult Mind, in European Journal of Research on Education and Teaching). 

I 10 vantaggi del clapping game nell’apprendimento

Idit Sulkin della Ben-Gurion University of the Negev (Israele) ha condotto una ricerca specifica che ha evidenziato un collegamento diretto tra i clapping games (giochi con battiti di mani) e lo sviluppo di importanti abilità sia in bambini che in ragazzi, inclusi gli studenti universitari.

Recitare uno scioglilingua o una filastrocca a coppie o in gruppo svolgendo un clapping game è un’attività che porta molti vantaggi di grande importanza anche a livello di apprendimento scolastico:

1. Rafforza il lobo frontale

Mentre giocano i bambini impegnano l’area del cervello che presiede alla capacità di produrre il linguaggio parlato e scritto… allenandolo;

2. Migliora il controllo dei movimenti volontari

I bambini agiscono in modo sequenziale preparandosi alla scrittura, alla lettura e al parlare; 

3. Favorisce lo sviluppo dell’abilità grosso-motoria e della coordinazione bilaterale

I bambini imparano a utilizzare in modo coordinato la parte destra e sinistra del corpo compiendo movimenti differenti; 

4. Migliora la coordinazione oculo-manuale

La capacità di gestire questo meccanismo favorisce un miglior apprendimento dei contenuti di un testo e della scrittura.

5. Migliora la memoria

poiché ritmo, suono e movimento forniscono un triplice input e uno rafforza l’altro. I clapping games possono essere un ottimo modo per memorizzare sequenze di parole o numeri, come le tabelline. 

6. Sviluppa la capacità di attenzione e concentrazione

Per giocare è indispensabile reagire in sintonia ai movimenti del compagno o della compagna per tutto il tempo del gioco, come avviene nel processo apprendimento-insegnamento. 

7. Rappresenta concretamente l’importanza e il valore del collaborare

I movimenti di un giocatore devono essere la corretta reazione ai movimenti dell’altro e viceversa, come in un lavoro di gruppo. Inoltre, dimostra l’effetto che il nostro agire ha sugli altri nella realtà attraverso la manifestazione del processo di causa-effetto.

8. Educa alla pazienza, all’accettazione dell’errore e alla resilienza

Essendo un gioco è automotivante e permette ai bambini di accettare il rischio e l’errore con più leggerezza. 

9. Migliora l’umore

Durante il gioco il corpo rilascia endorfine, antidepressivi naturali, chiamate anche “ormoni del piacere”.

10. Sviluppa la creatività

I giochi di battiti di mani sono spesso accompagnati da filastrocche popolari che differiscono da regione a regione e hanno la caratteristica di poter essere variati, sia nelle parole sia nei movimenti.

Sviluppare la creatività con Doppio

Doppio è una sequenza particolarmente adatta a essere reinterpretata in modo creativo. 

La metrica dei tre versi che supportano i battiti è molto semplice e la filastrocca si presta a essere cambiata dall’insegnante in base ai gusti e alle preferenze della classe. 

Tuttavia, anche i bambini stessi possono intervenire in modo divertente svolgendo un’attività di scrittura o espressione creativa idonea anche ai più piccoli o in lingua straniera.   

I movimenti tradotti in parole sono:

  • battito – palmo
  • battito – dorso
  • battito palmo – dorso

(tratto da Rosso Blu Click! M. Bertarini – V.  Falanga – Gruppo Editoriale Eli – 2023)

Bambini e bambine compositori

L’attività proposta ad alcune classi di scuola primaria ha prodotto, tra i molti, questi risultati: 

Super – bava

Super – mostro

Super – bava – di mostro

Viva – Cristiano

Viva – Ronaldo

Viva – Cristiano – Ronaldo

Siamo – una super

Siamo – una squadra

Siamo – una super – squadra 

La decisione di proporre Doppio (Double in inglese) in lingua straniera è nata dalla semplicità del gioco permette ai bambini di fare i primi tentativi di scrittura creativa in inglese con il materiale linguistico che possiedono e anche di lavorare sulla fluency.

Il ritmo sempre più veloce permette infatti di pronunciare le frasi in modo più fluente e spontaneo contrastando la naturale lentezza nel parlare di chi impara una lingua straniera. 

Partendo da:

Double – ice

double – cream

double – ice – cream 

i bambini hanno creato, tra le tante, mini-filastrocche quali:

I like – salami

I like – pizza

I like – salami – pizza.

Stinky – green 

Stinky – feet

stinky – green – feet.

I like – reading

I like – books

I like – reading – books.

Scopri qui altri approcci educativi da sperimentare in classe!

Grosso guaio all’Esquilino – La leggenda del kung fu: un film da non perdere per riflettere sul bullismo

in Arte, Musica e Spettacolo by
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Con Carlo Ridolfi parliamo di un interessante film da non perdere – disponibile su Prime Video – per affrontare e riflettere sul bullismo

Andando in cerca qua e là sul web e nelle varie piattaforme che, ormai, propongono centinaia di contenuti, tra film e racconti seriali, capita di incrociare produzioni che, alle persone attempate come il sottoscritto, fanno venire in mente – ed è un merito – quei film senza pretese ma con sicuro divertimento che hanno occupato molti pomeriggi domenicali in sale di parrocchia o di periferia. E’ il caso di Grosso guaio all’Esquilino – La leggenda del kung fu, diretto da Niccolò Celaia e Antonio Usbergo, coppia di registi che si firmano YouNuts, con Lillo Petrolo, Carolina Crescentini, Giorgio Colangeli e un bel gruppo di ragazzini e ragazzine. Un’occasione per affrontare e riflettere sul tema del bullismo.

Non conosco il budget di produzione del film (distribuito su Prime Video), ma, a vedere il risultato, posso immaginare che non sia stato proprio di primissimo livello.

Ispirandosi senza nemmeno troppa preoccupazione di celarlo a Karate Kid (1984) di John Avildsen e con qualche ironico rimando al Kill Bill di Quentin Tarantino, il film degli YouNuts ripercorre storie e temi già trattati mille volte, riuscendo tuttavia a mantenere le due ore di durata su un livello di divertimento e di simpatia più che accettabile.

Il merito va principalmente agli interpreti:

Sia adulti (Lillo su tutti, ovviamente, mattatore nel suo costante essere un anti-eroe, ma anche Carolina Crescentini e Giorgio Colangeli), sia adolescenti (in particolare le due “spalle” del giovane protagonista – Davide è il nome del personaggio – Riccardo Antonaci: Mario Luciani, spontaneo e irresistibile nella parte del giovanissimo Yang, che si sente “cinese dentro” e Ludovica Nasti – che consiglierei di tener d’occhio anche nei prossimi anni, perché promette tanto – alla quale basta una battuta del Romeo e Giulietta di Shakespeare per strappare l’applauso).

La trama e l’ambientazione

Più che la trama – un ex-attore fallito e sfrattato viene coinvolto come mentore e insegnante di arti marziali per fornire a un adolescente bullizzato gli strumenti per difendersi e conquistare la ragazza di cui è innamorato – sono da sottolineare sia l’ambientazione che i gustosissimi dettagli d’epoca.

Il rione Esquilino è quello che dalla stazione di Roma Termini si allarga a comprendere una vasta zona limitrofa al centro della capitale, nella quale spiccano, oltre a chiese e monumenti, zone di grande sperimentazione sociale multietnica come piazza Vittorio e ambiti educativi che ormai hanno una pluridecennale storia di partecipazione e ricchezza di proposte come la scuola “Di Donato”.

E’ in questo macrocosmo di lingue, colori, suoni e musiche che si inserisce il ristorante cinese nel quale lavorano le mamme di Davide e Yang e, soprattutto, il sottoscala in cui i due adolescenti si rifugiano, vero e proprio minimuseo di cimeli degli anni Ottanta, tra consolles di videogiochi ormai desueti e vhs di vecchi film di serie C sul kung fu.

Con il consueto e purtroppo generalizzato neo di un eccesso di turpiloquio (che sembra non voler mai esser abbandonato da troppi sceneggiatori contemporanei), il film rappresenta comunque una piacevole occasione di intrattenimento, mantenendo l’equilibrio tra piccolo racconto di formazione e riflessione mai pedante su cause ed effetti del bullismo.

Qui una lista di altri film da non perdere!

Fare storia per abbattere l’idea di “nemico”

in Approcci Educativi/Attività di classe/Letture in classe/Storia e Filosofia by

Un percorso di storia sperimentato presso la scuola secondaria di primo grado per dire no a tutte le guerre e combattere gli stereotipi sul concetto di nemico.

Il concetto di nemico viene affrontato in special modo iniziando a studiare la Seconda Guerra Mondiale, tema di particolare interesse per gli studenti della scuola secondaria di primo grado.

Di Seconda Guerra Mondiale tutti vogliono poter parlare poi all’esame, come se tutto quello che è venuto prima – ma anche dopo e durante – non sia degno della medesima attenzione.

Io credo che per far comprendere l’atrocità di una guerra che ha provocato oltre quaranta milioni di morti, ma che ancora esercita tutto il suo “fascino”, si debba riflettere su alcuni concetti di base.

Uno di questi, il principale, è il concetto di “nemico”.

Il “nemico” nella Grande Guerra

Per questo, quando in classe si parla di Prima Guerra Mondiale, argomento non particolarmente atteso, credo sia importante porre ai ragazzi alcuni basilari spunti di riflessione.

Non solo soffermarsi su motivazioni e schieramenti contrapposti, quindi, bensì provare a far comprendere quanto l’idea di “nemico” abbia provocato una carneficina mai vista prima in termini di vittime militari.

Pur di combattere e annientare il “nemico”, innovazioni scientifiche e tecnologiche della Belle Epoque sono state piegate a precise strategie belliche, quindi utilizzate non più per migliorare il benessere dell’umanità, bensì per provocarne  uccisioni e stragi.

Pur di opporsi al “nemico”, il soldato al fronte ha dovuto sopportare sofferenze e atrocità indicibili. Un “nemico” dalle fattezze, dallo stato d’animo e dalle condizioni esistenziali perfettamente simili ai suoi. Per far comprendere quanto sia assurdo doversi ritrovare a combattere contro i propri simili, sono state affiancate allo studio del manuale attività didattiche specifiche.

Cinema e Grande Guerra

Tra queste, la visione – parziale o integrale – di alcuni film cult, quali Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrik, Uomini contro di Francesco Rosi e La Grande Guerra di Dino de Laurentis.

Attraverso ricostruzioni storiche magistrali, questi film offrono un’ottima testimonianza di ciò che hanno dovuto subire i soldati al fronte e di quanto fosse facile morire sotto la furia dei colpi nemici e perfino a causa di rivalse progettate dai comandanti del proprio esercito.

Letteratura e Grande Guerra

Così come il cinema, anche la letteratura offre ottimi spunti per riflettere sull’idea di nemico che avevano in mente i soldati al fronte, o meglio, che i governanti e i sostenitori della guerra volevano che i soldati al fronte avessero in mente. Leggendo romanzi come Un anno sull’altipiano di E. LussuNiente di nuovo sul fronte occidentale di E.M. Remarque, appare ben chiaro quanto coloro che si erano arruolati, convinti di venir omaggiati come eroi, rimanessero delusi e sconvolti per le terribili condizioni che si erano ritrovati a vivere.

Leggendo le poesie di Giuseppe Ungaretti (Soldati, Fratelli, Sono una creatura, San Martino del Carso, Veglia, solo per citarne alcune) questa idea di precarietà emerge ancora di più in tutta la sua atrocità.

Perché uccidere il “nemico”?

Dalle parole di Lussu, Remarque e Ungaretti si comprende che i soldati si pongono domande cruciali: 

  • Perché combattere una guerra che nessuno di noi ha deciso?
  • Perché uccidere il “nemico” che è un uomo come noi?

Su queste domande occorre far riflettere (e riflettere con) i ragazzi. Dal libro illustrato Pidocchiosa prima guerra mondiale possiamo leggere e osservare pagine in cui appare evidente che in qualsiasi schieramento l’inferno da sopportare era il medesimo.

Fame, freddo, sporcizia, alcool, shock, traumi e morte vengono vissuti sulla propria pelle ogni singolo giorno da ogni singolo soldato. Ma cos’è che aveva spinto gli uomini ad arruolarsi e gli eserciti a massacrarsi? Risposta: la propaganda.

Il potere della propaganda

Facciamo osservare in classe manifesti di propaganda appartenenti a tutti gli schieramenti, in cui il nemico viene presentato con le fattezze di una creatura mostruosa (inglesi raffigurati come ragni giganteschi e, vedi immagine, tedeschi come serpenti velenosi).

I ragazzi percepiscono così come la propaganda cercasse di inculcare nell’immaginario popolare l’idea che il nemico fosse un mostro, una bestia immonda da eliminare senza pietà (anticipazione, che, purtroppo, la storia vedrà ripetersi in altre tremende occasioni).

Video e libri per parlare di pace

Ma di nuovo cinema e libri possono diventare l’occasione per riflettere su quanto sia necessario opporsi al clima di odio e di mistificazione della realtà diffuse con la propaganda.

Leggere poesie di B. Brecht, in cui non si distingue più chi è il nemico e chi non lo è, osservare video riferiti  alla “tregua di Natale”, in cui soldati di eserciti avversari hanno improvvisato una partita di calcio nella “terra di nessuno”, rappresentano spunti di riflessione estremamente efficaci.

Perché è necessario guidare i nostri studenti verso discussioni e negoziazioni di significati in cui venga dato valore ad un desiderio universale di pace e al superamento dell’odio verso i propri simili.

In questa ottica, la lettura dell’albo illustrato Il nemico di Davide Calì, illustrato da Serge Bloch, si configura come un’attività didattica di sicuro impatto.

Nell’albo un soldato di una guerra imprecisata riesce a penetrare nella trincea nemica, rimasta temporaneamente vuota. Osserva fotografie e oggetti che rimandano ad affetti familiari e si rende conto che quel nemico contro cui sta combattendo prova le sue medesime sofferenze. L’albo si conclude con il lancio di un biglietto di carta all’interno di una bottiglia, che andrà a sostituire l’utilizzo di qualsiasi altro strumento di morte. 

Nel libro non si dice qual è il contenuto del messaggio scritto nel biglietto. Un’ottima occasione per fare in modo che a scrivere quel contenuto del messaggio siano i ragazzi stessi.

Se siete interessati/e ad altre proposte laboratoriali a tema storia, leggete questo articolo!

Foto di copertina by Stijn Swinnen su Unsplash

Attività didattica da scaricare n°10: “Le buone abitudini alimentari”

in Attività di classe by

Cosa fa bene alla salute? Parliamone con un’attività di classe dedicata alle buone abitudini alimentari

A differenza di quanto si possa pensare, quando si parla di buone abitudini alimentari non si fa riferimento soltanto al mangiar sano, anzi; nelle buone abitudini, infatti, entrano in gioco una serie di elementi e aspetti diversi, spesso sottovalutati tra cui rientrano: l'attività fisica, un adeguato riposo e la convivialità.

Partendo proprio da questo presupposto, vi proponiamo un'interessante attività da scaricare gratuitamente e da usare in classe per affrontare questo tema in un'ottica più ampia.

COMPILA LA FORM E SCARICA GRATUITAMENTE L’ ATTIVITA’ DIDATTICA!

A questa pagina troverai altre attività didattiche su differenti argomenti, pronte per essere scaricate e utilizzate in classe.

Foto di copertina by Jamie Street on Unsplash

Fare storia in laboratorio

in Approcci Educativi/Attività di classe/Storia e Filosofia by

Quando si parla di laboratorio vengono in mente provette e alambicchi, strumenti utili allo studio delle scienze. Ma il laboratorio a scuola si applica a tanto altro, compreso lo studio della storia.

Inutile negarlo: nell’apprendimento della storia un docente abile narratore fa la differenza. Il fascino suscitato dalla presentazione degli avvenimenti e una narrazione capace di rendere evidenti le connessioni tra i fatti sono di certo fondamentali per lo studio, la rielaborazione e l’interiorizzazione degli argomenti da affrontare a casa.

Ma non bastano. Per intervenire sullo spirito critico dei nostri studenti e agire sul coinvolgimento emozionale, vera garanzia di apprendimento solido e duraturo, occorre andare oltre. Occorre far sperimentare alla classe un tipo di didattica attiva e laboratoriale. Sì, anche nello studio della storia.

Fare laboratorio in classe

Ma cosa vuol dire fare laboratorio in classe? La spiegazione che preferisco è quella di Antonia Chiara Scardicchio, docente dell’Università di Foggia:

L’espressione laboratorio non riguarda soltanto il “fare”. Affinché un insegnante riesca ad allestire un setting laboratoriale è necessario che abbia una disposizione interiore all’incertezza e all’aperto. Nel laboratorio gli studenti si pongono domande e possono andare a muoversi dentro strade di conoscenza che non abbiamo completamente previsto o programmato. Solo così il setting educativo diventa un vero laboratorio di ricerca.

Per predisporre la classe ad affrontare un laboratorio di storia occorre, per prima cosa, sollecitare gli studenti a recuperare conoscenze pregresse e a compiere anticipazioni.

In una classe seconda della scuola secondaria di primo grado, ad esempio, verrà affrontato lo studio delle scoperte geografiche di XV-XVI secolo e numerosi possono essere gli stimoli in grado di ricreare in classe un laboratorio di ricerca.

Brainstormig, carte geografiche e carte nautiche

Sempre efficace cominciare attività di questo genere fornendo semplici sollecitazioni da far scrivere su post-it, raccolti e condivisi:

  • Hai mai sentito parlare di Cristoforo Colombo e dei navigatori di ‘400 e ‘500? Annota cosa sai.
  • Cosa ti piacerebbe sapere in merito a questo argomento di storia? Annota le tue domande.

Gli appunti su post-it, se raccolti su cartellonistica da parete, aiuteranno gli studenti a rendere visibili in itinere i processi di pensiero (suggerimento tratto dalla metodologia MLTV – Making Learning and Thinking Visible).

Il vero avvio del nostro laboratorio di storia prevede la consultazione di carte geografiche e nautiche degli anni rinascimentali, così da far meglio comprendere quali possano essere stati i fattori alla base del clamoroso errore commesso da Colombo. A seguire, confronto con proiezioni di carte e planisferi attuali di uso quotidiano.

Immagini e fonti iconografiche

Far osservare immagini e analizzare fonti iconografiche si rivelano sempre attività didattiche di sicuro impatto, quindi sarà interessante fornire riproduzioni grafiche o fotografiche di astrolabi, bussole o imbarcazioni tipiche delle navigazioni a lungo corso, ma anche foto di statue o disegni raffiguranti Colombo e l’impresa da lui compiuta.

Allo stesso modo, si prestano ad annotazioni su cui impostare dibattiti e condivisioni le osservazioni di video tematici da reperire sui numerosi canali didattici e divulgativi presenti in rete, da assegnare eventualmente anche in modalità flipped-classroom.

Fonti scritte e lavori di gruppo

Per una classe che fa laboratorio di ricerca importante è la consapevolezza dell’apporto del gruppo, quindi assegnare lavori da svolgere in modalità collaborativa si rivelerà di sicuro effetto. Suddividendo la classe in piccoli gruppi, potranno essere assegnati diverse tipologie di documenti scritti sia all’epoca di Colombo che in periodi molto più recenti.

Nei gruppi i documenti saranno letti, analizzati e, come step finale, esposti alla classe, così che informazioni apprese e riflessioni che ne scaturiscono possano essere svolte in modalità collettiva.

Fonti scritte che ben si prestano a simili attività potranno essere reperite sia su sezioni di manuale apposite che su web. Di ottime ve ne sono anche su siti di divulgazione nazionale rivolti soprattutto ai ragazzi e, comunque, supportare i gruppi nel lavoro di reperimento di fonti scritte affidabili in Internet vuol dire impostare attività di educazione digitale di grande valenza formativa e didattica.

Competenze espositive e debate

Riferire notizie su argomenti appresi mette in esercizio le capacità espositive e, nel corso dell’esposizione orale, saper mettere in relazione temi appresi e informazioni ricavati dalle attività laboratoriali incidono sulle capacità critiche e rielaborative.

Su tali competenze si può intervenire sperimentando in aula un debate, ossia dividendo la classe in due schieramenti contrapposti che si sfideranno a suon di tesi e antitesi. Qualche esempio di sollecitazione in grado di dare avvio a un debate:

  • come consideri gli esiti dell’impresa di Colombo?
  • che idea ti sei fatto della figura di Colombo?
  • cosa pensi delle statue in onore di Colombo che talora vengono contestate?

Vince il gruppo che riesce a sostenere davanti a una giuria le argomentazioni più convincenti. Anche in questo caso sarà bene far annotare tesi e antitesi su post-it, non solo per rendere visibili i processi di pensiero, ma anche per avere modo di seguire ragionamenti tesi ad avvalorare opinioni, l’una a contrasto dell’altra. Tali procedimenti risulteranno anche utili in fase di impostazione e stesura dei testi argomentativi.

Canzoni, giochi e meme

Facendo ricorso a canzoni, giochi e meme gli studenti mettono in campo numerose competenze tese a dimostrare una corretta assimilazione dell’argomento e un’ottima capacità rielaborativa. Anche questo è fare laboratorio.

Possiamo, ad esempio, far ascoltare le parole della canzone Cristoforo Colombo di Guccini, cercando di far individuare nel testo le informazioni storiche apprese, ma anche la caratterizzazione e l’interpretazione del personaggio che ne dà il cantautore.

Facendo leva sull’inventiva, sul talento artistico e sulla creatività presenti all’interno dei gruppi, possiamo chiedere di realizzare disegni, vignette, produzioni in cartone o in materiale di uso comune che abbiano come protagonista Colombo e le implicazioni delle sue scoperte. Alcuni degli esempi di consegne su cui i ragazzi possono scegliere di misurarsi:

  • produzione di disegni, cartellonistica, gioco da tavolo contenenti itinerari delle spedizioni di Colombo con utilizzo di stazioni di spostamento o arretramento tramite caravelle segnaposto realizzate con guscio di noce, carta e stecchino;
  • prendere a riferimento alimenti e ricette da poter realizzare prima e dopo la scoperta di Colombo: disegni, indovinelli e giochi con nuovi prodotti alimentari ricreati su cartone o stoffa;
  • fumetti, cruciverba e meme tematici, da realizzare sia in modalità analogica che digitale (si segnalano, in particolare le seguenti app: Comicbook per i fumetti, Crosswordpuzzlemaker per i cruciverba e Knowyourmeme o Memedroid per i meme.
Metacognizione finale

Alla fine di attività composite come quelle appena viste, mai dimenticarsi di dedicare tempo alla metacognizione finale. Occorre fare in modo che i ragazzi riflettano su quanto hanno appreso e come lo hanno appreso, così da permetterne la rilevazione dei punti di forza, ma anche dei punti di debolezza.

Le sollecitazioni saranno formulate con domande semplici, ma finalizzate a riflettere sui processi di pensiero e sulle fasi operative in cui tali processi sono stati coinvolti:

  • cosa è stato fatto durante questo percorso? Elenca i passaggi principali del nostro lavoro;
  • elenca le conoscenze più significative e per te più interessanti conseguite a fine percorso;
  • esprimi un tuo feedback su cosa è stato più divertente fare e cosa ti è risultato più noioso;
  • esprimi un tuo feedback su cosa è stato più facile fare e cosa ti è risultato più difficile.

Il coinvolgimento attivo ed emotivo raggiunto con attività di laboratorio di questo genere assicurerà con maggior evidenza un apprendimento consolidato e stabile nel tempo. Parola delle neuroscienze:

Avere un efficace ‘timone emotivo’ è fondamentale, in particolare per fare in modo che gli studenti siano in grado di utilizzare la conoscenza in modo efficace. I processi emotivi e cognitivi interagiscono tra loro influenzando l’apprendimento e il ragionamento”, anche perché “è neurobiologicamente impossibile costruire ricordi, impegnarsi in pensieri complessi o prendere decisioni significative senza emozioni.

Mary Helen Immordino-Yang, neuroscienziata

Foto di copertina by Dariusz Sankowski su Unsplash

Viaggi di istruzione: uno strumento prezioso

in Scuola by

Stiamo entrando nel periodo dei viaggi di istruzione: una riflessione sul tema e due proposte pratiche per gestire velocemente la procedura d’appello durante le uscite didattiche!

I viaggi di istruzione, grazie ai quali si solidificano i rapporti e si fanno esperienze, sono momenti fondamentali nella vita di studenti e insegnanti; adesso che aprile è iniziato, stiamo entrando in quella che è la classica stagione delle gite scolastiche che riemergono con una certa diffusione dopo qualche anno di rarefazioni o di vere e proprie pause dettate da condizioni al contorno ben note.

Invero, personalmente, detesto questa locuzione e preciso sempre che si tratta di “viaggi di istruzione” o di “uscite didattiche”. Questa puntualizzazione non è solo una pidocchiosa pedanteria, ma una necessità programmatica, specie nei confronti di un’utenza che, a seconda dell’età, può trascendere anche in comportamenti molto pericolosi se non contenuti entro una consapevolezza che va costruita su molti fronti.

La preparazione al viaggio di istruzione

Il primo strumento perché questo sia, quindi, è proprio quello di dare un nome corretto alle cose. Il secondo è quello di premettere all’uscita tutta una serie di atti preparatori che non sono solo quelli, pur importantissimi, di tipo burocratico, ma soprattutto quelli di ordine didattico. La commissione viaggi, ad esempio, individua le mete ed è conseguente responsabilità dei singoli consigli di classe, sia attraverso un lavoro collegiale che tramite quello individuale, anticipare cosa si andrà a vedere, spiegare quello che si andrà a fare, in modo tale che l’espletamento materiale di tutto questo sia condiviso e pre-attivato perché inserito in un brodo di significato entro il quale ci si è immersi da tempo avendo costituito un opportuno clima di aspettativa basato sugli obiettivi didattici del viaggio. La costituita zona di sviluppo prossimale lavorerà per noi. Beninteso non si vogliono trascurare quelli importantissimi di tipo relazionale che saranno maggiormente valorizzati se, prima di partire, il gruppo classe sarà stato amalgamato tramite opportune dosi di didattiche attivistiche: lavori di gruppo e cooperative learning, a titolo di esempio.

I doveri deontologici dell’insegnante

Vale la pena osservare che il lavoro preliminare ad un’uscita didattica fa parte dei doveri deontologici dell’insegnante e su questo tema si veda l’articolo 29 del CCNL 2006/2009 dove si legge: “Tra gli adempimenti individuali dovuti rientrano le attività relative alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni”. Le locuzioni “viaggio di istruzione” e “uscita didattica” chiariscono a tutti, quindi, che si tratta di vere e proprie lezioni erogate secondo una modalità diversa.

A tutti è noto il fatto che ogni volta che si esce da scuola non vengono meno i doveri di vigilanza degli insegnanti e questo tema sarebbe da analizzare con una certa attenzione, magari entro la pubblicazione di linee guida.

Vale la pena rilevare il fatto che anche un docente ha diritto al riposo, quindi varrebbe la pena esplicitare i limiti del dovere di vigilanza. Temo che più che giuridici siano di tipo culturale, infatti tutta la partita della sicurezza, regolata nel nostro paese dal Testo Unico, ha fonti primarie in quella europea, ma in Finlandia se si chiede ad un insegnante: “chi è che guarda i bambini quando sono nell’intervallo mentre gli insegnanti si rifocillano?”, si ottiene una risposta molto semplice e ovvia: “sono in giardino a giocare, cosa potrebbe succedere?”. Questa risposta, tuttavia, non sarebbe sufficiente ad un giudice italiano.

Mancati finanziamenti

Vale la pena soffermarsi sui mancati finanziamenti a sostegno di questa particolare forma didattica. Sono scarsi e differiti sul fronte delle famiglie, che possono solo dichiarare le spese effettuate nella dichiarazione dei redditi, vedendosi restituire il 19%. Sono sostanzialmente assenti quelli per gli insegnanti, a meno di invocare il fondo di istituto che, tuttavia, essendo misero non può coprire questa questione senza scoprirne un’altra.

Due proposte per gestire velocemente la procedura dell’appello

Vorrei concludere questo intervento fornendo agli/alle insegnanti un piccolo strumento utile per gestire velocemente la procedura dell’appello quando si è fuori da scuola. È ovviamente utile che questa procedura sia frequente perché il rischio è quello di perdersi qualcuno per strada.

Prima proposta

Una prima possibilità è quella di etichettare le studentesse e gli studenti assegnando a ciascuno un numero in sequenza. All’ordine “Appello per numero!” si dovrebbe udire: “uno, due, tre…”. La procedura è veloce, ma ha il rischio di udire tutti i numeri, uno dei quali citato da un buontempone complice di un fuggiasco, non è nullo.

Seconda proposta

Una seconda possibilità è quella del controllo diffuso. All’ordine “Appello per controllo diffuso!”: Ogni studente/essa deve verificare la presenza di chi segue nella lista (che può essere quella alfabetica della classe, ma anche di più classi). Ovviamente l’ultimo della lista controlla il primo. La velocità di questa procedura è strabiliante perché si tratta di un controllo parallelizzato e ha tuttavia due difetti.

Il primo è lo stesso già citato, dove il complice deve essere lo studente che precede, mentre il secondo è legato alla capacità di controllo da parte di persone non sufficientemente responsabili o capaci, ad esempio particolari tipi di disabilità, che potrebbero non riportare un’assenza.

Una variante della seconda possibilità ha lo scopo di evitare la penosa esclusione dei disabili dalla lista dei controllori, scippandoli di una responsabilità che altri esercitano normalmente e marcando la loro differenza. Ciascuno dovrà controllare non già il seguente (e basta), ma il seguente e il precedente (o, ancora, due seguenti e due precedenti) in modo tale che il fenomeno della complicità diventa di difficilissima realizzazione (ho bisogno di due o di quattro complici per sparire) e quello dell’errore del singolo, disabile o no, ininfluente perché ciascuno è monitorato da due o da quattro persone diverse. Naturalmente se ciascuno deve controllare due o quattro altri studenti, i tempi di chiusura della procedura si allungano, ma restano assai contenuti. Certamente molto inferiori ad un appello classico che prevede di chiamare i presenti uno per uno.

Un altro articolo sul tema dei viaggi di istruzione lo puoi trovare qui!

Foto di copertina by note thanun su Unsplash

In che anno ci troviamo? Ce lo racconta Kurzgesagt

in Zigzag in rete by
Domandarsi in che anno ci troviamo può sembrare banale e a tratti scontato ma, in realtà, riflette una questione complessa e importante legata alla cultura e alla storia di molti popoli diversi. Scopriamolo con l’aiuto dei video didattici di Kurzgesagt

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Il tutor: una risorsa per docenti e discenti

in Scuola by

Una riflessione sulla complessità del ruolo del tutor, in particolare sul suo compito di “orientatore”, come introdotto dalle linee guida allegate al DM 328 del 22 dicembre 2022, che prevedono nei percorsi di istruzione secondaria di I e II grado ore aggiuntive specifiche per realizzare attività di orientamento per gli studenti.

La parola “tutor” (termine derivato dal latino “tueri”) compare in diversi contesti in cui si parla di scuola, sia con riferimento ai docenti sia ai discenti. Si tratta di un ruolo che viene attribuito, per formazione ed esperienza professionale, ad un soggetto cui viene – se così si può dire – “affidato” un altro soggetto al quale deve trasmettere le proprie competenze o in favore del quale è tenuto ad utilizzarle.

Nonostante la qualità dei suoi requisiti, il tutor non deve porsi come esperto, poiché non è “semplicemente” un formatore: il suo compito è, infatti, quello di instaurare una relazione in cui l’altro non sia posto in situazione di subalternità, ma venga accompagnato e valorizzato.

Per realizzare efficacemente il proprio mandato, il tutor deve assumere in sé anche il compito di “facilitatore”, ponendosi in atteggiamento di ascolto attivo, di “cura”, di sostegno, di “conduttore” verso una presa di coscienza di sé.

Un supervisione professionale

Nel percorso di formazione e di prova degli insegnanti neoassunti, tale figura assicura un  affiancamento durante tutto l’anno scolastico, con compiti di collaborazione e di supervisione professionale. Quest’ultima azione – come afferma Mario Comoglio – è finalizzata a:

consentire l’accertamento delle abilità fondamentali per l’espletamento dell’attività educativa, (…) fornire una risposta costruttiva ai singoli insegnanti, (…) riconoscere e rinforzare la pratica più efficace.

Nel contempo, all’interno del modello formativo proposto agli insegnanti in anno di formazione e prova, il tutor ha una funzione di garanzia dello svolgimento del programma previsto,  assicurando il collegamento tra la parte teorica della formazione e il lavoro didattico sul campo.

Nel linguaggio ministeriale (es..nota ministeriale n.30354 del 4 ottobre 2021)  il tutor viene qualificato anche come “mentor”, in particolare nei confronti “ di coloro che si affacciano per la prima volta all’insegnamento”.

Il ruolo della guida

Quest’ultima citazione ci porta ad assimilare le funzioni del tutor a quella del“mentore”, termine usato con il significato più ampio di “guida”. Ma cosa fa una guida?

Stimola l’altro a conoscersi – attraverso l’espressione di sé – in termini di limiti e potenzialità, nonché ad auto-valutarsi attraverso la riflessione sulla pratica, al fine di trovare la direzione di avvio e di prosecuzione del proprio Progetto di Vita.

Quest’ultimo riferimento conduce la nostra analisi ad un diverso ambito: ci riferiamo al ruolo di “tutor orientatore”, introdotto dalle linee guida allegate al DM 328 del 22 dicembre 2022, le quali hanno, nel  contempo, introdotto nei percorsi di istruzione secondaria di I e II grado 30 ore aggiuntive specifiche per realizzare attività di orientamento per gli studenti.

Riforma dell’orientamento scolastico

Prima di parlare di “novità” nella recente proposta ministeriale, sarebbe bene premettere che molte riforme scolastiche prendono avvio dalla rielaborazione di percorsi già disposti da norme precedenti, o da buone prassi già da tempo presenti nella quotidianità dell’esperienza formativa e didattica.

Cerchiamo, allora, di capire se “c’è del nuovo” in questa proposta ministeriale; per farlo, dobbiamo chiederci innanzitutto cosa intendiamo per “riforma dell’orientamento scolastico”.

Nelle suddette “Linee guida” emanate dal Ministro Valditara, al comma 3 dell’art.4. (Il valore educativo dell’orientamento) troviamo un’affermazione a mio avviso fondamentale:

L’orientamento inizia, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento.

In questa prospettiva, tutti i docenti devono saper orientare, svolgendo nei confronti degli alunni, poi studenti, il ruolo di “tutor-mentore”.

Non a caso, nei prossimi anni scolastici l’orientamento costituirà una priorità strategica della formazione dei docenti di tutti i gradi d’istruzione, nell’anno di prova e in servizio.

Insegnante come “costruttore di competenze”

In altre parole, ogni insegnante deve essere capace di far emergere le potenzialità di ciascun allievo, conducendolo a mantenere sempre uno sguardo rivolto al proprio futuro. Questo è possibile solo a condizione che l’insegnante abbia preso coscienza della propria identità professionale, che non si limita più al ruolo di trasmettitore (di contenuti/conoscenze) ma deve incarnare il modello di costruttore di competenze.

Di solito, quest’ultima funzione si realizza in modo più naturale e spontaneo nella scuola dell’infanzia, i cui docenti lavorano per unità di apprendimento progettate flessibilmente sulla base delle caratteristiche, delle esigenze e delle conoscenze dei bambini.

Negli altri ordini di scuola, purtroppo, l’attenzione alle discipline tende progressivamente a favorire  la passività del discente che, oltre a non rendere efficace l’apprendimento, non consente allo stesso di continuare nel proprio percorso di autoconoscenza in vista della realizzazione graduale del proprio progetto di vita.

Rinnovamento costante delle competenze

Tornando alla formazione iniziale dei docenti (ed estendendo l’istanza a quella in itinere), è fondamentale, quindi, operare per un rinnovamento delle competenze, che includa i nuovi modelli di apprendimento partecipativo e interdisciplinare.

Solo a queste ultime condizioni può realizzarsi un’azione efficace del ”tutor d’orientamento” nella gestione di particolari “momenti di transizione”, quali i passaggi tra diversi ordini e gradi scolastici e l’uscita da percorsi formativi.

La sua azione dovrebbe, infatti, innestarsi sull’evoluzione di attitudini, di interessi e di passioni già consapevolmente acquisite dallo studente nei precedenti contesti educativi, grazie  a tutti gli insegnanti che le hanno fatte emergere, favorendo la sua crescita scolastica e personale.

A queste condizioni è possibile, per il tutor, coordinare il processo e le attività che accompagnano gli studenti e le loro famiglie ad una scelta consapevole e ponderata, che valorizzi le potenzialità e i talenti  degli studenti.

In ogni caso, il tutor per l’orientamento  ha  un compito molto complesso, che richiede competenza nel  campo degli strumenti e delle tecniche per l’orientamento formativo e informativo.

Si auspica, pertanto, che risultino realmente efficaci, in tal senso, le iniziative formative specifiche che, secondo le Linee Guida, saranno organizzate da ciascun Ufficio Scolastico Regionale per i docenti tutor delle scuole secondarie di I e II grado.

Foto di copertina by Ivan Aleksic su Unsplash

Galleria BPER Banca: tra Modena e Genova, musei che strizzano l’occhio alle scuole.

in Arte, Musica e Spettacolo/Zigzag in rete by

Non solo opere da ammirare, ma un interessante percorso laboratoriale per le scuole: scopriamo la Galleria BPER Banca.

Nel sito dedicato alla Galleria BPER Banca, se ne leggono chiaramente le finalità. Lo spazio è infatti concepito come un

luogo di scambio culturale, dove l’arte dialoga quotidianamente con il pubblico in modo vivace e vitale.

È dal 2017 che BPER Banca gestisce in modo più maturo e consapevole il proprio patrimonio culturale, grazie proprio a La Galleria, che valorizza, tutela, conserva e rende fruibile una delle maggiori corporate collection italiane, con un migliaio di opere d’arte di pregio.

Le mostre

“Nelle stanze dell’arte. Dipinti svelati di antichi maestri” è la mostra della Galleria BPER Banca che – proseguendo nell’attività di promozione del proprio patrimonio artistico – dal 17 marzo al 2 luglio 2023 è allestita negli spazi modenesi di via Scudari 9.

Si tratta di un nuovo approfondimento dedicato alla pittura emiliana dal XIV al XVIII, che offre ai visitatori la possibilità di visionare alcuni ulteriori capolavori del nucleo modenese, che in occasione di una precedente mostra del 2017 non furono accessibili al grande pubblico.

Visitabile da venerdì a domenica con orario 10.00-18.00, la mostra è a ingresso libero e gratuito. Per visite guidate e scolaresche scrivere o chiamare: lagalleria@bper.it | +39 059 2021598. Ulteriori info qui.

“Sinfonie d’arte. Capolavori in dialogo tra Modena e Genova” è invece il nome della mostra che aprirà al pubblico dal 21 aprile fino al 23 luglio 2023, negli spazi del Palazzo Doria – Carcassi di Genova.

Un dialogo quotidiano tra l’arte e il suo pubblico, dicevamo ad inizio articolo, e l’arte dialoga in special modo con i bambini, dal momento che le classi che si prenoteranno sia per la mostra a Modena che per quella a Genova, riceveranno un kit digitale – dal titolo Giocare con l’arte – che prevede un percorso laboratoriale da fare prima, durante e dopo la visita.

I partecipanti alle mostre della Galleria BPER, inoltre, riceveranno come gadget un piccolo taccuino in stile sketchbook dal titolo Il Passamostre. Per liberi viaggiatori dell’arte.

Foto ci copertina dal sito https://www.lagalleriabper.it/

Educazione digitale: opportunità dalle biblioteche

in Zigzag in rete by

Oggi gli insegnanti integrano stabilmente la didattica con contenuti digitali interattivi. E il mondo delle biblioteche? Si sta tenendo al passo con il cambiamento in atto?

È dolce per me riaffacciarmi su OcchioVolante, affidabile e fiorente portale al quale mi sento legata, direi, affezionata. Infatti, qualche anno fa, grazie alla schietta intermediazione di Monica Tappa, avevo contribuito con la progettazione e la stesura di una minuta ma pepata rassegna di articoli sulle app per bambini/ragazzi da utilizzare a casa e a scuola; tuttora gli articoli sono disponibili nella nuova elegante veste del sito (ecco qui un esempio).

Quelli erano i primi anni in cui si iniziava a parlare di uso delle tecnologie non solo a fini di intrattenimento, gioco o svago ma a scopo didattico, i primi tempi in cui la consapevolezza che l’interattività del digitale potesse dare un sostanzioso apporto al raggiungimento di buoni risultati per le intelligenze più diverse e si facevano strada il pensiero e la convinzione che introdurne l’utilizzo a scuola fosse una scelta imprescindibile oltre che una sperimentazione necessaria.

Il tempo è passato – sembrano trascorsi mille anni, non credo di essere l’unica ad avere questa sensazione – e la scuola è cambiata; i portali si arricchiscono di articoli su nuove risorse per sostenere e per integrare il complesso lavoro degli insegnanti, gli studenti fremono, i docenti modulano sul nuovo pubblico discente la loro didattica, e oggi siamo inevitabilmente immersi in contesti socio-educativi e didattici che usano le tecnologie in modo naturale con esiti soddisfacenti.

Leggo spesso – anche qui su OcchioVolante, diventato un reale punto di riferimento per la comunità educante – testimonianze di insegnanti che stabilmente integrano la didattica con contenuti interattivi avvalendosi di linguaggi misti, di software, di risorse su supporti di carta così come su supporti digitali.

La risposta dal mondo delle biblioteche pubbliche.

E il mondo delle biblioteche? Si sta tenendo al passo con il cambiamento in atto? E’ in grado di dare risposte all’utenza che cambia fornendo, ad esempio, indicazioni di app di qualità, organizzando incontri con il pubblico dei genitori sull’opportunità di affidare smartphone o tablet ai bambini, e con quali contenuti a bordo? E infine, cosa possono fare bibliotecarie e bibliotecari per vivere pienamente il loro ruolo di aggregatori della comunità territoriale?

Le biblioteche che in Italia si sono strutturate per rispondere in concreto a queste esigenze sono già molte, e i rispettivi bibliotecari con disponibilità e competenza, hanno reso possibile ed effettiva la transizione dal concetto di biblioteca a quello di mediateca.

Il progetto Sapere Digitale

Fra i progetti che si collocano al fianco dei bibliotecari e degli insegnanti per l’aggiornamento continuo e per l’ampliamento delle loro abilità digitali, c’è il Progetto Sapere Digitale Educazione civica digitale in biblioteca della Compagnia di San Paolo, Missione Cultura Obiettivo Sviluppare Competenza, che ha l’obiettivo di sostenere la centralità della professionalità dei bibliotecari e di sostenere la diffusione, la conoscenza e il buon uso del digitale e di valide pratiche didattiche e laboratoriali a scuola e in biblioteca.

È un progetto che abbraccia la vastità delle competenze digitali nella direzione espressa dalla Riforma della Buona Scuola e in linea con il quadro di riferimento previsto dall’Unione Europea; se gli obiettivi sono questi, quali sono gli strumenti che, in concreto, questo progetto offre?

Qui viene il bello, entra in gioco la serietà degli appassionati professionisti coinvolti nelle formazioni gratuite, nei corsi e negli articoli del blog. La proposta è sostanziosa: incontri dedicati all’educazione ai media, focalizzati sui dati e sull’intelligenza artificiale, da workshop sull’uso di TikTok a quelli per offrire agli adulti una didattica creativa e non convenzionale tramite l’uso delle app, oppure per progettare Atelier in biblioteca avvicinando le famiglie alle app di qualità.

Di questi ultimi mi occupo direttamente ed è una gioia essere un chicco di questo grande silos. Ho avuto, nel tempo, la soddisfazione di vedere nascere laboratori per bambini da parte del circuito delle biblioteche della Valle d’Aosta e la pubblicazione della Guida all’uso delle App in biblioteca (inquadrando il QR Code si scarica free) a cura di Alessandra Maffiotti della Biblioteca Civica di Piobesi Torinese, con la collaborazione di Loredana Pilati della Biblioteca Civica Giovanni Arpino di Nichelino.

A coordinare, organizzare ed erogare la grande offerta formativa gratuita del Progetto c’è Augusta Giovannoli, della Biblioteca Civica Multimediale Archimede, Fondazione ECM di Settimo Torinese, forza motrice e infaticabile. Potete cercarla, scriverle, l’espansione del progetto potrebbe arrivare nelle vostre scuole e nelle vostre biblioteche per trarre dalle tecnologie il maggior vantaggio possibile.

Foto di copertina by Jaredd Craig su Unsplash

Ho l’obbligo di denunciare un reato?

in Attività di classe/Zigzag in rete by

Proposta per un dibattito in classe: se vedo un reato ho l’obbligo di denunciarlo alle autorità?

La risposta che dà il codice penale e di procedura è: NO, non c’è l’obbligo di denunciare un reato. O meglio, nella grandissima maggior parte dei casi no. L’obbligo di denunciare i reati, la cui omissione è infatti punita (Artt. 361, 362, 363 e 365 del Codice Penale), è solo in capo a chi ha ruoli di natura pubblica: il pubblico ufficiale, ovvero l’incaricato di pubblico servizio.

Tali soggetti non sono da individuarsi solo nelle Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia, ecc…), ma anche in altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche o para-pubbliche; ad esempio, il medico o l’infermiere hanno l’obbligo di redigere il cosiddetto referto (che è equivalente alla denuncia-querela), salvo che ciò pregiudichi le cure del proprio assistito.

E i normali cittadini?

Banalmente, il dottore deve prima di tutto curare e se il proprio paziente non vuole dire il perché è stato colpito da un colpo di arma da fuoco, allora non è tenuto ad insistere e fare il referto, in quanto tale comportamento porterebbe a dover decidere il medico tra la cura e l’indagine, mentre per il paziante tra l’autoincriminarsi e il ricevere le cure.

Quindi, per tutti questi soggetti, è obbligatorio denunciare i reati. Ciò non vale per i cittadini. O meglio, i cittadini non possono essere obbligati a denunciare i reati, anche per mere ragioni di opportunità, non tutti conoscono quali sono tutti i reati e nemmeno tutti possono sapere l’interpretazione penale che si debba dare a un comportamento umano.

Le eccezioni

Ora, vi sono delle eccezioni (Art. 364, 694 e 709 del Codice Penale), dovute al fatto che vi sono dei beni superiori che necessitano di tutela maggiore, in particolare: sequestro di persona a scopo di estorsione, atti terroristici contro lo Stato ed equiparabili, la ricezione di beni provenienti da delitto, ove abbia subito il furto di armi o materiali esplosivi o esplodenti dove vive.

Evidente la motivazione, prendendo ad esempio i primi due casi. Ove un soggetto sia a conoscenza di dove un sequestrato si trovi allora non può esimersi dal comunicarlo alle Forze dell’Ordine; ove un soggetto veda una valigetta lasciata in mezzo ad una piazza e veda scappare velocemente i soggetti che l’hanno lasciata, deve comunicarlo alle Forze dell’Ordine. Quindi, forse, la risposta migliore alla domanda del titolo è NO, ma dipende dal ruolo che si ha e da ciò che si vede.

Proposta di dibattito in classe

Un esercizio interessante in classe potrebbe essere quello di chiedere ad ogni alunno, al fine di far emergere le differenze, anche etiche, quali sarebbero le condotte che secondo ognuno sarebbero da obbligo di denuncia dei reati per i singoli cittadini.

Credo che, per evitare influenze reciproche, anche positive, sarebbe utile che ognuno singolarmente le scrivesse su un bigliettino; l’insegnante fa un elenco indicando il numero di votanti per fattispecie (unendo ovviamente le similitudini: rissa, lesioni, percosse, botte, ecc… appartengono alla stessa categoria). Successivamente, indicando l’elenco sarebbe interessante sapere chi ritiene alcuni reati correttamente indicati o meno.

Per approfondire il tema, leggi l’articolo dello stesso autore sul tema della definizione di “giusto/sbagliato – lecito/illecito”, che trovi qui!

Foto di copertina by Tingey Injury Law Firm su Unsplash


Esercizi di sostenibilità – La casa delle coccinelle

in Attività di classe by
coccinella

La sostenibilità è diventata, come è giusto che sia, un tema educativo importante: nell’affrontarla rischiamo però di assumere un atteggiamento prevalentemente normativo, come serie di azioni da fare e non fare, oppure un approccio didascalico e descrittivo.

La sostenibilità invece parla di come funzionano i cicli naturali, di equilibri e di scoperte che sono alla nostra portata, di esperienze che si possono fare: la sostenibilità è un esercizio di bellezza e di speranza che possono essere portate a scuola. 

In questa attività mettiamo al centro uno degli animali simbolo dell’infanzia: la coccinella, che è anche un partner importante nella produzione agricola integrata, cioè è un’antagonista naturale dei parassiti che si combattono per avere raccolti migliori.

Costruire una casa per coccinelle è relativamente semplice, in primavera permette di avere risultati tangibili nel giro di poche settimane (purché si stia in una zona dove le coccinelle sono presenti), e dà un esempio concreto di collaborazione tra uomo e natura. 

L’attività richiede un paio d’ore di lavoro e i tempi lunghi dell’osservazione (preziosi per la scuola e per l’agricoltura). Le coccinelle sono antagoniste naturali di parassiti tipici quali gli afidi o la cocciniglia, e combattono così agenti infestanti in maniera naturale. 

Vediamo passo passo come procedere:

  • Prendiamo una scatola da scarpe (o, meglio, una scatola di legno di analoghe dimensioni)
  • Tagliamo i lati e rimontiamo i pezzi fino ad avere un cubo di circa 12-13 cm di lato, aperto per consentire l’ingresso agli insetti
  • Decoriamo l’esterno con brillanti colori atossici per attirare gli insetti (le coccinelle sono attratte da rosa, azzurro e giallo). 
  • Prepariamo un abbeveratoio: un piccolo coperchio con poca acqua zuccherata
  • Aggiungiamo pietre e foglie, uva passa e paglia (senza esagerare)
  • Aggiungiamo un tovagliolo di carta inumidito e briciole di formaggio
  • Piazziamo la casetta su un albero o vicino alle piante (le coccinelle adorano le ortiche), un po’ in alto; mettiamole l’abbeveratoio vicino
  • A piacere, spruzziamo un po’ di profumo (attira gli insetti, e colpisce l’immaginario)
  • Casette simili possono ospitare altri animali amici dell’agricoltura integrata: pipistrelli, ricci, api…
  • Ragioniamo infine sul percorso fatto insieme e su come le coccinelle possono aiutare il contadino (o il nostro orto scolastico, se ne abbiamo uno).

A scuola si parla già di alimentazione, così come anche di sostenibilità: Librì Progetti Educativi con ISMEA ha di recente dato vita a un progetto, Tutto un altro clima! – da cui è tratta l’attività – che coniuga agricoltura, ambiente e cibo, seguendo il percorso degli alimenti dal campo alla tavola. Di educazione alimentare ne avevamo parlato anche qui.

Il progetto è parte di una campagna di comunicazione per la lotta ai cambiamenti climatici, promossa dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste nell’ambito del programma europeo della Rete Rurale Nazionale.

Foto di copertina Claude Laprise su Unsplash

Ritmo in classe: nomi in concerto!

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Nomi per sillabare suonando: esempi di esercitazioni ritmiche da svolgersi in classe

I nomi  sillabati, eseguiti con battiti e strumenti, possono essere il punto di partenza per esercitazioni ritmiche da svolgersi in classe. Fare pratica di discriminazione sonora utilizzando i nomi è per i bambini molto stimolante, perché il proprio nome rappresenta sempre un segnale ricco di richiami affettivi. 

Le proposte che seguono si adattano per essere eseguite fin dal primo anno della scuola primaria, con finalità che incrociano sia l’area linguistica che quella musicale, e che sviluppano capacità attentive e di motricità fine, orientate al vivere in gruppo.

Vediamole riassunte nello schema seguente:

Primi passi: nomi sillabati

Disponiamo i bambini  in cerchio e chiediamo a ciascuno di pronunciare a turno il proprio nome sillabando a voce alta, battendo le mani su ogni sillaba.

Riportiamo alla lavagna la trascrizione sonora dei nomi dei bambini e abbiniamo a ciascuno, per battere il nome, uno strumento percussivo anche informale.

Procediamo all’esecuzione cercando di eseguire i gruppi di battiti di seguito e di non fare pause tra uno strumento e l’altro. 

Gli accenti tonici

Dopo le prime esperienze di sillabazione, si può procedere verso un’ulteriore tappa di discriminazione percettiva: la ricerca  dell’accento tonico all’interno delle parole. La sillaba dove cade l’accento tonico, è fonologicamente più forte.  Si tratta ora di guidare i bambini a riconoscerlo. Iniziamo da  MARCO.

Battiamo le mani sul nome del bambino in due modi: la prima volta in modo errato, la seconda volta in modo corretto.

Chiediamo quindi a Marco di riconoscere il modo corretto di pronuncia del suo nome. Ora rivolgiamoci a tutti i bambini e stimoliamoli a trovare gli accenti interni dei loro nomi, sempre utilizzando in contemporanea i battiti e la sillabazione. Ecco lo schema sonoro dei nomi dei sei bambini con cui abbiamo iniziato la lezione.

Passeremo ora all’esecuzione strumentale. Per questo esercizio utilizziamo il battito delle mani sul banco.

Lo stesso esercizio potrà essere eseguito con strumenti diversi  o con il battito delle mani individuale alternato al battito delle mani in  coppia. Questi sono solo alcuni spunti di percorso interdisciplinare musica/italiano che possono offrire numerosi spunti di ampliamento verso obiettivi diversi delle due discipline. Buon divertimento creativo a tutti voi!

Qui un’altra attività a tema musicale, dedicata all’ascolto.

Foto di copertina Caleb George su Unsplash

Giornata Internazionale della Felicità: come riconoscerla?

in Affettività e Psicologia/Attività di classe by

Il 20 marzo si festeggia la Giornata Internazionale della felicità: un consiglio di lettura potrebbe aiutarci a riconoscere questo prezioso stato!

Lunedì 20 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale della Felicità. Fu proprio l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2012, ad istituirla:

«L’Assemblea generale […] consapevole di come la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità, […] riconoscendo inoltre la necessità di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone, decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della Felicità, invita tutti gli stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, e altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative e i singoli individui, a celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica […]»

Perché proprio il 20 marzo? Perché coincide con l’equinozio di primavera, simbolo beneaugurante di rinascita della Natura: non poteva esistere data migliore!

Se fosse felicità?

Ma come si riconosce la felicità?

Arturo, Zoe e Giulio, i protagonisti del libro Se fosse felicità, una storia avventurosa e piena di emozioni, riflettono proprio sulla cosa più bella del mondo – la felicità appunto – e su come provare a ricercarla.

Il libro fa parte del kit dell’omonima campagna educativa per la scuola primaria, dedicata al tema dell’affettività e dell’inclusione, realizzata da Librì Progetti Educativi in collaborazione con Eulab srl – Laboratorio della Felicità.

Oltre ad affrontare il tema dell’inclusività, la campagna ha l’obiettivo di accompagnare i più piccoli alla scoperta di questo stato d’animo, non solo come emozione ma anche come competenza da allenare.

Proprio così: ci vuole allenamento per imparare ad essere felici!

QUI trovi alcune attività tratte dalla campagna educativa, da poter proporre in classe

E il genitore, cosa può fare per educare suo figlio o sua figlia a provare questo stato d’animo? Come affermava Maria Montessori:

“L’adulto deve farsi umile e imparare dal bambino ad essere grande.”

È solo grazie a questo atteggiamento, infatti, che il genitore comprende i veri bisogni del bambino, aiutandolo a guadagnare autostima e benessere interiore. Buona Giornata Internazionale della Felicità!

Tutta la bellezza dei libri fatti a mano in una mostra-concorso

in Zigzag in rete by

Un bel concorso e una bella mostra per incentivare i nostri alunni (e non solo loro) a sperimentare la loro creatività attraverso la produzione di libri fatti a mano.

Non è la prima volta che parliamo di un concorso, invitando a parteciparvi (in passato lo abbiamo fatto qui). Stavolta spendiamo volentieri due parole su quello che si tiene ogni anno a Pieve Santo Stefano, comune della Valtiberina in provincia di Arezzo, e seguito da relativa mostra, in cui protagonista diventa il libro fatto a mano.

Gli enti che lo organizzano sono l’associazione locale di promozione culturale Librifattiamano e il comune di Pieve Santo Stefano.

Hanno la possibilità di partecipare, in  modo libero e gratuito, sia bambini/ragazzi provenienti da scuole di ogni ordine e grado, che adulti. Sono previsti premi speciali per categoria, ma ciò che ottiene un vasto successo di pubblico è la mostra organizzata per raccogliere tutti i manufatti realizzati nelle scuole che hanno aderito all’iniziativa.

La mostra del concorso Libri fatti a mano

I manufatti dei bambini e dei ragazzi che si sono impegnati a costruire i loro libri vengono esposti in una mostra che ogni anno stupisce per l’abilità creativa e l’originalità delle forme e dei contenuti. Vengono così motivati e stimolati la creatività e l’interesse verso i libri e la lettura e, nel contempo, valorizzati il significato e la produzione dell’oggetto libro.

In alcune scuole la mostra è occasione di sperimentazione e costruzione di libri autoprodotti destinati a diventare vero e proprio materiale didattico. Dopo la mostra e la premiazione dei partecipanti, i libri fatti a mano dai bambini possono infatti essere riportati nelle rispettive scuole di appartenenza.

Se lo si preferisce, gli stessi libri possono essere donati all’organizzazione così da entrare a far parte dell’esposizione permanente dei libri fatti a mano allestita presso la biblioteca comunale di Pieve.

La prossima edizione della mostra dei libri fatti a mano si terrà a Pieve Santo Stefano (AR) dal 3 al 7 maggio 2023: c’è tempo fino alla data del 15 aprile 2023  per inviare richiesta di partecipazione al concorso!

Eventi correlati alla mostra

In occasione della mostra dei libro fatti a mano correlata al concorso, sono previsti a Pieve ulteriori mostre tematiche, laboratori e seminari finalizzati alla promozione della cultura del libro come avventura e come spazio concreto da costruire in modo artigianale e da rendere vivo con storie e illustrazioni scaturite dall’immaginazione, dall’energia e dalla creatività personale.

Regolamento del concorso

Il regolamento prevede ampia libertà di scelta delle tematiche e delle modalità di realizzazione e permette di vincere una somma di denaro spendibile in acquisto  libri.

I premi saranno distinti in tre categorie:

  • libri fatti a mano bambini
  • libri fatti a mano ragazzi
  • libri fatti a mano adulti

La giuria sarà composta, rispettivamente, da bambini della scuola primaria, ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado e da membri che fanno parte del comitato organizzatore.

Qui è possibile consultare il sito da cui ricavare tutte le informazioni sull’evento e scaricare il regolamento del concorso e della mostra ad essa collegata.

Foto di copertina by Rod Long su Unsplash

Dante e il pi-greco (discorso serioso con finale a sorpresa!)

in Zigzag in rete by

La perfezione del cerchio e la misura del pi-greco: dal sommo poeta Dante a… ChatGPT!

Il pi-greco è stato a volte presentato come un simbolo di conoscenze irraggiungibili. Un notevole esempio di questo atteggiamento è nell’ultimo canto del Paradiso di Dante:

Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige

Il pensiero del poeta emerge anche da un altro passaggio della stessa cantica:

Parmènide, Melisso, e Brisso, e molti,
li quali andavano e non sapean dove
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti

La tradizione ci dice che Brisone di Eraclea (=Brisso) contribuì al metodo per misurare il cerchio, assieme al suo predecessore Antifonte, ad Eudosso di Cnido e ad Archimede di Siracusa. Se oggi si usa il termine “pi-greco” è perché si tratta di una quantità che venne concettualizzata e capita proprio da quella civiltà.

La procedura per il calcolo è descritta in un trattato di Archimede di cui disponiamo ancora. Quel metodo, spesso presentato a scuola, prevede l’uso di due serie di poligoni regolari: quelli che contengono il cerchio e che sono più piccoli possibile; quelli contenuti nel cerchio e che sono più grandi possibile. Partendo da un triangolo equilatero e raddoppiando di volta in volta il numero di lati dei poligoni (prima 6, poi 12 nella figura) ci si avvicina sempre più all’obiettivo.

Misurare il cerchio, o calcolare il pi-greco, diventa dunque questione di pazienza.

Apparentemente, Dante rifiuta l’idea che tale procedura sia conoscenza acquisita. Ne fa un problema di principio: non è giusto credere che l’uomo, dotato solo di capacità finite, possa comprendere la perfezione del cerchio, proclamata sin dal tempo dei pitagorici e irrinunciabile baluardo del pensiero astronomico medievale. Brisone e gli altri son fuori strada, tant’è che il padre della lingua li paragona a due eretici, Ario e Sabellio. Per Dante il pi-greco non è tanto un numero quanto una metafora dei limiti dell’uomo.

L’opinione di un moderno oracolo

Il mio contributo alla celebrazione del pi-day sarebbe finito; ma siccome siamo nel 2023, l’amico Livio Rossani ha ben pensato di sentire anche un’altra campana, quella di ChatGPT, il sistema di conversazione automatica oggi più in auge. Alla domanda: “Cosa scriveva Dante Alighieri sui matematici greci che cercavano la quadratura del cerchio?” ecco la risposta ricevuta:

Dante Alighieri, nel suo Inferno della Divina Commedia, descrive i matematici greci che cercavano la quadratura del cerchio come “coloro che cercano ciò che non può essere trovato”. Egli li colloca nel nono cerchio dell’Inferno, dove sono puniti per l’eccessiva curiosità, che viene vista come un peccato. Questa descrizione di Dante rappresenta l’idea che la scienza e la conoscenza umana abbiano limiti e che certe cose non possono essere comprese o risolte. Inoltre, sottolinea l’importanza di concentrarsi su ciò che è importante e di non perdere di vista l’equilibrio e la moderazione nella ricerca della conoscenza.

Mica male! Al netto di qualche ripetizione, questo brano è incisivo e ben congegnato. Forse è un po’ didascalico ma non pedante; non mi stupirei di trovarlo citato su qualche social. Il virgolettato e la storia del nono cerchio colpiscono l’immaginazione di chi non avesse il tempo di rileggere cosa ha scritto davvero Dante, ma sono due panzane, anche se non del tutto infondate. Mi hanno rammentato un principio di cui mi parlò un collega di Tokyo:

Mentire è il primo passo per diventare intelligenti.

Verrebbe quasi voglia di continuare a ragionare su ChatGPT, ma siccome lo si fa autorevolmente altrove e non vorrei andare fuori tema proprio adesso, preferisco chiuderla qui. Credo che ci aspettino tempi interessanti. Grazie ai lettori per l’attenzione.

Riferimenti

La pagina di Wikipedia può servire da punto di partenza per approfondimenti su ChatGPT, ma è ragionevole aspettarsi che il sistema non potrà che evolversi ulteriormente. Si noti che, già adesso, cambiando anche di poco la domanda, la risposta può cambiare molto.

  • Nel romanzo Dante e la matematica, edizioni Giunti (2011) di Bruno D’Amore, l’autore 1) suggerisce che Dante rispettasse Brisone, siccome lo mette in compagnia di Parmenide e Melisso; 2) fa dire al sommo poeta che “Chiunque abbia un minimo di cultura sa bene che la quadratura del cerchio è possibilissima”.
  • In Monarchia III, III, 2 si legge “il geometra non trova la quadratura del circolo” e in Convivio II, XIII, 27 “lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente” (https://danteonline.it/opere/).
  • Si noti che esistono procedure matematiche babilonesi che permettono di ottenere stime sempre più accurate delle radici quadrate anche se non terminano mai, e in questo somigliano alla procedura sopra descritta per calcolare pi-greco. Hanno almeno 3500 anni fa e con tutta probabilità erano note ai greci.
  • Per ulteriori annotazioni, rimando ai miei Quaderni di Cultura Scientifica, accessibili pubblicamente da:
    https://fondazionemargheritahack.it/edizioni/quaderni-di-cultura-scientifica.html
    Nel
     capitolo del  quaderno si descrive meglio la suddetta procedura per calcolare il pi-greco; nel 14° capitolo del 5° quaderno si raccolgono osservazioni sulla relazione tra Dante ed i pensatori dell’antichità.

Gender Gap nelle STEM: tema caldo a DIDACTA e non solo!

in STEM ed Esperienze digitali/Zigzag in rete by

Donne e materie STEM: a che punto siamo? Breve analisi sul tema, con tre convegni da non perdere a DIDACTA, una campagna educativa e un’attività gratuita da scaricare!

Quest’anno a DIDACTA, la più importante manifestazione sull’innovazione della scuola in Italia (8-10 marzo, Fortezza da Basso, Firenze), sarà dato ampio spazio al tema delle STEM, ma non solo.

Sarà na tre giorni con oltre 800 eventi formativi, tra workshop, seminari e convegni, dedicati al mondo della scuola (qui trovi il nostro articolo sulla passata edizione, e qui il programma di quest’anno).

Visto dunque che le danze si apriranno proprio l’8 marzo, giornata della Festa della Donna, viene naturale una riflessione a proposito di Donne e Materie STEM.

A che punto siamo?

Non la tiriamo per le lunghe lo diciamo subito: nonostante l’importante raggiungimento della parità di genere nell’educazione di primo e secondo livello (anzi, le donne, in Europa,  sono addirittura più inclini a intraprendere gli studi universitari), non siamo ancora ad un buon punto. Il gender gap è infatti ancora assai evidente, davanti a noi.

Le statistiche parlano chiaro: nel mondo, anche se risultano più donne iscritte all’università, meno di 4 laureati su 10 nelle materie STEM sono donne. Inoltre, il tasso di occupazione ad un anno dalla laurea degli uomini laureati STEM è più elevato di quello femminile (91,8% contro l’89%), così come la retribuzione non risulta paritaria: le donne laureate in queste materie ricevono circa 300 euro mensili in meno della controparte maschile.

Percorso STEM? No, grazie!

Fattori individuali, elementi sociali, background familiare: sono molti i motivi che tengono le ragazze alla larga dalle materie scientifiche.

  • Mancanza di motivazione personale e di autostima: non ci si sente in grado di poter addentrarsi dentro materie oscure come la matematica.
  • Pregiudizi e stereotipi duri a morire: fin da piccole le bambine sono portate a sentirsi inferiori ai maschi, nelle materie scientifiche.  
  • Mancanza di modelli nell’immaginario collettivo, che alimenta gli stereotipi persino negli insegnanti (a proposito degli sparuti modelli femminili nel campo delle STEM, invitiamo i docenti a raccontare agli studenti e alle studentesse la storia di Rosalind Franklin, perfetto simbolo della posizione di inferiorità delle donne nel Pantheon della scienza).
  • Svantaggio nel luogo del lavoro: la questione “maternità” è ancora vista come un ostacolo all’ascesa della carriera lavorativa. A parità di competenze, si preferisce ancora assumere un uomo, libero da futuri obblighi famigliari.
Diversità come fattore essenziale nella ricerca

Risolvere questo gender gap, che abbraccia appunto anche il divario salariale, è una sfida che dobbiamo vincere non solo per i benefici individuali delle singole donne, ma per il bene della società stessa.

Avere più donne – e quindi individui – nella scienza, garantisce maggiore capitale umano in grado di affrontare le sfide tecnologico-scientifiche del futuro. Poter infatti osservare un problema da diverse prospettive aumenta la possibilità di trovare soluzioni, e questo perché la diversità di un gruppo di persone risulta più importante delle abilità individuali.

in risposta a ciò, e al peggioramento della condizione femminile dovuta al Covid-19, è stata formata una task force tutta al femminile dall’ex Ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti (“Donne per un nuovo Rinascimento”), che include anche la promozione e l’incentivo a formarsi nelle materie STEM.

Tre convegni, una campagna educativa e un’attività gratuita

Tornando alla fiera DIDACTA, ecco qualche appuntamento da segnarsi in agenda, a tema STEM e Gender Gap:

Mentre in materia di campagne educative, “Futuri fantastici e dove trovarli. Le Stem senza differenza di genere” è la nuova campagna di Librì, realizzata in collaborazione con Capgemini, che ha come obiettivo quello di introdurre insegnanti e ragazzi al tema del gender gap nelle professioni STEM e più in generale alla tematica della scelta scolastica e professionale.

Infine, la Fondazione AIRC ci viene in aiuto e ci spiega in cosa consiste il lavoro del ricercatore e della ricercatrice, con test e attività da scaricare gratuitamente qui e da utilizzare in classe: buon lavoro!

Fonte articolo

Discutere e argomentare: sperimentiamo in classe il debate!

in Approcci Educativi/Attività di classe by

Il debate, metodologia di didattica attiva, consiste in un vero e proprio dibattito da preparare con cura, contraddistinto da regole, ruoli e tempi precisi.

Tra i metodi di didattica attiva e partecipativa, in cui lo studente non viene considerato semplice fruitore di contenuti trasmessi ma protagonista attivo del proprio apprendimento, il debate – dall’inglese “dibattito”/”discussione” – assume un ruolo di sicuro rilievo (ne avevamo accennato qui!).

Cosa si intende per debate

Il debate è una metodologia che consiste in un confronto tra due squadre di studenti che propongono le loro posizioni a favore o contro un argomento assegnato dal docente, argomentandole in maniera puntuale e circostanziata.

La scelta dell’argomento verrà diretta verso questioni divisive richiedenti argomentazioni da preparare con cura e competenza, così da apparire convincenti e persuasive.

Origini del debate

Il debate è una disciplina curricolare oggi utilizzata con regolarità nei college e nelle università statunitensi e inglesi, ma la sua origine risale a tempi lontani e va ricondotta all’epoca classica.

L’arte di argomentare in pubblico, praticata nell’antica Grecia specie a seguito dell’affermazione della democrazia ateniese, venne portata a sistema in epoca romana attraverso le scuole di retorica e, di seguito, trovo continuazione attraverso le discipline del trivio impartite nei curricoli scolastici medievali.

Proprio la grammatica, la retorica e la dialettica, infatti, possono venir considerate le basi delle moderne abilità espressive, linguistiche e riflessive, fondamentali per la conduzione di dibattiti significativi ed efficaci.

Prepararsi al debate

In base all’argomento scelto, viene dato avvio a un debate, cioè a un dibattito non spontaneo, ma contraddistinto da regole, ruoli e tempi di conduzione precisi.

Tali caratteristiche richiedono una preparazione attenta e ponderata, capace di mettere in azione competenze logico-critiche e linguistiche fondamentali per la crescita e lo sviluppo della persona.

Gli studenti devono costruire le loro argomentazioni a favore o contro l’argomento assegnato in base non a semplici opinioni personali, bensì basandosi su documentazioni autorevoli criticamente rielaborate a fini argomentativi e persuasivi.

Fasi di svolgimento del debate

Queste sono le fasi di lavoro da considerare come promemoria per il docente intenzionato a sperimentare il debate in classe:

  • stabilire le discipline coinvolte, mantenendo un’ottica il più possibile interdisciplinare;
  • individuare l’argomento su cui impostare il confronto (topic), prevedendo una tematica il più possibile coinvolgente ed inclusiva;
  • suddividere gli studenti in gruppi, tenendo conto dei ruoli utili alla conduzione del dibattito: il gruppo con posizioni a favore del topic, il gruppo con posizioni contro rispetto al topic ed, eventualmente, un gruppo incaricato di svolgere le funzioni della giuria;
  • facilitare il lavoro degli studenti per la preparazioni delle argomentazioni e delle controargomentazioni, da svolgersi prevalentemente in aula;
  • supportare l’attività laboratoriale di ricerca online, da eseguire sia in aula che come consegna a casa, utile ad elaborare le argomentazioni e le controargomentazioni da presentare in aula. Lla raccolta di fonti e informazioni può essere più o meno guidata a seconda dell’età degli studenti e del contesto della singola classe;
  • monitorare l’effettiva preparazione delle argomentazioni e controargomentazioni da sostenere;
  • moderare (o guidare in caso di studenti ancora piccoli) il dibattito vero e proprio, ossia l’esposizione delle tesi a favore o contro il topic assegnato: eseguire sintesi periodiche, permettere l’equilibrio degli interventi, garantire il rispetto dei tempi;
  • stimolare la riflessione sulla valutazione e autovalutazione degli interventi attraverso rubriche dai criteri chiari e condivisi.

Durante le fasi di ricerca delle fonti, l’uso delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) è da ritenersi indispensabile, mentre durante l’esposizione delle tesi non consentire l’uso di strumentazioni tecnologici permette una miglior interiorizzazione delle informazioni, oltre ad un potenziamento delle abilità linguistiche ed espressive.

Competenze messe in atto con il debate

Il debate permette in primo luogo agli studenti di sviluppare l’abilità di saper parlare in pubblico, competenza spendibile sia in ambito scolastico che extrascolastico e tesa a migliorare la propria consapevolezza culturale e la propria autostima.

Ma sono molte altre le competenze, sia di base che trasversali, che vengono messe in atto nel corso della preparazione e dello svolgimento del debate:

  • gli studenti ricercano e selezionano le fonti online con la finalità di formarsi un’opinione, comprendendo la necessità che essa risulti fondata e giustificata;
  • la mente viene allenata all’ascolto e alla considerazione di opinioni e punti di vista diversi dai propri, a tutto vantaggio delle competenze sociali e relazionali;
  • sostenere un dibattito e formulare argomentazioni sviluppano le competenze logiche, critiche e rielaborative, oltre che quelle più propriamente espositive, attraverso le quali il linguaggio viene usato in modo intelligente e creativo;
  • l’uso creativo del linguaggio riguarda tutti i canoni della comunicazione, compresi quelli della comunicazione digitale

Il docente che intende progettare e sperimentare il debate in classe lavora per favorire l’acquisizione di competenze e abilità tese a facilitare le condizioni utili ad affrontare le sfide in situazioni problematiche sempre più fluide, complesse e interconnesse.

Perché favorire l’uso del debate in classe

La risposta la forniscono gli esperti di Avanguardie Educative, movimento incentrato sull’innovazione didattica voluto da Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa):

  • per sperimentare metodologie innovative di rappresentazione della conoscenza;
  • per superare la logica dello studio inteso come mero apprendimento mnemonico di testi scritti da  altri;
  • per favorire l’approccio dialettico e dialogico;
  • per favorire la pratica di un uso critico del pensiero;
  • per incentivare il lavoro di gruppo;
  • per sostenere l’integrazione degli strumenti digitali con quelli tradizionali;
  • per contestualizzare i contenuti della formazione alla società civile.

Come ha affermato nel 2012 il segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki-Moon «l’educazione deve assumere pienamente il suo ruolo centrale nell’aiutare le persone a creare una società più giusta, pacifica, tollerante e inclusiva. Si devono promuovere nelle persone la comprensione, le competenze e i valori di cui hanno bisogno per cooperare nella risoluzione delle sfide globali del XXI secolo». Favorire l’uso del debate significa contribuire a portare avanti questa sfida.

Foto di copertina by National Cancer Institute su Unsplash

Cittadini attivi si diventa!

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Far conoscere e promuovere esperienze di cittadinanza attiva in ambito scolastico

Webinar del 2 marzo 2023 – ore 16:30

Relatori: Adriana Bizzarri e Fabio Cruccu

Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale della Scuola di Cittadinanzattiva, esperta di progettazione formativa in ambito scolastico e curatrice di Report su tematiche educative.

Fabio Cruccu, project manager della Scuola di Cittadinanzattiva, giurista specializzato in diritto minorile e con esperienze di formazione e progettazione partecipata rivolta a docenti, genitori e studenti.

Abstract

Il webinar affronta la tematica della promozione della cittadinanza attiva nel contesto scolastico, presentando elementi teorici e fornendo spunti pratici per poterli veicolare nella scuola.
I webinar si propone di fornire conoscenze di base di tipo teorico a partire dalla definizione della cittadinanza attiva e della sua “costituzionalizzazione” (art. 118 ultimo comma della Costituzione) per poi affrontare il tema delle motivazioni all’impegno che possono spingere a diventare cittadini attivi bambini e bambine, e delle modalità operative da mettere in atto perché ciò si realizzi.
I temi che verranno affrontati nel webinar sono quelli di empowerment, responsabilità, diritti, doveri, bene comune, interesse generale. Tali temi verranno veicolati attraverso esempi di progetti, attività ed iniziative a cui ispirarsi per sperimentare azioni di cittadinanza attiva nell’ambito scolastico e consentire, attraverso metodologie interattive, ai docenti e ai loro alunni di mettere in pratica quanto appreso, adattandolo al proprio contesto.


Nello specifico, il webinar consente di acquisire conoscenze e competenze su:

  • Informazioni di base e strumenti democratici tipici della cittadinanza attiva volti a sviluppare il “sapere” e il “saper pensare” del singolo e del gruppo classe;
  • Importanza delle regole, del rispetto dei diritti e dei doveri civili, sociali, umani per sviluppare e/o potenziare il “saper essere” individuale e collettivo;
  • Prendere decisioni, progettare e mettere in atto azioni concrete, in maniera partecipata e condivisa, al fine di produrre cambiamento

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Fare teatro a scuola, serve?

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Fare teatro a scuola, ma farlo bene: perché, come diceva Rodari, “l’esperienza teatrale contiene gli elementi di una scuola nuova e vera […], liberata dal meccanismo burocratico.

Mi capita, talvolta, di trovare difficile scrivere sul teatro a scuola. Temo di dire cose scontate e ovvie, soprattutto perché prima di me a dirle sono stati dei grandi artisti e scrittori. Per questo motivo inizio questa mia riflessione prendendo spunto da un’affermazione di Rodari che sosteneva che il teatro doveva far parte della scuola non come attività pomeridiana extrascolastica (da ricordare che quando Rodari scriveva, la scuola finiva alle 12,30 e nel pomeriggio alcune scuole erano aperte per le attività extrascolastiche), perché:

L’esperienza teatrale, nel suo corso complesso, contiene gli elementi di una scuola nuova e vera, completamente sottratta a ogni schema artificioso, liberata dal meccanismo burocratico.

Gianni Rodari, Il mio teatro, a cura di Andrea Mancini e Mario Piatti, Titivillus edizioni, 2006

Ho sempre pensato che il teatro a scuola debba essere fatto durante l’orario scolastico e offrire uno spazio “altro” nel quale il bambino e/o il ragazzo possa esprimersi uscendo dai canoni della scuola e senza paura del voto.

Costruire un personaggio

Se Carletto (nome di fantasia) è il bambino considerato distratto, forse a teatro trova una sua dimensione, oppure il conduttore /conduttrice del progetto può “usare” questa caratteristica per costruire un personaggio. Attenzione non il personaggio del distratto (che vorrebbe dire bloccare Carletto in questo giudizio), ma un personaggio che abbia le caratteristiche di Carletto affinché capisca che la sua indole può essere anche positiva o la può usare per crescere. Qualche anno fa avevo un bambino molto silenzioso e dalla voce che era un filo, costruii per lui il personaggio del giardiniere che, innamorato della sua pianta, la cullava e le sussurrava parole dolci: fu un successo e lui ne uscì più forte.

Teatro come scuola di democrazia

La scuola oggi, come al tempo di Rodari, ha tempi che non sono a misura di bambino, nonostante le riforme e la marea di scritti e saggi e nonostante i molti e le molte insegnanti che si prodigano perché così non sia. I programmi non esistono da vent’anni, ma (quasi) tutti li rincorrono.

Il teatro è un spazio altro che però ha delle regole ferree pur nel suo essere profondamente creativo; questo lo rende un grande strumento educativo perché come diceva Munari:

Saper gestire un mezzo è il miglior modo per padroneggiarlo

e quindi essere liberi di creare, perché la libertà poggia sulla conoscenza. I limiti alla creatività, la fantasia che non vuol dire fare affermazioni a caso, il dover stare dentro regole per creare liberamente, sono gli strumenti che offriamo al bambino e al ragazzo quando facciamo teatro, che diventa scuola di democrazia.

Offriamo la possibilità di usare il corpo anche fuori l’attività sportiva così che sappia di averlo anche se non è un campione. Un corpo che deve muoversi in uno spazio definito, che deve sentire l’altro e esprimere e comunicare affinché chi ascolta e guarda, comprenda.

Imparare a stare insieme

Nell’esperienza teatrale il bambino o ragazzo deve stare attento perché è lui che sta sul palco non può delegare (alla maestra, ai genitori, al registro elettronico); è lui che sta lì, è lui responsabile di quello che fa e che dice; è responsabile per sé e per i compagni. Questo rende il teatro a scuola un’esperienza anche faticosa a volte difficile, si grida, si piange e ci si scoraggia, si discute. E si impara a stare insieme.

Infine nell’esperienza teatrale bisogna inventare e creare partendo da un’idea e collaborando con gli altri. Questo fa del teatro a scuola uno dei tanti semi che possiamo gettare per formare lettori e per fare scrittura.

Il “contenitore”

Una delle esperienze più divertenti che ho fatto negli anni con i ragazzi è stata quella di partire da un “contenitore” (io li chiamavo così) che io proponevo loro dopo aver conosciuto il gruppo e le loro energie. Faccio un esempio veloce: in una classe di 18 individui di cui 16 femmine e due maschi, proposi loro come “contenitore” un salone di parrucchiere nel quale si avvicendassero le clienti e persone di passaggio; i due ragazzi facevano uno il garzone del bar, concupito dalla parrucchiera, l’altro un postino. Ne venne fuori un lavoro su i tipi umani molto bello e parecchio ironico; ci divertimmo molto! 

Dopo questa esperienza l’insegnante riprese il testo teatrale, scritto sulla base di improvvisazioni e testi proposti dai ragazzi e da me, per elaborare uno scritto con la classe. 

Trasposizione teatrale di un romanzo

Un’altra esperienza che mi ha segnata in senso positivo è la trasposizione teatrale (tra-duzione) di un romanzo. Se la classe è giusta, è divertente e appagante. Anni fa con una quinta primaria (allora elementare) abbiamo messo in scena Le avventure di Pinocchio, in toscano e con solo qualche taglio. Lo hanno chiesto loro e io gli ho detto che Lorenzini non si taglia: o si fa in toscano o in un altro dialetto. Così fu in toscano.

Fu un lavoro enorme, io scrivevo anche in autobus per preparare le parti; i ragazzi hanno fatto un grandissimo lavoro su costumi e usi dell’epoca e ovviamente per dare una parte a tutti abbiamo giocato col romanzo e con l’autore perché io non posso vedere “recite” con una scena in cui Pinocchio è Giacomo (nome di fantasia) e in un’altra scena è Tommaso (nome di fantasia); questa pratica in teatro non esiste e non deve esistere neanche nel teatro scolastico, perché è un falso ed è come insegnare male la grammatica o le tabelline. Si creano altri personaggi, si immaginano situazioni possibili.

L’importanza dei professionisti del teatro

Ne Il fantasma di Canterville, Wilde parla solo della governante di Casa Canterville ma sicuramente ci saranno stati dei cuochi, dei giardinieri, le servette; nel paese in basso non c’era un postino? La signora Otis non aveva amiche? Insomma giocare con l’autore, creando personaggi plausibili anche basati su altre opere dello stesso. E così si fa scrittura, teatro, Storie, storia del costume e a volte anche educazione civica. E il bello sapete qual è? Che i bambini non se ne accorgono loro stanno giocando al teatro.
Certo è fondamentale che a farlo nella scuola siano professionisti del teatro perché l’esperienza non sia un ripetere parole su un palco.

Se ti interessa particolarmente il tema TEATRO A SCUOLA, ne abbiamo parlato in passato anche qui!

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La gestione del tempo nella scuola italiana

in Approcci Educativi by

Qualche riflessione sulla gestione del tempo nella scuola italiana, soprattutto per quanto riguarda il tenere insieme la calma che serve all’apprendimento e il poco tempo a disposizione.

La gestione del tempo è diventato negli ultimi anni un argomento assai dibattuto e la divulgazione didattica ha cominciato a dare consigli sempre più pratici. A livello internazionale, i libri di studiosi e divulgatori come D. Lemov, T. Bennett o P. McCrea hanno fornito ai docenti molti spunti interessanti, con un’attenzione particolare alla meccanica delle interazioni di classe e agli intoppi che possono ingolfarla.

La massa di pubblicazioni, pur utili, è però esplosa fino a diventare quasi ingestibile. Con questo articolo vorrei quindi fornire una sorta di piccola bussola per il contesto italiano; per evitare di annaspare tra i temi e gli approcci più disparati, suggerisco di concentrarsi, almeno per oggi, su un obiettivo spesso da noi non adeguatamente considerato, ma nondimeno essenziale: come non perdere tempo in classe.

Come non perdere tempo in classe?

Si tratta di un problema che nelle scuole italiane è particolarmente spinoso. Il tempo è poco, gli studenti tanti, le cose da fare un’infinità. Il tempo si disperde in mille rivoli come acqua da un conduttura mal sigillata. Una riforma sistemica della routine scolastica sarebbe assai utile, ma in mancanza di un’utopica rivoluzione, sarà il caso di sfruttare al meglio quel che si ha. 

Gestire bene il tempo significa guadagnare per le nostre classi qualcosa di preziosissimo: la calma. Parlo della tranquillità necessaria per ritornare su argomenti difficoltosi, seguire bene ogni singolo studente e dare modo a tutti di lavorare serenamente. Lo scopo di “efficientare” la vita di classe, infatti, non è fare tutto più freneticamente, ma meglio e più distesamente.

La perdita di tempo in classe è continua. Non penso solo agli scomodi cambi dell’ora, con i docenti che senza vere e proprie pause devono raccattare le loro cose, spostarsi e ributtarsi ogni volta su un nuovo registro elettronico.

Penso infatti anche al processo lungo e tedioso delle interrogazioni, o anche a tutto il tempo perso a richiamare all’ordine la classe (la gestione del comportamento meriterebbe in ogni caso un approfondimento a parte). A tutto questo si aggiungono il via-vai del bagno, le interruzioni per le varie comunicazioni e altre distrazioni che, interrompendo il filo della lezione, richiedono tempo ed energia per riprenderlo. Anche il fatto che le supplenze siano considerate ore vuote (quando la classe non viene direttamente fatta uscire da scuola) costituisce un’emorragia ingiustificata di tempo prezioso -e vi siamo fin troppo assuefatti.

Non è qui il caso di elencare tutti i possibili modi in cui si può risparmiare tempo. Voglio sottolineare soltanto che bisogna essere consapevoli di avere un problema strutturale di tempo. E’ appena il caso di rimarcare che la mancanza di tempo si trasforma immediatamente in un problema di qualità della nostra didattica, dato che la fretta si sposa assai male con l’apprendimento. 

Un trucco “salvatempo”

Per non rimanere nel vago, però, voglio portare qui l’esempio di un trucco “salvatempo”, quello delle lavagnette personali, che mi viene da un insegnante inglese, David Didau. Portarle in classe ha chiesto qualche giorno di adattamento, non di più, e i vantaggi si sono rivelati notevoli.

Le lavagnette altro non sono, nella versione fai-da-te da me adottata, che buste ad anelli lucide con dentro un foglio bianco, da usare per scriverci sopra con un pennarello cancellabile da lavagna bianca. Il docente pone alla classe una domanda, gli studenti scrivono la risposta e sollevano la lavagnetta perché il docente la veda.

Il vantaggio rispetto al fare domande a singoli studenti scelti più o meno a caso è nella rapidità. Domande a singoli studenti se ne possono comunque fare (come nel caso di risposte troppo articolate per una lavagnetta), ma spesso questo vuol dire chiamare uno studente in difficoltà e attendere una risposta che potrebbe anche non arrivare, poi un altro, poi un altro ancora; significa perder tempo a richiamare quelli che risponderebbero senza alzare la mano oppure quelli che colgono l’occasione per distrarsi. Dettaglio non da poco, con le chiamate individuali si scopre la risposta soltanto di una persona, o di poche, e non di tutti.

Con le lavagnette tutti sono chiamati ad attivarsi, la concentrazione non si disperde, ogni studente gestisce il proprio tempo autonomamente (nei limiti del buon senso). Inoltre, cosa più preziosa di tutte, l’insegnante ottiene in maniera immediata una fotografia di come sta andando la comprensione in classe:

  • Quanti hanno capito?
  • Quanti no?
  • Quali tipi di errore sono stati fatti?

Senza le lavagnette, il docente avrebbe avuto un quadro molto più vago delle difficoltà della classe o non le avrebbe percepite proprio. Rendendosene conto solo al momento della valutazione, sarebbe dovuto tornare precipitosamente indietro su argomenti già svolti. La perdita di tempo a quel punto è massiccia e corrisponde al momento in cui ci accorgiamo di essere, come dicevamo, drammaticamente indietro col programma. La lavagnetta, così banale, ci avrebbe salvato molto tempo prima.

Attenzione costante

Ogni docente può inventare i propri sistemi di gestione del tempo, o adattarne di vecchi alle proprie materie e alle proprie classi. Quel che importa è che rimangano costanti la tensione e l’attenzione al non disperdere quel ristretto patrimonio di ore e minuti che ci è dato perché è fin troppo facile ritrovarsi ad inseguire la propria stessa didattica. Si fa più fatica, gli studenti hanno più difficoltà e alla fine si rimane con un senso di amaro in bocca. Molto meglio organizzarsi prima e darsi modo di tirare il fiato. Non ce ne pentiremo.

Foto di copertina by Icons8 Team su Unsplash

Giornata Mondiale delle malattie rare: il punto di vista di UNIAMO per aumentare la conoscenza fra i banchi di scuola.

in Bisogni Educativi Speciali by

Annalisa Scopinaro è la Presidente di UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare, uno dei 37 Enti e Associazioni di Pazienti che sostengono la campagna educativa Più Unici che rari, promossa da Sanofi e Librì Progetti Educativi. A lei rivolgiamo le nostre domande sul tema delle patologie rare.

Dopo la chiacchierata con Marcello Cattani – Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Farmaceutico Sanofi impegnato nella ricerca e sviluppo di farmaci per i malati rari – sul tema dell’inclusione, in occasione della Giornata Mondiale del prossimo 28 febbraio torniamo ad affrontare il tema delicato e ancora poco conosciuto.

Sanofi è una delle principali realtà industriali del settore farmaceutico, che da oltre 40 anni è impegnata nella ricerca di terapie innovative che possano migliorare la qualità di vita di persone affette da malattie gravi, croniche e progressivamente invalidanti.

Dalla collaborazione tra Sanofi e Librì Progetti Educativi, è nata nel 2019 Più unici che rari, la campagna educativa nazionale per le scuole primarie (classi IV e V) e secondarie di primo grado, il cui obiettivo è raccontare il valore dell’unicità di ciascun alunno e promuovere tra i bambini e i ragazzi l’importanza dell’accoglienza e dell’inclusione nell’ambiente scolastico, partendo da quelle difficoltà e barriere che possono nascere in presenza di patologie ma non solo.

Tra i 37 Enti e Associazioni di Pazienti che sostengono la campagna educativa Più Unici che rari, troviamo UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare in rappresentanza della comunità delle persone con malattie rare in Italia; ed è alla presidente Annalisa Scopinaro che rivolgiamo le nostre domande:

Quali sono i campanelli di allarme da tenere in considerazione per una diagnosi precoce di malattia rara?

La diagnosi precoce di malattia rara è fondamentale per dare un nome alla patologia e per avere accesso alle migliori terapie possibili. I tempi di diagnosi sono ancora troppo lunghi, come dimostrato da Eurordis: siamo oltre i 4 anni di ritardo. Le diagnosi precoci si ottengono dagli screening neonatali e con la corretta interpretazione di segni e sintomi evidenziati dai pazienti. Quanto un paziente ha un quadro complesso, che non trova spiegazione nonostante gli specialisti consultati, sarebbe opportuno farsi venire un “sospetto diagnostico” e indirizzare ad uno dei centri della rete nazionale delle malattie rare. 

Sempre in tema di diagnosi precoce: esistono dei test basati su sintomatologie da proporre alle famiglie?

Ad oggi esistono tecniche omiche che permettono l’individuazione di patologie anche complesse. Fondamentale è l’interpretazione dei risultati delle analisi, che deve essere fatta da esperti. In alcuni casi, come per esempio nelle neuromuscolari, il controllo del CPK può essere utile. Tutti gli esami devono però essere strettamente correlati ad una corretta anamnesi e raccolta della storia familiare per poter formulare un sospetto diagnostico attendibile. 

Cosa fare in caso di test positivi (ovvero che evidenziano il sospetto di una patologia)?

Se i test evidenziano una patologia rara, va capito se si rientra nei casi di esenzione dalla spesa sanitaria e individuato il centro di competenza, che possa indirizzare verso le migliori terapie e sistematizzare il caso nel registro malattie rare. 

Si è registrato, negli ultimi anni, un incremento dei casi di una qualche specifica malattia rara?

Come evidenziato nella campagna fatta da Uniamo per la Giornata Malattie Rare 2023, tutti i malati rari italiani riempirebbero un treno della metropolitana lungo 175 Km oppure 25 volte lo stadio di San Siro. Non ci sono però statistiche precise che forniscono informazioni sull’incremento di nuovi casi ogni anno. Sicuramente negli ultimi anni, gli sforzi congiunti delle Associazioni Pazienti in termini di sensibilizzazione e delle Aziende Farmaceutiche in termini di ricerca hanno permesso a tanti malati rari di trovare una diagnosi e una terapia.

Aggressione liceo Michelangiolo di Firenze: la condanna ai totalitarismi nella lettera della Preside del Da Vinci.

in Zigzag in rete by

A circa una settimana dal pestaggio avvenuto davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze e a 2 giorni dalla manifestazione a Campo di Marte per protestare contro l’aggressione, pubblichiamo – vicini al suo pensiero – la lettera della preside del Da Vinci.

Risale allo scorso sabato 18 febbraio l’aggressione al Liceo Michelangiolo di Firenze, innescata da sei attivisti di Azione Studentesca durante un loro volantinaggio (non preannunciato in Questura), ai danni di almeno due studenti del collettivo di sinistra.

Mentre si continua ad indagare sulla dinamica e sull’individuazione di altri studenti coinvolti, 2 giorni fa si è tenuta la manifestazione – che ha raccolto circa 2000 persone a Firenze – per protestare contro l’aggressione, e ieri è stata resa pubblica una lettera della Preside dell’Istituto Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino.

Vicini alle parole della Preside, la pubblichiamo per intero:

Roberto Benigni accende Sanremo parlando della Costituzione!

in Letture in classe/Zigzag in rete by

Ad alcuni giorni di distanza dalla prima serata del Festival di Sanremo, ancora riecheggiano – forti del loro spessore morale – le parole di Roberto Benigni sulla Costituzione Italiana. Approfittiamone per parlarne una volta di più anche in classe!

La Costituzione è un documento vivo; bene dunque che se ne parli in qualsiasi contesto, a maggior ragione se si tratta di una piazza importante come quella del Festival di Sanremo.

A farlo è stato stato Roberto Benigni in un accorato monologo appassionato e appassionante, a pochi minuti dal fischio d’inizio della 74° edizione del Festival della Canzone Italiana.

Proprio al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dall’attore e regista toscano definito “fratello della Costituzione”dal momento che suo padre Bernardo fu uno dei costituenti, Benigni ha affermato che:

La Costituzione è un’opera d’arte, frutto dell’audacia dei costituenti che hanno saputo guardare al futuro, a noi e anche oltre.

Perché dunque non approfittare di questo intervento in TV – seguito dal 62% degli italiani – per non affrontare in classe alcuni degli articoli della Costituzione, come l’articolo 21 – il più importante per Benigni – quello ovvero sulla libertà di manifestare il proprio pensiero, che, afferma l’attore:

per me è l’architrave, il pilastro di tutte le libertà dell’uomo, il più semplice e il più forte.

Per affrontare il vasto tema possiamo farci aiutare dal libro “La scoperta dell’Italia | Lettere dal passato remoto del mio amico Virgilio”, che con humour e brillantezza racconta  il momento saliente della storia del nostro Risorgimento (il 1861, quando si combatte per l’Unità d’Italia), visto attraverso le lettere di un adolescente che lo ha vissuto, ritrovate in una soffitta da un suo coetaneo nel 2011.

Nel libro – un gioco continuo di chiama e rispondi – le due storie si intrecciano, narrando il momento storico in maniera fresca, moderna, attuale: come se la storia raccontata fosse la stessa, ma ambientata in due epoche diverse che si confrontano. La grafica accattivante, poi, rende tutto ancora più coinvolgente!

Scarica GRATUITAMENTE il libro qui: potrai leggerlo insieme ai tuoi alunni!

Approfondisci ulteriormente leggendo questo articolo.

La memoria delle foibe: la correttezza delle fonti storiografiche per una libertà di giudizio.

in Storia e Filosofia by
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La Giornata del ricordo delle vittime delle foibe: le opinioni di un docente di storia per parlarne in classe in maniera laica e partendo dalle fonti storiografiche.

Ero in visita con la mia classe, alcuni anni fa, e ricordo ancora bene l’atmosfera di silenzio che circondava
il memoriale di Basovizza, uno dei luoghi della tragedia delle foibe.

Tutto dava l’idea di un luogo ai margini, di cui non si doveva parlare, ed in effetti per molto tempo è rimasta una tragedia nascosta (anche dalla nostra storiografia, almeno fino agli anni Settanta-Ottanta), quasi dimenticata.

Per questo l’istituzione del Giorno del ricordo, avvenuta con una legge del 2004, non può che essere riconosciuta come un fatto positivo, anche se – purtroppo – la celebrazione di una simile tragedia ha prestato il fianco a indebite strumentalizzazioni tendenti ad un appiattimento se non ad un disconoscimento delle responsabilità di quella guerra spaventosa, alla legittimazione del discorso ”tutti colpevoli, nessun colpevole”, quando invece risultano indubbie le responsabilità ascrivibili alla parte di cui l’Italia era alleata e complice.


Per cercare di capire occorre, anzitutto, ricostruire il quadro storico e geografico.

La prima ondata di violenze si ebbe nel settembre del 1943 nell’entroterra istriano quando, all’indomani dell’8 settembre, le forze popolari croate si diedero alla caccia dei rappresentanti e dei complici del regime fascista in un territorio – l’Isttria – divenuto italiano con la Prima guerra mondiale e che il regime di Mussolini aveva sottoposto ad una politica di italianizzazione forzata con tutti gli strascichi di odio e di rivalsa nella popolazione locale che questa comportò.

Sezione stratigrafica della foiba di Basovizza

Ufficiali, responsabili delle poste, proprietari terrieri e di industrie, tutti furono accomunati dalla caccia all’Italiano: fin da subito emerse infatti la netta caratterizzazione di quegli eccidi, a sfondo per lo più nazionale. Si andava alla ricerca dei gerarchi e dei subalterni ma anche, più semplicemente, degli Italiani, in modo da vendicarsi della recente dominazione fascista e da preparare il terreno per la futura annessione di quei territori alla Jugoslavia di Tito.

Gli Italiani dovevano sparire, e chi restava doveva tenere bene in mente l’esempio ammonitore e sottomettersi senza tanti indugi.

E la stessa cifra nazionalista la ritroviamo nella seconda ondata di violenze, quella dell’estate del 1945, quando all’indomani della fine della guerra in tutta la Venezia Giulia ad essere perseguitati furono prima che i Fascisti gli Italiani in quanto tali, arrivando addirittura a colpire ed uccidere chi il Fascismo l’aveva combattuto: partigiani, membri del CLN, antifascisti inflitrati nella Guardia di Finanza.

A centinaia, forse migliaia, furono uccisi (ma alcuni furono gettati anche da vivi) e gettati nelle foibe, le fosse che caratterizzano il territorio carsico. Su questa contabilità macabra occorre forse riflettere, perché se da una parte risulta evidente la diversa dimensione di questo rispetto ad altri stermini perpetrati durante il tragico 1939-1945, dall’altra non ci si può che rifiutare di aderire ad una prospettiva che riduca gli uomini a cifre per dimostrare questa o quella tesi politica.

Ogni uomo è prezioso in quanto individuo, e non può mai essere ridotto a numero

Anche una persona uccisa è troppo, e la verità, alla fine, è molto semplice: la guerra porta con sé la morte e la distruzione, sempre, e durante un conflitto non c’è parte che si salvi da questa regola tragica. Non è stato forse un crimine il bombardamento di Dresda operato dagli Alleati negli ultimi mesi del conflitto a guerra già quasi vinta e contro una città priva di qualsiasi obiettivo militare?


Si salvi chi può, dunque, ma si salvi comunque la nostra libertà di giudizio!

Libertà di giudizio che non può che partire dalla constatazione che a dare il via a quella tragica catena di eventi fu una parte, e quella sola. Libertà di giudizio che deve servire a rompere il velo di silenzio che ha avvolto i luoghi della tragedia, a causa di una aperta partigianeria da parte di forze politiche della sinistra italiana nei confronti della Jugoslavia di Tito

Violenza porta violenza, e disumanità porta disumanità: è per questo che le guerre non andrebbero mai iniziate e,
nel malaugurato caso scoppiassero, fatte continuare.

Foto copertina: Foibe di Basovizza

Strategie e metodi inclusivi

by
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Webinar del 31 gennaio 2023 – ore 16:30

Relatrice: dott. Francesca Costa

Docente presso il Liceo “G. Leopardi – E. Majorana” di Pordenone dove è anche Funzione Strumentale BES. Ha collaborato con l’Università di Urbino e collabora con l’Università di Udine. Si occupa di formazione docenti in tutta Italia e per varie Istituzioni.

Abstract

Il webinar affronta la tematica delle strategie e dei metodi inclusivi affinché ogni insegnante possa declinare un percorso didattico che faciliti l’apprendimento considerando le capacità di ognuno. Per creare inclusività, è necessario che vengano adottati precisi metodi e strategie, considerando la scuola una comunità educante e la classe un microcosmo attivo e in continuo divenire, un luogo di crescita, di confronto e interrelazione con pari e adulti, è necessario costruire un clima inclusivo, prosociale e di cooperazione dove ognuno sia messo nelle condizioni di imparare ad imparare, investendo sulle potenzialità individuali e collettive.

Gli obiettivi di cui si deve tener conto per una didattica inclusiva riguardano la presa in considerazione dei vari stili di insegnamento e di apprendimento, le relazioni e la cooperazione.

È importante far sì che gli allievi possano esprimere le loro potenzialità rafforzando il loro percepirsi persone capaci attraverso la sperimentazione del successo formativo, instillando così la fiducia nelle loro stesse capacità e incrementando la loro autostima, al fine di una significativa valorizzazione dei talenti di ciascuno.

L’evento formativo è rivolto a figure professionali che operano in ambito educativo e fornisce suggerimenti utili per la chiave del successo formativo per tutti

Nello specifico, il webinar consente di acquisire conoscenze e competenze su:

  • i principi chiave dell’inclusione
  • i requisiti per essere un insegnante efficace
  • la didattica inclusiva (stili di apprendimento e insegnamento)
  • metodologie e strumenti per la didattica inclusiva.

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Domande e risposte

Breve sintesi delle domande poste alla relatrice durante il webinar.


  1. Nella scuola secondaria di 1° grado come è possibile pensare al co-teaching quando non esistono
    compresenze? Quale altro strumento- strategia utile promuovere?


    Spesso ci dimentichiamo che all’interno di una classe c’è la co-presenza del docente per le attività di sostegno la cui figura è normata sin dal 1977 con la legge 517 e con la legge 279/82 ne viene definito il ruolo all’interno della classe. Tale docente ha una propria specificità e concorre alla piena e totale inclusione, riveste il ruolo di sostegno alla classe in ottica inclusiva e di sostegno alla didattica inclusiva verso i colleghi.
    Un’altra figura che deve essere considerata risorsa per l’attività di co-insegnamento è il docente di potenziamento. La normativa di tale docente fa capo alla Legge 107 del 2015 e nell’articolo 1 al comma 5 si legge: “Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, è istituito per l’intera istituzione scolastica, o istituto comprensivo, e per tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado afferenti alla medesima istituzione scolastica l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal piano triennale dell’offerta formativa … I docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”. Per continuare, la nota del 5 settembre 2016 n. 2852 emanata dal Ministero dell’Istruzione recita che: “… Si aprono, quindi, nuovi scenari, spazi di flessibilità che, se sapientemente e funzionalmente utilizzati, possono consentire, anche ai docenti individuati su posti di potenziamento, di svolgere attività di insegnamento integrate ad altre attività progettuali. In questo contesto, docenti finora utilizzati solo per l’insegnamento curriculare possono occuparsi, in tutto o in parte, di attività di arricchimento dell’offerta formativa, in coerenza con le competenze professionali possedute … l’organico dell’autonomia può essere utilizzato per far fronte alla complessità dei bisogni formativi degli studenti, alle esigenze e alle necessità didattiche e organizzative della scuola, tenuto conto anche delle priorità, dei traguardi e degli obiettivi di processo individuati nel Rapporto di Autovalutazione (RAV) e delle azioni inserite nel Piano di Miglioramento (PdM) …”. Sta dunque a noi docenti rompere il muro della consuetudine e metterci in gioco per una didattica maggiormente flessibile e rispondente alle esigenze dei gruppi classe in cui lavoriamo, considerando che esistono dei limiti, certamente, ma un’accurata progettazione, aiuta a superarli.

  2. Spesso incontriamo genitori che non accettano le difficoltà (disabilità) dei propri figli. Quale
    approccio è possibile?


    Non è semplice rispondere a questa domanda, perché qualsiasi risposta non sarebbe comunque
    risolutiva. Non sono gli insegnanti le figure professionali preposte ad aiutare le famiglie verso l’accettazione delle difficoltà dei figli. Il nostro compito si limita alla didattica e non al supporto psicologico, per cui non abbiamo nemmeno gli strumenti idonei per agire.
    La strategia migliore che un insegnante può attivare è quella di una trasparenza totale in riferimento ad iniziative ed agiti. Per esempio, potrebbe essere utile mostrare alla famiglia le verifiche della classe che sono punto di partenza per l’individualizzazione per far notare ai genitori, come le stesse siano state declinate per i bisogni educativi speciali del figlio. Non dimentichiamoci quindi di mantenere attivo il dialogo con la famiglia e di avere un continuo contatto con i porofessionisti (psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, ….) che seguono l’allievo, con il fine di ottimizzarne il suo progetto di vita. Nell’eventualità fossero organizzati, sarebbe il caso di partecipare agli incontri formativi con le associazioni a cui fanno capo le famiglie, tali incontri possono diventare luoghi di approfondimento di tematiche comuni. Per quanto riguarda i temi di inclusione all’interno della classe, sicuramente bisogna predisporre attività personalizzate o individualizzate che siano parallele a quelle della classe/sezione di appartenenza e implementare la didattica adattiva e integrata, facendo sentire l’allievo parte attiva, per quanto possibile, all’interno contesto di riferimento. Importante sarà anche curare la relazione fra pari e con gli adulti, oltre che fargli sperimentare il successo formativo e farlo sentire capace ed apprezzato. L’allievo, per quanto possibile, deve essere partecipe e protagonista del suo percorso di formazione all’interno della classe/sezione. La famiglia diventa essa stessa protagonista, se viene edotta su quanto svolto.

  3. Potrebbe darci dei consigli per trovare la giusta sintonia tra insegnante e allievo?

    L’osservazione è fondamentale per capire sia lo stile cognitivo dell’allievo che la sua personalità e i diversi tipi di atteggiamento che vengono da lui adottati nei vari contesti. Sicuramente è importante anche avere una conoscenza che vada anche oltre il tempo scuola e questo lo si può ottenere tramite interviste e colloqui con la famiglia e con l’allievo stesso. Conoscere i suoi interessi e le sue passioni, permetterà anche di aumentare l’attenzione e la motivazione, poiché sapremo meglio calibrare la fase di warm-up delle lezioni.
    Inoltre, conoscere l’allievo come persona nell’interezza del suo tempo, ci premetterà di entrare più in sintonia con lui e di attivare un più alto grado di empatia. È ormai risaputo quanto sia determinante la relazione insegnante-allievo e quanto questo influenzi il rendimento scolastico. Sicuramente l’insegnante deve svestirsi dei preconcetti: ogni allievo presenta delle diversità e non lo si deve idealizzare in un modello. L’ascolto attivo che lo faccia sentire accettato, la pratica non giudicante, il cogliere tutte le cose positive e non soffermarsi sull’errore, se non in modo costruttivo, l’abbattimento della competizione fra i pari, possono essere tutte strategie che influenzano in modo efficace l’instaurarsi di una relazione di fiducia, in cui l’allievo si possa sentire capito e accolto. È importante che l’insegnante abbia competenze comunicative (coesione fra verbale e non verbale). Il ruolo dell’insegnante deve contemplare anche la funzione del motivatore e deve saper cogliere i possibili talenti dell’allievo che si sentirà capito e apprezzato per quanto può dare e non per aspettative che non potrebbe soddisfare.

  4. Nella scuola primaria può farci qualche esempio pratico di attività di co-teaching?

    Prima di tutto, mi piacer ricordare che la modalità del co-teaching si rivela pratica per lo sviluppo di una relazione autentica, e la scuola è luogo di relazioni per eccellenza.
    Il co-teacing prevede una pianificazione per l’implementazione dell’attività didattica in cui gli insegnanti coinvolti (co-progettazione), decidono chi presenta la lezione, come presentare l’argomento alla classe/sezione e le esercitazioni che seguiranno (co-insegnamento), e considerano in modo congiunto la valutazione (co-valutazione). Anche il setting d’aula è importante in base al lavoro che si vuole svolgere, meglio se lo si predispone a isole, più o meno grandi in base al lavoro che verrà richiesto. Gli insegnanti devono essere complementari qualora uno si dedichi alla spiegazione e l’altro alle attività pratiche. Potrebbe essere anche che un docente si preoccupi della spiegazione e l’altro personalizzi i contenuti che verranno poi distribuiti ai gruppi di allievi in base alle loro peculiarità. Inoltre, dividendo la classe ad isole, i docenti possono essere di aiuto specifico a determinati gruppi e, a conclusione dei lavori, possono scambiarsi i ruoli e fare delle osservazioni che possono avere valenza di autovalutazione per prendere in considerazioni possibili miglioramenti. Anche attività di cooperative learning possono essere pianificate e gestite da due docenti contemporaneamente e ciò permette di far confluire una maggior attenzione ad ogni gruppo di lavoro. Il successo dell’attività di co-teaching non è solo risultato dell’incontro di una responsabilità condivisa, ma anche l’incontro di competenze e conoscenze diverse, che contribuiscono ad un arricchimento reciproco rendendo un insegnante complementare all’altro.

Il difficile ruolo dei presidi visto da un docente

in Scuola by

Con questo articolo vorrei ritornare ancora sul ruolo dei presidi, prendendo spunto da quanto scritto da Paolo Fasce, ma proponendo una prospettiva diversa, inevitabilmente legata alla mia prospettiva di docente.

Riguardo al ruolo dei presidi vorrei contribuire anche io con una riflessione su una delle note più dolenti della scuola italiana: la cosiddetta governance.

La governance scolastica è il “chi fa cosa nella scuola” ed è una questione particolarmente seria perché, come rileva Paolo Fasce,  pone dei problemi strutturali. E’ perciò necessario dipanare il gomitolo di atteggiamenti, azioni, responsabilità e, importantissime,  aspettative che finiscono per creare miscele esplosive.

Il primo passo

Capire cosa sta succedendo nelle scuole, in modo da diminuire il più possibile l’aggressività che divide presidi e docenti.

Nell’analisi di  Fasce la metafora è non a caso agonistica: quello di Davide contro Golia fu un duello mortale (e a spese di Golia).

Fasce non ha tutti i torti, dato che i docenti riottosi esistono, ma non corriamo il rischio di banalizzare il rapporto tra docenti e dirigenti?

E’ vero che il preside è solo: come potrebbe non sentirsi in trincea una persona che con pochissimi strumenti deve coordinarne un centinaio? 

E il preside, come Fasce giustamente ricorda, è anche un “capo-ufficio”, tanto è vero che tutti i problemi sollevati da Fasce nell’articolo sono di tipo amministrativo: ritardi, iniziative non a norma, richieste “risibili”. 

Trovo assai significativo che Fasce abbia messo in cima questi problemi, e non quelli didattici.

Dal bunker in cui è costretto, il preside vede principalmente questo, e non potrebbe essere altrimenti. Una folla di docenti, decine di classi, centinaia di studenti, una mole enorme di problemi amministrativi.

Quanto da vicino può osservare un preside le dinamiche di classe, la didattica, le esigenze e anche le idiosincrasie dei suoi docenti? La visione del preside è strutturalmente d’insieme.

Di contro, la visione di un docente è quella più di dettaglio, talora vis-à-vis con uno studente. Tra le due posizioni c’è una distanza abissale che non è colmata da nulla. 

I docenti avrebbero bisogno di una struttura tecnico-professionale che li sostenga da vicino (fornendo aiuto e anche critiche), ma questa semplicemente non esiste. 

Il docente in cerca di cooperazione o di aiuto vede solo il preside, la cui attenzione però è catturata da quel che diceva Fasce: controllare il rispetto delle leggi, rispondere ai superiori, assorbire tutto quello che si riversa sulla scuola. 

Se non ci si rende conto del problema di sistema, che trasforma presidi e docenti in capponi manzoniani, i docenti finiscono per vedere nel preside solo uno sceriffo e i presidi nei docenti in difficoltà solo “figure oppositive” (senza nulla togliere al fatto che i veri docenti oppositivi esistono).

Sulla distanza tra i due ruoli bisogna lavorare in due modi.

Da un lato occorre diminuirla, fornendo la scuola di un middle-management che raccordi dirigenza e docenza aiutando entrambe: insegnanti esperti con un ruolo di guida e accompagnamento.

Dall’altro, è bene sapere che questo iato esiste e bisogna non farsi ingannare dalla prospettiva: le richieste che Paolo Fasce ritiene “risibili” quali sono? E quanto sono davvero risibili?

Alcune lo saranno senz’altro, ma altre sono risibili dal punto di vista del sistema, non di quello personale. E quanto accurate sono le idee che un preside si forma sui propri docenti sulla base di incontri occasionali e voci di corridoio? Eppure ai presidi capita di essere assai perentori nei giudizi, cosa che influenza molto ciò che si considera risibile oppure no.

Un esempio tipico è quello della gestione della disciplina:

Alcuni docenti faticano a tenerla e i genitori si lamentano. Il preside lo avverte come un problema, ma il tempo che gli può dedicare si misura, considerato tutto il suo daffare, in minuti, forse qualche ora.

Quanti presidi (e quanti docenti, se è per questo) ne concludono che il docente in questione si deve attrezzare meglio ed evitare di diventare un problema? Difficile dirlo, ma tanto non è questo il punto: per illuminato che sia, un preside tempo da dedicare ad un singolo docente non ne avrà mai abbastanza.

Accanto al docente in difficoltà ci vuole dunque un docente senior che possa seguire la questione, valutarla e intervenire di conseguenza.

Questo sarebbe d’aiuto a tutti, anche al migliore dei docenti, beninteso, e renderebbe molto più solidamente motivate le sanzioni residue che andrebbero comunque irrogate nei casi in cui è davvero necessario.

Discorsi analoghi riguarderebbero anche tanti altri temi caldi, come la formazione professionale continua (qui interessanti spunti dall’Inghilterra) o la valutazione scolastica.

C’è tra i docenti, come ovunque, una percentuale di persone inadeguate, ma spesso il punto dolente è strutturale, non personale. O meglio: è l’incancrenirsi di certe situazioni che lo rende anche personale.

Ogni intoppo a cui non si può dedicare tempo sufficiente diventa prima un problema e poi una rogna. Per i presidi, soli, sotto stress e con responsabilità smisurate, ogni cosa diventa un problema e si candida facilmente a diventar rogna. 

E’ fin troppo frequente che quindi un preside finisca per ragionare in termini di deficit-model: si imposta il lavoro non per ottenere il meglio, ma per sanzionare il peggio.

Il problema è che tale modello non funziona: ottiene un impegno soltanto burocratico, non profondo, entusiastico e vissuto (come si spiega bene qui).

La cornice peraltro non aiuta: tra vincoli ministeriali e pronunciamenti dei tribunali, il messaggio che arriva a tutti a scuola è che l’importante sono la forma e le carte, non gli studenti e l’apprendimento, se non in senso residuale.

Modificare questa cornice burocratica sarebbe essenziale, così come il costruire scuole più serene. In attesa di tutto questo, i docenti dovrebbero cercare di capire di più i vincoli in cui si muove la scuola e i presidi l’estrema delicatezza del loro compito: la scuola si migliora tutti insieme.

Strategie e metodi inclusivi a scuola: alcuni consigli pratici

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L’importanza di attuare strategie e metodi inclusivi a scuola: ecco alcuni consigli pratici

In ambito scolastico, l’inclusione è da intendersi come un processo di inserimento stabile e funzionale rivolto a tutti gli allievi indistintamente che coinvolge sia la dimensione educativa che quella sociale. La scuola, infatti, è una comunità educante e la classe un microcosmo attivo e in continuo divenire, un luogo di crescita, di confronto e interrelazione con pari e adulti.

Affinché l’agito educativo sia efficace per ciascuno, prima ancora dell’intervento sul singolo allievo, è necessario interviene sul contesto fisico, organizzativo e relazionale in termini di barriere e facilitatori.

Nel presente articolo, ci concentreremo sulla parte del contesto organizzativo che riguarda la modalità didattica, tralasciando l’organizzazione spazio-temporale e le risorse, considerando che, per creare inclusione, è prioritario costruire un clima inclusivo, prosociale e di cooperazione dove ognuno sia messo nelle condizioni di imparare ad imparare, investendo sulle potenzialità individuali e collettive, con l’obiettivo di valorizzare le differenze per saperle trasformare in risorse a beneficio di tutti.

La chiave attraverso cui declinare un percorso didattico inclusivo efficace:

Attivare precise strategie e metodi inclusivi che devono partire dall’analisi degli stili di insegnamento che, inevitabilmente, portano ricadute non solo sul clima della classe, ma anche sull’apprendimento.

La didattica inclusiva deve creare spazi di apprendimento dove tutti gli allievi possono inserirsi attivamente e sperimentare il successo formativo.

Un insegnante deve saper dialogare con gli allievi in termini di reciproco rispetto, praticando l’ascolto attivo e assicurando una partecipazione attiva considerando i diversi stili di apprendimento che devono tendere a una conoscenza comune in cui il processo di apprendimento diventa un tutt’uno con quello della socializzazione. 

Una scuola inclusiva che mette in campo una didattica attiva dovrebbe prevedere: 

  • il co-teaching che permette ai docenti di essere più vicini agli allievi e dissolvere le barriere dell’aula
  • l’adattamento e la diversificazione dei materiali di apprendimento per il rispetto degli stili cognitivi
  • l’attività di scoperta che stimola la crescita cognitiva ed emotiva
  • la didattica metacognitiva per permettere agli allievi di acquisire consapevolezza dei loro stessi processi cognitivi
  • la didattica laboratoriale che promuove la motivazione 
  • il modeling (videomodeling) come dimostrazione dei comportamenti da imitare
  • il tutoring che permette di sviluppare empatia e capacità di mediazione sociale
  • l’apprendimento cooperativo che dà modo a ognuno di esprimersi liberamente per trovare un filo conduttore di un lavoro condiviso (di questo tema ne avevamo parlato anche qui)
  • il role – playing, un’animazione pedagogica che è imitazione ludica di un reale possibile, e che deve essere ben strutturata nella sua organizzazione a partire dalla scansione temporale  
  • il circle time che, se ben strutturato con l’adozione di regole ben precise, si rivela uno strumento idoneo per creare un clima favorevole nella classe/sezione, favorisce la collaborazione e l’assunzione di responsabilità
  • il problem solving, per cui il docente sollecita l’individuazione del problema e la ricerca delle ipotesi di soluzione, utile anche nei casi di conflitti
  • il debate che può essere considerata una strategia di autoformazione per pensare criticamente
  • l’uso partecipato e inclusivo delle tecnologie 
  • l’utilizzo di una valutazione formativa autentica che esamina il processo di apprendimento e non i risultati.

Sicuramente, per una gestione efficace della classe, che è considerata la sfida del XXI secolo, è indispensabile che ci sia dialogo e confronto tra professionalità diverse con lo scopo di mettere a punto strumenti, materiali, procedure in modo sinergico per mantenere coerenza educativa e portare avanti azioni in modo condiviso per la fattiva formazione degli allievi in funzione del loro progetto di vita. 

Se vuoi saperne di più sul tema, partecipa al webinar gratuito:

Iscriviti qui https://register.gotowebinar.com/register/2268348991554245212

Raccontare la Shoah a scuola

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Una riflessione sulla Shoah e sul bisogno di ricordare non solo le vittime, ma anche coloro che c’erano e non sono restati a guardare ma hanno aiutato, rischiando. O ancora, di coloro che invece hanno deciso di rimanere immobili.

Dice Matteo Corradini che c’è una bella differenza tra la Fatina dei dentini e un racconto della Shoah. La cosa può sembrare ovvia, però Matteo Corradini dice anche che, girando tante scuole e parlando di memoria con tanti studenti, tra la Fatina e la Shoah lui ha trovato alcune connessioni. Un paio di collegamenti che a me sono sembrati bellissimi. I bambini, per esempio.

In fondo, se ci pensate, i bambini sono gli stessi: un po’ più grandi quelli a cui diamo qualche particolare in più sulla Shoah, un po’ più piccoli gli altri, ma sono gli stessi. E allora è evidente che, dietro ogni cosa che riguarda i bambini e le bambine, c’è la cura che mettiamo nel raccontare. E anche noi siamo un collegamento. Forse più noi dei bambini. 

Spesso ci siamo sentiti dire che bisogna ricordare per evitare che il passato si ripeta. Ricordare per evitare il ritorno del buio. Per me non è così, a me questa idea non ha mai convinto. La memoria non è un’assicurazione sul futuro e mi sembra che le prove di questa mancanza di automatismo, intorno a noi, non manchino. E allora perché è importante ricordare? Perché è importante che chi racconta il passato non smetta di farlo?

La mia personalissima risposta a questa domanda è un luogo fisico. Si chiama Villa Emma e si trova in un paese vicino Modena, Nonantola. Una villa come tante, ma che nel 1942 ha ospitato una settantina di bambini e ragazzi ebrei in fuga dalla Germania. E’ la storia di tutto un paese che ha aperto le porte delle case, dei negozi, dei fienili e anche del seminario, per nascondere gli ebrei. E’ la storia di un prete e di un medico che hanno stampato documenti falsi per farli fuggire. Ed è la storia, soprattutto, delle sarte che in poco tempo hanno cucito 40 cappotti, tutti uguali, per confondere le guardie con la parvenza di una gita scolastica.

Un racconto anomalo, straordinario anzi. Oggi, in diverse parti del mondo, i discendenti di quei bambini e di quei ragazzi si stanno organizzando per non disperdere il ricordo del coraggio che la popolazione di Nonantola dimostrò nel 1943.

Ecco, è questo il punto del ricordo, della memoria. Accanto alla tragedia dovremmo secondo me raccontare il coraggio, la responsabilità di chi ha visto, ma non ha lasciato correre. Di chi non si è voltato dall’altra parte. La Shoah non può restare, unicamente, la storia di chi ha subito lo sterminio: se così fosse le vittime resterebbero sole, ancora una volta. La Shoah è anche la storia di tutti gli altri, di chi c’era e ha fatto. Di chi c’era e non ha fatto. Di chi è venuto dopo e, sulla base di quell’esempio, deve decidere se fare o se restare a guardare. 

Oggi i drammi sono altri, diversi, ma davvero così meno importanti?

Parlare del passato vuol dire assumere una responsabilità. Perché attraverso il racconto che facciamo, la prospettiva che di volta in volta assumiamo, proviamo a cambiare il presente. Soprattutto noi, quelli che raccontano. Quelli che lavorano con i bambini e le bambine.

Per la bibliografia: Matteo Corradini “Tu sei memoria. Didattica della memoria: percorsi su ebraismo e Shoah alla scuola primaria”. Erickson, Trento 2022.

Sul tema del Giorno della Memoria potrebbe interessarti questo articolo, oppure questo, che consiglia 3 film sul tema.

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I film da non perdere nei prossimi mesi

in Arte, Musica e Spettacolo by
Scopriamo insieme alcuni dei nuovi film in uscita adatti a tutte le fasce d’età.

Eccoci all’anno nuovo, come sempre denso di incognite e di promesse. Provo a indicare alcuni dei titoli di film in uscita sul grande schermo nelle prossime settimane, a parer mio adatti a una visione per le fasce di età che cerco di precisare.

La fata combinaguai

A metà gennaio è uscito La fata combinaguai, film di animazione tedesco con la regìa di Caroline Origer. Adatto anche a bambini e bambine piccoli (dai quattro anni) è la storia di Violetta, fatina dei denti dotata di molta buona volontà ma anche causa di un sacco di pasticci.

Grazie ragazzi

Nello stesso periodo è uscito sugli schermi il remake italiano di un bel film francese (Un triomphe, 2020 di Emmanuel Corcoul), Grazie ragazzi, di Riccardo Milani, con Antonio Albanese come protagonista. E’ la storia (ispirata ad una vicenda realmente accaduta) di un attore disoccupato che accetta l’incarico di mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett con un gruppo di carcerati. (E’ più adatto a ragazzini un po’ più grandi, dai 12 anni in su).

Mary e lo spirito di mezzanotte

A febbraio sarà disponibile il nuovo film di Enzo D’Alò (già regista de La gabbianella e il gatto e di altri lungometraggi più che interessanti). Mary e lo spirito di mezzanotte (tratto dal bel romanzo La gita di mezzanotte di Roddy Doyle), che dovrebbe andar benissimo per un pubblico di età da scuola primaria. E’ la storia dell’undicenne Mary, che sogna di diventare un grande cuoca e che per realizzare il suo sogno farà un lungo viaggio oltre le barriere del tempo. 

Mummie – A spasso nel tempo

Sempre a partire dalla stessa fascia di età e sempre con il linguaggio dell’animazione, sempre a febbraio potremo vedere una produzione spagnola, Mummie – A spasso nel tempo, di Juan Jesùs Garcia, seguendo le avventure di un simpatico quartetto di mummie che approdano nella Londa contemporanea alla ricerca di un anello rubato.

Champions

A marzo, per ragazzi e ragazze dell’ultimo anno di primaria e dei primi anni della scuola media, uscirà Champions, di Bobby Farrelly, nel quale Marcus, un allenatore di basket travolto dall’alcolismo (interpretato da Woody Harrelson) sarà inviato per punizione dai servizi sociali ad allenare una squadra di disabili e scoprirà che l’esperienza potrebbe far molto bene sia a loro che a lui.

Le terme di Terezin

Film certamente più impegnativo – e per questo indicato per un’età che vada almeno dai 14 anni – (previsto in distribuzione nelle sale cinematografiche per aprile) è Le terme di Terezin, di Mauro Conte. Si racconta qui la storia di Antonio, clarinettista italiano, e di Martina, violinista cecoslovacca, due innamorati che vengono deportati nel ghetto di Terezin, a una sessantina di chilometri da Praga. Tristemente famoso per esser stato una specie di terribile luogo di rappresentanza, nel quale i nazisti facevano mettere in scena ai prigionieri una vita falsamente felice, a beneficio delle missioni di inchiesta della Croce Rossa, Terezin è uno dei luoghi della memoria della Shoah che anche questo film può contribuire a non far dimenticare.

Il faraone, il selvaggio e la principessa

A giugno, a conclusione della prima parte di una stagione che si annuncia molto interessante, sarà sugli schermi il nuovo film di animazione del grande regista francese Michel Ocelot: Il faraone, il selvaggio e la principessa. Tre storie – adatte dai 6 anni in su – con ambientazioni storico-geografiche diverse: la prima nell’antico Egitto, la seconda nella Francia medievale, la terza nella Turchia del diciottesimo secolo. 

Un altro film da non perdere, uscito da poco, il nuovo Pinocchio di Guillermo del Toro, ne avevamo parlato qui!

Non solo autobiografia, ma ludobiografia

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Ludobiografia: un modo per raccontare (e raccontarsi) attraverso il gioco.  Come sperimentarla in classe con i nostri studenti.

In cosa può esserci utile la ludobiografia e, in prima analisi, di cosa si tratta?

In classe permettere di parlare e scrivere di sé ha sicuramente una valenza positiva: i bambini/ragazzi percepiscono che le loro storie sono ritenute importanti e ciò si rivelerà efficace in termini di autostima e fiducia in se stessi.

Però non è così semplice fare in modo che i ragazzi scrivano e, soprattutto, che scrivano volentieri di sé. Come affermano Luisa Mattia e Janna Carioli nel libro Scrivere con i bambini

Scrivere di se stessi è difficilissimo: bisogna aver fiducia nel potere delle parole, nei propri pensieri e anche negli adulti che hai di fronte.

Ecco, utilizzare la ludobiografia può essere di grande aiuto.

La ludobiografia: un modo per raccontare giocando

Quasi sempre nei giochi prevalgono scontro e competizione, quasi mai collaborazione e cooperazione. Invece il gioco va considerato a tutti gli effetti uno mezzo che consente lo sviluppo del pensiero.

Secondo Gianfranco Staccioli:

Il gioco è strumento di pensiero e cultura, specie quando viene usato consapevolmente o quando implica la messa in movimento di aspetti specifici della persona (ciò che essa è, ma anche ciò che è stata, con i suoi ricordi, emozioni, conoscenze).

Nella ludobiografia si gioca comunicando aspetti della nostra persona e ascoltando ciò che riferiscono gli altri. Il gioco diventa una scusa per potersi conoscere: si comunica agli altri qualcosa di personale e si accoglie anche ciò che gli altri dicono di loro stessi. Si racconta, si ascolta e ci si conosce giocando.

La ludobiografia deve lasciare il segno

Il segno può essere una scrittura, un racconto orale, una composizione sonora, un monologo teatrale. Non importa il mezzo, ma la comunicazione attraverso cui si trasmette ad altri qualcosa di personale. Occorre un clima empatico in assenza di giudizio, rispetto, fiducia e un divertimento che non si trasformi in derisione o burla.

Con la ludobiografia non si comunica solo qualcosa agli altri, ma si condividono le esperienze e si costruiscono in questo modo relazioni e interazioni reciproche.

La ludobiografia richiede ascolto e accoglienza

Serietà e coscienza sono possibili solo in un contesto che accoglie, che protegge, che stimola, che lascia spazio, che cerca calma e serenità.

Non c’è abitudine, né nelle situazioni familiari né in quelle scolastiche, a vivere situazioni in assenza di giudizio. Fin da bambini ci si abitua alle valutazioni che gli altri danno su di noi, si è preoccupati di sbagliare. Creare clima di ascolto e accoglienza non è facile, in particolare nelle situazioni “obbligate” come gli ambienti scolastici.

Gianfranco Staccioli

Per ottenere ascolto e disponibilità a narrare e a giocare raccontandosi, c’è da lavorare molto sull’atmosfera, sul clima di classe, sul senso di comunità.

La ludobiografia fa appello alla ricchezza di un gruppo comunicativo

I bambini/ragazzi possono essere aiutati a considerare le differenze ricchezza, a riconoscere l’originalità dei compagni, a maturare la gestione dei conflitti e la percezione che ciascuno ha di sé.

La ludobiografia nasce da un piacere condiviso

Troppo spesso il gioco a scuola allontana dal piacere, frena la creatività e acquistare una compostezza didattica seria che finisce per appiattirlo verso l’apprendimento di un parametro educativo o spostandosi verso scopi seri.

Ogni forzatura può restringere il piacere e trasformare il gioco in dovere, quindi occorre scegliere i giochi più adatti per il gruppo classe che si ha di fronte e stimolare senza forzare.

La ludobiografia risponde alle esigenze dei bambini

I bambini vogliono capire come funzionano le cose e perché devono e non devono fare certe cose, cioè vanno alla ricerca del significato.

La narrazione di sé è ricerca del significato: si raccontano i fatti e anche il perché dei fatti. Quando i bambini sono un po’ più grandi vanno ancora aiutati a parlare di sé, accogliendo e valorizzando i racconti e le storie di vita.

Giocare per raccontarsi a parole

Ci sono molti giochi utili a narrare di sé giocando:

  • Tautogrammi (sono testi con parole che cominciano tutte con la stessa lettera; se si usa – ad esempio – la prima lettera del proprio nome, le parole per la descrizione di sé devono iniziare tutte con la stessa lettera)
  • Acrostici (componimento che consiste nel far iniziare ciascuna parola con una lettera di un nome scritto verticalmente ed è divertente usare il gioco con il proprio nome, oltre che un simpatico modo per fare ampliamento lessicale)
  • Abbecedari (elaborare testi vincolati dalla successione alfabetica delle parole che li compongono può essere un modo piacevole di cercare di parlare di sè)
  • Presentazioni poetiche, descrizioni o ritratti collettivi
  • Carte narrative (possono essere costruite dai bambini con dei semplici cartoncini e già la costruzione implica un lavoro di ragionamento e immaginazione narrativa, oltre che induzione al gioco ancor prima di giocare.Nelle carte possono esserci degli argomenti a tema, ad esempio eventi, personaggi, sentimenti, oggetti. Sono un ottimo modo per stimolare ricordi e suggerire idee. Tra le carte narrative interessante è il questionario di Proust, un gioco a cui si era sottoposto il famoso scrittore Marcel Proust a fine Ottocento nel salotto parigino di Madame Arman de Caivallet rispondendo ad un questionario inglese che poneva domande varie attorno alla vita (es. tratto principale del carattere, paese in cui si vorrebbe vivere…).Alcune domande del questionario possono essere utilizzate in classe con i bambini e le risposte risulteranno particolarmente interessanti per scoprire aspetti dell’interiorità di ogni componente del gruppo.

La capacità di narrarsi che si esercita in modo piacevole con la ludobiografia non è costante né scontata. Se non si offrono occasioni, in assenza di giudizio, per consentire di indagare sulla propria interiorità e per parlarne, i ragazzi smetteranno di raccontare di sé o, quando lo faranno, la narrazione diventerà solo formale e poco autentica.

L’abitudine a narrare e ad andare alla ricerca di come funzionano le cose è un’esigenza di tutti e di tutte le età e quanto più una persona avrà svolto ricerca dentro di sé da bambino, tanto più lo farà anche da adulto.

Se nell’infanzia veniamo educati a conservare i ricordi, pur dinanzi a situazioni dolorose, avremo in seguito più probabilità di diventare educatori della memoria a nostra volta.

Duccio Demetrio

Bibliografia

  • Daniela Orbetti – Rossella Safina – Gianfranco Staccioli, Raccontarsi a scuola, Carocci
  • Gianfranco Staccioli, Ludobiografia: raccontare e raccontarsi con il gioco, Carocci

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Foto di copertina by Gautam Arora su Unsplash

Rallentare più che accelerare: propositi di letteratura in laboratorio

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“Respirare un testo”: puntata numero 1 dedicata alla realizzazione di un laboratorio di letteratura in classe.

Come approcciarsi, in Italia, allo studio della letteratura sottoforma di un laboratorio in classe? Illuminanti per me sono state le parole del maestro americano del WRW (Writing and Reading Workshop) Frank Serafini (F. Serafini “Lesson in Comprehension, Heinemann 2004, p. 47):

Quando viene chiesto agli insegnanti di correre sempre di più e coprire sempre più “il programma”, si perde la profondità di pensiero necessaria per costruire il significato di molti testi che incontriamo. Io sto suggerendo di rallentare e prestare attenzione alla varietà di elementi, agli strumenti letterari, e ai possibili significati. Potremmo imparare tanto di più da un libro che abbiamo letto una volta sola. La qualità della letteratura non rivela se stessa in un singolo passo.

Il problema del tempo

Il tempo per moltissimi docenti italiani è un problema. Sembra che non sia mai abbastanza e sembra che tutto debba per forza risolversi in una corsa infinita e spesso frustrante a concludere un programma che oramai da anni non esiste in nessuna normativa. Di questo tuttavia molti docenti non sono affatto convinti e rimangono legati agli indici delle antologie e delle letterature che dettano i “programmi” che spariti da una parte, da un’altra rientrano.

Ma, se si vuole lavorare in laboratorio, col tempo occorre fare pace per avvicinarci invece, come suggerisce Frank Serafini, a guadagni di altri tipo che nomina con precisione:strumenti letterari, lettura profonda, significati possibili.

Lavorare in questo modo è evidente che comporti scelte precise come del resto tutto quello che avviene nelle nostre aule: insegnare è sempre scegliere in qualche modo; scegliere modi di lavorare, di impostare relazioni, di valutare e dunque anche scegliere contenuti al posto di altri. Di nessuna intera letteratura saremmo in grado di leggere in classe tutti i brani e gli autori proposti. E quand’anche fosse,
servirebbe?

E secondo la logica del WRW?

Secondo la logica del WRW, no. No perché il vero apprendimento non consiste nell’accumulare contenuti su altri contenuti, ma forse nel fornire strumenti di pensiero per amare, rielaborare, criticare quei contenuti. Cito Bruno Munari in una intervista del 1993:

Il laboratorio è il luogo dove il tempo va piano e si supera la paura del non saper fare facendo.

Questo è quello che avviene anche di fronte ad un’opera letteraria: si fa. Non solo si ascolta e si ripete. Non solo si studia ( spesso a memoria )ciò che altri ne hanno detto. Si fa, nel senso che si entra con tutti i piedi dentro il testo e si comincia a navigarci dentro.

“Leggere Lolita a Teheran”

C’è un brano del romanzo “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi (A. Nafisi “Leggere Lolita a Teheran”Adelphi Milano 2004) che dice bene quanto sia importante immergersi in un testo e respirarlo per conoscerlo:

Un romanzo non è un’allegoria, dissi verso la fine della lezione. È l’esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. È così che si legge un romanzo: come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo.

Le “lenti differenti”

Facendo laboratorio di letteratura cerchiamo prima di rendere l’esperienza della letteratura vicina, possibile, respirabile dagli studenti. Cerchiamo di far loro esperire i testi ( e di seguito i contesti) senza però ingozzarli di nozioni ma fornendo loro strumenti di indagine e lavoro.

Frank Serafini chiama questi strumenti, con una metafora che è meravigliosa, “lenti differenti” cioè occhiali da indossare per leggere un mondo che ai ragazzi spesso appare distante e a volte vecchio e ammuffito, incomprensibile, utile solo a ottenere il fatidico voto e non ad una conoscenza sincera e motivata.

Scrivono Simone Giusti e Natascia Tonelli nel QdR 12 di Loescher:

La fruizione e il continuo riuso delle opere letterarie sono proficui innanzitutto per la crescita e per una profonda trasformazione delle persone che frequentano la letteratura, aumentando la loro possibilità di fare esperienze significative e, anche, di dare un senso alla loro esperienza.

Dunque se questo è vero, se possiamo a scuola aumentare con la letteratura la possibilità di dare senso ad esperienze vere di apprendimento, dobbiamo munirci di strumenti in parte diversi da quelli usati fino ad ora, le lenti diverse appunto di cui parla Serafini, precisando per altro subito dopo che dette lenti non devono distruggere “la gioia di leggere”.

Quali sono questi strumenti?

Nel tempo e con fatica, sempre sperimentando e poi provando, ne ho messo a punto qualcuno. Non tutti quelli che avevo costruito sono stati poi messi a regime. Alcuni sono stati abbandonati, altri in anni rimessi a posto e riordinati. Ne fornisco solo un primo elenco breve:

  • la mini lezione inchiesta, come teorizzata dalla maestra del WRW Lucy Calkins (L. Calkins, The Art of Teaching Writing, Ontario, Irwin 1994). Essa parte sempre da una grande domanda aperta a cui inizialmente si cerca sempre di dare risposta, partendo dal far emergere il pregresso, ciò che i ragazzi sanno già. Ad esempio “Chi è Alessandro Manzoni?
  • La mappa indagine su un autore, con la riproduzione (importantissima) anche del suo volto, che i ragazzi e le ragazze (a volte in gruppo) devono riempire, trovando in rete i contenuti mappati dentro una scheda. Di solito nel mio caso aggiungo anche tre link per indirizzare inizialmente la ricerca (nel tempo poi si possono eliminare), scelti con difficoltà diverse e crescenti per proporre agli allievi una responsabilizzazione sul loro lavoro di ricerca.
  • Il Reading Response (RR) su cui mi soffermo qui sotto essendo per me uno strumento molto utile, almeno nelle mie classi.
Il Reading Response

Il RR va costruito secondo le caratteristiche dei lettori e dovrebbe avere un chiaro schema organizzativo che renda facile la comprensione. È una sorta di breve saggio guidato in cui ognuno è chiamato a scrivere davvero ciò che pensa dopo l’immersione in un testo, non dopo aver studiato le pagine di un manuale che spiegano cosa di quel testo si dovrebbe pensare o ha pensato qualcun altro.

Il RR a volte davvero produce miracoli perché parte dalla prospettiva inversa della normale lezione di letteratura in classe: non sono io docente a dirti cosa devi pensare e studiare (la famosa frase “oggi spiego…”), ma sei tu studente che nella comunità di lettori in classe con la guida del docente tutor proverai a “impegnarti” con il testo stesso.

Nei testi di studio americani si usa spesso il termine “engagement” che si riferisce anche al “fidanzamento” tra due persone e questo a me è sempre apparso un termine bellissimo e adatto anche alla letteratura.

“Interpretazione inventiva”

Come sostiene Y. Citton (Y. Citton, Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, :duepunti edizioni, Palermo, 2010) l’incontro con un testo letterario abbisogna di una “interpretazione inventiva” che non si limita a ripetere ma aggiunga un proprio sapere al sapere del testo.

Leggere, comprendere e interpretare un’opera letteraria sono tre azioni fondanti del laboratorio, stimolano nello studente una connessione potente con la propria vita, offrono parole nuove a chi non ne ha ancora a sufficienza, aprono prospettive inedite di rapporto tra passato e presente.

Questi sono solo alcuni degli strumenti sperimentati in anni di lavoro. Non è facile e nemmeno scontato. Fare i conti con il tempo è obbligatorio e quindi anche con il numero di autori da leggere e da proporre in classe. Tuttavia ha dato nel tempo i suoi frutti. In articolo seguenti parleremo di come ho organizzato nel tempo questa scelta ( dopo tante indecisioni) e di altri strumenti di lavoro e anche di valutazione.

Trovi qui altre esperienze di laboratorio in classe.

Foto copertina di Aung Soe Min su Unsplash

I libri-tunnel un laboratorio di classe per costruirli e utilizzarli

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Nell’ ultimo incontro, dedicato alla progettazione e alla costruzione di materiali didattici personalizzati, abbiamo riflettuto sui libri-tunnel. 

La caratteristica principale dei libri-tunnel è quella di poter costruire, attraverso i tanti piani di prospettiva del loro meccanismo, una visione prospettica. Questa caratteristica li rende ottimi aiutanti nel restituire, in modo tridimensionale, le caratteristiche di un ambiente studiato in scienze oppure di restitutore in modo grafico, la descrizione di un luogo legato alla storia (ad esempio la descrizione della camera mortuaria di un faraone o la descrizione del foro romano ecc…).

L’attività proposta

L’attività proposta per il laboratorio con gli insegnanti è stata quella di immergerci nell’ambiente marino guardando il fondo del mare dall’oblò della copertina.

Il meccanismo di un libro tunnel si basa in partenza sulla tecnologia del soffietto, di conseguenza per costruirlo potrete farvi tagliare dal vostro cartolaio, un lungo rettangolo di Bristol che poi verrà piegato in quadrati più piccoli come un libro a soffietto. Quello che li differenzia invece è che il libro- tunnel è aperto al suo interno e si vedono vari fogli che possono essere utilizzati per costruire piani di prospettiva.

Il libro-tunnel, così anche come il libro-teatro, può essere utilizzato inoltre come lavoro di verifica su un genere letterario: si potrà chiedere, ad esempio, ai bambini di ricostruire in modo visivo quali sono i personaggi, gli ambienti e gli oggetti, caratteristici di un genere letterario che stiamo studiando o di ricostruire i dettagli di un’ambiente trattato in scienze.

Istruzioni per costruire un libro- tunnel:

Per realizzare un libro tunnel lavoreremo su pagine quadrate perciò taglieremo una striscia di Bristol larga ad esempio 15 cm e lunga un multiplo di questa misura.

Una volta piegata la striscia realizzeremo il disegno del cerchio (che ci servirà da oblò) sulla prima pagina poi, con l’aiuto di un taglierini, realizzeremo il buco.

Bucheremo nello stesso modo gli altri cartoncini che ci serviranno per creare l’ambiente marino e l’oblò. E infine creiamo il nostro fondale disegnando ed incollando piante, animali, e creature dell’ambiente marino.

Ed ecco alcuni lavori realizzati dalle corsiste:

… E dei bambini che hanno sperimentato in classe il laboratorio:

A conclusione di questo percorso e dopo aver ascoltato le considerazioni dei miei corsisti, posso affermare che imparare a costruire materiali didattici personalizzati sia davvero una grande risorsa per l’insegnante che progetta, a seconda della classe che si trova di fronte, quali strumenti utilizzare e poi li costruisce.

Un altro aspetto importante che ho riscontrato è quello del bisogno e del piacere che si prova nel costruire da soli qualcosa; nel mondo degli  adulti spesso la parte creativa dell’insegnamento viene sacrificata per problemi di tempo. Ritengo invece che proprio questa parte sia non solo da incrementare e valorizzare ma soprattutto da inserire nella didattica quotidiana che deve diventare didattica laboratoriale.

Se vuoi realizzare questo corso nella tua scuola o per un gruppo privato di persone, contattami al mio indirizzo mail: angelini.erica@gmail.com.

Non perderti gli altri appuntamenti: leggi gli articoli qui!

Una riflessione sul ruolo dei dirigenti scolastici

in Scuola by

Non è raro imbattersi in commenti negativi o addirittura offensivi ai danni dei dirigenti scolastici. Ma se da un lato soddisfare le esigenze dell’intero corpo insegnante è molto difficile, dall’altro non dobbiamo cadere nella facile generalizzazione.

In passato era già stato affrontato, su OcchioVolante, il tema dei dirigenti scolastici (lo trovate qui). Torno però volentieri sull’argomento, dal momento che sui social non è raro imbattersi in commenti di insegnanti che si scagliano contro i dirigenti scolastici. Ad esempio, recentemente, mi sono imbattuto in questo:

Salvo rarissime eccezioni, i dirigenti scolastici sono dei pazzi esaltati. Il loro ruolo andrebbe ridimensionato di molto.

Bisogna riflettere su questo genere di aggressività che, naturalmente, in qualche caso può anche essere stata generata da inneschi meschini. Questo perché i dirigenti scolastici e le dirigenti scolastiche italiane sono poco più di ottomila e pensare che siano tutti perfettamente adeguati è aspettativa statisticamente piuttosto ingenua.

È utile ricordare che tutti i presidi sono stati insegnanti. Ma è pensabile che siano così tanti quelli criticabili in questo modo?

È difficile che sia così, ma si tratta di un fenomeno che si spiega facilmente. Ogni dirigente scolastico è sottoposto alla critica di un intero collegio dei docenti (oltre che di quello del personale ATA, degli studenti e delle studentesse e delle famiglie). È ovviamente impossibile soddisfare le aspettative (e in qualche caso gli interessi) dell’intero corpo insegnante ed ecco che, se anche una percentuale esigua di questo è in significativo disaccordo con il dirigente scolastico, si manifesta sul campo un confronto pubblico tanto vivace quanto impari sul fronte del numero delle forze retoriche che si affrontano (ad esempio in rete).

Un cinque per cento di docenti in disaccordo con la dirigenza, quale che sia l’origine del disaccordo, produce una proporzione di otto contro uno. Quantitativamente Golia contro Davide.

Esiste poi un fenomeno curioso, specie nel mondo della scuola. Coesiste nell’insegnante una doppia natura. Quella del professionista riflessivo che gode di quella che è nota come “libertà di insegnamento” e quella del dipendente. Parimenti nel dirigente scolastico c’è una doppia natura. Quella del coordinatore didattico impegnato nel dare un’impronta unitaria e omogenea alla scuola e quella del “capo ufficio”.

Non di rado ci sono scontri incrociati tra questi diversi piani. Ci può quindi essere un confronto causato da una diversa vision sulla politica della scuola, nella quale il confronto è sostanzialmente tra il collegio dei docenti e il dirigente scolastico; oppure, ci può essere uno scontro tra un docente inadempiente sul piano dei doveri del dipendente che, tuttavia, quasi inevitabilmente si trasformano in ritorsioni contro il dirigente nel dibattito interno alla scuola.

La tutela della riservatezza

Un esempio classico è quello del docente che ha subìto un procedimento disciplinare, diciamo ad esempio perché “ritardatario cronico”. In collegio, questi sistematicamente gioca un ruolo contrastivo non già per convincimento didattico o tecnico o finanche politico, ma per evidenti motivi di tipo emotivo.

In questo caso si tratta di una umana interferenza tra i diversi aspetti dei reciproci ruoli che tuttavia produce una distorsione. Il dirigente scolastico è tenuto alla tutela della riservatezza e non può svelare questo elemento che, non di rado, è la vera causa delle infinite polemiche fomentate da qualcuno.

Ci sono poi elementi che pongono il dirigente scolastico contro alcune aspettative, anche consolidate, dell’intero collegio, ma che sono legate a norme di legge. Pur esplicitando queste norme, non tutti hanno l’onestà intellettuale di accettare le cose per quelle che sono. L’obiezione più frequente in questi casi è la seguente:


Nella scuola tale, si fa in questo modo.

Per quanto esposto, evidentemente, in quella scuola c’è un dirigente scolastico che si espone alle critiche del proprio direttore generale o che ritiene più utile glissare sulla norma per non affrontare un organo collegiale che evidentemente disistima non ritenendolo abbastanza professionale. Tuttavia, di questa timidezza, potrebbe doverne rispondere in sedi diverse da quella del Collegio dei Docenti.

La differenza di vision

L’elemento più gravoso da gestire del fenomeno, tuttavia, è legato alla differenza di vision che si può manifestare tra il dirigente scolastico e il collegio dei docenti; ma anche il bilanciamento dei poteri, non sempre del tutto chiaro, giacché, formalmente, al dirigente è imputato il ruolo organizzativo, mentre il collegio ha potestà nella progettazione didattica.

La discrezionalità tecnica

Quella che si chiama “discrezionalità tecnica” assegnata al collegio dei docenti dalla vigente normativa, tuttavia dovrebbe muoversi entro il binario della professionalità e quando così non è (ad esempio per risibili motivazioni), non è chiaro ad alcuno quale potrebbe essere il risultato di un diniego ad ottemperare da parte del dirigente giacché oltre alla Legge c’è anche la giurisprudenza e la magistratura che si esprime anche in maniera differenziata.

Ovviamente è una mera illusione che un organismo di più di cento persone possa manifestare una conoscenza completa dei documenti di cui bisogna tenere conto per un parere informato, ma gli organi collegiali sono ancora quelli degli anni settanta giacché il testo unico della scuola, pur essendo del 1994, riporta il testo dei vecchi “decreti delegati” con un copia e incolla.

Il ruolo del collegio dei docenti

Il ruolo del collegio dei docenti, in teoria, sarebbe tecnico, si diceva. Deve infatti decidere di didattica, ma la sua veste plenaria rende di fatto impossibile una discussione di tipo argomentativo in quanto al termine dell’ostensione degli elementi necessari per prendere decisioni informate si può fare spallucce e votare in maniera incoerente con quanto appena enunciato.

Nel mestiere di un dirigente scolastico, molto spesso le decisioni sono obbligate, ma un organismo collegiale fatica a capire che la collegialità non dà il potere assoluto, ma deve restare nell’alveo delle possibilità tecniche del ruolo.

Nascono così, a mero titolo di esempio, proposte di “mozioni contro la guerra” che spesso sono persino condivisibili, ma non nel potere dell’organismo (e dovrebbero essere demandate all’Assemblea Sindacale). Più discutibili sono tutte le limitazioni che il collegio pone ad operatività didattiche, ignorando il diritto all’istruzione.

Una riforma degli organi collegiali

La riforma degli organi collegiali è quindi urgente. Occorre infatti espellere dal sistema di gestione della scuola quella vena di autoindulgenza che, ad esempio, impedisce di deliberare vincoli sulla formazione che, teoricamente, è “strutturale, obbligatoria e permanente”, ma che non lo diventa nel momento in cui chi è investito di stabilire quale e quanta formazione fare, non fa che elaborare delibere generiche perché quelle stringenti non trovano una maggioranza.

Provi il lettore, in quasi cinque lustri di “autonomia scolastica”, una buona prassi che abbia messo una scuola all’attenzione pubblica per quell’innovazione che apre a pratiche diverse (“è consentito tutto ciò che non è vietato”, disse il Ministro Berlinguer alla fine del secolo scorso).

Se il lettore non fosse “uomo o donna di scuola”, la risposta potrebbe mancare per poca frequentazione, ma proviamo a fare questa domanda ad un amico, ad una vicina di casa, ad una qualsiasi conoscenza personale del mondo della scuola. Si otterrà un sorpreso o imbarazzato silenzio.

L’abolizione dei voti numerici

Ne propongo, tuttavia, una io: la sperimentazione di un liceo romano che ha abolito i voti numerici in itinere. Qual è quindi la possibile soluzione? Innanzi tutto occorre riconfigurare il lavoro del Collegio dei Docenti per commissioni deliberanti. In seno a queste si otterrebbero due risultati. Il primo è che nelle medesime convergerebbero le persone tecnicamente competenti su un dato argomento.

Il secondo è che in quel tavolo il livello argomentativo risulterebbe più pregnante, giacché sarebbe impossibile nascondersi nell’anonimato di un voto collettivo che, in quel contesto, diventerebbe palese. Il fatto che dette commissioni debbano essere deliberanti è conseguenza legata all’esperienza di questi lustri di autonomia non praticata.

Già oggi il Collegio dei Docenti lavora per commissioni, ma tutte le volte, prima della plenaria, si domanda: “Ma questo passa in Collegio?” e, naturalmente, si configura in funzione di aspettative pragmatiche che non possono che essere al ribasso.

Paradossalmente, la vera riforma non può che consistere nel rendere il ruolo tecnico del collegio dei docenti di tipo consultivo, passando il ruolo deliberante al consiglio di istituto, trasformato in consiglio di amministrazione allargato ai portatori di interesse delle scuole, cosa assolutamente urgente nell’ambito degli istituti tecnici.

Dico “paradossalmente” perché un Collegio dei Docenti che fornisca pareri tecnici seri, deve essere in grado di motivarli e questi diventerebbero più pregnanti e impossibili da aggirare se le argomentazioni fossero ineccepibili, cosa che sarebbe nel caso di parere consultivo (altrimenti non avrebbe senso fornirle).

È esattamente quel che succede a livello nazionale nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che esprime pareri obbligatori (c’è giurisprudenza sul tema), ma che possono essere accolti o no dal Ministro di turno. Evidentemente, laddove non fossero accolti, sarà necessario argomentare la loro confutazione o fornire spiegazioni del caso che, nel caso delle scuole di oggi, potrebbero essere espresse dal dirigente scolastico o dal consiglio di istituto.

Foto di copertina LinkedIn Sales Solutions su Unsplash

Come costruire il libro-teatro per raccontare e raccontarsi!

in Attività di classe by
La costruzione del libro-teatro è rientrato nella TOP 10 degli articoli più letti: un ottimo strumento da usare in classe per raccontare e raccontarsi. Scopriamo insieme come costruirlo in modo personalizzato.

Il libro-teatro è uno strumento facile da realizzare e ottimo da utilizzare in classe per raccontare e raccontarsi. Vediamo come costruirlo in modo personalizzato!

Ho imparato da tempo che insegnare agli altri mi serve per riflettere sul mio lavoro, su cosa insegno e su come lo faccio; è per questo che quando alcune maestre (con le quali avevo lavorato durante le sessioni di scuola estiva) mi hanno chiesto di condividere con loro i “trucchi del mio lavoro”, insegnandogli a costruire alcuni dei materiali didattici che utilizzo per i laboratori di Mani in Gioco, sono stata davvero molto felice!

L’obbiettivo primario, che mi sono data preparando questo corso di formazione, è stato quello di insegnare ad utilizzare strumenti e tecniche per progettare e costruire materiali didattici da utilizzare in classe.

Normalmente succede che maestre e maestri adattino le attività agli strumenti che hanno a disposizione ma imparando a progettare e costruire da soli ciò di cui hanno bisogno, potranno senz’altro preparare attività più adatte alla classe che hanno di fronte, pensando esattamente a quella classe formata da quei bambini, anziché ad una classe generica.

Ho individuato quindi 4 diverse tipologie di libri che possono essere costruiti utilizzando materiali facilmente reperibili e poco costosi, per alcune di queste 4 ho individuato modelli diversi perciò, infine, i libri costruiti sono diventati 6.

Le 4 tipologie sono:

1. Libri – Teatro, da costruire per poter raccontare  e raccontarsi.

2. Libri a soffietto, lunghi e pieghevoli per costruire e visualizzare la “successione del tempo”  o l’andamento di una storia.

3. Libro con le tasche e libro erbario per documentare le scoperte scientifiche .

4. Libri- tunnel, profondi, per imparare a guardare in profondità per costruire diorami o rappresentare in modo visivo il contenuto di testi.

IL corso si è svolto interamente in modalità on- line perciò ho provveduto a preparare i kit per ogni partecipante.

Libro- teatro per raccontare e raccontarsi.

Il primo libro di cui abbiamo parlato è stato il libro -teatro che riprende il meccanismo del “Carousel”: aprendo le pagine, si mostrano al lettore, diversi piani di prospettiva nei quali si possono disegnare scenografie, paesaggi e personaggi.

Utilizzo da molto tempo questa tecnologia per costruire grandi libri- teatro, da usare soprattutto nei laboratori in cui la narrazione ha un ruolo importante; raccontare una fiaba nel libro- teatro vuol dire far vedere “ fisicamente” e in 3 dimensioni, i luoghi e i personaggi di cui si parla ed entrare un po’ di più nella storia, immedesimandosi con i personaggi e le loro avventure.

Nel laboratorio “Libri strani per raccontare”, che fa parte del percorso sugli antichi mestieri, parto sempre raccontando una o due fiabe classiche nel libro- teatro poi, utilizzando un cartamodello di mia creazione, chiedo ai bambini  di costruire la loro personale storia, prendendo spunto dalle fiabe lette nel librone oppure inventandone una propria; questa consegna, data dopo le letture, permette ai bambini di metterci davvero qualcosa di loro nelle storie che raccontano e quindi di “Raccontarsi” attraverso lo strumento del libro teatro.

Alla fine del laboratorio ogni bimbo è invitato a raccontare davanti agli altri, la sua storia proprio come ho fatto io all’inizio.

Le insegnanti che hanno partecipato alla formazione, hanno costruito con me un modello in miniatura del libro-teatro utilizzando il kit “numero 1” ed imparando alcune utili strategie di cartonaggio.

Ecco alcuni dei loro lavori!

Questo è il primo dei 5 incontri del percorso dedicato alla costruzione di materiali didattici personalizzati, di seguito trovi gli altri appuntamenti:

L’importanza del teatro per le giovani generazioni

in Approcci Educativi/Arte, Musica e Spettacolo/Zigzag in rete by
teatro e giovani generazioni

Nella TOP 10 degli articoli più letti, abbiamo un articolo sul teatro. Un’esperienza che scaturisce emozioni formative e stimolanti per la mente delle giovani generazioni

Fare teatro è un’esperienza che coinvolge, fa riflettere, emoziona, avvicina agli altri; che siano le emozioni dei compagni sul palco, o l’empatico sentire del pubblico in ascolto. Questa è l’importanza di fare teatro, soprattutto per le giovani generazioni, e di questo ne avevamo già parlato qui.

Non è da meno, dunque, il “vedere teatro” che, nel caso in cui abbia come pubblico quello dei bambini, delle scuole e delle famiglie, con linguaggi e metodologie proprie dell’infanzia e dell’adolescenza, prende il nome di Teatro ragazzi.

Un po’ di storia

Mentre il teatro di figura e il teatrodanza si autodefiniscono in base agli elementi linguistici utilizzati, e il teatro sperimentale o di avanguardia lo fanno in base alla metodologia, il teatro ragazzi si autodefinisce in base al pubblico.

Nato inizialmente in Europa come fenomeno teatrale, il teatro ragazzi rappresenta, soprattutto in Italia, un vero e proprio genere teatrale, comprendente diversi tipi di spettacoli ed espressioni artistiche: il teatro d’animazione, il teatro dei burattini, il teatrodanza.

Il teatro ragazzi contemporaneo nasce in Italia alla fine degli anni sessanta come vero e proprio movimento, proprio in rapporto ai cambiamenti culturali dell’epoca, i quali portano ad un nuovo modo di concepire la scuola e il teatro, fondendo il teatro ragazzi con il teatro ‘per ragazzi’ e, attraverso il lavoro di alcuni operatori, esce dalla scuola e diventa autonomo, adottando stilemi propri, con un linguaggio al servizio dell’immaginario del bambino.

Perché è importante?

Dalle semplici fiabe – comunque portatrici di determinati valori – a spettacoli che mettono al centro temi civili forti, in grado di aiutare a comprendere meglio il presente e dunque a dare un senso al mondo: quella teatrale è un’arte che stimola sia la fantasia che il pensiero critico, aprendo alla diversità, sviluppando empatia.

Diffondendo la bellezza, l’arte e la cultura, il teatro è un veicolo sociale potentissimo, portatore di messaggi positivi.

Il teatro ragazzi ha dunque una grande utilità formativa, offrendo strumenti utili a capire e a dare un senso al proprio io e alla comunità: la scrittura, il movimento, il suono, l’immagine… tutto si fa veicolo di un sapere che attraverso la voce/il gesto dell’attore passa allo spettatore.

Pubblico di adulti e di ragazzi: quali le differenze?

Più estraneo alle forti emozioni, il bambino accoglie con entusiasmo ciò che gli viene mostrato, e più di un adulto si lascia andare alle esternazioni delle proprie emozioni: il riso, la paura, la commozione… tutto ciò che come pubblico il bambino riceve, lo restituisce a sua volta, raddoppiandone la potenza!

Teatro ragazzi: dove andare a vederlo?

Molte in Italia sono le compagnie specializzate nel Teatro ragazzi; ecco di seguito un elenco di alcune di queste, dove poter trovare il programma della stagione dedicata al pubblico delle giovani generazioni:

TEATRO DEL BURATTO MILANO
TEATRO DELLA TOSSE GENOVA
TIB TEATRO BELLUNO
TEATRINO DEI FONDI SAN MINIATO (PISA)
VENTI LUCENTI FIRENZE
KANTERSTRASSE TERRANUOVA B.NI (AREZZO)
FONTEMAGGIORE PERUGIA
TEATRI DI BARI
TEATRO LIBERO PALERMO

Foto di copertina by Barry Weatherall on Unsplash

Stella lo spin-off di Dixit perfetto da giocare in famiglia

in Approcci Educativi/Attività di classe by
In vista dell’epifania ecco un gioco da tavolo divertente da fare in famiglia: Stella, lo spin-off di Dixit

Tra gli articoli più letti, che rientrano nella nostra TOP 10 troviamo quello dedicato a Stella, un gioco divertente da fare in famiglia durante queste feste.

Dixit ha avuto così tanto successo che ne sono state fatte 10 espansioni (ulteriori mazzi di 84 carte, la cui realizzazione è stata contesa da illustratori di tutto il mondo) per rendere il gioco sempre diverso e sempre nuovo.

Mancava qualcosa però: un gioco altrettanto bello che si potesse fare utilizzando una logica simile a quella di Dixit (di questo gioco ne avevamo parlato qui.

E questo novembre 2021 ce l’ha portato, quasi in anticipo per un bellissimo regalo di Natale da giocare con gli amici e in famiglia.

Stella, questo il nome del gioco, ci apre nuove prospettive e soprattutto è una sorta di conseguenza di Dixit con la possibilità straordinariamente intelligente, di poter essere giocato con le carte di Dixit che già possediamo, oltre al nuovo mazzo presente nella nuova scatola. Il retro delle carte e il formato sono esattamente gli stessi!

Stella mette in gioco qualcosa che già conosciamo di Dixit con qualcosa che invece ancora Dixit non presentava.

Ma andiamo con ordine. Sistemiamo in una griglia 5 x 3, 15 carte Dixit visibili a tutti i giocatori. Ogni giocatore ha in mano una plancia/tabella che riproduce gli spazi della griglia stessa. Su questa tabella si agisce con un pennarello cancellabile.


Viene sorteggiata una parola, da un mazzo molto corposo di possibilità: COMPLEANNO, AUTUNNO, SINCERITA’, etc.


Tutti i giocatori, a questo punto, segretamente tracciano tante croci sulla propria tabella quante carte della griglia ritengono che possano andare d’accordo con la parola sorteggiata, fino ad un massimo di dieci carte (croci).

Quando tutti hanno compiuto questa azione, a partire dal primo “Esploratore delle stelle”, ogni giocatore a turno chiama una carta.

Se qualcuno ha scelto la stessa carta scocca la scintilla e si segnano punti; se soltanto uno fra gli altri giocatori ha scelto la stessa vostra carta scocca la super-scintilla (!) e si segnano più punti di prima.

Attenzione però… se nessuno ha scelto vostra carta… ahimè… cadete! … e non riuscirete a guadagnare più alcun punto ulteriore, per quel turno.
Stella mette quindi in campo le stesse capacità di astrazione e di collegamento fra parola e immagine che possa evocarla, che trovavamo in Dixit, ma introduce anche un elemento importante: quali sono le carte, le immagini che tutti o quasi tutti hanno scelto? Qual è la scelta più comune?

Nel chiamare le nostre carte, quelle che abbiamo segnato sulla tabella, dobbiamo fare molta attenzione a questo aspetto, perché se partiamo con quelle più “originali” il rischio è non trovare compagni di strada per far scoccare le “scintille” e quindi… cadere!

Entra sicuramente in gioco anche la conoscenza delle altre persone, un modo nuovo di intendere immagini e parole, che amplia e rende molto interessante la dinamica di gioco.

Chi credeva che DIXIT fosse un gioco assoluto, dovrà parzialmente ricredersi, perché con STELLA si riesce ad avere un altro tipo di esperienza di gioco, non migliore, ma diversa e altrettanto stimolante.

Ed è sicuramente un gioco e un’esperienza da proporre a scuola, già a partire dalla primaria, magari con l’ausilio della LIM che proietti a tutta la classe le quindici carte da osservare e da legare alla parola data.

Rispetto a DIXIT, nel quale i bambini più piccoli (prima, seconda e terza classe) potrebbero essere in difficoltà nel trovare ed articolare “la parola giusta”, STELLA risulta più accessibile perché è un semplice “lavoro” di scelta, di “accoppiamento” di una parola chiave conosciuta da tutti con le immagini che si ritengono adatte.

Ed è impagabile vedere i volti radiosi dei giocatori quando fra due persone scocca una super-scintilla: il senso è … lo sapevo che c’era una persona che la pensava come me!.. ed essendo solo una, avendo rischiato di “cadere” è ancora più bello guardarsi negli occhi ed esultare!
Non vi fate sfuggire STELLA: le scintille vi attendono!

Parlare di diritti dei bambini con l’aiuto dei libri: ecco una bibliografia che può essere d’aiuto!

in Letture in classe by
Come parlare di diritti ai bambini? E come affrontare, con delicatezza temi densi come la violenza domestica o i soprusi? In questo, alcuni titoli ci possono venire in aiuto: scopriamoli insieme!

Nella TOP 10 degli articoli più letti ne abbiamo uno dedicato ad una ricorrenza importante: la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Si festeggia il 20 novembre la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, data che ricorda il giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò, nel 1989, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Per quanto sia stata indetta più di 30 anni fa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sono fin troppi bambini che ancora oggi non vedono riconosciuti i diritti fondamentali, sintetizzati nella Convenzione Onu del 1989.

Costituzione e diritti

Il libro della Costituzione, edizioni Sonda
Le meravigliose tavole di Emanuele Luzzati e i testi poetici di Roberto Piumini nella guida alla Costituzione più completa pensata per i ragazzi. Il testo della nostra Costituzione viene proposto in dodici lingue – albanese, arabo, cinese, ebraico, francese, inglese, portoghese, rumeno, russo, spagnolo, tedesco e italiano – con il commento del costituzionalista Valerio Onida.

Alice nei paesi dei diritti, edizioni Sonda
Una proposta educativa e un regalo intelligente per intraprendere un viaggio in compagnia di ALICE che esce dal Paese delle Meraviglie per addentrarsi in quello dei Diritti. Mario Lodi ha riscritto con i bambini una versione più semplice della Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU. Daniele Novara con i suoi preziosi approfondimenti educativi e le attività didattiche ci guida a esplorare l’universo dei diritti e dei doveri. Pia Valentinis grazie al tratto sognante della sua matita arricchisce questo percorso di scoperta.

La Costituzione in tasca, Sinnos editore
La Costituzione in Tasca nasce dal progetto “BILL – la biblioteca della legalità” – nato perché i libri, con le loro parole e le loro figure, accompagnino bambini e bambine, ragazzi e ragazze nella loro crescita di cittadini consapevoli, con mente e cuore aperti, perché possano affrontare la vita capaci di impegnarsi, desiderare, confrontarsi.

Diritti al cuore, Le Rane Interlinea
Antonio Ferrara introduce al tema dei diritti dei bambini con un libro illustrato. Ogni capitolo è dedicato a uno degli articoli della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia.

Il cammino dei diritti, Fatatrac
Un albo dal formato speciale per un progetto nato in collaborazione con Amnesty International. Venti tappe, ognuna dedicata a un avvenimento che ha rappresentato un passo avanti nel cammino dei diritti umani. Ogni apertura si presenta con un’illustrazione di Andrea Rivola, una poesia di Janna Carioli accompagnata da una didascalia. Premio Emanuele Luzzati il Gigante delle Langhe 2015; selezionato nella bibliografia White Ravens 2015

Nina e i diritti delle donne, Sinnos editore
Il racconto di come è cresciuta l’Italia attraverso l’evoluzione delle donne e della società intera: per mostrare che niente si può dare per scontato e che tanti diritti, che oggi sembrano ovvi, sono in realtà frutto di grandi battaglie. Di Cecilia D’Elia, illustrazioni di rachele Lo Piano. Premio Elsa Morante Junior 2012.

La Costituzione, che storia!, edizioni Paoline
Una storia originale e avvincente per raccontare ai ragazzi come sia nata e la sua importanza.

Protagonista di questo piccolo romanzo è Enrico, un ragazzino che, finita la quinta, durante le vacanze aiuta, come lustrascarpe, il padre, barbiere a Montecitorio.

Qui ascolta i discorsi degli onorevoli che fanno parte dell’Assemblea Costituente e in particolare parla con Aldo Moro, che gli spiega vari punti della Carta Costituzionale. La storia, scritta da David Conati ed Elisa Cordioli, è arricchita dalle strisce fumettistiche di Angela Allegretti.

Violenze e abusi in famiglia e di genere

Mimì Fiore di cactus, Librì Progetti Educativi
di Marie-France Botte e Pascal Lemaître, cerca di rispondere con delicatezza alla domanda “come si insegna ai bambini a difendersi dagli abusi?”.

Ce lo raccontano Mimì e il suo porcospino: perché un bambino informato ha più strumenti per difendersi, e come dicono sempre loro: “chi mi stuzzica si pizzica!”.

Luna Park, Camelozampa
di Livia Rocchi, con le illustrazioni di Giovanni Nori. In un diario segreto, la voce di un bambino racconta ogni sera la comparsa di un luna park. Le sue giostre sono la metafora della violenza domestica: la tensione crescente, i picchi di urla, le discese nel silenzio. Per Benny, di giorno, a scuola, la vita sembra scorrere normalmente. Basterà l’amicizia di Stella a farlo uscire dal Tunnel degli Orrori?

A casa tutto bene, Einaudi Ragazzi
Anche Antonio Ferrara parla di violenza domestica raccontando di Lisa e suo fratello Paolo, che vivono con la madre e con un padre manesco.

Lisa cerca una vita normale, affetti normali, persone di cui possa fidarsi, soprattutto quando in famiglia la situazione precipita.

Chiamarlo amore non si può, Matilda editrice
23 scrittrici raccontano ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne.

I messaggi proposti dai media spesso denigrano il corpo e il ruolo delle ragazze e così facendo offendono e confondono anche i ragazzi. E tutto diventa più difficile se ai modelli dei media si sovrappongono quelli familiari, poi quelli educativi e ancora quelli delle diverse culture che vanno mescolandosi nella nostra società sempre più multiculturale ma ancora non interculturale.

Se la tua colpa è di essere bella , Feltrinelli editore
Giuliana Facchini in questo romanzo affronta il tema della violenza sulla donna. Una storia di formazione raccontata dal punto di vista di un adolescente. Una scrittura fluida, leggera, che traduce con realismo le ingenuità e le insicurezze delle prime importanti esperienze nella vita di un ragazzo.

Mia, Settenove
di Antonio Ferrara, illustrato da Chiara Carrer. L’autore ha chiesto a ragazze e ragazzi di pensarsi vittima di una qualsiasi forma di prevaricazione, e di descrivere lo stato d’animo di quella condizione a partire da quanto immaginato, osservato o realmente vissuto. Da lì nasce questo diario in cui il protagonista racconta i ricordi e le ossessioni di una storia di controllo e possesso mascherata da amore romantico.

Speak. Il graphic novel, Il Castoro
Vincitore del PRITZ HONOR BOOK. Finalista al NATIONAL BOOK AWARD. Finalista all’EDGAR ALLAN POE AWARD. “Parla. Siamo qui per ascoltarti.” Melinda sa che questa è una delle tante bugie che ti raccontano al liceo. Perché nessuno vuole ascoltare quello che hai da dire.

Soprattutto se non riesci a esprimerlo, se fai fatica a trovare le parole. Eppure Melinda troverà la forza per affrontare una violenza inconfessabile, subita nell’estate dei suoi tredici anni e finalmente avrà il coraggio di parlare.

Foto di copertina by Larm Rmah on Unsplash


Il Museo di “me stesso”: l’attività per imparare a conoscersi meglio

in Attività di classe by
museo di me stesso
Continuando la scoperta della TOP 10 degli articoli più letti, abbiamo una bellissima attività dedicata alla conoscenza di se stessi: Il Museo di me stesso

5 giornate di lavoro, 5 tematiche affrontate, 5 albi illustrati, un bellissimo gruppo di bambini variegati in età e carattere, 5 articoli che spiegano gli obiettivi del progetto e il dettaglio delle attività svolte. Cominciamo con il Museo di me stesso!

Giorno 1. Il Museo di “me stesso”

Gli oggetti raccolti nel museo non sono disposti in modo casuale ma vengono scelti accuratamente fra tanti per raccontare storie.

Come quando scegliamo le parole giuste per dire qualcosa, così è importante scegliere bene la disposizione degli oggetti nel museo e ci sono degli esperti che sanno metterli in ordine in modo che raccontino la storia giusta!

Ad esempio potrebbero documentare l’evoluzione artistica di un pittore, o parlare di un ritrovamento archeologico…

Il primo giorno ho pensato di dedicarlo alla conoscenza degli altri, ma anche di noi.

La lettura dell’albo illustrato “La collezione di Joey”, di C. Fleming e G. DuBois, ci ha aiutato ad entrare nel tema.

Joey è infatti un bambino curioso che raccoglie e colleziona oggetti trovati per caso. La sua collezione cresce negli anni fino a quando Joey decide di metterci mano assemblando fra loro i suoi tesori e creando delle vere e proprie opere d’arte.

Gli oggetti di cui ci circondiamo parlano di noi, dei nostri desideri e delle passioni

Così come gli oggetti raccolti da Joey, ad un certo punto, non sono più solo “oggetti” ma si trasformano nel messaggio che il bambino vuole condividere con chi gli sta attorno.

Prendendo spunto da questa lettura, ho chiesto ai bambini di raccontare di sé partendo da un oggetto  che amavano usare o che li rappresentava.

I bambini non si conoscevano tutti fra loro e l’espediente dell’oggetto può aiutare a parlare di sé senza farsi prendere dalla timidezza.

Qualcuno ha così raccontato del proprio animale domestico e della passione che ha per lui. Qualcuno dei videogiochi che gli tengono compagnia e lo fanno divertire, qualcuno delle matite colorate e della passione per il disegno.

Inizia l’attività…

A questo punto ho dato, ad ogni bambino, un foglio A4 in cartoncino leggero stampato con tante immagini di cornici in bianco e nero e ho chiesto loro di creare, partendo dall’oggetto con cui si sono presentati, un “Museo di Me stesso” disegnando l’oggetto scelto per primo e poi altri. 

Le cornici riempite con gli oggetti disegnati sono state poi ritagliate e incollate su un altro foglio che è diventato appunto il “museo di me stesso”, un’esposizione di opere che raccontassero di me.

Questo è il primo dei 5 incontri del percorso intitolato il “museo va a scuola”, di seguito trovi gli altri appuntamenti:

Un’attività divertente per scoprire e condividere in classe i gusti di tutti!

in Attività di classe by
Una divertente attività da fare in classe per scoprire, condividere e discutere i nostri gusti in fatto di cibo!

Proseguiamo con la TOP 10 dei nostri articoli più letti con un’attività divertente da fare in classe, in grado di rendere i cibi dei veri e propri protagonisti.

Parliamo di 4 campioni, capaci di superare il tempo e lo spazio sbaragliando i più grintosi avversari!

Una storia che si guarda e… si assaggia, perché i campioni in questione non sono i personaggi che vedete nei disegni, bensì i cibi protagonisti degli scatti fotografici!

Cuturusciu, zuccarina, grika, pappaiottula: sono i nomi di un tarallo, una patata, un’insalata e un mix di così tante cose che non c’è un’altra parola adatta a nominarlo!

Il cibo è un innesco straordinario per le storie

Ci offre l’occasione di recuperare esperienze che parlano del nostro passato, delle tradizioni, ma anche dei tempi che cambiano.

Ci permette di condividere e discutere i nostri gusti, ci offre un catalogo visivo di forme e colori di cui gli occhi non possono che essere golosi. 

L’esercizio foto-illustrato che vi propongo questa volta è dedicato ai campioni del gusto, ovvero proprio quei cibi o ingredienti tipici di una certa regione, località, città.

Campioni perché da anni, a volte persino da secoli, fanno parte della storia gastronomica delle loro comunità.

Campioni anche perché li metteremo al centro di nuove specialissime prestazioni, proprio come ho fatto io con i miei protagonisti (Cuturusciu, zuccarina, grika, pappaiottula… a ripeterli in fretta sembra quasi una formula magica!) che vengono dalla bella Puglia.

Quando mi è stato chiesto di trasformare queste 4 pietanze (al centro di un progetto di divulgazione culturale che mette in rete diverse pro-loco, una chef e tanti altri ingredienti e che potete recuperare qui: Borghi in cucina), ho subito pensato che, per quanto fossero diversissime, avevano tutte compiuto la medesima missione: resistere accanto ai piatti sfiziosi e aggiornati della cucina contemporanea, dimostrando di essere ancora i piatti migliori, portandosi dietro forse anche tanti ricordi e battendo non pochi record di resistenza. 

Naturalmente servivano dei personaggi per mettere in scena questi record e, per decidere in quali sport o attività si sarebbero cimentati, per prima cosa mi sono procurata le foto dei cibi su fondo bianco.

Scegliete i cibi o gli ingredienti campioni della vostra terra: sarà la prima cosa che farete anche voi.

Sicuramente in famiglia e a scuola troverete dei validi aiuti e, se siete fortunati, vi guadagnerete anche qualche assaggio.

Se svolgete questa attività in classe

Potrete dedicare un’intera giornata per allestire una fiera del gusto, portare cibi e ingredienti a scuola e posizionarli su un grande foglio bianco sul pavimento per poterli fotografare dall’alto uno per uno.

Oppure potreste fare una ricerca (su internet, sulle riviste di cucina) e selezionare le foto dei cibi da ritagliare e incollare su uno sfondo neutro che vi lasci spazio per disegnarci attorno.

Non importa trovarne tanti, sono sicura che anche dalla stessa foto può venir fuori più di un’idea (lo abbiamo visto insieme anche in altre occasioni, vi ricordate?).

Prima di disegnare

Ancora una volta vi chiedo di guardare attentamente le cose fotografate e concentrarvi sulla forma che hanno. Per esempio, la mia insalata grika sembrava proprio una montagna.

Ecco perché il suo record è stato quello di perfetta insalata in salita, un percorso dove ogni passo ha un sapore diverso (avete visto, no, quanti colori e ingredienti?) e la vetta si raggiunge solo se si è una buona forchetta!

I vostri cibi campioni diventeranno i protagonisti di nuove storie

Più conoscerete come sono fatti (e che sapore hanno) e più sarà divertente anche scriverle! Pensate agli assoli che si possono suonare con la patata zuccarina. Questa patata ha un cuore dal colore caldo e dal sapore dolce e sicuramente, nonostante la scorza dura, saprà coccolare chiunque ascolti la sua musica. Con il cuturusciu, ovvero il tarallo, è stato facile vedere subito due ruote veloci ma scegliere se fossero quelle di una bici, di un’auto o di un carrello della spesa ha richiesto un altro po’ di sforzo.

La pappaiottula, infine, ovvero il mix misterioso, era così denso di cose che l’unica scelta sensata era buttarcisi a capofitto, in apnea, come in una grande piscina. Perché nelle storie si fa così: ci si butta e non guasta farlo con un po’ di appetito!

Un’attività divertente da fare in classe con la galalite!

in Attività di classe by

Sapevate che dal latte è possibile ricavare una plastica modellabile che può essere realizzata anche in classe? Scopriamo insieme un bell’esperimento rapido e divertente!

Nella TOP TEN degli articoli più letti nel 2022, troviamo un interessante esperimento da proporre in classe con la galalite. Di cosa si tratta?

Antesignana della plastica, la galalite (dal greco gala=latte e lithos=pietra) è una materia dura, fabbricata a partire dal latte che non va a colpire gli animali o l’ambiente e per questo ci piace molto.

Di seguito vediamo come realizzarla in classe!

A chi si rivolge l’attività

L’attività è particolarmente adatta ad una classe prima di scuola secondaria di primo grado!

Temi affrontati

  • La materia
  • Il calore e la temperatura
  • Le basi della chimica

Finalità dell’attività

  • Distinguere un fenomeno fisico – che non altera la materia – da un fenomeno chimico, che al contrario comporta una trasformazione della materia
  • Conoscere i passaggi di stato (solido | liquido | gassoso | plasmatico)
  • Comprendere l’azione del calore sugli stati di aggregazione della materia
  • Saper eseguire una reazione chimica
  • Pianificare le diverse fasi per la realizzazione di un oggetto, impiegando materiali di uso quotidiano

Di cosa abbiamo bisogno?

  • latte scremato (un bicchiere)
  • aceto bianco (3 cucchiai)
  • colino
  • recipiente
  • 1 forchetta
  • stampi per biscotti
  • Carta da cucina

Tempi

  • Realizzazione: 30 minuti ca.
  • Attesa: 4-5 giorni ca.

E ora… mani in pasta!

  1. Scaldare il latte, spegnendo pochi secondi prima di raggiungere l’ebollizione
  2. Aggiungere l’aceto e mescolare. Mescolando costantemente, osservare che il liquido tende a separarsi. In questo modo si formerà la cosiddetta “cagliata”, una sostanza bianca e gommosa
  3. Procedere a separare la parte liquida (cioè il siero del latte, che non ci serve) da quella solida, utilizzando il colino e il recipiente, e schiacciando bene con una forchetta, per scolare bene il composto
  4. Asciugare il composto ottenuto con della carta da cucina
  5. Inserire il composto ottenuto all’interno dello stampo per biscotti
  6. Rimuovere il composto dallo stampo, con delicatezza
  7. Aspettare 4-5 giorni, o almeno fino a che la formina ottenuta non si è indurita: è possibile velocizzare l’attesa sistemandola sopra un radiatore acceso  
  8. Terminata l’attesa, il manufatto è pronto: con un tocco di pittura acrilica è possibile decorarlo e personalizzarlo

Osservazioni

  • Per far rapprendere (“cagliare”) il latte, si usa solitamente un caglio composto da enzimi di origine animale, vegetale o microbica; noi abbiamo utilizzato l’aceto! Nell’esatto momento in cui lo abbiamo aggiunto al latte, questo ha coagulato, formando immediatamente tanti piccoli pezzi di caseina, simili a neve!
  • Passati 4-5 giorni, una volta che il composto è diventato duro, rimane però oleoso, tanto da essere necessario strofinarlo con carta da cucina. 

Conclusioni: cosa abbiamo imparato?

  • Se desideriamo ricavare dal latte una materia plastica, dobbiamo mescolare insieme latte e aceto bianco; attraverso il calore, questi due semplici ingredienti danno vita ad un vero e proprio effetto chimico.
  • Mescolato al latte caldo, l’aceto ha fatto immediatamente separare le proteine dalla parte liquida del latte, proprio come avviene per creare il formaggio.
  • Il composto che ne deriva è morbido e modellabile: una volta che il liquido residuo è evaporato, le sue dimensioni sono rimpicciolite, e la sua consistenza è molto dura e simile alla plastica.

Immagine di copertina di whitehoune su Unsplash

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