arte

517 result(s) found.

La TOP TEN 2022 dei nostri articoli: si parte da un’attività in classe sull’ascolto!

in Attività di classe by

Un’attività musicale da fare in classe sull’ascolto dell’Antro del Re della Montagna, di Edvard Grieg, è nella nostra TOP TEN degli articoli 2022 più letti. Riscopriamola insieme!

Negli ultimi giorni di questo 2022 non potevamo certo esimerci dallo stilare una bella TOP 10 dei nostri articoli più letti e ripercorrerli uno ad uno, partendo da quello che presenta un’attività dedicata all’ascolto in classe!

Per i bambini e le bambine la musica è indissolubilmente legata all’ambito del fare: durante l’ascolto, quasi sempre cantano, si muovono, disegnano, giocano…;  naturalmente, tutto questo se la musica  non deve assolvere a  una funzione tranquillizzante in cui le azioni vengono sospese e le note accompagnano dolcemente il sonno.

L’ascolto della musica per i bambini e le bambine, è un’esperienza  globale che non coinvolge solo la funzione estetica, ma che opera sul piano affettivo, motorio, ludico, immaginativo e narrativo.

Molti pedagogisti  del settore hanno indagato la pratica interdisciplinare per impostare la didattica dell’ascolto,  avendo compreso che senza il fare, ascoltare musica resta un’esperienza superficiale, frammentaria, poco coinvolgente.

Quali obiettivi specifici per l’area musicale possiamo raggiungere nel presentare brani per l’ascolto nella scuola primaria?

  • La conoscenza del brano: (intesa come capacità di memorizzarlo e ritrovarlo in altri ambiti).
  • Il riconoscimento di parametri del suono: timbro, durata, altezza dei suoni, intensità.
  • Il riconoscimento di criteri di aggregazione del suono:   melodia, armonia, ritmica, orchestrazione, fraseggio, dinamica, agogica, struttura,  ecc…

Il problema del repertorio

I bambini ascoltano prevalentemente musiche proposte dai media, a meno che non abbiano in famiglia stimoli di tipo differente. I jingle pubblicitari, le sigle dei cartoni animati, le canzoni dei film, le canzonette,  si imprimono con facilità nella memoria e diventano in poco tempo i protagonisti del  loro vissuto musicale.

Per una maestra può essere vincente proporre questo tipo di brani,  in quanto i bambini  li riconoscono e  li accolgono con gioia. Ma  perché non allargare il repertorio e proporre altro?

La musica classica fa parte di un patrimonio culturale che non può essere trascurato e che, se avvicinata in tenera età, può gradualmente diventare un buon cibo per la mente.

Naturalmente non tutta la musica colta si adatta a questo scopo: alcuni brani possono essere più avvincenti e più funzionali di altri.

Nell’antro del Re della Montagna

Questo breve brano di Edvard Grieg (1843-1907) è interessante per aspetti che  riguardano  la struttura, la ritmica, l’agogica, cioè le variazioni di velocità, e la dinamica,  cioè le variazioni di volume. L’ascolto  verrà proposto attraverso il movimento per cui è necessario poter avere a disposizione uno spazio ampio (classe vuota, atrio, palestra…).

Struttura: nel brano è presente un unico tema che si ripete più volte. Lo proponiamo qui in versione semplificata:

Ritmica: il ritmo è costituito  da un pattern ripetuto più volte.

Agogica: la velocità  aumenta progressivamente.

Dinamica: il volume del suono aumenta nel corso del brano anche attraverso l’inserimento nell’ organico orchestrale di nuove sezioni timbriche.

Siamo piccoli gnomi

Offriamo ai bambini una suggestione narrativa: siamo piccoli gnomi  e ci troviamo in una grotta scavata all’interno di una montagna.

Per  riconoscere il tempo: diamo come regola quella di camminare segnando  il passo a tempo di musica.

Per riconoscere il tema: chiediamo a ogni bambino di camminare e di invertire la direzione di marcia ogni volta che ricomincia il tema musicale: ogni bambino, quindi, deve inventare  il suo percorso camminando in avanti, in diagonale, indietro: l’importante è che mantenga la stessa direzione per la durata del tema, per poi cambiarla quando percepisce l’inizio del tema che si ripete.

Dinamica e agogica: dato che volume e velocità aumentano progressivamente, chiediamo ai bambini di battere i piedi con più forza e di accelerare il passo.

Verso il finale

Improvvisamente la musica suggerisce che qualcosa sta accadendo: possiamo chiedere  ai bambini di immaginare la scena e  di suggerirci l’evento. Che cosa sta succedendo? Chi è improvvisamente entrato nella grotta?

Quali gesti possono accompagnare quell’improvviso frastuono interrotto  da pause che porta il brano verso il finale?  Diventiamo tutti statue di sale? Cadiamo per terra?

Ecco che il brano si conclude e per i bambini è una festa accompagnare con i loro movimenti creativi la conclusione del brano.

Foto di copertina by Anne Kroiß da Pixabay

Thinking routines e pensiero visibile degli apprendimenti: partecipa al Webinar!

in Approcci Educativi/Webinar e formazione by

Utilizzare le thinking routines in classe per rendere visibili i processi di apprendimento è una pratica che produce ottime ricadute in ambito didattico. Vediamo cosa sono – anche partecipando ad un Webinar gratuito – e come poterle inserire nelle nostre lezioni.

Sperimentare in classe le thinking routines produce risultati notevoli in termini di motivazione, coinvolgimento e partecipazione attiva dei nostri studenti ai processi di apprendimento e alla sedimentazione delle conoscenze.

Proprio per questo motivo mercoledì 23 novembre, dalle 16.30 alle 18, Fondazione AIRC organizza un Webinar gratuito per i docenti della scuola primaria, dedicato alle thinking routines. La partecipazione al webinar dà diritto a un attestato di riconoscimento di 4 ore formative su piattaforma S.O.F.I.A:

CLICCA QUI PER ISCRIVERTI E PARTECIPARE GRATUITAMENTE!

Tornando alle thinking routines, per saperne di più in vista del Webinar vediamone insieme origine, funzionalità e tipologie.

Dove nascono le thinking routines

L’espressione thinking routine compare per la prima volta nel libro Making Thinking Visible che raccoglie i risultati della sperimentazione partita nell’anno 2000 e condotta dal centro di ricerca Project Zero della Harvard Graduate School Education.

Nel libro vengono descritte pratiche ed esperienze realizzate in classe grazie all’uso delle thinking routines, spiegando poi nel dettaglio il loro funzionamento. Il libro è scritto in inglese, ma in italiano è possibile leggere il testo MLTV Making Learning and Thinking Visible – Rendere visibili pensiero e apprendimento; qui si descrive l’esperienza realizzata in alcune scuole italiane grazie alla collaborazione tra Indire e Project Zero.

Cosa sono le thinking routines

Le thinking routines sono mini-strategie semplici e facili da apprendere per intervenire sui processi di pensiero degli studenti e renderli visibili in classe. Sono composte da operazioni abituali e passaggi precisi che, ripetuti, entrano a far parte del metodo di studio dello studente che impara ad applicarle anche in altri contesti (life long learning). Le thinking ruotines ripetute assicurano risultati efficaci in quanto entrano a far parte della forma mentis dei nostri studenti.

A cosa servono le thinking routines

Le thinking routines assolvono diverse e importanti funzioni:

  • servono per la comprensione profonda di ciò che si apprende
  • sviluppano la capacità di ragionamento profondo e lo spirito critico
  • rendono visibili il pensiero e l’apprendimento
  • contribuiscono a far divenire la classe comunità di ricerca
  • consolidano il senso di appartenenza al gruppo
  • agiscono sulla collaborazione (contraria alla competizione), sulla responsabilizzazione e sull’accoglienza dei punti di vista diversi
  • agiscono nella consapevolezza metacognitiva
  • incidono positivamente sulla motivazione degli studenti
  • incidono positivamente sul coinvolgimento e la partecipazione a processi decisionali
Caratteristiche delle thinking routines

Le thinking routines devono essere brevi, centrate, divise in step e devono rispettare dei tempi precisi. Gli studenti lavorano in modo più stimolante e i concetti appresi vengono meglio interiorizzati e consolidati.

Diventa centrale l’idea di essere dentro la didattica grazie a scelte autonome e consapevoli. Non c’è più il docente che spiega e gli studenti che ascoltano: il docente assume il ruolo di facilitatore e gli studenti diventano realmente protagonisti attivi del loro processo di apprendimento.

Per rendere le thinking routines davvero efficaci, occorre che il docente si chieda quale forma di pensiero voglia promuovere all’interno della classe. In base a ciò, andrà a scegliere le thinking routines che ritiene più idonee all’obiettivo prefissato. Tutte le thinking routine si compongono di due momenti:

  • la riflessione personale dello studente
  • le riflessioni condivise nel piccolo gruppo e in classe

Tramite questi step, si arriva ad agire negli ambiti della socializzazione e della negoziazione, indispensabili per lo sviluppo del pensiero profondo e critico. Per dare visibilità al pensiero è importante anche prevedere cartellonistica, in formato digitale o cartaceo, in grado di documentare i ragionamenti e i processi di pensiero in continuo divenire.

Categorie di thinking routines

Le thinking routines si suddividono in tre categorie:

  1. thinking routinesper introdurre ed esplorare le idee
  2. thinking routines per sintetizzare e organizzare le idee
  3. thinking routines per approfondire le idee
Thinking routines per introdurre ed esplorare le idee

Queste thinking routinesservono per introdurre un argomento, attivare le conoscenze pregresse degli studenti e stimolare curiosità e atteggiamenti di ricerca. Un esempio è la thinking routine  “VEDI – PENSA – CHIEDI” (See – Think – Wonder) che stimola gli studenti ad osservare più attentamente e a fornire interpretazioni più fondate; favorisce anche la curiosità e aiuta a costruire le premesse per un’indagine.

Osservando un’immagine o un oggetto, il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Cosa vedi?
  • A cosa pensi si riferisca ciò che vedi?
  • Quali domande ti suscita ciò che vedi?
Thinking routines per sintetizzare e organizzare le idee

Queste thinking routinesservono per riassumere I concetti centrali della nuova conoscenza, per collegare le idee alle conoscenze pregresse e per incoraggiare gli studenti a riflettere su come sia cambiato il loro pensiero su un determinato argomento.

Un esempio è la thinking routine “TITOLI” (Headlines) che aiuta gli studenti a individuare il nucleo di ciò che stanno imparando o di ciò di cui stanno discutendo. Il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Quale titolo scegliere per questo argomento?
  • Com’è cambiato il tuo titolo da quanto avresti detto prima della discussione?
Thinking routines per approfondire le idee

Queste thinking routines aiutano gli studenti a scavare a fondo, a fare reinterpretazioni personali di quanto appreso, a considerare la complessità di un argomento e le prospettive multiple. Promuovono anche l’argomentazione supportata da evidenze. Un esempio è la thinking routine “AFFERMA – DIMOSTRA – CHIEDI” (Claim – Support – Question)  che aiuta gli studenti a sviluppare interpretazioni fondate su evidenze e li incoraggia a ragionare con delle prove. Il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Fai un’affermazione su un argomento
  • Fornisci prove della tua osservazione
  • Fai una domanda che può sembrarti ancora irrisolta o da spiegare con maggior approfondimento.

Come afferma Mara Krechevsky, ricercatrice senior di Project Zero

Le thinking routines sono state progettate non tanto per aiutare gli studenti a ‘imparare come pensare’, quanto piuttosto per ‘pensare come imparare’. Non pensiamo all’apprendimento come ciò che qualcuno già possiede, quanto come ciò che qualcuno riesce a fare con ciò che sa. Possiamo dire che imparare è una conseguenza del pensare e le thinking routines sono modi semplici di introdurre e sperimentare il pensiero nella cultura della classe.

Vale decisamente la pena provare ad utilizzare questi strumenti chiari, semplici ma potentissimi. Ne beneficeranno alunni, docenti e l’intero clima di classe. Provare per credere!

Per approfondire:

Making Thinking Visible – How to promote engagement, understanding and independence for all learners, Ron Ritchhart, Mark Church, Karin Morrison, foreword by David Perkins;

– MLTV: Making Learning and Thinking Visible – Rendere visibili pensiero e apprendimento, a c. di Elisabetta Mughini e Silvia Panzavolta, Carocci editore

Giornata Mondiale della Gentilezza: partecipa e vinci una Biblioteca di Classe!

in Letture in classe by

Il 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza: 2 consigli di lettura e la possibilità di ricevere alcune copie gratuitamente per la propria Biblioteca di Classe!

Io non conosco nessun altro segno di superiorità nell’ uomo che quello di essere gentile.

Così disse Ludwig van Beethoven un bel po’ di tempo fa, e noi oggi non possiamo che fargli eco, dando un occhio al calendario e riflettendo proprio sul tema della gentilezza: il 13 novembre, infatti, ricorre la Giornata Mondiale della Gentilezza.

Ma cosa significa essere gentili?

Essere gentili davvero si limita al dire “grazie” o al rispondere “prego”, oppure “scusa” quando commettiamo un errore? Certo queste parole, seppure piccole, non sono certo da trascurare: ma da sole non bastano.

Si è gentili quando ci si dimostra altruisti e generosi, in maniera del tutto disinteressata. Vale a dire, senza aspettarsi niente in cambio. Lo si fa e basta.

A chi fa bene la gentilezza?

Dimostrarsi generosi fa star bene non solo chi riceve l’atto di gentilezza, ma di riflesso anche chi lo compie: avvertiamo una sorta di appagamento del senso del dovere, sentendoci per questo soddisfatti e sereni. Provare per credere, e non solo in occasione della Giornata Mondiale della Gentilezza!

Gentile come te

Sul tema della gentilezza è uscito, nel 2020, il libro Gentile come te, edito da Librì – Progetti educativi, scritto da Fabio Leocata e illustrato da Massimo Alfaioli.

Attraverso questo libro, i giovani lettori scoprono tutti quei fattori ed elementi che rendono straordinaria la loro età: la forza dell’amicizia e la voglia di stare insieme, le fragilità nascoste nel cuore e la difficoltà di essere sempre se stessi, le gioie quotidiane e i piccoli e grandi drammi che hanno la forza di scuotere un’esistenza, la solitudine e la scoperta dell’amore.

La gentilezza vola lontano

Sul tema della gentilezza – a sottolinearne quindi l’importanza – era già uscito un testo nel 2019, sempre edito da Librì – Progetti educativi, con stesso autore ma illustrato da Giulia Orecchia, dal titolo La gentilezza vola lontano, per la collana Collilunghi.

Il libro è una lettura appassionante e commovente, che ci prende per mano e ci accompagna alla scoperta della misteriosa forza della gentilezza.

Scritto per bambini dai 6 anni in su, può essere letto anche in compagnia di mamma e papà, per parlare così insieme dell’importanza del tema.

Vinci il libro!

In occasione della Giornata Mondiale della Gentilezza, noi di OcchioVolante vogliamo dare l’occasione, ad una classe, di riceve gratuitamente alcune copie del libro “La gentilezza vola lontano”!

Compila la form con i tuoi dati: se sarà il tuo il nominativo estratto sarai contattato/a!

Leggi qui come creare un’efficace Biblioteca di Classe!

Qui invece trovi un interessante spunto per un percorso sulla gentilezza da affrontare in classe.

Foto di copertina by Adam Nemeroff on Unsplash

Arte e natura nei percorsi Land Art!

in Zigzag in rete by

Vere e proprie gallerie d’arte che profumano di legno e fiori, in cui è possibile incontrare anche tanti animali: scopriamo i percorsi di Land Art.

Land Art, ovvero, parchi d’arte in cui gli artisti da tutto il mondo realizzano importanti opere sfruttando gli elementi che la natura, generosa, offre loro. In Trentino e in Alto Adige questi luoghi magici sono davvero tanti, e sono perfetti per fuggire alle temperature bollenti cittadine!

Nello specifico vogliamo però parlare del Percorso circolare di Land Art della località turistica Falzes, in Val Pusteria (Alto Adige). Lungo 2 km e con un dislivello di soli 50 m, è adatto anche ai più piccoli!

Percorrere questi km significa immergersi in un’esperienza davvero particolare, camminando tra le opere d’arte di 7 artisti locali: Edith Kohlgruber, Pepi Peskollderungg, Johann Passler, Helene Psenner, Rita Gutwenger e Ulrike Großgasteiger.

La sua particolarità

i 7 artisti di Falzes utilizzano esclusivamente materiali naturali autoctoni, proprio per evidenziare e mantenere la perfetta armonia tra arte e natura.

La conseguenza è che il Percorso Land Art è in continua trasformazione, perché le opere d’arte sono esposte alle intemperie, dunque si disgregano e cambiano nel tempo insieme alla natura!

Quali opere troviamo?

Appena iniziato il percorso si incontra lo stemma del Comune, realizzato con legno di betulla e corteccia.

Ma il primo essere misterioso che possiamo scorgere è luomo di muschio, una creatura gigantesca arrampicata su un albero: chissà, forse è un guardiano della foresta! E ancora:

  • il ragno
  • il cubo di rami
  • il labirinto di sassi circolari a spirale
  • i due troni scavati nel legno con volti umani scolpiti
  • la strega con le fascine
  • la barca con le fascine
  • i tronchi d’albero scolpiti a forma di fungo
  • la sedia/carrozza
  • il Cristo crocifisso
Il ragno del Percorso Land Art a Falzes!
Fonte foto: https://www.giornirubati.it/

Sensazioni provate

Mentre si cammina tra questi alberi, fiori e opere d’arte, la sensazione è duplice: da una parte sembra che il tempo si sia fermato, proprio come in una fiaba;  dall’altra, è invece possibile percepire gli effetti dello scorrere del tempo, che con i suoi agenti atmosferici è intervenuto a rendere ancora più autentiche e incastonate nel paesaggio le opere degli artisti, a tal punto da infilare nella nostra testa una domanda:

dove finisce la natura, e inizia l’arte?

Durata del percorso

E proprio a proposito di tempo: tecnicamente per percorrere il Percorso Land Art occorre circa un’ora, ma per chi – come noi – ama perdersi nella natura avvolto nei propri pensieri, una giornata intera potrebbe non bastare!

Come arrivare

Per raggiungere il Percorso Land Art in Val Pusteria, occorre percorrere l’Autostrada del Brennero A22, uscire a Bressanone, direzione Val Pusteria, e dopo ca. 20 km in località Chienes girare a sinistra. Seguire poi le indicazioni per Issengo e successivamente per Falzes.

Il nostro consiglio

Avevamo già affrontato qui la questione dell’ importanza dell’arte per i bambini, con un divertente gioco per far uscire le opere d’arte dai musei.

L’arte stimola l’apprendimento di altre materie, è essenziale per lo sviluppo della percezione, delle capacità motorie e per l’interazione sociale.

Portare i vostri figli o la vostra classe in gita nei percorsi Land Art, non solo stimolerà la loro creatività e fantasia, ma sarà utile anche per sottolineare una volta di più l’importanza del rispetto dell’ambiente, e del vivere in armonia con la natura!

Qui un’utile lettura sul tema!

Fonte foto di copertina: https://www.itinerarinellarte.it/it/eventi/l-arte-fa-ben-essere-in-val-di-fiemme-2856

“Sigismondo e gli influssi della Luna”: educare all’arte, educare alla bellezza.

in Attività di classe/Letture in classe by

Un libro per andare alla scoperta di Sigismondo Pandolfo Malatesta, uno dei più famosi signori della città di Rimini.

Conoscete Sigismondo Pandolfo Malatesta? Fu uno dei più famosi signori della città di Rimini.

Colto, potente, coraggioso, egocentrico… Pandolfo fu tante cose, ma noi riminesi lo ricordiamo soprattutto per il Tempio malatestiano ( attuale duomo della città) che fece costruire per celebrare le sue gesta e la sua persona.

All’interno del Tempio si trovano innumerevoli opere d’arte che raccontano gesta, storie classiche o mitologiche, realizzate con diverse tecniche e materiali.

Un attività per educare all’arte e alla bellezza

Da questa ricchezza di linguaggi e di racconti è nato, qualche anno fa, il desiderio mio e di Elena Savini, amica e collega, di creare uno strumento didattico che avvicinasse grandi e piccini alle meravigliose narrazioni del Tempio che, pur essendo un famoso monumento ed essendo sempre aperto al pubblico, è per lo più, poco compreso.

Il linguaggio dell’arte non è infatti scontato da capire e potrei trovarmi di fronte ad un bellissimo affresco ma non riuscire a cogliere quello che l’autore voleva trasmettere; oppure potrei fermarmi disgustata davanti ad un ammasso di colori buttati sulla tela, senza saperne cogliere il messaggio profondo!

“Forse sono una persona poco sensibile?” potrei domandarmi… ma la verità è che la sensibilità c’entra fino ad un certo punto!

C’entrano invece tanto, l’educazione e la conoscenza dei linguaggi!

Ed è per questo che io ed Elena, circa tre anni fa, abbiamo cominciato a pensare, e poi a realizzare, “Sigismondo e gli influssi della Luna” con l’obiettivo di dare a chi lo legge, una prima alfabetizzazione artistica e simbolica delle opere d’arte conservate nel Tempio Malatestiano.

Abbiamo scelto di raccontare la storia attraverso il “meccanismo” dell’albo illustrato, utilizzando questa forma letteraria dove testo e immagini si integrano a vicenda; abbiamo anche scelto di illustrare il racconto con alcune delle immagini conservate nel Tempio, ritagliate e modificate.

L’effetto che vogliamo creare è quello che, chiunque legga l’albo e decida di visitare la chiesa malatestiana, riconosca all’interno di essa le immagini e i personaggi conosciuti nel libro.

Il libro “Sigismondo e gli influssi della Luna”

L’albo illustrato “Sigismondo e gli influssi della Luna”, racconta la storia del giovano Sigismondo Pandolfo Malatesta, prima che diventasse signore di Rimini. All’interno dell’albo si trovano anche: un’appendice, dove sono visibili le opere integrali da cui sono tratte le immagini della storia; un glossario, in cui vengono spiegati i significati simbolici di molti oggetti naturali e animali presenti nelle illustrazioni. Questo albo è stato inizialmente pensato come strumento didattico per il progetto “Laboratori al Tempio” (realizzato in collaborazione con la diocesi di Rimini) ma ha trovato una “casa” presso Maggioli Editore che ha creduto, insieme a noi, in questo progetto di educazione alla bellezza e di educazione allo sguardo.

L’albo illustrato si rivolge quindi a tutti i bambini che vogliono conoscere le avventure che il giovane Pandolfo vive sull’isola fortunata dopo la fuga dalla sua città; si rivolge anche a tutti quegli adulti che vogliono regalare la bellezza di un racconto che nasce da un’opera d’arte; si rivolge infine a tutti gli insegnanti che desiderano educare lo sguardo dei propri bambini e ragazzi.

Oltre a leggere il racconto e a gustarvi le avventure del giovane Pandolfo, è possibile fare altro con questo libro: andando infatti sul blog maniingioco.blogspot.com, potrete trovare alcuni tutorial che suggeriscono come giocare e come imparare-giocando dopo la lettura.

Buona Lettura

Potete trovare altre attività educative basate sui libri qui

In partenza la 5° edizione di Didacta!

in Scuola by

Dedicata alla pedagogista Maria Montessori, venerdì 20 maggio ha il via la 5° edizione della Fiera Didacta Italia. Centinaia di eventi formativi e una vasta area espositiva per le aziende che lavorano nel mondo della scuola e della formazione.

Didacta, l’evento nazionale sull’innovazione della scuola, il più atteso da docenti, dirigenti scolastici, educatori e professionisti in generale del settore, è ai nastri di partenza!

La più grande fiera per la formazione dei docenti si terrà dal 20 al 22 maggio, nella splendida cornice della Fortezza da Basso, a Firenze (ma nasce in Germania, come abbiamo scritto QUI!).

Come si legge dal sito ufficiale della manifestazione, Didacta ha:

l’obiettivo di favorire il dibattito sul mondo dell’istruzione tra gli enti, le associazioni e gli imprenditori, per creare un luogo di incontro tra le scuole e le aziende del settore.

E questa 5° edizione non poteva che essere dedicata a Maria Montessori, una delle personalità più importanti a livello mondiale nel campo dell’educazione dell’infanzia. Il suo metodo educativo è considerato uno dei principali esperimenti di “scuola nuova” adottato in molti paesi del mondo.

La quinta edizione

Come quelle passate, anche la quinta edizione di Didacta si sviluppa in 2 livelli:

  • quello dell’area espositiva, che chiama in causa tutta la filiera delle aziende che lavorano nel mondo della scuola e della formazione;
  • quello degli eventi (oltre 250!), con convegni e seminari che vanno dall’area tecnologica a quella scientifica e umanistica.
Clicca QUI per scoprire l’intero programma di questa edizione di Didacta, e QUI per acquistare il tuo biglietto d’ingresso!

Librì a Didacta!

Anche quest’anno Librì – Progetti Educativi sarà presente con un proprio stand a Didacta, e più precisamente il numero A 59 all’interno del padiglione Spadolini. Qui, nelle 3 giornate della fiera, saranno organizzati vari interventi dedicati a temi come l’inclusione, l’accoglienza, la ricerca, l’alimentazione, la finanza, l’educazione civica e molto altro!

Scopri QUI tutti gli interventi previsti e… vieni a trovarci!

Foto di copertina by raiscuola.rai.it

Giorno 4. Museo d’arte moderna

in Attività di classe by
Il 4° giorno del progetto “Il museo va a scuola”, è dedicato all’arte moderna: un’idea per un’attività con il gesso da fare in classe.

Mi capita spesso di constatare che i ragazzi e i bambini conoscano molto meglio l’arte antica di quella moderna; questo perché, a meno che i familiari non siano degli esperti per lavoro o passione, la formazione scolastica arriva raramente a trattare il ‘900 e si ferma spesso molto prima.

Partiamo con un “brain – storming”…

Per il giorno numero 4 ho pensato di partire quindi con un “brain – storming” sull’arte moderna chiedendo ai bambini che cosa si intendesse con questo termine.

Come sempre dalla discussione sono venuti fuori punti di vista molto interessanti fra cui l’opinione diffusa che ”arte moderna” fosse un po’ sinonimo di “voler guadagnare molti soldi facendo schizzi o buchi su di una tela”!

Per attivare ulteriormente la discussione, ho proposto la visione del silent book Museum” di J.S Castan e M. Marsol, un albo che sa essere contemporaneamente inquietante e divertente.

Penso che l’arte in generale sia uno dei modi che l’essere umano ha per esprimere ciò che ha dentro ma alcune modalità sono così distanti dal nostro modo di ragionare e sentire che è necessaria una mediazione.

Questa naturalmente può essere la guida del museo, che attraverso la visita guidata ci apre la porta ad un mondo nuovo: quello dell’autore, del suo modo di sentire, del suo modo di vedere e di trasmettere, attraverso tecniche e strumenti, il suo pensiero.

Anche il protagonista dell’albo “Museum” apre la porta di una strana casa in cima alla collina e, senza saperlo, comincia un’avventura straordinaria che lo porterà ad entrare ( nel vero senso della parola!) nell’immaginario dell’autore attraverso i suoi dipinti.

L’attività:

Volendo rimanere legata alla natura che circonda la scuola, ho pensato di creare degli stampi in gesso e argilla di composizioni botaniche realizzate con fiori e foglie raccolti nel giardino. Ho chiesto ai bambini di comporre, seguendo il proprio gusto, una composizione di fiori e foglie per realizzare un’opera d’arte che rispecchiasse loro stessi.

La ricerca dei materiali

Per prima cosa abbiamo passeggiato in giardino cercando alcune cose naturali ( rametti, foglie, fiori…) per realizzare una piccola composizione. Ho poi protetto i banchi con del cartone da scatolone e dato ad ognuno un panetto di argilla chiedendo di realizzare con essa un cerchio di circa 15 cm di diametro e alto almeno 2.

Questo cerchio d’argilla è la base per la nostra composizione perciò ogni bambino ci ha appoggiato sopra gli oggetti naturali raccolti e li ha schiacciati con delicatezza:  a questo punto l’argilla impressa è diventata il nostro stampo per il gesso.

Con una striscia di bristol ho circondato il cerchio d’argilla creando un cilindro che ci serve per contenere il gesso liquido.

Ho poi mostrato ai bambini come preparare il gesso in polvere mettendone un pò in un bicchiere di carta e aggiungendo l’acqua; una volta pronto il gesso, lo abbiamo colato nello stampo.

Il gesso catalizza in pochi minuti perciò, una volta pronto, abbiamo tolto la nostra argilla e pulito la nostra bellissima opera d’arte!

Concluso anche il 4° incontro, ci siamo preparati per l’ultimo dal titolo “ Il Museo delle Emozioni”.

I primi 3 appuntamenti hanno riguardato: il “Museo di me stesso”, “La Stanza delle Meraviglie”

UN CLICK PER LA SCUOLA: in partenza la nuova edizione dell’iniziativa di amazon.it

in Attività di classe by

C’è tempo fino al 6 febbraio 2022 per iscrivere la propria scuola e accumulare credito virtuale da utilizzare su un catalogo di prodotti per le scuole: con UN CLICK PER LA SCUOLA Amazon.it prende a cuore le scuole d’Italia!

Cancelleria, arredo, articoli sportivi, attrezzature elettroniche o strumenti musicali: questo e molto altro potrà essere donato gratuitamente da Amazon.it a tutte le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado del territorio nazionale, che si iscriveranno all’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA.

Obiettivo di tale iniziativa è appunto supportare le scuole che vi aderiranno, le quali riceveranno un credito virtuale da parte di Amazon utilizzabile su www.amazon.it per acquistare materiale scolastico, scegliendo da un ampio catalogo di oltre 1.000 prodotti!

Gli studenti e le famiglie scelgono la scuola che vogliono supportare, e Amazon le dona una percentuale dei loro acquisti sotto forma di credito virtuale!

Un’idea vincente, questa, che durante le 2 precedenti edizioni ha visto Amazon donare alle scuole italiane credito virtuale che ha permesso alle scuole di ricevere oggetti e accessori del valore totale di ben 5,9 milioni di euro! Il successo è stato così dirompente che l’iniziativa è stata replicata anche in Spagna, ottenendo anche lì un grande consenso.

Che tu sia insegnante, dirigente scolastico oppure studente: iscrivi o proponi di iscrivere la tua scuola all’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA: è possibile farlo fino al 6 febbraio 2022, e le scuole potranno utilizzare il credito virtuale ricevuto e richiedere i prodotti per tutta la durata dell’iniziativa e oltre, fino al 10 aprile 2022!

Amazon Digital Lab

Ma non finisce qui! Grazie a UN CLICK PER LA SCUOLA studenti e insegnanti delle classi coinvolte potranno anche accedere ad Amazon Digital Lab, un vero e proprio mondo di risorse digitali totalmente gratuite: idee, strumenti e metodologie per una didattica innovativa vicina alle esigenze della scuola!

Qui sarà possibile trovare una selezione di risorse digitali: video tutorial con indicazioni pratiche su come usare gli strumenti, coding toolkit per supportare gli studenti nella programmazione di videogiochi, quiz e visual art, audiolibri e podcast Audible.

E ancora guide di alfabetizzazione digitale, link e contenuti per arricchire la didattica nei vari ordini scolastici; ma la grande novità di questo anno sono i webinar riservati ai docenti sui temi più attuali legati alle potenzialità della didattica digitale per il mondo della scuola.

UN CLICK PER LA SCUOLA metterà infatti a disposizione di tutti i docenti di ogni ordine e grado un percorso formativo totalmente gratuito, dedicato all’utilizzo consapevole della tecnologia, per una didattica davvero innovativa!

5 i Webinar previsti, ognuno dedicato ad un tema specifico, spaziando dalle neuro-scienze fino al game learning, e in partenza dal prossimo mercoledì 27 ottobre!

ISCRIVITI QUI

Tutti i partecipanti riceveranno poi un attestato di partecipazione all’iniziativa formativa per le ore svolte, in ottemperanza al D.M.170/2016.

Un click per la scuola
Come può partecipare la scuola?
  • Iscrivendosi a UN CLICK PER LA SCUOLA tramite il sitowww.unclickperlascuola.it
  • Comunicando a tutte le classi l’iniziativa
  • Accedendo all’Area Scuole del sito www.unclickperlascuola.it per visualizzare il credito virtuale accumulato, e richiedendo i prodotti di cui la scuola ha bisogno nel catalogo virtuale disponibile sul sito.

Nel caso poi di scuola appartenente e amministrata da un Circolo Didattico, Istituto Comprensivo o Istituto Omnicomprensivo, sarà l’Istituto stesso a partecipare all’iniziativa.

Come possono partecipare gli studenti e le famiglie?
  • Visitando il sito dedicato all’iniziativa www.unclickperlascuola.it e accedendo con le proprie credenziali di Amazon.it.
  • Scegliendo la scuola da supportare sul sito www.unclickperlascuola.it.
  • Condividendo l’iniziativa e invitando altri studenti e amici a partecipare!

L’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA è soggetta a Termini e condizioni visualizzabili qui  https://www.unclickperlascuola.it/terms_and_conditions . Per saperne di più visita il sito www.unclickperlascuola.it e… corri a partecipare!

Percorsi Land Art: arte e natura in armonia!

in Arte, Musica e Spettacolo by

In Trentino ci sono gallerie d’arte che hanno il profumo del legno e dei fiori, i cui visitatori sono anche gli animali: sono i percorsi di Land Art!

In Trentino sono davvero tanti i Land Art, ovvero, i parchi d’arte, luoghi magici in cui gli artisti da tutto il mondo realizzano importanti opere sfruttando gli elementi che la natura, generosa, offre loro.

Qui nello specifico parliamo del Percorso circolare di Land Art della località turistica Falzes, in Val Pusteria (Alto Adige). Lungo 2 km e con un dislivello di soli 50 m, è adatto anche ai più piccoli!

Percorrere questi km significa immergersi in un’esperienza davvero particolare, camminando tra le opere d’arte di 7 artisti locali: Edith Kohlgruber, Pepi Peskollderungg, Johann Passler, Helene Psenner, Rita Gutwenger e Ulrike Großgasteiger.

La sua particolarità

i 7 artisti di Falzes utilizzano esclusivamente materiali naturali autoctoni, proprio per evidenziare e mantenere la perfetta armonia tra arte e natura.

La conseguenza è che il Percorso Land Art è in continua trasformazione, perché le opere d’arte sono esposte alle intemperie, dunque si disgregano e cambiano nel tempo insieme alla natura!

Quali opere troviamo?

Appena iniziato il percorso si incontra lo stemma del Comune, realizzato con legno di betulla e corteccia.

Ma il primo essere misterioso che possiamo scorgere è luomo di muschio, una creatura gigantesca arrampicata su un albero: chissà, forse è un guardiano della foresta! E ancora:

  • il ragno
  • il cubo di rami
  • il labirinto di sassi circolari a spirale
  • i due troni scavati nel legno con volti umani scolpiti
  • la strega con le fascine
  • la barca con le fascine
  • i tronchi d’albero scolpiti a forma di fungo
  • la sedia/carrozza
  • il Cristo crocifisso
Il ragno del Percorso Land Art a Falzes!
Fonte foto: https://www.giornirubati.it/
Sensazioni provate

Mentre si cammina tra questi alberi, fiori e opere d’arte, la sensazione è duplice: da una parte sembra che il tempo si sia fermato, proprio come in una fiaba;  dall’altra, è invece possibile percepire gli effetti dello scorrere del tempo, che con i suoi agenti atmosferici è intervenuto a rendere ancora più autentiche e incastonate nel paesaggio le opere degli artisti, a tal punto da infilare nella nostra testa una domanda:

dove finisce la natura, e inizia l’arte?

Durata del percorso

E proprio a proposito di tempo: tecnicamente per percorrere il Percorso Land Art occorre circa un’ora, ma per chi – come noi – ama perdersi nella natura avvolto nei propri pensieri, una giornata intera potrebbe non bastare!

Come arrivare

Per raggiungere il Percorso Land Art in Val Pusteria, occorre percorrere l’Autostrada del Brennero A22, uscire a Bressanone, direzione Val Pusteria, e dopo ca. 20 km in località Chienes girare a sinistra. Seguire poi le indicazioni per Issengo e successivamente per Falzes.

Il nostro consiglio

Avevamo già affrontato qui la questione dell’ importanza dell’arte per i bambini, con un divertente gioco per far uscire le opere d’arte dai musei.

L’arte stimola l’apprendimento di altre materie, è essenziale per lo sviluppo della percezione, delle capacità motorie e per l’interazione sociale.

Portare i vostri figli o la vostra classe in gita nei percorsi Land Art, non solo stimolerà la loro creatività e fantasia, ma sarà utile anche per sottolineare una volta di più l’importanza del rispetto dell’ambiente, e del vivere in armonia con la natura!

Qui un’utile lettura sul tema!

Fonte foto di copertina: https://www.kronplatz.com/

CityCampus: insegnare coding, robotica ma anche arte, per preparare al Futuro

in STEM ed Esperienze digitali by

Da settembre 2021 a Firenze apre CityCampus, palestra per la Mente ideata da Librì Progetti Educativi – per insegnare a bambini e ragazzi i principi di coding, tinkering e robotica. Ma anche gioco e arte.

I bambini, i ragazzi: un serbatoio infinito di energia ed entusiasmo riversato non solo nel gioco, ma anche nella scuola e nelle attività sportive: perché, si sa, ad allenare il corpo ne beneficia di conseguenza anche la mente.

Ma perché non affiancare alle palestre per il corpo, una vera e propria palestra per la mente?

Questa domanda è stata il punto di partenza per Librì Progetti Educativi, e la risposta è sfociata nello sviluppo di un suo progetto ambizioso quanto innovativo: CityCampus, appunto.

Steam-C

Per arrivare a capire appieno le potenzialità di CityCampus, è necessario prima avventurarci nel mondo delle Steam-C (acronimo inglese di Science, Technology, Engineering, Art, Mathematics), ovvero le materie scientifiche (matematica, tecnologia, ingegneria) mescolate agli strumenti digitali e alla creatività artistica.

Ebbene sì, il binomio forse non è immediato, ma in realtà scienza e arte possono far parte armoniosamente di una stessa attività, volta a lavorare in modo creativo, innovativo e sostenibile, favorendo così un progresso economico, umano e sociale.

I lavori di domani

Viviamo in un mondo velocissimo, in continuo cambiamento, e che lascia libera la mente di immaginare per il futuro (assai prossimo), lavori che al momento nemmeno esistono: secondo alcune ricerche, infatti, il 60% dei lavori più interessanti del prossimo decennio non sono stati ancora inventati!

Lavori immersi nelle nuove tecnologie (come il pilota di droni), nel digitale (lo psicoterapeuta del digitale), ma che rivelano anche un’attenzione verso l’ambiente (l’agricoltore verticale o l’esperto in cambiamenti climatici).

Va da sé che per affrontare questa grande trasformazione sono richieste conoscenze tecniche e grande fantasia: è dunque necessario essere ben preparati e formati a dovere.

Insegnare il futuro

Ed ecco quindi il perché di CityCampus: per insegnare il futuro che sta arrivando. Come? Attraverso il gioco – le cui funzioni psicopedagogiche sono ormai ampiamente dimostrate – e gli incontri, che si rivelano vere e proprie esperienze immersive.

Cosa è CityCampus

A metà strada tra il doposcuola e la ludoteca, luogo di studio e di relazione sempre aperto e immerso nel ritmo cittadino, CityCampus prevede lezioni in cui verranno insegnati il coding (alias il linguaggio di programmazione), il tinkering (dal mondo Maker, un laboratorio creativo in cui “pensare con le mani”) e la robotica.

Il tutto, ponendo sempre una grande attenzione verso l’aspetto delle relazioni sociali e interpersonali (e qui entra di diritto la dimensione del gioco).

Com’è strutturato CityCampus

Le lezioni, che partiranno dalla seconda metà di settembre 2021, si svolgeranno in un ambiente accogliente, sicuro e motivazionale, e saranno suddivise in due fasce d’età:

  • KIDS (6-10 anni)
  • JUNIOR (11-14 anni)

Non è richiesta alcuna competenza precedente, e l’impegno prevede 4 giorni a settimana, con orario 14-17 per i Junior e 17-19 per i Kids.

Inoltre, tutti i partecipanti avranno a disposizione tablet personali, computer e set di robotica.

Dove si terrà CityCampus?

Il battesimo del progetto avverrà a Firenze per poi estendersi in futuro ad altre città d’Italia.

Del resto, quale migliore città di Firenze – culla del Rinascimento –  per dare vita ad un progetto di rinascita, dopo l’impoverimento educativo e relazionale che due anni di Covid hanno lasciato ai bambini e ragazzi?

Per ulteriori informazioni sul progetto clicca qui, o scrivi a info@progettiedu.it, oppure chiama lo 055. 9073.999.

Le mafie e noi: dalla parte giusta. Parliamone in classe.

in Attività di classe/Scuola by

Parlare di mafie a un pubblico di bambini o adolescenti non è facile: ma libri, cinema, musica e persino il teatro possono darci un grosso aiuto.

A proposito di mafie: il prossimo 9 maggio ricorre un importante anniversario. 43 anni fa, infatti, Giuseppe – Peppino – Impastato, veniva ucciso, appunto, dalla mafia.

Conduttore radiofonico e attivista, membro di Democrazia Proletaria e noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, si è dovuto attendere fino al 2002 per vedere dichiarato colpevole il mandante dell’omicidio di Peppino: Gaetano Badalamenti, capomafia di Cinisi, dove Impastato viveva, a “100 passi” dalla casa di Badalamenti.

Per anni, infatti, è stato fatto di tutto per far passare il giovane come un folle che si era tolto la vita.

I cento passi

I cento passi è il nome del film girato da Marco Tullio Giordana, con un immenso Luigi Lo Cascio nei panni di Peppino; e Cento passi è anche la splendida canzone dei Modena City Ramblers, dedicata alla storia di Impastato.

Un film meraviglioso per conoscere la sua vita, il suo rapporto con la famiglia, il suo coraggio e il triste epilogo.

Ma anche la forza e la tenacia di parenti e amici, che al grido di:

Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo

hanno portato avanti la battaglia da lui iniziata, e fatto arrestare i reali colpevoli della sua morte.

Cosa Losca

Non solo il cinema ma anche il teatro ci viene in aiuto per affrontare il delicato tema delle mafie, con lo spettacolo Cosa Losca, produzione de Il Teatrino dei Fondi, testo di Marco Sacchetti e Silvia Nanni.

In maniera ironica e divertente, i due protagonisti in scena – Claudio Benvenuti e Marco Sacchetti, anche registi – cercano di spiegare nascita, organizzazione e modalità operative della criminalità, utilizzando linguaggi che spaziano dal classico teatro d’attore fino all’utilizzo di tecniche multimediali interattive (il Mafiasoft).

Cosa Losca è uno spettacolo rivolto a bambini/adolescenti (età consigliata 9/16 anni), in cui il gioco comico dei due attori (nonché registi) bilancia l’importanza e la drammatica serietà del tema trattato, e dove trova spazio anche il racconto della storia di Peppino Impastato.

Le mafie

Giuseppe Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, Placido Rizzotto… L’elenco dei nomi delle vittime delle mafie è, purtroppo, lunghissimo. E con mafie intendiamo:

  • Cosa Nostra, la mafia siciliana con le sue ramificazioni estere, per esempio americane.
  • La Camorra: L’organizzazione mafiosa attiva in Campania.
  • La ’Ndrangheta: L’associazione criminale di tipo mafioso nata e radicata in Calabria, attiva anche al Centro-Nord e all’estero.
  • La Sacra corona unita: L’associazione criminale più giovane, che agisce in territorio pugliese con un sistema di clan simile a quello della ‘Ndrangheta.

Vittime illustri, persone comuni, sconosciuti di cui ci è ignoto anche il nome: tutti sono morti per difendere la legalità e la libertà. Il loro gesto non deve essere dimenticato, ma ricordato, raccontato, diffuso.

Libera Terra

Contrastare le mafie e difendere la legalità è lo scopo dell’associazione Libera Terra, che valorizza territori bellissimi ma difficili, partendo dal recupero sociale e produttivo dei beni liberati dalle mafie.

Da questi territori, un tempo nelle mani sbagliate, nascono oggi prodotti di alta qualità, attraverso l’impiego di metodi che rispettano l’ambiente e la dignità delle persone: cercali, tra gli scaffali del supermercato, o nelle botteghe del circuito Equo e Solidale.

Libera Terra crea così aziende cooperative autonome e autosufficienti, in grado di dare lavoro e proporre un sistema economico virtuoso, basato sulla legalità e la giustizia sociale.

Dalla parte giusta: la legalità, le mafie e noi

Dalla parte giusta: la legalità, le mafie e noi è un libro di Roberto Luciani e Davide Calì, pensato per bambini dagli 8 anni in su, che racconta di regole e leggi.

Ma non solo: ci fa anche capire che per tenere lontane ingiustizie e prepotenze, è necessario scegliere da che parte stare.

Con una prefazione di Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che afferma che:

C’è una “malattia” molto pericolosa nella nostra società che si chiama sfiducia. È la malattia di chi pensa che mai nulla cambierà, di chi incolpa sempre gli altri perché le cose vanno male. Avete davanti una grande possibilità: dimostrare che da questa malattia è possibile guarire, darvi da fare perché le cose cambino.

Il libro ci insegna che la libertà si costruisce iniziando dai piccoli gesti, dall’aiuto che possiamo dare agli altri, e dalla scelta di credere nel futuro.

Per scaricare e leggere in classe il libro, clicca qui.

Per avere altri consigli di lettura sul tema, clicca qui.

Buon lavoro e… w la legalità!

ARTE, un canale gratuito da scoprire

in Arte, Musica e Spettacolo by
Uno dei migliori canali gratuiti per bambini e ragazzi, ARTE ci propone documentari, fiction, informazione e spettacoli dal vivo, tutti disponibili con sottotitoli in italiano

In questo periodo difficile, nel quale anche cinema e teatri sono chiusi e l’unica possibilità per vedere storie e racconti per immagini in movimento è quella di ricorrere a schermi televisivi o supporti digitali, a volte con necessità di abbonamenti e pagamenti vari, c’è un canale gratuito, raggiungibile con un semplice clic, che va ricordato, sostenuto e utilizzato da genitori e insegnanti.

Sto parlando di ARTE, sigla che sta per Association Relative à la Télévision Européenne, un progetto nato nel 1992 e sovvenzionato con il canone delle reti televisive pubbliche tedesche e francesi, con una programmazione che si compone per il 55% di documentari, per il 25% di fiction, per il 15% di programmi di informazione e per il 5% di musica e spettacoli dal vivo.

Tutto questo prezioso materiale è disponibile su www.arte.tv e tutte le produzioni che vengono proposte hanno i sottotitoli in italiano e possono essere quindi utilizzate sia a scopo didattico che per intrattenimento (ma le due dimensioni non sono in contraddizione fra loro) per bambini e ragazzi a partire dal secondo ciclo della scuola primaria.

Grazie all’offerta produttiva e tematica di ARTE è possibile spaziare dalla storia alla filosofia, dalle scienze alla storia dell’arte, con materiali che vanno dai quattro minuti al lungometraggio o alla ripresa di opere e spettacoli musicali fino a tre ore di durata. Ne ricordo qui solo alcuni, che danno una parziale idea di quante cose si possano trovare e della qualità davvero di altissimo livello con la quale vengono prodotte.

Potremmo vedere, ad esempio, un interessantissimo documentario (durata: 53 minuti) del regista francese Raphael Hitier, dal titolo Crescere davanti a uno schermo, che indaga implicazioni ed effetti della esposizione a smartphone, tablet e supporti di varia natura di bambini e bambine, a volte anche in tenerissima età.

Oppure vedere (e ascoltare) i concerti “casalinghi” che il violinista Daniel Hope (un cognome ben augurante, visto che in italiano significa “speranza”) ha organizzato durante il primo lockdown generale, permettendo a musicisti e spettatori di eseguire ed ascoltare alcuni capolavori della musica classica.

O, ancora, e non è affatto una proposta funerea come potrebbe apparire, un’escursione nel Cimitero del Pére Lachaise a Parigi, grazie a un documentario di 44 minuti diretto da Christophe d’Yvoir e Augustin Viatte, che ci portano in un viaggio al contempo geografico, botanico e storico, dato che in quel luogo sono innumerevoli le ultime dimore di personaggi illustri, da Gioachino Rossini a Georges Méliès, da Jim Morrison a Oscar Wilde.

Ma tutto il palinsesto, rinnovato di settimana in settimana, di ARTE merita di essere seguito, visto e utilizzato. È uno dei migliori esempi di servizio pubblico che l’Europa ci offe.

Maturità 2020, parlano i professori! (ultima parte)

in Scuola by
Come sarà la maturità 2020 a causa dell’emergenza coronavirus? Oggi ne parliamo con la professoressa Francesca Maggi.

Dopo questo lungo periodo di didattica a distanza sono state ufficializzate le regole e le modalità per la nuova maturità 2020.

Quali sono le novità? L’ordinanza ministeriale ci dice innanzitutto che tutti gli studenti che hanno frequentato l’ultimo anno della secondaria di II grado saranno ammessi alla prova, e che il loro voto di ammissione sarà valutato dal consiglio di classe. Tra le grandi novità ci sono anche il valore dei crediti degli ultimi tre anni, che sarà in totale di 60 punti (18 per il terzo anno, 20 per il quarto, 22 per il quinto), e soprattutto la presenza di una sola prova orale, che sostituisce gli scritti e varrà fino a un massimo di 40 punti.

Per scoprire più da vicino come gli studenti – e i professori – si preparano a questa “notte prima degli esami” veramente sui generis. Abbiamo pensato di porre delle domande ad alcuni insegnanti provenienti da diverse regioni d’Italia.

Dopo le precedenti interviste , oggi è con noi la professoressa Francesca Maggi, che insegna italiano e latino presso il Liceo Classico “Carducci Ricasoli” di Grosseto.

Benvenuta. Come avete vissuto, lei e i suoi studenti, questo momento in attesa di conoscere le modalità della nuova maturità 2020?

Sono molto felice di partecipare a questa iniziativa, che può essere uno stimolo alla riflessione e alla condivisione per chi, studenti e insegnanti, da marzo (anzi, alcuni già da febbraio) si è trovato da un giorno all’altro a reinventarsi da casa la propria attività.

La frequenza dei cambiamenti a cui è stato sottoposto l’Esame di Stato ci aveva già preparato emotivamente a eventuali aggiustamenti in itinere, ma nessuno si sarebbe aspettato una situazione tanto complessa.

Noi in Toscana ci troviamo a casa dal 6 marzo e all’inizio non potevamo sapere che la situazione si sarebbe protratta così tanto nel tempo da far addirittura saltare l’Esame di Stato. Almeno così come è sempre stato nella prassi consolidata (prove scritte e prova orale).

Con la mia classe quinta ci siamo impegnati nella prosecuzione del programma, nella consapevolezza che questa sarebbe stata una certezza. Cercando di non concentrarci sull’incognita di quei mutamenti che non avevamo preventivato e che, giorno dopo giorno, abbiamo capito che sarebbero stati necessari.

Ovviamente la fase iniziale è stata più difficile, perché sia gli studenti che gli insegnanti hanno dovuto prendere dimestichezza con la piattaforma digitale per la DaD. Gli studenti e i docenti del nostro Paese sono stati e continuano ad essere degli eroi, dei pionieri, perché nessuno era stato preparato ad uno scenario di questo genere.

Per fortuna la mia scuola in pochi giorni ha messo tutti in condizione di lavorare e già dalla metà di marzo abbiamo attivato le lezioni. Anche se con qualche difficoltà dei singoli, legata alla connessione e/o all’uso dei programmi.

Quest’anno sono state eliminate le prove scritte a favore di un’unica prova orale. Come stanno vivendo gli studenti questo cambiamento?

Già, le prove scritte. A settembre avevamo cominciato a lavorare nell’ottica di preparare gli studenti alle novità degli scritti introdotte dal Nuovo Esame di Stato e questa preoccupazione comunque ci bastava: pur avendo iniziato dallo scorso anno, in quarta, a lavorare in quella direzione, sia per Italiano che per la seconda prova (che per noi quest’anno prevedeva Latino con Greco), contavamo di approfondire la questione, per affinare le nuove competenze richieste.

Non sto a ricordare quanto fosse complesso coniugare la necessità di dare lo spazio necessario allo scritto con quella – atavica – di portare il più avanti possibile nel Novecento il programma di letteratura. Perciò è naturale che la notizia dell’abolizione delle prove scritte ci abbia colto alla sprovvista, ma con il passare del tempo questa probabilità cominciava a farsi strada: durante le videolezioni avevamo iniziato anche a immaginarci che qualcosa di simile potesse verificarsi.

Certo, però, vederlo scritto nero su bianco nella Circolare Ministeriale ci ha comunque creato un’ansia iniziale, perché ha tolto delle certezze, a tutti: a noi docenti, ma anche ai ragazzi, convinti che l’Esame di Stato scritto/orale sarebbe esistito per sempre, come il campionato di calcio e le spiagge affollate.

Come pensa di sostenere gli studenti nella prova che devono sostenere, dopo un lavoro incentrato in gran parte sugli scritti fino all’arrivo dell’emergenza?

La prova orale dovrebbe essere suddivisa in cinque parti, come da poco si sta delineando, e una di queste sarà l’analisi di un testo letterario conosciuto. Immagino che la prova avrà bisogno di ulteriori precisazioni (e spero che giungano presto, visto che manca ormai poco più di un mese al 17 giugno, data stabilita per l’inizio delle operazioni).

Devo ammettere che da sempre mi sono concentrata moltissimo sulla preparazione dello scritto, come penso tutti i miei colleghi, tanto che i miei studenti si sono sentiti ripetere milioni di volte: «Cercate di lavorare bene per gli scritti, che sono la parte più importante».

Quindi ho lavorato sempre molto sull’analisi del testo letterario, come pratica quotidiana in classe, visto che è ciò che si richiede normalmente durante l’interrogazione. Anche le nuove tipologie testuali presentate lo scorso anno hanno chiesto per lo più agli studenti di partire da un’analisi del testo, che fosse letterario o meno.

Tutto questo per dire che in fondo la prova orale di quest’anno richiederà di analizzare un testo scelto dalla commissione sulla base del programma. Quindi, tutto sommato, penso che i miei studenti, se proseguiranno con l’impegno che stanno dimostrando, non saranno preoccupati più di tanto dal quesito di Italiano.

Credo che, più degli altri anni, cercherò di insistere sulle competenze analitiche, oltre che sulle conoscenze, senza troppe ansie relative al programma.

Tra le novità 2020, c’è una maggiore importanza data all’andamento degli ultimi tre anni di ogni studente. Come hanno accolto i suoi studenti la notizia?

Ben 60 punti su 100 potranno arrivare dal curriculum del triennio, mentre 40 punti saranno riservati alla prova d’Esame: io credo che questa sia, alla fine, una buona notizia, una forma di garanzia del lavoro che i ragazzi hanno svolto.

In tanta incertezza, almeno questo concorre a rassicurarli, a far sentire loro che la parte fondamentale del lavoro richiesto l’hanno già portata a termine. Da quello che posso percepire “a distanza”, quando al mattino ci colleghiamo, e da quello che leggo negli esercizi di analisi che mi inviano, l’impegno, anche da parte dei più fragili, sta crescendo: questo non può che significare la presa di coscienza da parte loro di aver imboccato la strada giusta.

Talvolta mi soffermo con qualche domanda mirata, per capire a che punto si trovano le loro certezze. E, tutto considerato, credo che stiano reagendo nel modo giusto. Indubbiamente anche la Commissione tutta interna contribuisce non poco a far affrontare loro la circostanza con più tranquillità.

Maturità 2020, parlano i professori! (2° parte)

in Scuola by
Come sarà la maturità 2020 a causa dell’emergenza coronavirus? Oggi ne parliamo con il professor Marco Briziarelli.

Dopo questo lungo periodo di didattica a distanza, che ha cambiato il modo di fare scuola di ogni ordine e grado, sono state ufficializzate le regole e le modalità per la nuova maturità 2020.

Quali sono le novità di questa maturità 2020? L’ordinanza ministeriale ci dice innanzitutto che tutti gli studenti che hanno frequentato l’ultimo anno della secondaria di II grado saranno ammessi alla prova. E che il loro voto di ammissione sarà valutato dal consiglio di classe. Tra le grandi novità ci sono anche il valore dei crediti degli ultimi tre anni, che sarà in totale di 60 punti (18 per il terzo anno, 20 per il quarto, 22 per il quinto). E soprattutto la presenza di una sola prova orale, che sostituisce gli scritti e varrà fino a un massimo di 40 punti.

Per scoprire più da vicino come gli studenti – e i professori – si preparano a questa “notte prima degli esami” veramente sui generis, abbiamo pensato di porre delle domande ad alcuni insegnanti provenienti da diverse regioni diverse d’Italia. Dopo la prima intervista a una professoressa di Padova, oggi è con noi il professor Marco Briziarelli, che insegna italiano e latino presso il Liceo Scientifico “Jacopone da Todi” di Todi, Perugia.

Benvenuto. Come avete vissuto, lei e i suoi studenti, questo momento in attesa di conoscere le modalità della nuova maturità 2020?

Premesso che ho sempre cercato di comunicare nelle mie classi l’idea che a contare davvero è la qualità del percorso scolastico svolto, la crescita culturale e umana, i miei studenti vivono con comprensibile apprensione la maturità, in quanto esperienza per loro nuova e conclusiva di un ciclo di studi e di vita decisivo nella propria formazione. A ciò si aggiunge il fatto che quest’anno, con la sospensione dell’attività didattica e l’attivazione della didattica a distanza, è stato annunciato che le modalità della nuova maturità sarebbero mutate.

Ma come? E, soprattutto, quando le avremmo conosciuto nel dettaglio? Per quanto mi riguarda ho vissuto con relativa tranquillità e pazienza questa fase di attesa e incertezza, nella convinzione che non sarebbe stato semplice riconfigurare nel dettaglio l’Esame di Stato.

Nello stesso tempo, ho dialogato con gli studenti per rassicurarli, rafforzare la loro autostima e sollecitarli a convivere non drammaticamente con le incognite del caso, in presenza anche di incognite assai più rilevanti imposte alla nostra esistenza dal propagarsi o dal persistere di una pandemia dalla portata storica. Credo di essere riuscito, almeno in parte, in questa operazione distensiva anche se numerose sono state le domande degli studenti, le ipotesi, le richieste di chiarimenti che mi hanno rivolto nel corso dei giorni.

Hanno manifestato segni di disorientamento, perplessità, ansia, mantenendo sempre un atteggiamento costruttivo e cercando in molti casi di prefigurare scenari in modo da poter indirizzare il loro lavoro coerentemente con una prova che sarebbe stata verosimilmente più orientata a sondare la produzione orale che quella scritta.

Quest’anno sono state eliminate le prove scritte a favore di un’unica prova orale. Come stanno vivendo gli studenti questo cambiamento?

Gli studenti hanno accolto in modo diversificato questo cambiamento. C’è stato chi, più fragile nella produzione scritta, si è sentito maggiormente garantito da un esame che le escludeva.

C’è stato poi chi, abituato a confrontarsi con entusiasmo e successo con le prove scritte, ha vissuto questa scelta come una sottrazione. Il venir meno di una occasione per dimostrare le proprie capacità.

Capisco comunque il senso di sollievo di molti studenti in quanto, oggettivamente, le prove scritte della maturità presentano una complessità che, troppo spesso, non tiene conto di quanto tempo in più noi docenti avremmo bisogno per preparare in modo più sicuro e solido i nostri alunni a queste prove.

Come pensa di sostenere gli studenti nella nuova prova, dopo un lavoro incentrato in gran parte sugli scritti?

C’è un lavoro di sostegno psicologico che occorre fare sempre e comunque in vista di una prova d’esame, ma occorre anche convincere i ragazzi che l’esame non è il cuore della scuola.

D’altra parte, vista la nuova configurazione della prova di maturità, il grande sforzo che cerco quotidianamente di compiere, e che caratterizza comunque da sempre la mia didattica, è quello di stimolare gli studenti a parlare, a interagire, a confrontarsi continuamente in modo reciproco e con l’insegnante. Se questo però risulta efficace a scuola, non sta accadendo lo stesso con le videolezioni. Per problemi di connessione, di dispostivi o di “allentamento” della socialità, gli studenti tendono a essere più “spenti” e meno pronti a confrontarsi verbalmente. Ho notato questa tendenza anche in alunni che in presenza risultavano particolarmente brillanti nell’interazione orale.

Vivo questa difficoltà con molta pena. Ritengo che la vivacità e l’intelligenza dell’interazione orale siano tra le più grandi gioie e soddisfazioni che la scuola possa offrire a insegnanti e studenti. D’altra parte questo affievolimento della parola è forse conseguenza diretta dell’isolamento e del distanziamento prodotto dal Coronavirus. Intendo tuttavia continuare a stimolare i miei studenti, a organizzare verbalmente i loro pensieri, a parlare e a interagire. Penso anche che alcune indicazioni arrivate dal Ministero possano essere d’aiuto.

Un consiglio che ho più volte dato ai miei alunni è stato quello di dedicare del tempo a informarsi in modo approfondito sulla pandemia e a riflettere sulle sue implicazioni storiche, sociali, psicologiche. Operando connessioni con quanto hanno studiato e con i grandi temi di Cittadinanza e Costituzione con i quali dovranno confrontarsi all’esame.

Tra le novità 2020, c’è una maggiore importanza data all’andamento degli ultimi tre anni di ogni studente. Come hanno accolto i suoi studenti la notizia?

Gli studenti hanno molto apprezzato questa scelta. A loro giudizio, una valutazione che tenga maggiormente conto di un impegno pluriennale restituisce meglio la qualità e il profilo di ciascuno di loro. Un peso troppo rilevante dato alla prova di esame, in presenza di eventuali “cedimenti” o difficoltà psicologiche connesse alla situazione. Rischierebbe infatti di portare a una sottovalutazione degli studenti stessi.

A mio avviso, il problema può anche essere inverso, cioè quello che studenti che non hanno brillato per impegno nel corso degli anni siano troppo favoriti da un esame che, per forza di cose circoscritto, sonda solo parzialmente le loro competenze e, magari, premia alunni che hanno mostrato di conoscere gli argomenti oggetto di prova ma che non conoscono la maggior parte di quelli affrontati nel corso degli anni.

Alcuni studenti hanno anche apertamente manifestato l’auspicio che, d’ora in avanti, per le maturità degli anni successivi, venga confermata la scelta di dare maggior peso al percorso triennale piuttosto che all’esame di maturità.

Grazie e… buona maturità!

Crediti foto copertina: dcJohn

Come cambia – e come cambierà – la didattica (2° parte)

in Approcci Educativi/Scuola by
Continua la tavola rotonda on-line per capire com’è cambiata e come cambierà la didattica.

Dopo il precedente articolo, per fare il punto sull’emergenza che sta vivendo la scuola italiana a causa del Covid-19, continuiamo a parlare di didattica a distanza. Lo facciamo con tre docenti della scuola secondaria di II grado provenienti da diverse regioni: il professor Francesco Bardelli, dell’Istituto Superiore “San Pellegrino” di San Pellegrino (BG); la professoressa Alessandra Giunta del Liceo Artistico del Polo Bianciardi di Grosseto; la professoressa Maria Cristina Scala del Liceo scientifico “A. Labriola” di Napoli.

Ben ritrovati! Subito per voi una domanda che interessa molti studenti della secondaria di II grado. Giugno è da sempre tempo di esami. Il Ministro Azzolina ha da poco confermato che l’esame di maturità avrà inizio il 17 giugno. Si svolgerà in classe, con un’unica prova d’esame, l’orale, che rispetto al solito varrà al massimo fino a 40 punti. Come pensate che gli studenti affronteranno l’esame di maturità?

Francesco Bardelli: Sì, il Ministro Azzolina ha appena scelto le modalità di svolgimento dell’esame, che sarà caratterizzato da un’unica prova orale in presenza. È interessante notare che i risultati degli ultimi tre anni varranno fino a 60 punti e che sarà lo studente a scegliere di che cosa parlare.

Alessandra Giunta: Sono favorevole alla scelta del Ministro, con un unico esame orale davanti a una commissione formata da sei commissari interni e un presidente esterno. Naturalmente dovranno essere garantite le norme sul distanziamento sociale e sull’utilizzo dei dispositivi di sicurezza che dovranno essere scrupolosamente osservate da docenti e discenti. Di sicuro l’esame in presenza è la soluzione migliore al fine di conseguire un’adeguata e corretta valutazione degli studenti . Per via telematica si sarebbe rivelata difficoltosa e poco attendibile. 

Maria Cristina Scala: Gli studenti affronteranno l’unica prova dell’esame di maturità con serietà, perché consapevoli degli sforzi fatti dall’amministrazione e soprattutto dai loro insegnanti per mantenere il contatto con loro e proseguire lo svolgimento delle programmazioni didattiche.

Pur in attesa di conoscere le modalità di riapertura delle scuole a settembre, proviamo a tirare una prima valutazione: come ne esce, secondo voi, il valore dell’insegnamento ex cathedra da questa esperienza?

Francesco Bardelli: Per quanto mi riguarda, l’insegnamento ex cathedra non è paragonabile con l’insegnamento a distanza. Quello dal vivo è cento volte più efficace e funzionale, mentre quello a distanza può andar bene solo in casi di emergenza.

Alessandra Giunta: La didattica in presenza rimane comunque la forma migliore per stabilire un proficuo rapporto di comunicazione con gli studenti. Non considero il mio un insegnamento ex cathedra (né ritengo che debba avere in generale questa connotazione). Perché rifiuto un impianto scolastico verticale basato su un flusso monodirezionale di nozioni ricevute dall’alto. Penso che la didattica tradizionale non possa mai essere sostituita perché solo in questo caso può essere garantita appieno la triplice funzione comunicativa, propositiva ed educativa del docente. Inoltre concordo con chi sostiene che un utilizzo assiduo dei mezzi di comunicazione telematica possa risultare nocivo alla salute oltre che alienante.

Maria Cristina Scala: L’insegnamento ex cathedra si era già dimostrato fallimentare. È con la circolazione delle conoscenze e delle emozioni che si sviluppano la ricerca conoscitiva e lo sviluppo delle competenze.

Grazie per aver partecipato a questo dibattito on-line. Con la speranza che gli insegnanti e i loro studenti possano tornare quanto prima nelle aule di una scuola.

Liberiamo le opere d’arte!

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Insieme a Marianna Balducci, partiamo alla scoperta di un gioco educativo divertente e stimolante per liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo.

Ecco un gioco educativo divertente e stimolante per liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo!

Sono sempre stata convinta del fatto che la fantasia sia un potente meccanismo sovversivo (e l’ho raccontato anche in un altro articolo) e che le rivoluzioni sono fatte per scombinare, ricomporre e restituirci una nuova prospettiva sulle cose.

Le rivoluzioni che si scatenano in terre di Fantastica (per chiamarla come l’avrebbe chiamata Rodari) ci danno il coraggio di essere anche un po’ insolenti perché, per giocare come si deve e inventare cose nuove, dobbiamo sfrondare un po’ di “politicamente corretto” e osare.

C’è un’altra importantissima cosa di cui sono convinta: le rivoluzioni, anche quelle piccole e buffe che vi propongo di solito qui mixando disegni e fotografie, vanno fatte con criterio e con amore perché solo se conosciamo e vogliamo bene a qualcosa possiamo metterci le mani dentro e ribaltarla continuando a rispettarla.

Ed è con queste premesse che ci prenderemo il permesso di liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo!

Ci hanno spesso educato a concepire l’arte come qualcosa di distante e altisonante, circondata da cornici preziose, congelata sulle pareti dei musei e protetta da allarmi e cordoni. Ma l’arte dovrebbe essere qualcosa di quotidiano, tanto quanto lo sono i giochi con cui ci intratteniamo a casa e, perché no, ogni tanto potrebbe funzionare proprio come quei giochi. Ma come?

Il la ce lo danno i grandi musei che in tempi recenti stanno sempre più creando ricchissimi archivi digitali con risorse libere per essere riutilizzate.

Sono le riproduzioni di alcune delle opere d’arte che custodiscono, catalogate per tipologia, autore, epoca… e fruibili attraverso sezioni apposite dei siti istituzionali.

Insomma, un vero e proprio museo virtuale da navigare in libertà e scegliendo il percorso che ci pare! Noi sceglieremo quelli che ci portano verso nuove storie da inventare e io ve ne suggerisco un paio.

Il primo: una storia dai contorni inaspettati!

Partiamo, per esempio, scegliendo l’archivio del MET (la sezione di contenuti liberi per il riutilizzo), dove ho trovato i due personaggi che compongono la mia nuova “opera d’arte”. Li ho stampati, ritagliati e usati come elementi protagonisti di un collage che, nelle sue parti mancanti, ho completato con il disegno.

Il disegno traccia i contorni interrotti delle parti di dipinto che ho scelto e arreda il resto della scena in base al tipo di storia che ho deciso di inventare.

In questo caso, la signora non sembra molto contenta del suonatore… sta facendo tanto di quel chiasso con il suo chitarrino elettrico che forse staccare la spina le consentirà di trascorrere il resto del pomeriggio in pace!

I due dipinti si sono trasformati in due attori: posizionati sulla scena nel modo più opportuno, ho dato loro una nuova funzione narrativa.

Potete scegliere di combinare due o più personaggi oppure un personaggio e un oggetto. Potete stamparne tanti e pescare a caso per rendere ancora più difficile la sfida. 

Se siete insegnanti, potete creare voi i mix di elementi e distribuirli (anche via mail) alla vostra classe per vedere quali storie inventeranno: teste mozzate, vasi con misteriosi fantasmi, corpi bislacchi, storie d’amore o di avventura…

Non ci sono limiti, basta che il disegno si accompagni a una breve storia perché ogni opera d’arte che si rispetti, nei libri come nei musei, ha una sua didascalia.


Per chi ha più manualità e non ha paura di invadere i confini, invece, c’è la seconda via, quella delle pittoresche interferenze! Stavolta, invece di fare un collage, prenderemo una sola opera tutta intera (a me piace sempre partire dai ritratti) e ci disegneremo sopra.

Potete usare dei pennarelli acrilici (ce ne sono anche a punta fine) che scrivono facilmente anche sulla carta più leggera senza bagnarla troppo.

Questa volta forse dovremo disegnare meno, ma sarà fondamentale scegliere dove e cosa perché quei pochi elementi potranno cambiare completamente la vita del personaggio e il suo destino!

Prima di disegnare, guardate bene quali sono gli spazi vuoti del dipinto che avete scelto: dietro ai vetri di una finestra, alle spalle del soggetto o tra le sue mani.

Il disegno sarà un’interferenza nell’opera d’arte originale, ma dovrà essere credibile e, ancora una volta, suggerirci una nuova storia.

Come dite? Quei ritratti hanno qualcosa di strano? Beh, forse… e confesso che ogni tanto mi diverto anche a inserire me stessa o i miei amici in questo gioco. Qui, per esempio, ci sono alcuni scrittori di libri per ragazzi e poi ci sono io. Mi riconoscete?

Per vedere quanti altri archivi online esistono, provate a navigare gli articoli della rubrica “Tesori d’archivio” di FrizziFrizzi.

Ci troverete segnalati tanti repertori interessanti!

Lezioni di scienze a distanza, seconda parte

in Approcci Educativi/Attività di classe/STEM ed Esperienze digitali by

Impariamo a osservare: due lezioni di scienze raccontate da Erica Angelini, ai tempi della didattica a distanza.

Dopo il precedente articolo torniamo a parlare di una didattica a distanza capace non solo di essere un mero passaggio di sapere, tra insegnante e alunni, ma di creare curiosità e rendere autonomi gli alunni nello studio. Un modo per accompagnare i bambini e i ragazzi verso la “scoperta”.

Come avvenuto per la precedente attività, Osservare e disegnare, anche questo nuovo laboratorio può essere proposto dagli insegnanti, realizzato in autonomia dai bambini, infine condiviso con tutti; ma anche realizzato dai più piccoli insieme ai genitori.

Lo spunto di partenza, anche in questo caso, è stata la video lettura de I Bestiolini, di Gek Tessaro, realizzata dai lettori volontari del Ròdari club. Si comincia dunque dall’osservazione che, come ripeto sempre nei miei laboratori, è il primo passo per imparare a disegnare.

Tanti insetti, tante forme

Questa attività ci aiuta e studiare gli insetti attraverso le loro forme. Per realizzarlo, ho preparato un file con delle carte da stampare (ed eventualmente, se possibile, da plastificare) che si può scaricare cliccando qui o stampando l’immagine sotto.

Ho chiesto poi alle bambine, M di 8 anni e B di 5, di aiutarmi a raccogliere nel giardino vari tipi di materiali naturali come: bastoncini, semi, sassolini, pagliuzze, foglie… e abbiamo sistemato i materiali in modo ordinato.

A questo punto ho chiesto di scegliere una carta e di ricostruire l’insetto usando i materiali raccolti.

Ed ecco il risultato:

Sia questa attività sia quella proposta nel precedente articolo, sono adatte a diverse età, cambia solo il modo di approcciarsi:

– Se proposte ai bambini della scuola dell’infanzia, sarà un gioco che attraverso osservazione, disegno e lavoro sulle forme li aiuterà a prendere coscienza di come sono fatti gli insetti.

Se proposte ai bambini della scuola primaria, possono essere di supporto alla lezione di Scienze, coinvolgendo però anche Arte e immagine e Italiano, se si aggiunge una descrizione scritta dell’insetto.
Le stesse attività possono essere proposte anche nella scuola secondaria di primo grado richiedendo naturalmente un impegno diverso nelle consegne. Come sempre… buon lavoro a tutti!

La scuola (primaria) ai tempi del Coronavirus 3° parte

in Approcci Educativi by
Tre maestre, tre scuole diverse, per scoprire come le classi stanno vivendo la didattica a distanza in queste settimane di emergenza per il Coronavirus.

Si conclude la tavola rotonda che abbiamo realizzato con la maestra Carla Caiafa (dell’Istituto Comprensivo Le Cure), la maestra Francesca Liberati (delle Scuole Pie Fiorentine) e la maestra Elena Bini (dell’Istituto Comprensivo Pieraccini). Un’intervista a tre voci in cui ci hanno raccontato la loro esperienza di insegnanti “a distanza” ai tempi del Coronavirus.

Abbiamo già parlato di didattica a distanza e strumenti digitali. Adesso però, facciamo finta che non ci possa ascoltare nessuno… Come pensate che i vostri alunni debbano trascorrere queste giornate durante l’emergenza Coronavirus?

Maestra Carla: Credo che i bambini debbano impegnarsi quotidianamente a fare qualcosa di utile e produttivo, per mantenere il cervello attivo. Quindi, eseguire le consegne delle maestre, ascoltare i genitori e non arrabbiarsi, perché in casa bisogna mantenere un clima sereno e pacifico, per convivere al meglio. Non dimentichiamolo: il nemico è fuori!

Maestra Francesca: Una volta tanto i bambini dovrebbero vivere senza che il loro tempo sia troppo strutturato. Lasciamoli annoiare anche un po’ e vivere questo momento con la famiglia. Compiti? Pochi! Non credo molto nella didattica a distanza per i bambini della primaria. Ci sarebbero moltissime cose da dire su questo argomento.

Maestra Elena: La noia è uno strumento incredibile per far nascere nei più piccoli la creatività, affina il loro ingegno. Inoltre è molto importante per loro rimanere aggiornati, ascoltare tv e leggere qualche articolo semplice. Ma in qualunque momento dovranno sempre sentire il “calore” e la comprensione emotiva dei loro insegnanti, peculiarità che da sempre caratterizzano la nostra professione, perché solo così potranno far fronte alle difficoltà di questo terribile momento.

Per concludere, un’ultima domanda. Quando l’emergenza finirà – ma non le paure e gli interrogativi – come parlerete ai vostri alunni di quello che è successo?

Maestra Carla: Li farò semplicemente parlare, cercando di rispondere a ogni domanda con serenità ed esattezza. I bambini sono bravi a metabolizzare, basta che ne abbiano la possibilità, guidandoli senza condizionarli. Ai miei alunni di prima chiederò di scrivere un pensiero al giorno su un album, una sorta di diario, e poi di disegnare ciò che verrà fuori da un dibattito guidato. Vorrei che questo gesto quotidiano desse loro, gradualmente, modo di esternare le paure. Spiegherò l’accaduto con l’ausilio di video didattici, con letture sulla paura e il coraggio. Poi racconterò delle mie paure e dei miei interrogativi, chiedendo il loro aiuto. Insomma, ci aiuteremo a vicenda! Solo così ci riapproprieremo della nostra vita scolastica. Tutto finirà presto e io sono pronta, con tante idee e voglia di ricominciare.

Maestra Francesca: Ne parleremo in classe. I bambini racconteranno come hanno vissuto questi giorni. Sicuramente la conversazione seguirà le loro necessità. Sarà importantissimo rispondere alle loro domande e parlare di questo argomento ricordandosi però che sono bambini e che fortunatamente la loro visione della situazione non è – e non è stata – quella di noi adulti.

Maestra Elena: Quando tutto sarà finalmente passato, credo che i bambini saranno più maturi e vaccinati, così come i loro genitori, che forse avranno avuto l’occasione di conoscere qualche aspetto in più dei loro figli. A volte i tanti impegni ci stordiscono e non ci permettono di prendere veramente coscienza della nostra vita. Parleremo insieme di questi difficili giorni e sarà un vissuto vero che, credo, cementificherà meglio gli apprendimenti e le vicende future.

Ringraziamo le maestre Carla, Francesca ed Elena per la disponibilità e la sincerità, ma soprattutto per il grande impegno con cui affrontano giorno dopo giorno il loro lavoro. Anche a distanza!

La scuola (primaria) ai tempi del COVID-19 – 2° parte

in Approcci Educativi/Scuola by
Tre maestre, tre scuole diverse, per scoprire come le classi stanno vivendo la didattica a distanza in queste settimane di emergenza COVID-19.

Dopo il precedente articolo, torniamo a parlare con la maestra Carla Caiafa (dell’Istituto Comprensivo Le Cure), la maestra Francesca Liberati (delle Scuole Pie Fiorentine) e la maestra Elena Bini (dell’Istituto Comprensivo Pieraccini). Insieme ci raccontano, in questa intervista a 3 voci, la loro esperienza di insegnanti “a distanza” in queste settimane di emergenza da COVID-19.

Subito una domanda difficile. Vi preoccupa di più la sospensione temporanea della didattica o il fatto che, in questa situazione, possano perdersi un po’ quelle consuetudini e quei legami che giorno dopo giorno avete fatto crescere nelle vostre classi?

Maestra Carla: Sono preoccupata un po’ per tutti e due gli aspetti. La sospensione sarà piuttosto lunga e non è possibile in questa situazione seguire un ritmo “normale”. Questo può essere destabilizzante per i bambini. Inevitabilmente si perde anche la quotidianità.

Mi riferisco a quelle conquiste fatte giorno dopo giorno, con grande fatica e impegno, da parte di alunni e maestre. Penso soprattutto al lento lavoro d’inserimento che ho svolto all’inizio dell’anno nella mia classe prima!

Maestra Francesca: Sarò sincera, non sono molto preoccupata per la didattica. I bambini hanno ottime risorse e sicuramente recupereremo il tempo, che non considero perso, ma diverso. Credo invece che questo possa essere un periodo molto prezioso per le famiglie: è possibile stare insieme con ritmi ridotti, organizzare giochi, leggere.

Credo anche che i legami che abbiamo costruito in questi anni non si perderanno per uno o due mesi trascorsi a casa. Questo momento difficilissimo per tutti noi, se lo vogliamo, può trasformarsi anche in qualcosa di positivo per i bambini e le famiglie. Noi maestri faremo poi il punto della situazione quando torneremo a scuola.

Maestra Elena: Credo che, seppur terribile, questo momento sarà stimolante per riscoprire la noia tanto vituperata quanto importante per stimolare la creatività. Non sono preoccupata dal fatto che i programmi scolastici possano rimanere un po’ “indietro”, credo che i bambini sapranno riconvertire questo disagio in una capacità di resilienza culturale personale e alternativa.

Inoltre, anche se perderemo qualcosa sotto l’aspetto della didattica, sicuramente i bambini impareranno la paura, la solidarietà, l’affetto, la forza e il sacrificio, tutti aspetti importanti che contribuiranno alla loro crescita e alla loro maturità.

Proviamo ad aiutare gli altri insegnanti e i genitori che ci stanno leggendo: quali consigli vi sentite di dare per trascorre il tempo?

Maestra Carla: Agli insegnanti dico di non scoraggiarsi, perché dobbiamo rimanere un punto di riferimento per i bambini e le famiglie. Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci alla prova con le nuove tecnologie, senza timori.

Calibriamo i compiti, senza sovraccaricare i genitori! Usiamo le piattaforme on-line per assegnare laboratori d’arte, suggeriamo libri e video-letture. Ai genitori, invece, dico di usare questi momenti per stare con i figli.

Aiutiamoli nei compiti e giochiamo con loro, facciamo puzzle, giochi da tavolo, costruzioni, ascoltiamo musica, balliamo, guardiamo foto e video di quando erano piccoli.

Il suggerimento più importante, però, è mettersi sul divano con loro e leggere una favola al giorno; e leggiamo anche noi, per dare il buon esempio! Consiglio anche di limitare tv e videogiochi, piuttosto fatevi aiutare in cucina, a fare biscotti, impastare la pizza, e date loro piccole mansioni come rifarsi il letto.

Maestra Francesca: Penso sia importante dare spazio alla costruzione di giochi manuali, lavori creativi, inventare giochi o fare giochi di ruolo con fratelli e genitori.

Molto importante è anche, secondo me, non imporre mai un libro ai bambini ma farglielo scegliere, cercando solo di indirizzarli in base ai loro gusti. Possono anche vedere dei video molto interessanti, come fiabe sonore, ma non solo!

Proprio qualche giorno fa ho chiesto ai miei bambini di guardarsi su YouTube Pierino e il lupo, con Abbado e Benigni, e di illustrare le scene descritte. Insomma, è l’occasione per scoprire tante belle cose, senza esagerare col computer però.

Maestra Elena: Il momento è difficile, tutti siamo emotivamente impreparati, credo quindi che non sia opportuno sobbarcare le famiglie con troppi compiti. È però l’occasione per fare e scoprire tante cose. Di certo la più importante è la lettura.

Ho detto agli alunni di leggere anche un quotidiano a settimana e di fare la sintesi di qualche articolo interessante o particolare.

Inoltre, ho consigliato loro di tenere un diario giornaliero in cui appuntare e descrivere ciò che vedono dalla finestra, le cose fatte, i libri letti, le emozioni vissute.

La nostra tavola rotonda on-line, con le insegnanti della primaria, continuerà e terminerà nel prossimo articolo.

credits: https://www.flickr.com/photos/chrisandjenni/
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/

Segni e disegni preistorici: l’arte rupestre nelle nostre mani

in Attività di classe by
Con Erica Angelini, scopriamo come realizzare un laboratorio dedicato all’arte rupestre per le scuole con le nostre mani.

Raccontare la storia dell’uomo è anche raccontare la storia della sua arte perché, in fin dei conti da quando l’uomo è uomo, ha sempre sentito la necessità di tirare fuori da sé i suoi pensieri e le sue emozioni. Nel libro L’idea vien parlando, breve viaggio alle sorgenti della parola, l’autrice L. Del Tutto Palma descrive la preistoria dell’uomo come un lunghissimo percorso durante il quale si succedono tappe evolutive che trasformano l’uomo “scimmiesco” (già “geneticamente” uomo) nell’uomo abile e pensante. La tappa più importante di questo percorso è senz’altro l’acquisizione della postura eretta che, oltre a preparare lo spazio per un encefalo più grande (la postura eretta modifica la posizione del cranio) e a permettere l’allungamento della laringe (organo addetto alla fonazione), fa sì che l’uomo si trovi con due mani libere. Cosa farne?

Penso a quando seduta nel prato le mie mani non riescono a stare ferme, così strappo un filo d’erba e lo intreccio, lo arrotolo… poi prendo un bastoncino, lo rompo in tanti pezzettini, lo infilo nella terra e lo intreccio con i fili d’erba. Mi rendo conto che le mani ferme non riescono a stare e immagino l’uomo-scimmia che nei lunghi inverni passa il tempo a giocherellare con quello che trova: pietre, fango, bastoncini, rami e foglie.

Le mani diventano veicolo di conoscenza e dialogano direttamente con il cervello che a sua volta, incuriosito dall’esperienza, richiede alle mani nuove sperimentazioni.

Mi piace pensare che questo dialogo fra mani e cervello (e questa conoscenza dovuta alla sperimentazione tattile) si possa attuare anche a scuola attraverso una didattica esperienziale.

Una didattica che insegni attraverso il fare ma anche attraverso la meraviglia della scoperta. Che gusto c’è infatti se ai bambini spieghiamo tutto noi? Dove sono il bello della scoperta e la curiosità di capire come va a finire o come ci si arriva? È come proporre a qualcuno di leggere un libro raccontandogli noi il finale! Se so come va a finire, non c’è più gusto nel leggerlo.

Nel laboratorio sulla pittura rupestre cerco quindi di instillare curiosità e di nutrire le mani con un lavoro sperimentale sulla macinatura di ocra, gesso e carbone; dal nulla arriviamo a produrre un colore a dito denso e cremoso.

Prima di cominciare la parte sperimentale però consiglio la lettura di un racconto che trasporti i bambini indietro nel tempo con un linguaggio, appunto quello del racconto, affine alla loro età.

Il laboratorio sulla pittura rupestre è consigliato per le classi terze della scuola primaria.

A questa età i bambini sono ancora affascinati dalle storie e la dimensione del racconto (inteso come linguaggio narrativo che conoscono bene e di solito apprezzano) permette loro di scivolare, senza troppi pensieri, in un periodo storico molto lontano dal loro vissuto.

Per introdurre questo laboratorio ho scritto il racconto Segni, disegni e disguidi preistorici, che parla di come un linguaggio fatto solo di segni possa essere fonte di esilaranti incomprensioni amorose. Per raccontarlo ho costruito e dipinto un grande librone e davanti sono rappresentati i due personaggi principali: Ugo e Uga.

Animo la storia trasformandomi di volta in volta nella forte Uga e nel tenero Ugo.

Per chi volesse, come me, iniziare l’attività con una lettura, consiglio il libro di S. Bordiglioni Storie prima della storia, una raccolta di racconti di fantasia che parlano delle principali scoperte e invenzioni della preistoria.

Comincio la seconda parte facendo una panoramica storica dei vari tipi di pittura rupestre, il talento dell’uomo infatti non nasce maturo e possiamo trovare le prime tracce di graffi e incisioni su pareti calcaree o su ossa di animali. L’arte preistorica è influenzata da ciò che l’uomo vive nella sua quotidianità perciò le prime raffigurazioni vere e proprie parlano di caccia, animali, natura… Solo in periodi successivi, dopo la scoperta dell’agricoltura e l’abbandono del nomadismo, nelle raffigurazioni compaiono animali domestici, raffigurazioni di capanne e vita quotidiana.

Anche la tecnica si evolve con il tempo: le prime opere sono graffi su pietra morbida poi troviamo figure schizzate con tratti leggeri e con pochi colori e piuttosto statiche; le rappresentazioni si evolvono ancora nel corso del tempo e i disegni diventano sempre più colorati, sempre ricchi di dettagli che fanno intuire le parti anatomiche degli animali rappresentati e i loro movimenti. Anche gli strumenti aumentano e oltre a rocce appuntite, che permettono le prime sperimentazioni, vengono creati pennelli, cannucce per lo spruzzo, punte di roccia. Anche le mani diventano più abili.

Per chi volesse approfondire questo argomento, suggerisco di visitare il blog “Didatticarte” di Emanuela Pulvirenti.
Di cui abbiamo già parlato anche qui su Occhiovolante.

Dopo questo excursus provo di solito a chiedere ai bambini quali sono i primi esperimenti d’arte fatti da loro. Il percorso grafico dei bimbi in età prescolare assomiglia molto al percorso intrapreso dall’uomo preistorico: si comincia facendo degli scarabocchi, si prosegue provando a riprodurre le forme che ci circondano, poi si continua osservando meglio e provando a riprodurre i dettagli.

Ripercorriamo la “Storia” dell’uomo partendo dalla nostra storia personale e quotidiana, di cui i bambini hanno sicuramente esperienza, attiviamo così le loro conoscenze pregresse.

Utilizzare le conoscenze pregresse aiuta a fissare meglio i contenuti successivi, inoltre mi piace molto sentirli raccontare perché davvero i bambini sono molto competenti quando parlano delle cose che conoscono, perciò sarà un piacere sentirli raccontare dei propri fratelli minori o di sé quando erano piccoli!

A questo punto però facciamo lavorare le mani!

Per realizzare il laboratorio di pittura rupestre servono:

  • Pietre piatte, tipo selce, una per ciascun bambino
  • Pietre tonde, tipo ciottoli di fiume, uno per ciascun bambino
  • Ocra rossa, ocra gialla che si possono acquistare online
  • Carbonella; i bastoncini potranno essere macinati e usati anche come matite rudimentali
  • Argilla secca, reperibile sulle rive dei fiumi
  • Colla d’amido (per conoscere la ricetta)
  • Della carta da pacco bianca
  • Dei piattini o ciotole di recupero in cui mettere le polveri prodotte per preparare il colore
  • Un cucchiaio di plastica

Questa parte dell’attività potrebbe essere svolta in giardino o anche su un selciato. Divido la classe in piccoli gruppi da 4, 5 bambini ciascuno e ogni gruppo si siede a terra in cerchio. Al centro di ogni cerchio metto 3 o 4 (a seconda di quanti coloranti abbiamo) ciotole di recupero in cui i bambini metteranno le polveri una volta prodotte. I colori prodotti da ciascun bambino saranno poi usati per il lavoro di gruppo.

A questo punto faccio una dimostrazione pratica di come macinare: credo infatti che, soprattutto per le cose pratiche, “guardare è metà dell’imparare”. Cominciamo con l’ocra rossa: si prende la pietra piatta e il percussore (quella tonda), poi si appoggia sulla pietra piatta un po’ di ocra rossa e si comincia a strisciare con forza, senza battere; più la polvere sarà fine, più il colore sarà bello perché la polvere si scioglierà meglio nella colla d’amido. Una volta preparata la polvere la metto nel piattino o nella ciotola. Infine aggiungo la colla d’amido e mescolo con il dito fino a creare il colore.

Finita la dimostrazione consegno ai bambini le pietre (piatta e percussore), poi passo a dare i colori in modo che in ogni gruppo si produca la stessa quantità di rosso, giallo, nero e grigio. Man mano che i bimbi producono le polveri, le versano nelle ciotole; a quel punto passo io a mettere la colla.

Una volta preparati i colori raccolgo i sassi e metto al centro del cerchio la carta da pacchi chiedendo al gruppo di progettare la loro pittura rupestre; decideranno insieme se realizzare un lavoro di gruppo oppure se ogni bambino disegnerà quello che vuole nel foglio.

A volte questa è la parte più difficile del laboratorio.

I colori prodotti e mescolati con la colla d’amido sono reversibili, cioè una volta asciutti si possono reidratare con acqua e riutilizzare nei giorni successivi. La fantasia dei bambini è davvero infinita e sicuramente vi sorprenderanno con meravigliose pitture rupestri.

Arte e immagine a scuola: risvegliare creatività e curiosità

in Approcci Educativi/Arte, Musica e Spettacolo by
Claudia Ferraroli, pedagogista clinica, insegnante, autrice di libri e giochi per l’infanzia, ci racconta la sua esperienza in classe con le ore di arte e immagine.

Le ore dedicate ad arte ed immagine sono forse quelle maggiormente bistrattate dell’intero orario scolastico. Se non sono sostenute da una forte passione dell’insegnante finiscono per essere utilizzate per i cosiddetti lavoretti o per creare decorazioni a tema.

Nella peggiore delle ipotesi vengono assorbite da altre materie ritenute più importanti, tipo italiano. Il materiale a disposizione dell’insegnante e prodotto dai grandi editori della scolastica non aiuta di certo, soprattutto per i primi anni della scuola primaria.

Quest’anno ho deciso di impiegare le ore di arte ed immagine in una classe prima, per avvicinare i bambini ai grandi pittori moderni e contemporanei. Alle loro vite e opere, portando così gli alunni a guardare con i loro occhi pieni di stupore, meraviglia, curiosità e senza ancora troppe sovrastrutture.

Il programma ministeriale chiede che i bambini in prima apprendano i colori primari, secondari e terziari, nonché l’utilizzo dei principali mezzi. Perciò quale sistema migliore per arrivare al colore e al suo utilizzo se non attraverso quegli artisti che hanno fatto del colore la loro vita?

Ho iniziato da Vincent Van Gogh.

Per presentare questo pittore credo sia perfetta l’espressione di un mio piccolo alunno: “Ah! Quanto amava il giallo Vincent!”.Ho raccontato la vita del pittore come fosse una fiaba, non senza particolari macabri che ai bambini piacciono tanto. Abbiamo poi guardato e commentato liberamente le sue principali opere alla Lim, notando l’uso e la stesura del colore. Ho trovato sulla rete una serie di cartoni animati, trasmessi da Rai YoYo, proprio per avvicinare i bambini all’arte. Due personaggi che viaggiano nel tempo e hanno modo di incontrare Van Gogh e di seguirlo fino alla sua famosa cameretta. Il pittore mostra loro la sua tecnica e i protagonisti riproducono la tecnica acquisita nel loro atelier.

In classe infine ci cimentiamo con i “Girasoli”, “La Notte stellata” e la “Cameretta” di Van Gogh, usando pastelli, pennarelli, pastelli a cera, tempera. Ho trovato anche degli eccellenti albi illustrati sul pittore che guardiamo in classe. Una mamma mi ha riferito che il proprio figlio seienne ha riconosciuto due opere di Van Gogh nelle stampe appese all’interno di un bar, lasciando tutti gli astanti a bocca aperta. Che grande soddisfazione!

Siamo passati poi a Picasso.

Anche qui racconto della vita, visione delle opere alla Lim e cartone animato. In questo caso abbiamo usato i cubi logici, rendendo l’arte interdisciplinare, e abbiamo provato a comporre opere cubiste in gruppo. I cubi logici ci sono serviti poi per riprodurre le forme su cartoncino con i tre colori primari.

Andando a fare un lavoro di sagomatura e ritaglio molto utile per lo sviluppo della motricità fine, e con queste, creare delle opere cubiste su ispirazione picassiana.

Infine ho presentato “Guernica”, raccontando gli antefatti che hanno portato il pittore a dipingere questa enorme tela. Fotocopiata l’immagine dell’opera ne ho data una ciascuno e fatto scegliere uno degli elementi presenti, che dovevano riprodurre. Inevitabili commenti ed emozioni legate alle immagini. Ne è nato un collage comune su fondo nero che abbiamo appeso in bella mostra.

Altri pittori finora affrontati sono Kandisky e la sua pittura della musica attraverso le forme geometriche e i colori primari (abbiamo dipinto ascoltando il “Bolero” di Ravel e la “Carmen” di Bizet). Salvador Dalì con  i sogni surrealisti e gli orologi molli che abbiamo riprodotto con la creta.

Ma quello che ha forse maggiormente colpito il loro immaginario è stato Jackson Pollock.

Complice anche questo bellissimo video. Abbiamo cercato di riprodurre la tecnica attraverso dei vasetti di yogurt svuotati e bucati sul fondo, da cui la tempera mista ad acqua viene fatta sgocciolare su una grande cartoncino.

Per questo e altri lavori si è unito a noi anche un ragazzo disabile, che si muove solo con la carrozzina e la sua educatrice, dimostrando che l’arte è fortemente inclusiva. L’ora di arte ed immagine è un’ottima occasione per imparare a leggere le immagini, ascoltare storie, comprenderne la successione e collocarle nel tempo.

E ancora lavorare sulla percezione e l’orientamento spaziale, rafforzare la memoria visiva, esprimere le proprie emozioni, gestire le forme geometriche che sono alla base del disegno. Ma soprattutto rimane un momento magico ed importante per risvegliare creatività, talento, curiosità, stupore, gioia e passione. Ingredienti che non dovrebbero mai mancare in un bambino che si approccia alla scuola.

Grazie all’arte impariamo a guardare meglio, più da vicino e da prospettive diverse, facendoci domande. Picasso sosteneva inoltre che “l’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”.

Didatticarte: quattro modi per fare un tableau vivant

in Attività di classe by
Emanuela Pulvirenti spiega come realizzare tableau vivant (quadri viventi) in classe, anche senza fotomontaggi

“Come hai fatto a mettere gli alunni dentro il dipinto?” Questa è la domanda più frequente delle colleghe di storia dell’arte che vorrebbero ripetere l’esperienza dei tableau vivant. Ma, quando rispondo che sono elaborazioni digitali fatte con Photoshop, si scoraggiano e rinunciano all’esperimento. Tuttavia si possono fare benissimo anche senza programmi di fotomontaggio.

Anche perché, come ho ripetuto più volte, la valenza didattica del quadro vivente sta nell’attenzione che richiede allo studente nel momento in cui si confronta con l’opera d’arte, sta nel cogliere espressioni, dettagli, gesti.
Lo scopo non è quello, puramente artistico, di rifare in modo identico il quadro originale. Tant’è vero che lascio i ragazzi nei loro abiti quotidiani, con tanto di felpe, jeans e scarpette da ginnastica.

Con o senza Photoshop il risultato sarà sempre un’esperienza intensa e indimenticabile. Provare per credere!

Le modalità sono:
1 – Riprodurre una scultura

Credits: didatticarte.it

2 – Scegliere un’opera con lo sfondo uniforme

Credits: didatticarte.it

3 – Realizzare il fondale

La Gioconda Credits: didatticarte.it

4 – Attualizzare l’opera

Vermeer Credits: Didatticarte.it

Per leggere l’articolo completo: Quattro modi per fare i quadri viventi senza fotomontaggio
Credits testi e immagini: didatticarte.it

Didatticarte: cosa raccontano i colori dei dipinti?

in Attività di classe by
Dal blog di Emanuela Pulvirenti un interessante esercizio che parte dall’analisi della tavolozza usata da vari artisti. Le app utili, le risposte degli studenti.

Quanti artisti presentano una evoluzione cromatica importante? Durante un mio workshop all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ho pensato di proporre agli studenti di Didattica dell’arte proprio il tema della tavolozza d’artista. In pratica di analizzare l’opera d’arte concentrando l’attenzione sui colori utilizzati (ma tutti gli altri aspetti, ovviamente, vanno conosciuti, altrimenti i colori non ci racconteranno nulla).

Esistono molti modi per graficizzare i colori di un dipinto. Arthur Buxton, ad esempio, li ha raccolti in diagrammi a torta, ma sono molti anche i sistemi automatici di estrazione delle palette, con applicazioni online o per smartphone (Color Viewfinder, Color Palette FX o Canva, ad esempio)

Il “compito” dato agli studenti che avevano tre ore di tempo è stato un lavoro di gruppo da presentare alla fine del pomeriggio agli altri partecipanti:

Courtesy of Didatticarte

I gruppi sono riusciti a raccontare il percorso artistico di tanti pittori osservandone con attenzione la tavolozza e attribuendo a quei colori un senso di volta in volta, artistico, storico, concettuale, simbolico. l’esercizio ha stimolato l’osservazione. Dettagli, sfumature, sfondi. Nulla è passato inosservato nell’operazione di scandaglio su ogni pennellata del dipinto. Perché a guardare siamo tutti capaci, ma a vedere si impara.

Courtesy of Didatticarte

Per vedere l’articolo completo: Cosa raccontano i colori dei dipinti?
Testo e immagini courtesy of Didatticarte

Il destino e l’invenzione della scuola parte 2

in Scuola by
scuola
Dunque anche la scuola era un’idea dei Sissipole. Come poteva essere diversamente? La conclusione del racconto metafora della scuola di Renato Palma Keep Reading

La guerra delle buone maniere e le sfide della crescita parte II

in Affettività e Psicologia by
crescita bambini
Dopo le sfide in famiglia siamo arrivati all’asilo, e le cose non migliorano! Continua il racconto di Renato Palma sulla crescita visto dai bambini

Keep Reading

Costruiamo insieme un Progetto Lettura – Parte 3

in Attività di classe/Letture in classe by
Lettura esterno
Paola Zannoner ci aiuta a capire come grazie alla figura dell’insegnante lettore si possano spingere i ragazzi ad avvicinarsi alla lettura 

Keep Reading

Costruiamo insieme un Progetto Lettura – Parte 2

in Attività di classe/Letture in classe by
Continua la serie di Paola Zannoner dedicata alla realizzazione del progetto lettura. Delineiamo un piano, compiamo i primi passi con qualche consiglio

Keep Reading

Libri e arte contemporanea, uno strano connubio

in Zigzag in rete by
Jukhee Kwon distrugge vecchi libri per creare opere d’arte. Può sembrare una mostruosità per chi ama la lettura, ma l’intento è proprio quello di ridargli vita, trasformandoli in oggetti straordinari e, magari, avvicinare alla letteratura

Keep Reading

Ritmo in classe: nomi in concerto!

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Nomi per sillabare suonando: esempi di esercitazioni ritmiche da svolgersi in classe

I nomi  sillabati, eseguiti con battiti e strumenti, possono essere il punto di partenza per esercitazioni ritmiche da svolgersi in classe. Fare pratica di discriminazione sonora utilizzando i nomi è per i bambini molto stimolante, perché il proprio nome rappresenta sempre un segnale ricco di richiami affettivi. 

Le proposte che seguono si adattano per essere eseguite fin dal primo anno della scuola primaria, con finalità che incrociano sia l’area linguistica che quella musicale, e che sviluppano capacità attentive e di motricità fine, orientate al vivere in gruppo.

Vediamole riassunte nello schema seguente:

Primi passi: nomi sillabati

Disponiamo i bambini  in cerchio e chiediamo a ciascuno di pronunciare a turno il proprio nome sillabando a voce alta, battendo le mani su ogni sillaba.

Riportiamo alla lavagna la trascrizione sonora dei nomi dei bambini e abbiniamo a ciascuno, per battere il nome, uno strumento percussivo anche informale.

Procediamo all’esecuzione cercando di eseguire i gruppi di battiti di seguito e di non fare pause tra uno strumento e l’altro. 

Gli accenti tonici

Dopo le prime esperienze di sillabazione, si può procedere verso un’ulteriore tappa di discriminazione percettiva: la ricerca  dell’accento tonico all’interno delle parole. La sillaba dove cade l’accento tonico, è fonologicamente più forte.  Si tratta ora di guidare i bambini a riconoscerlo. Iniziamo da  MARCO.

Battiamo le mani sul nome del bambino in due modi: la prima volta in modo errato, la seconda volta in modo corretto.

Chiediamo quindi a Marco di riconoscere il modo corretto di pronuncia del suo nome. Ora rivolgiamoci a tutti i bambini e stimoliamoli a trovare gli accenti interni dei loro nomi, sempre utilizzando in contemporanea i battiti e la sillabazione. Ecco lo schema sonoro dei nomi dei sei bambini con cui abbiamo iniziato la lezione.

Passeremo ora all’esecuzione strumentale. Per questo esercizio utilizziamo il battito delle mani sul banco.

Lo stesso esercizio potrà essere eseguito con strumenti diversi  o con il battito delle mani individuale alternato al battito delle mani in  coppia. Questi sono solo alcuni spunti di percorso interdisciplinare musica/italiano che possono offrire numerosi spunti di ampliamento verso obiettivi diversi delle due discipline. Buon divertimento creativo a tutti voi!

Qui un’altra attività a tema musicale, dedicata all’ascolto.

Foto di copertina Caleb George su Unsplash

Giornata Internazionale della Felicità: come riconoscerla?

in Affettività e Psicologia/Attività di classe by

Il 20 marzo si festeggia la Giornata Internazionale della felicità: un consiglio di lettura potrebbe aiutarci a riconoscere questo prezioso stato!

Lunedì 20 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale della Felicità. Fu proprio l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2012, ad istituirla:

«L’Assemblea generale […] consapevole di come la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità, […] riconoscendo inoltre la necessità di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone, decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della Felicità, invita tutti gli stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, e altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative e i singoli individui, a celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica […]»

Perché proprio il 20 marzo? Perché coincide con l’equinozio di primavera, simbolo beneaugurante di rinascita della Natura: non poteva esistere data migliore!

Se fosse felicità?

Ma come si riconosce la felicità?

Arturo, Zoe e Giulio, i protagonisti del libro Se fosse felicità, una storia avventurosa e piena di emozioni, riflettono proprio sulla cosa più bella del mondo – la felicità appunto – e su come provare a ricercarla.

Il libro fa parte del kit dell’omonima campagna educativa per la scuola primaria, dedicata al tema dell’affettività e dell’inclusione, realizzata da Librì Progetti Educativi in collaborazione con Eulab srl – Laboratorio della Felicità.

Oltre ad affrontare il tema dell’inclusività, la campagna ha l’obiettivo di accompagnare i più piccoli alla scoperta di questo stato d’animo, non solo come emozione ma anche come competenza da allenare.

Proprio così: ci vuole allenamento per imparare ad essere felici!

QUI trovi alcune attività tratte dalla campagna educativa, da poter proporre in classe

E il genitore, cosa può fare per educare suo figlio o sua figlia a provare questo stato d’animo? Come affermava Maria Montessori:

“L’adulto deve farsi umile e imparare dal bambino ad essere grande.”

È solo grazie a questo atteggiamento, infatti, che il genitore comprende i veri bisogni del bambino, aiutandolo a guadagnare autostima e benessere interiore. Buona Giornata Internazionale della Felicità!

Tutta la bellezza dei libri fatti a mano in una mostra-concorso

in Zigzag in rete by

Un bel concorso e una bella mostra per incentivare i nostri alunni (e non solo loro) a sperimentare la loro creatività attraverso la produzione di libri fatti a mano.

Non è la prima volta che parliamo di un concorso, invitando a parteciparvi (in passato lo abbiamo fatto qui). Stavolta spendiamo volentieri due parole su quello che si tiene ogni anno a Pieve Santo Stefano, comune della Valtiberina in provincia di Arezzo, e seguito da relativa mostra, in cui protagonista diventa il libro fatto a mano.

Gli enti che lo organizzano sono l’associazione locale di promozione culturale Librifattiamano e il comune di Pieve Santo Stefano.

Hanno la possibilità di partecipare, in  modo libero e gratuito, sia bambini/ragazzi provenienti da scuole di ogni ordine e grado, che adulti. Sono previsti premi speciali per categoria, ma ciò che ottiene un vasto successo di pubblico è la mostra organizzata per raccogliere tutti i manufatti realizzati nelle scuole che hanno aderito all’iniziativa.

La mostra del concorso Libri fatti a mano

I manufatti dei bambini e dei ragazzi che si sono impegnati a costruire i loro libri vengono esposti in una mostra che ogni anno stupisce per l’abilità creativa e l’originalità delle forme e dei contenuti. Vengono così motivati e stimolati la creatività e l’interesse verso i libri e la lettura e, nel contempo, valorizzati il significato e la produzione dell’oggetto libro.

In alcune scuole la mostra è occasione di sperimentazione e costruzione di libri autoprodotti destinati a diventare vero e proprio materiale didattico. Dopo la mostra e la premiazione dei partecipanti, i libri fatti a mano dai bambini possono infatti essere riportati nelle rispettive scuole di appartenenza.

Se lo si preferisce, gli stessi libri possono essere donati all’organizzazione così da entrare a far parte dell’esposizione permanente dei libri fatti a mano allestita presso la biblioteca comunale di Pieve.

La prossima edizione della mostra dei libri fatti a mano si terrà a Pieve Santo Stefano (AR) dal 3 al 7 maggio 2023: c’è tempo fino alla data del 15 aprile 2023  per inviare richiesta di partecipazione al concorso!

Eventi correlati alla mostra

In occasione della mostra dei libro fatti a mano correlata al concorso, sono previsti a Pieve ulteriori mostre tematiche, laboratori e seminari finalizzati alla promozione della cultura del libro come avventura e come spazio concreto da costruire in modo artigianale e da rendere vivo con storie e illustrazioni scaturite dall’immaginazione, dall’energia e dalla creatività personale.

Regolamento del concorso

Il regolamento prevede ampia libertà di scelta delle tematiche e delle modalità di realizzazione e permette di vincere una somma di denaro spendibile in acquisto  libri.

I premi saranno distinti in tre categorie:

  • libri fatti a mano bambini
  • libri fatti a mano ragazzi
  • libri fatti a mano adulti

La giuria sarà composta, rispettivamente, da bambini della scuola primaria, ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado e da membri che fanno parte del comitato organizzatore.

Qui è possibile consultare il sito da cui ricavare tutte le informazioni sull’evento e scaricare il regolamento del concorso e della mostra ad essa collegata.

Foto di copertina by Rod Long su Unsplash

Dante e il pi-greco (discorso serioso con finale a sorpresa!)

in Zigzag in rete by

La perfezione del cerchio e la misura del pi-greco: dal sommo poeta Dante a… ChatGPT!

Il pi-greco è stato a volte presentato come un simbolo di conoscenze irraggiungibili. Un notevole esempio di questo atteggiamento è nell’ultimo canto del Paradiso di Dante:

Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige

Il pensiero del poeta emerge anche da un altro passaggio della stessa cantica:

Parmènide, Melisso, e Brisso, e molti,
li quali andavano e non sapean dove
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti

La tradizione ci dice che Brisone di Eraclea (=Brisso) contribuì al metodo per misurare il cerchio, assieme al suo predecessore Antifonte, ad Eudosso di Cnido e ad Archimede di Siracusa. Se oggi si usa il termine “pi-greco” è perché si tratta di una quantità che venne concettualizzata e capita proprio da quella civiltà.

La procedura per il calcolo è descritta in un trattato di Archimede di cui disponiamo ancora. Quel metodo, spesso presentato a scuola, prevede l’uso di due serie di poligoni regolari: quelli che contengono il cerchio e che sono più piccoli possibile; quelli contenuti nel cerchio e che sono più grandi possibile. Partendo da un triangolo equilatero e raddoppiando di volta in volta il numero di lati dei poligoni (prima 6, poi 12 nella figura) ci si avvicina sempre più all’obiettivo.

Misurare il cerchio, o calcolare il pi-greco, diventa dunque questione di pazienza.

Apparentemente, Dante rifiuta l’idea che tale procedura sia conoscenza acquisita. Ne fa un problema di principio: non è giusto credere che l’uomo, dotato solo di capacità finite, possa comprendere la perfezione del cerchio, proclamata sin dal tempo dei pitagorici e irrinunciabile baluardo del pensiero astronomico medievale. Brisone e gli altri son fuori strada, tant’è che il padre della lingua li paragona a due eretici, Ario e Sabellio. Per Dante il pi-greco non è tanto un numero quanto una metafora dei limiti dell’uomo.

L’opinione di un moderno oracolo

Il mio contributo alla celebrazione del pi-day sarebbe finito; ma siccome siamo nel 2023, l’amico Livio Rossani ha ben pensato di sentire anche un’altra campana, quella di ChatGPT, il sistema di conversazione automatica oggi più in auge. Alla domanda: “Cosa scriveva Dante Alighieri sui matematici greci che cercavano la quadratura del cerchio?” ecco la risposta ricevuta:

Dante Alighieri, nel suo Inferno della Divina Commedia, descrive i matematici greci che cercavano la quadratura del cerchio come “coloro che cercano ciò che non può essere trovato”. Egli li colloca nel nono cerchio dell’Inferno, dove sono puniti per l’eccessiva curiosità, che viene vista come un peccato. Questa descrizione di Dante rappresenta l’idea che la scienza e la conoscenza umana abbiano limiti e che certe cose non possono essere comprese o risolte. Inoltre, sottolinea l’importanza di concentrarsi su ciò che è importante e di non perdere di vista l’equilibrio e la moderazione nella ricerca della conoscenza.

Mica male! Al netto di qualche ripetizione, questo brano è incisivo e ben congegnato. Forse è un po’ didascalico ma non pedante; non mi stupirei di trovarlo citato su qualche social. Il virgolettato e la storia del nono cerchio colpiscono l’immaginazione di chi non avesse il tempo di rileggere cosa ha scritto davvero Dante, ma sono due panzane, anche se non del tutto infondate. Mi hanno rammentato un principio di cui mi parlò un collega di Tokyo:

Mentire è il primo passo per diventare intelligenti.

Verrebbe quasi voglia di continuare a ragionare su ChatGPT, ma siccome lo si fa autorevolmente altrove e non vorrei andare fuori tema proprio adesso, preferisco chiuderla qui. Credo che ci aspettino tempi interessanti. Grazie ai lettori per l’attenzione.

Riferimenti

La pagina di Wikipedia può servire da punto di partenza per approfondimenti su ChatGPT, ma è ragionevole aspettarsi che il sistema non potrà che evolversi ulteriormente. Si noti che, già adesso, cambiando anche di poco la domanda, la risposta può cambiare molto.

  • Nel romanzo Dante e la matematica, edizioni Giunti (2011) di Bruno D’Amore, l’autore 1) suggerisce che Dante rispettasse Brisone, siccome lo mette in compagnia di Parmenide e Melisso; 2) fa dire al sommo poeta che “Chiunque abbia un minimo di cultura sa bene che la quadratura del cerchio è possibilissima”.
  • In Monarchia III, III, 2 si legge “il geometra non trova la quadratura del circolo” e in Convivio II, XIII, 27 “lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente” (https://danteonline.it/opere/).
  • Si noti che esistono procedure matematiche babilonesi che permettono di ottenere stime sempre più accurate delle radici quadrate anche se non terminano mai, e in questo somigliano alla procedura sopra descritta per calcolare pi-greco. Hanno almeno 3500 anni fa e con tutta probabilità erano note ai greci.
  • Per ulteriori annotazioni, rimando ai miei Quaderni di Cultura Scientifica, accessibili pubblicamente da:
    https://fondazionemargheritahack.it/edizioni/quaderni-di-cultura-scientifica.html
    Nel
     capitolo del  quaderno si descrive meglio la suddetta procedura per calcolare il pi-greco; nel 14° capitolo del 5° quaderno si raccolgono osservazioni sulla relazione tra Dante ed i pensatori dell’antichità.

Gender Gap nelle STEM: tema caldo a DIDACTA e non solo!

in STEM ed Esperienze digitali/Zigzag in rete by

Donne e materie STEM: a che punto siamo? Breve analisi sul tema, con tre convegni da non perdere a DIDACTA, una campagna educativa e un’attività gratuita da scaricare!

Quest’anno a DIDACTA, la più importante manifestazione sull’innovazione della scuola in Italia (8-10 marzo, Fortezza da Basso, Firenze), sarà dato ampio spazio al tema delle STEM, ma non solo.

Sarà na tre giorni con oltre 800 eventi formativi, tra workshop, seminari e convegni, dedicati al mondo della scuola (qui trovi il nostro articolo sulla passata edizione, e qui il programma di quest’anno).

Visto dunque che le danze si apriranno proprio l’8 marzo, giornata della Festa della Donna, viene naturale una riflessione a proposito di Donne e Materie STEM.

A che punto siamo?

Non la tiriamo per le lunghe lo diciamo subito: nonostante l’importante raggiungimento della parità di genere nell’educazione di primo e secondo livello (anzi, le donne, in Europa,  sono addirittura più inclini a intraprendere gli studi universitari), non siamo ancora ad un buon punto. Il gender gap è infatti ancora assai evidente, davanti a noi.

Le statistiche parlano chiaro: nel mondo, anche se risultano più donne iscritte all’università, meno di 4 laureati su 10 nelle materie STEM sono donne. Inoltre, il tasso di occupazione ad un anno dalla laurea degli uomini laureati STEM è più elevato di quello femminile (91,8% contro l’89%), così come la retribuzione non risulta paritaria: le donne laureate in queste materie ricevono circa 300 euro mensili in meno della controparte maschile.

Percorso STEM? No, grazie!

Fattori individuali, elementi sociali, background familiare: sono molti i motivi che tengono le ragazze alla larga dalle materie scientifiche.

  • Mancanza di motivazione personale e di autostima: non ci si sente in grado di poter addentrarsi dentro materie oscure come la matematica.
  • Pregiudizi e stereotipi duri a morire: fin da piccole le bambine sono portate a sentirsi inferiori ai maschi, nelle materie scientifiche.  
  • Mancanza di modelli nell’immaginario collettivo, che alimenta gli stereotipi persino negli insegnanti (a proposito degli sparuti modelli femminili nel campo delle STEM, invitiamo i docenti a raccontare agli studenti e alle studentesse la storia di Rosalind Franklin, perfetto simbolo della posizione di inferiorità delle donne nel Pantheon della scienza).
  • Svantaggio nel luogo del lavoro: la questione “maternità” è ancora vista come un ostacolo all’ascesa della carriera lavorativa. A parità di competenze, si preferisce ancora assumere un uomo, libero da futuri obblighi famigliari.
Diversità come fattore essenziale nella ricerca

Risolvere questo gender gap, che abbraccia appunto anche il divario salariale, è una sfida che dobbiamo vincere non solo per i benefici individuali delle singole donne, ma per il bene della società stessa.

Avere più donne – e quindi individui – nella scienza, garantisce maggiore capitale umano in grado di affrontare le sfide tecnologico-scientifiche del futuro. Poter infatti osservare un problema da diverse prospettive aumenta la possibilità di trovare soluzioni, e questo perché la diversità di un gruppo di persone risulta più importante delle abilità individuali.

in risposta a ciò, e al peggioramento della condizione femminile dovuta al Covid-19, è stata formata una task force tutta al femminile dall’ex Ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti (“Donne per un nuovo Rinascimento”), che include anche la promozione e l’incentivo a formarsi nelle materie STEM.

Tre convegni, una campagna educativa e un’attività gratuita

Tornando alla fiera DIDACTA, ecco qualche appuntamento da segnarsi in agenda, a tema STEM e Gender Gap:

Mentre in materia di campagne educative, “Futuri fantastici e dove trovarli. Le Stem senza differenza di genere” è la nuova campagna di Librì, realizzata in collaborazione con Capgemini, che ha come obiettivo quello di introdurre insegnanti e ragazzi al tema del gender gap nelle professioni STEM e più in generale alla tematica della scelta scolastica e professionale.

Infine, la Fondazione AIRC ci viene in aiuto e ci spiega in cosa consiste il lavoro del ricercatore e della ricercatrice, con test e attività da scaricare gratuitamente qui e da utilizzare in classe: buon lavoro!

Fonte articolo

Discutere e argomentare: sperimentiamo in classe il debate!

in Approcci Educativi/Attività di classe by

Il debate, metodologia di didattica attiva, consiste in un vero e proprio dibattito da preparare con cura, contraddistinto da regole, ruoli e tempi precisi.

Tra i metodi di didattica attiva e partecipativa, in cui lo studente non viene considerato semplice fruitore di contenuti trasmessi ma protagonista attivo del proprio apprendimento, il debate – dall’inglese “dibattito”/”discussione” – assume un ruolo di sicuro rilievo (ne avevamo accennato qui!).

Cosa si intende per debate

Il debate è una metodologia che consiste in un confronto tra due squadre di studenti che propongono le loro posizioni a favore o contro un argomento assegnato dal docente, argomentandole in maniera puntuale e circostanziata.

La scelta dell’argomento verrà diretta verso questioni divisive richiedenti argomentazioni da preparare con cura e competenza, così da apparire convincenti e persuasive.

Origini del debate

Il debate è una disciplina curricolare oggi utilizzata con regolarità nei college e nelle università statunitensi e inglesi, ma la sua origine risale a tempi lontani e va ricondotta all’epoca classica.

L’arte di argomentare in pubblico, praticata nell’antica Grecia specie a seguito dell’affermazione della democrazia ateniese, venne portata a sistema in epoca romana attraverso le scuole di retorica e, di seguito, trovo continuazione attraverso le discipline del trivio impartite nei curricoli scolastici medievali.

Proprio la grammatica, la retorica e la dialettica, infatti, possono venir considerate le basi delle moderne abilità espressive, linguistiche e riflessive, fondamentali per la conduzione di dibattiti significativi ed efficaci.

Prepararsi al debate

In base all’argomento scelto, viene dato avvio a un debate, cioè a un dibattito non spontaneo, ma contraddistinto da regole, ruoli e tempi di conduzione precisi.

Tali caratteristiche richiedono una preparazione attenta e ponderata, capace di mettere in azione competenze logico-critiche e linguistiche fondamentali per la crescita e lo sviluppo della persona.

Gli studenti devono costruire le loro argomentazioni a favore o contro l’argomento assegnato in base non a semplici opinioni personali, bensì basandosi su documentazioni autorevoli criticamente rielaborate a fini argomentativi e persuasivi.

Fasi di svolgimento del debate

Queste sono le fasi di lavoro da considerare come promemoria per il docente intenzionato a sperimentare il debate in classe:

  • stabilire le discipline coinvolte, mantenendo un’ottica il più possibile interdisciplinare;
  • individuare l’argomento su cui impostare il confronto (topic), prevedendo una tematica il più possibile coinvolgente ed inclusiva;
  • suddividere gli studenti in gruppi, tenendo conto dei ruoli utili alla conduzione del dibattito: il gruppo con posizioni a favore del topic, il gruppo con posizioni contro rispetto al topic ed, eventualmente, un gruppo incaricato di svolgere le funzioni della giuria;
  • facilitare il lavoro degli studenti per la preparazioni delle argomentazioni e delle controargomentazioni, da svolgersi prevalentemente in aula;
  • supportare l’attività laboratoriale di ricerca online, da eseguire sia in aula che come consegna a casa, utile ad elaborare le argomentazioni e le controargomentazioni da presentare in aula. Lla raccolta di fonti e informazioni può essere più o meno guidata a seconda dell’età degli studenti e del contesto della singola classe;
  • monitorare l’effettiva preparazione delle argomentazioni e controargomentazioni da sostenere;
  • moderare (o guidare in caso di studenti ancora piccoli) il dibattito vero e proprio, ossia l’esposizione delle tesi a favore o contro il topic assegnato: eseguire sintesi periodiche, permettere l’equilibrio degli interventi, garantire il rispetto dei tempi;
  • stimolare la riflessione sulla valutazione e autovalutazione degli interventi attraverso rubriche dai criteri chiari e condivisi.

Durante le fasi di ricerca delle fonti, l’uso delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) è da ritenersi indispensabile, mentre durante l’esposizione delle tesi non consentire l’uso di strumentazioni tecnologici permette una miglior interiorizzazione delle informazioni, oltre ad un potenziamento delle abilità linguistiche ed espressive.

Competenze messe in atto con il debate

Il debate permette in primo luogo agli studenti di sviluppare l’abilità di saper parlare in pubblico, competenza spendibile sia in ambito scolastico che extrascolastico e tesa a migliorare la propria consapevolezza culturale e la propria autostima.

Ma sono molte altre le competenze, sia di base che trasversali, che vengono messe in atto nel corso della preparazione e dello svolgimento del debate:

  • gli studenti ricercano e selezionano le fonti online con la finalità di formarsi un’opinione, comprendendo la necessità che essa risulti fondata e giustificata;
  • la mente viene allenata all’ascolto e alla considerazione di opinioni e punti di vista diversi dai propri, a tutto vantaggio delle competenze sociali e relazionali;
  • sostenere un dibattito e formulare argomentazioni sviluppano le competenze logiche, critiche e rielaborative, oltre che quelle più propriamente espositive, attraverso le quali il linguaggio viene usato in modo intelligente e creativo;
  • l’uso creativo del linguaggio riguarda tutti i canoni della comunicazione, compresi quelli della comunicazione digitale

Il docente che intende progettare e sperimentare il debate in classe lavora per favorire l’acquisizione di competenze e abilità tese a facilitare le condizioni utili ad affrontare le sfide in situazioni problematiche sempre più fluide, complesse e interconnesse.

Perché favorire l’uso del debate in classe

La risposta la forniscono gli esperti di Avanguardie Educative, movimento incentrato sull’innovazione didattica voluto da Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa):

  • per sperimentare metodologie innovative di rappresentazione della conoscenza;
  • per superare la logica dello studio inteso come mero apprendimento mnemonico di testi scritti da  altri;
  • per favorire l’approccio dialettico e dialogico;
  • per favorire la pratica di un uso critico del pensiero;
  • per incentivare il lavoro di gruppo;
  • per sostenere l’integrazione degli strumenti digitali con quelli tradizionali;
  • per contestualizzare i contenuti della formazione alla società civile.

Come ha affermato nel 2012 il segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki-Moon «l’educazione deve assumere pienamente il suo ruolo centrale nell’aiutare le persone a creare una società più giusta, pacifica, tollerante e inclusiva. Si devono promuovere nelle persone la comprensione, le competenze e i valori di cui hanno bisogno per cooperare nella risoluzione delle sfide globali del XXI secolo». Favorire l’uso del debate significa contribuire a portare avanti questa sfida.

Foto di copertina by National Cancer Institute su Unsplash

Cittadini attivi si diventa!

by

Far conoscere e promuovere esperienze di cittadinanza attiva in ambito scolastico

Webinar del 2 marzo 2023 – ore 16:30

Relatori: Adriana Bizzarri e Fabio Cruccu

Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale della Scuola di Cittadinanzattiva, esperta di progettazione formativa in ambito scolastico e curatrice di Report su tematiche educative.

Fabio Cruccu, project manager della Scuola di Cittadinanzattiva, giurista specializzato in diritto minorile e con esperienze di formazione e progettazione partecipata rivolta a docenti, genitori e studenti.

Abstract

Il webinar affronta la tematica della promozione della cittadinanza attiva nel contesto scolastico, presentando elementi teorici e fornendo spunti pratici per poterli veicolare nella scuola.
I webinar si propone di fornire conoscenze di base di tipo teorico a partire dalla definizione della cittadinanza attiva e della sua “costituzionalizzazione” (art. 118 ultimo comma della Costituzione) per poi affrontare il tema delle motivazioni all’impegno che possono spingere a diventare cittadini attivi bambini e bambine, e delle modalità operative da mettere in atto perché ciò si realizzi.
I temi che verranno affrontati nel webinar sono quelli di empowerment, responsabilità, diritti, doveri, bene comune, interesse generale. Tali temi verranno veicolati attraverso esempi di progetti, attività ed iniziative a cui ispirarsi per sperimentare azioni di cittadinanza attiva nell’ambito scolastico e consentire, attraverso metodologie interattive, ai docenti e ai loro alunni di mettere in pratica quanto appreso, adattandolo al proprio contesto.


Nello specifico, il webinar consente di acquisire conoscenze e competenze su:

  • Informazioni di base e strumenti democratici tipici della cittadinanza attiva volti a sviluppare il “sapere” e il “saper pensare” del singolo e del gruppo classe;
  • Importanza delle regole, del rispetto dei diritti e dei doveri civili, sociali, umani per sviluppare e/o potenziare il “saper essere” individuale e collettivo;
  • Prendere decisioni, progettare e mettere in atto azioni concrete, in maniera partecipata e condivisa, al fine di produrre cambiamento

Download slides

Registrazione webinar

Fare teatro a scuola, serve?

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Fare teatro a scuola, ma farlo bene: perché, come diceva Rodari, “l’esperienza teatrale contiene gli elementi di una scuola nuova e vera […], liberata dal meccanismo burocratico.

Mi capita, talvolta, di trovare difficile scrivere sul teatro a scuola. Temo di dire cose scontate e ovvie, soprattutto perché prima di me a dirle sono stati dei grandi artisti e scrittori. Per questo motivo inizio questa mia riflessione prendendo spunto da un’affermazione di Rodari che sosteneva che il teatro doveva far parte della scuola non come attività pomeridiana extrascolastica (da ricordare che quando Rodari scriveva, la scuola finiva alle 12,30 e nel pomeriggio alcune scuole erano aperte per le attività extrascolastiche), perché:

L’esperienza teatrale, nel suo corso complesso, contiene gli elementi di una scuola nuova e vera, completamente sottratta a ogni schema artificioso, liberata dal meccanismo burocratico.

Gianni Rodari, Il mio teatro, a cura di Andrea Mancini e Mario Piatti, Titivillus edizioni, 2006

Ho sempre pensato che il teatro a scuola debba essere fatto durante l’orario scolastico e offrire uno spazio “altro” nel quale il bambino e/o il ragazzo possa esprimersi uscendo dai canoni della scuola e senza paura del voto.

Costruire un personaggio

Se Carletto (nome di fantasia) è il bambino considerato distratto, forse a teatro trova una sua dimensione, oppure il conduttore /conduttrice del progetto può “usare” questa caratteristica per costruire un personaggio. Attenzione non il personaggio del distratto (che vorrebbe dire bloccare Carletto in questo giudizio), ma un personaggio che abbia le caratteristiche di Carletto affinché capisca che la sua indole può essere anche positiva o la può usare per crescere. Qualche anno fa avevo un bambino molto silenzioso e dalla voce che era un filo, costruii per lui il personaggio del giardiniere che, innamorato della sua pianta, la cullava e le sussurrava parole dolci: fu un successo e lui ne uscì più forte.

Teatro come scuola di democrazia

La scuola oggi, come al tempo di Rodari, ha tempi che non sono a misura di bambino, nonostante le riforme e la marea di scritti e saggi e nonostante i molti e le molte insegnanti che si prodigano perché così non sia. I programmi non esistono da vent’anni, ma (quasi) tutti li rincorrono.

Il teatro è un spazio altro che però ha delle regole ferree pur nel suo essere profondamente creativo; questo lo rende un grande strumento educativo perché come diceva Munari:

Saper gestire un mezzo è il miglior modo per padroneggiarlo

e quindi essere liberi di creare, perché la libertà poggia sulla conoscenza. I limiti alla creatività, la fantasia che non vuol dire fare affermazioni a caso, il dover stare dentro regole per creare liberamente, sono gli strumenti che offriamo al bambino e al ragazzo quando facciamo teatro, che diventa scuola di democrazia.

Offriamo la possibilità di usare il corpo anche fuori l’attività sportiva così che sappia di averlo anche se non è un campione. Un corpo che deve muoversi in uno spazio definito, che deve sentire l’altro e esprimere e comunicare affinché chi ascolta e guarda, comprenda.

Imparare a stare insieme

Nell’esperienza teatrale il bambino o ragazzo deve stare attento perché è lui che sta sul palco non può delegare (alla maestra, ai genitori, al registro elettronico); è lui che sta lì, è lui responsabile di quello che fa e che dice; è responsabile per sé e per i compagni. Questo rende il teatro a scuola un’esperienza anche faticosa a volte difficile, si grida, si piange e ci si scoraggia, si discute. E si impara a stare insieme.

Infine nell’esperienza teatrale bisogna inventare e creare partendo da un’idea e collaborando con gli altri. Questo fa del teatro a scuola uno dei tanti semi che possiamo gettare per formare lettori e per fare scrittura.

Il “contenitore”

Una delle esperienze più divertenti che ho fatto negli anni con i ragazzi è stata quella di partire da un “contenitore” (io li chiamavo così) che io proponevo loro dopo aver conosciuto il gruppo e le loro energie. Faccio un esempio veloce: in una classe di 18 individui di cui 16 femmine e due maschi, proposi loro come “contenitore” un salone di parrucchiere nel quale si avvicendassero le clienti e persone di passaggio; i due ragazzi facevano uno il garzone del bar, concupito dalla parrucchiera, l’altro un postino. Ne venne fuori un lavoro su i tipi umani molto bello e parecchio ironico; ci divertimmo molto! 

Dopo questa esperienza l’insegnante riprese il testo teatrale, scritto sulla base di improvvisazioni e testi proposti dai ragazzi e da me, per elaborare uno scritto con la classe. 

Trasposizione teatrale di un romanzo

Un’altra esperienza che mi ha segnata in senso positivo è la trasposizione teatrale (tra-duzione) di un romanzo. Se la classe è giusta, è divertente e appagante. Anni fa con una quinta primaria (allora elementare) abbiamo messo in scena Le avventure di Pinocchio, in toscano e con solo qualche taglio. Lo hanno chiesto loro e io gli ho detto che Lorenzini non si taglia: o si fa in toscano o in un altro dialetto. Così fu in toscano.

Fu un lavoro enorme, io scrivevo anche in autobus per preparare le parti; i ragazzi hanno fatto un grandissimo lavoro su costumi e usi dell’epoca e ovviamente per dare una parte a tutti abbiamo giocato col romanzo e con l’autore perché io non posso vedere “recite” con una scena in cui Pinocchio è Giacomo (nome di fantasia) e in un’altra scena è Tommaso (nome di fantasia); questa pratica in teatro non esiste e non deve esistere neanche nel teatro scolastico, perché è un falso ed è come insegnare male la grammatica o le tabelline. Si creano altri personaggi, si immaginano situazioni possibili.

L’importanza dei professionisti del teatro

Ne Il fantasma di Canterville, Wilde parla solo della governante di Casa Canterville ma sicuramente ci saranno stati dei cuochi, dei giardinieri, le servette; nel paese in basso non c’era un postino? La signora Otis non aveva amiche? Insomma giocare con l’autore, creando personaggi plausibili anche basati su altre opere dello stesso. E così si fa scrittura, teatro, Storie, storia del costume e a volte anche educazione civica. E il bello sapete qual è? Che i bambini non se ne accorgono loro stanno giocando al teatro.
Certo è fondamentale che a farlo nella scuola siano professionisti del teatro perché l’esperienza non sia un ripetere parole su un palco.

Se ti interessa particolarmente il tema TEATRO A SCUOLA, ne abbiamo parlato in passato anche qui!

Foto di copertina by Yiran Ding su Unsplash

La gestione del tempo nella scuola italiana

in Approcci Educativi by

Qualche riflessione sulla gestione del tempo nella scuola italiana, soprattutto per quanto riguarda il tenere insieme la calma che serve all’apprendimento e il poco tempo a disposizione.

La gestione del tempo è diventato negli ultimi anni un argomento assai dibattuto e la divulgazione didattica ha cominciato a dare consigli sempre più pratici. A livello internazionale, i libri di studiosi e divulgatori come D. Lemov, T. Bennett o P. McCrea hanno fornito ai docenti molti spunti interessanti, con un’attenzione particolare alla meccanica delle interazioni di classe e agli intoppi che possono ingolfarla.

La massa di pubblicazioni, pur utili, è però esplosa fino a diventare quasi ingestibile. Con questo articolo vorrei quindi fornire una sorta di piccola bussola per il contesto italiano; per evitare di annaspare tra i temi e gli approcci più disparati, suggerisco di concentrarsi, almeno per oggi, su un obiettivo spesso da noi non adeguatamente considerato, ma nondimeno essenziale: come non perdere tempo in classe.

Come non perdere tempo in classe?

Si tratta di un problema che nelle scuole italiane è particolarmente spinoso. Il tempo è poco, gli studenti tanti, le cose da fare un’infinità. Il tempo si disperde in mille rivoli come acqua da un conduttura mal sigillata. Una riforma sistemica della routine scolastica sarebbe assai utile, ma in mancanza di un’utopica rivoluzione, sarà il caso di sfruttare al meglio quel che si ha. 

Gestire bene il tempo significa guadagnare per le nostre classi qualcosa di preziosissimo: la calma. Parlo della tranquillità necessaria per ritornare su argomenti difficoltosi, seguire bene ogni singolo studente e dare modo a tutti di lavorare serenamente. Lo scopo di “efficientare” la vita di classe, infatti, non è fare tutto più freneticamente, ma meglio e più distesamente.

La perdita di tempo in classe è continua. Non penso solo agli scomodi cambi dell’ora, con i docenti che senza vere e proprie pause devono raccattare le loro cose, spostarsi e ributtarsi ogni volta su un nuovo registro elettronico.

Penso infatti anche al processo lungo e tedioso delle interrogazioni, o anche a tutto il tempo perso a richiamare all’ordine la classe (la gestione del comportamento meriterebbe in ogni caso un approfondimento a parte). A tutto questo si aggiungono il via-vai del bagno, le interruzioni per le varie comunicazioni e altre distrazioni che, interrompendo il filo della lezione, richiedono tempo ed energia per riprenderlo. Anche il fatto che le supplenze siano considerate ore vuote (quando la classe non viene direttamente fatta uscire da scuola) costituisce un’emorragia ingiustificata di tempo prezioso -e vi siamo fin troppo assuefatti.

Non è qui il caso di elencare tutti i possibili modi in cui si può risparmiare tempo. Voglio sottolineare soltanto che bisogna essere consapevoli di avere un problema strutturale di tempo. E’ appena il caso di rimarcare che la mancanza di tempo si trasforma immediatamente in un problema di qualità della nostra didattica, dato che la fretta si sposa assai male con l’apprendimento. 

Un trucco “salvatempo”

Per non rimanere nel vago, però, voglio portare qui l’esempio di un trucco “salvatempo”, quello delle lavagnette personali, che mi viene da un insegnante inglese, David Didau. Portarle in classe ha chiesto qualche giorno di adattamento, non di più, e i vantaggi si sono rivelati notevoli.

Le lavagnette altro non sono, nella versione fai-da-te da me adottata, che buste ad anelli lucide con dentro un foglio bianco, da usare per scriverci sopra con un pennarello cancellabile da lavagna bianca. Il docente pone alla classe una domanda, gli studenti scrivono la risposta e sollevano la lavagnetta perché il docente la veda.

Il vantaggio rispetto al fare domande a singoli studenti scelti più o meno a caso è nella rapidità. Domande a singoli studenti se ne possono comunque fare (come nel caso di risposte troppo articolate per una lavagnetta), ma spesso questo vuol dire chiamare uno studente in difficoltà e attendere una risposta che potrebbe anche non arrivare, poi un altro, poi un altro ancora; significa perder tempo a richiamare quelli che risponderebbero senza alzare la mano oppure quelli che colgono l’occasione per distrarsi. Dettaglio non da poco, con le chiamate individuali si scopre la risposta soltanto di una persona, o di poche, e non di tutti.

Con le lavagnette tutti sono chiamati ad attivarsi, la concentrazione non si disperde, ogni studente gestisce il proprio tempo autonomamente (nei limiti del buon senso). Inoltre, cosa più preziosa di tutte, l’insegnante ottiene in maniera immediata una fotografia di come sta andando la comprensione in classe:

  • Quanti hanno capito?
  • Quanti no?
  • Quali tipi di errore sono stati fatti?

Senza le lavagnette, il docente avrebbe avuto un quadro molto più vago delle difficoltà della classe o non le avrebbe percepite proprio. Rendendosene conto solo al momento della valutazione, sarebbe dovuto tornare precipitosamente indietro su argomenti già svolti. La perdita di tempo a quel punto è massiccia e corrisponde al momento in cui ci accorgiamo di essere, come dicevamo, drammaticamente indietro col programma. La lavagnetta, così banale, ci avrebbe salvato molto tempo prima.

Attenzione costante

Ogni docente può inventare i propri sistemi di gestione del tempo, o adattarne di vecchi alle proprie materie e alle proprie classi. Quel che importa è che rimangano costanti la tensione e l’attenzione al non disperdere quel ristretto patrimonio di ore e minuti che ci è dato perché è fin troppo facile ritrovarsi ad inseguire la propria stessa didattica. Si fa più fatica, gli studenti hanno più difficoltà e alla fine si rimane con un senso di amaro in bocca. Molto meglio organizzarsi prima e darsi modo di tirare il fiato. Non ce ne pentiremo.

Foto di copertina by Icons8 Team su Unsplash

Giornata Mondiale delle malattie rare: il punto di vista di UNIAMO per aumentare la conoscenza fra i banchi di scuola.

in Bisogni Educativi Speciali by

Annalisa Scopinaro è la Presidente di UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare, uno dei 37 Enti e Associazioni di Pazienti che sostengono la campagna educativa Più Unici che rari, promossa da Sanofi e Librì Progetti Educativi. A lei rivolgiamo le nostre domande sul tema delle patologie rare.

Dopo la chiacchierata con Marcello Cattani – Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Farmaceutico Sanofi impegnato nella ricerca e sviluppo di farmaci per i malati rari – sul tema dell’inclusione, in occasione della Giornata Mondiale del prossimo 28 febbraio torniamo ad affrontare il tema delicato e ancora poco conosciuto.

Sanofi è una delle principali realtà industriali del settore farmaceutico, che da oltre 40 anni è impegnata nella ricerca di terapie innovative che possano migliorare la qualità di vita di persone affette da malattie gravi, croniche e progressivamente invalidanti.

Dalla collaborazione tra Sanofi e Librì Progetti Educativi, è nata nel 2019 Più unici che rari, la campagna educativa nazionale per le scuole primarie (classi IV e V) e secondarie di primo grado, il cui obiettivo è raccontare il valore dell’unicità di ciascun alunno e promuovere tra i bambini e i ragazzi l’importanza dell’accoglienza e dell’inclusione nell’ambiente scolastico, partendo da quelle difficoltà e barriere che possono nascere in presenza di patologie ma non solo.

Tra i 37 Enti e Associazioni di Pazienti che sostengono la campagna educativa Più Unici che rari, troviamo UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare in rappresentanza della comunità delle persone con malattie rare in Italia; ed è alla presidente Annalisa Scopinaro che rivolgiamo le nostre domande:

Quali sono i campanelli di allarme da tenere in considerazione per una diagnosi precoce di malattia rara?

La diagnosi precoce di malattia rara è fondamentale per dare un nome alla patologia e per avere accesso alle migliori terapie possibili. I tempi di diagnosi sono ancora troppo lunghi, come dimostrato da Eurordis: siamo oltre i 4 anni di ritardo. Le diagnosi precoci si ottengono dagli screening neonatali e con la corretta interpretazione di segni e sintomi evidenziati dai pazienti. Quanto un paziente ha un quadro complesso, che non trova spiegazione nonostante gli specialisti consultati, sarebbe opportuno farsi venire un “sospetto diagnostico” e indirizzare ad uno dei centri della rete nazionale delle malattie rare. 

Sempre in tema di diagnosi precoce: esistono dei test basati su sintomatologie da proporre alle famiglie?

Ad oggi esistono tecniche omiche che permettono l’individuazione di patologie anche complesse. Fondamentale è l’interpretazione dei risultati delle analisi, che deve essere fatta da esperti. In alcuni casi, come per esempio nelle neuromuscolari, il controllo del CPK può essere utile. Tutti gli esami devono però essere strettamente correlati ad una corretta anamnesi e raccolta della storia familiare per poter formulare un sospetto diagnostico attendibile. 

Cosa fare in caso di test positivi (ovvero che evidenziano il sospetto di una patologia)?

Se i test evidenziano una patologia rara, va capito se si rientra nei casi di esenzione dalla spesa sanitaria e individuato il centro di competenza, che possa indirizzare verso le migliori terapie e sistematizzare il caso nel registro malattie rare. 

Si è registrato, negli ultimi anni, un incremento dei casi di una qualche specifica malattia rara?

Come evidenziato nella campagna fatta da Uniamo per la Giornata Malattie Rare 2023, tutti i malati rari italiani riempirebbero un treno della metropolitana lungo 175 Km oppure 25 volte lo stadio di San Siro. Non ci sono però statistiche precise che forniscono informazioni sull’incremento di nuovi casi ogni anno. Sicuramente negli ultimi anni, gli sforzi congiunti delle Associazioni Pazienti in termini di sensibilizzazione e delle Aziende Farmaceutiche in termini di ricerca hanno permesso a tanti malati rari di trovare una diagnosi e una terapia.

Aggressione liceo Michelangiolo di Firenze: la condanna ai totalitarismi nella lettera della Preside del Da Vinci.

in Zigzag in rete by

A circa una settimana dal pestaggio avvenuto davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze e a 2 giorni dalla manifestazione a Campo di Marte per protestare contro l’aggressione, pubblichiamo – vicini al suo pensiero – la lettera della preside del Da Vinci.

Risale allo scorso sabato 18 febbraio l’aggressione al Liceo Michelangiolo di Firenze, innescata da sei attivisti di Azione Studentesca durante un loro volantinaggio (non preannunciato in Questura), ai danni di almeno due studenti del collettivo di sinistra.

Mentre si continua ad indagare sulla dinamica e sull’individuazione di altri studenti coinvolti, 2 giorni fa si è tenuta la manifestazione – che ha raccolto circa 2000 persone a Firenze – per protestare contro l’aggressione, e ieri è stata resa pubblica una lettera della Preside dell’Istituto Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino.

Vicini alle parole della Preside, la pubblichiamo per intero:

Roberto Benigni accende Sanremo parlando della Costituzione!

in Letture in classe/Zigzag in rete by

Ad alcuni giorni di distanza dalla prima serata del Festival di Sanremo, ancora riecheggiano – forti del loro spessore morale – le parole di Roberto Benigni sulla Costituzione Italiana. Approfittiamone per parlarne una volta di più anche in classe!

La Costituzione è un documento vivo; bene dunque che se ne parli in qualsiasi contesto, a maggior ragione se si tratta di una piazza importante come quella del Festival di Sanremo.

A farlo è stato stato Roberto Benigni in un accorato monologo appassionato e appassionante, a pochi minuti dal fischio d’inizio della 74° edizione del Festival della Canzone Italiana.

Proprio al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dall’attore e regista toscano definito “fratello della Costituzione”dal momento che suo padre Bernardo fu uno dei costituenti, Benigni ha affermato che:

La Costituzione è un’opera d’arte, frutto dell’audacia dei costituenti che hanno saputo guardare al futuro, a noi e anche oltre.

Perché dunque non approfittare di questo intervento in TV – seguito dal 62% degli italiani – per non affrontare in classe alcuni degli articoli della Costituzione, come l’articolo 21 – il più importante per Benigni – quello ovvero sulla libertà di manifestare il proprio pensiero, che, afferma l’attore:

per me è l’architrave, il pilastro di tutte le libertà dell’uomo, il più semplice e il più forte.

Per affrontare il vasto tema possiamo farci aiutare dal libro “La scoperta dell’Italia | Lettere dal passato remoto del mio amico Virgilio”, che con humour e brillantezza racconta  il momento saliente della storia del nostro Risorgimento (il 1861, quando si combatte per l’Unità d’Italia), visto attraverso le lettere di un adolescente che lo ha vissuto, ritrovate in una soffitta da un suo coetaneo nel 2011.

Nel libro – un gioco continuo di chiama e rispondi – le due storie si intrecciano, narrando il momento storico in maniera fresca, moderna, attuale: come se la storia raccontata fosse la stessa, ma ambientata in due epoche diverse che si confrontano. La grafica accattivante, poi, rende tutto ancora più coinvolgente!

Scarica GRATUITAMENTE il libro qui: potrai leggerlo insieme ai tuoi alunni!

Approfondisci ulteriormente leggendo questo articolo.

La memoria delle foibe: la correttezza delle fonti storiografiche per una libertà di giudizio.

in Storia e Filosofia by
immagine copertina

La Giornata del ricordo delle vittime delle foibe: le opinioni di un docente di storia per parlarne in classe in maniera laica e partendo dalle fonti storiografiche.

Ero in visita con la mia classe, alcuni anni fa, e ricordo ancora bene l’atmosfera di silenzio che circondava
il memoriale di Basovizza, uno dei luoghi della tragedia delle foibe.

Tutto dava l’idea di un luogo ai margini, di cui non si doveva parlare, ed in effetti per molto tempo è rimasta una tragedia nascosta (anche dalla nostra storiografia, almeno fino agli anni Settanta-Ottanta), quasi dimenticata.

Per questo l’istituzione del Giorno del ricordo, avvenuta con una legge del 2004, non può che essere riconosciuta come un fatto positivo, anche se – purtroppo – la celebrazione di una simile tragedia ha prestato il fianco a indebite strumentalizzazioni tendenti ad un appiattimento se non ad un disconoscimento delle responsabilità di quella guerra spaventosa, alla legittimazione del discorso ”tutti colpevoli, nessun colpevole”, quando invece risultano indubbie le responsabilità ascrivibili alla parte di cui l’Italia era alleata e complice.


Per cercare di capire occorre, anzitutto, ricostruire il quadro storico e geografico.

La prima ondata di violenze si ebbe nel settembre del 1943 nell’entroterra istriano quando, all’indomani dell’8 settembre, le forze popolari croate si diedero alla caccia dei rappresentanti e dei complici del regime fascista in un territorio – l’Isttria – divenuto italiano con la Prima guerra mondiale e che il regime di Mussolini aveva sottoposto ad una politica di italianizzazione forzata con tutti gli strascichi di odio e di rivalsa nella popolazione locale che questa comportò.

Sezione stratigrafica della foiba di Basovizza

Ufficiali, responsabili delle poste, proprietari terrieri e di industrie, tutti furono accomunati dalla caccia all’Italiano: fin da subito emerse infatti la netta caratterizzazione di quegli eccidi, a sfondo per lo più nazionale. Si andava alla ricerca dei gerarchi e dei subalterni ma anche, più semplicemente, degli Italiani, in modo da vendicarsi della recente dominazione fascista e da preparare il terreno per la futura annessione di quei territori alla Jugoslavia di Tito.

Gli Italiani dovevano sparire, e chi restava doveva tenere bene in mente l’esempio ammonitore e sottomettersi senza tanti indugi.

E la stessa cifra nazionalista la ritroviamo nella seconda ondata di violenze, quella dell’estate del 1945, quando all’indomani della fine della guerra in tutta la Venezia Giulia ad essere perseguitati furono prima che i Fascisti gli Italiani in quanto tali, arrivando addirittura a colpire ed uccidere chi il Fascismo l’aveva combattuto: partigiani, membri del CLN, antifascisti inflitrati nella Guardia di Finanza.

A centinaia, forse migliaia, furono uccisi (ma alcuni furono gettati anche da vivi) e gettati nelle foibe, le fosse che caratterizzano il territorio carsico. Su questa contabilità macabra occorre forse riflettere, perché se da una parte risulta evidente la diversa dimensione di questo rispetto ad altri stermini perpetrati durante il tragico 1939-1945, dall’altra non ci si può che rifiutare di aderire ad una prospettiva che riduca gli uomini a cifre per dimostrare questa o quella tesi politica.

Ogni uomo è prezioso in quanto individuo, e non può mai essere ridotto a numero

Anche una persona uccisa è troppo, e la verità, alla fine, è molto semplice: la guerra porta con sé la morte e la distruzione, sempre, e durante un conflitto non c’è parte che si salvi da questa regola tragica. Non è stato forse un crimine il bombardamento di Dresda operato dagli Alleati negli ultimi mesi del conflitto a guerra già quasi vinta e contro una città priva di qualsiasi obiettivo militare?


Si salvi chi può, dunque, ma si salvi comunque la nostra libertà di giudizio!

Libertà di giudizio che non può che partire dalla constatazione che a dare il via a quella tragica catena di eventi fu una parte, e quella sola. Libertà di giudizio che deve servire a rompere il velo di silenzio che ha avvolto i luoghi della tragedia, a causa di una aperta partigianeria da parte di forze politiche della sinistra italiana nei confronti della Jugoslavia di Tito

Violenza porta violenza, e disumanità porta disumanità: è per questo che le guerre non andrebbero mai iniziate e,
nel malaugurato caso scoppiassero, fatte continuare.

Foto copertina: Foibe di Basovizza

Laboratori sensoriali: la percezione dei cinque sensi nella didattica

in Attività di classe by

In un laboratorio sensoriale si sollecitano le proprie percezioni attraverso lo stimolo dei cinque sensi: questo si rivela un esercizio utile anche in ambito didattico, in particolar modo per la riflessione e la scrittura autobiografica ed emozionale.

Per fare in modo che i nostri studenti possano acquisire maggior consapevolezza di sé, valorizzare le proprie risorse e saper riconoscere emozioni e stati d’animo, progettare laboratori sensoriali in classe può rivelarsi di notevole utilità.

Far sperimentare ai bambini/ragazzi sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative può risultare un ottimo modo per aiutarli a conoscere se stessi e a nominare emozioni provate, ricordate o in divenire.

Esperire situazioni inconsuete e piacevoli non solo agisce sulla consapevolezza della propria interiorità, ma influisce in modo significativo anche in ambito più propriamente didattico. Cominciare un percorso di scrittura autobiografica con degli esercizi di stimolazione sensoriale, ad esempio, è un ottimo sistema per allenarsi all’introspezione e all’indagine di sé.

Suggestioni sensoriali: riferimenti pedagogici

Per sperimentare con i nostri studenti delle attività di stimolazione sensoriale, utili – ad esempio – anche per avviare pratiche di scrittura autobiografica o emozionale, molti possono essere gli spunti da cui attingere.

Tra questi, idee ricavate dalla pedagogia montessoriana o dai consigli di scrittura presentati da docenti o scrittori esperti, tra cui Antonella Cilento.

La Cilento nel libro La caffettiera di carta offre interessanti suggerimenti ricavati dalle attività che lei stessa presenta agli allievi dei suoi corsi di scrittura e ribadisce l’importanza delle stimolazioni sensoriali per il riconoscimento delle emozioni e per l’indagine profonda della propria interiorità.

Quando si scrive si rievocano visioni e la capacità di avere visioni è un valore da salvare. Poiché abitiamo tra immagini pensate da altri che tutti i giorni ci bombardano, smettiamo di allenare la nostra capacità di produrre immagini. Scrivere (e leggere) sono attività in cui la nostra capacità di avere visioni resta indipendente: chiudo gli occhi e vedo.

Partendo da queste considerazioni, la Cilento suggerisce alcune attività da far svolgere in aula focalizzate ognuna sulla sollecitazione di ciascuno dei cinque sensi. Vediamole insieme.

Suggestioni sensoriali: alcune attività da realizzare in classe

La vista

La vista è il senso che utilizziamo di più e in un laboratorio di allenamento sensoriale sulla vista esercizi da proporre possono essere svariate.

Un’attività da proporre in classe può essere “La montagna di cartoline”, in cui gli studenti scelgono una delle numerose cartoline sparse per terra.

Ne segue una scrittura libera di circa dieci minuti durante la quale non è importante la descrizione della cartolina, bensì il racconto di dove ci conduce l’immaginazione a partire dal luogo osservato.

L’esercizio può essere fatto anche utilizzando quadri, foto, illustrazioni o ritagli di immagini pubblicitarie. Insieme agli studenti può scrivere anche l’insegnante e, finito il tempo della scrittura, segue la fase di condivisione, libera ma sapientemente incentivata.

Il gusto

Per sollecitare il gusto si possono fare esperimenti sensoriali su sapori o pietanze da far assaggiare, con scrittura libera di sensazioni o ricordi riaffiorati, seguendo un po’ l’esempio magistralmente descritto dallo scrittore Marcel Proust in occasione dell’assaggio della petite madeleine.

In classe occorre fare estrema attenzione alla normativa scolastica vigente in materia di somministrazione di cibo e bevande, ma un escamotage potrebbe essere quello di lavorare su alimenti che i ragazzi portano direttamente da casa. Si assaggia e si scrive. Gli input da fornire possono essere liberi o riferiti ai primi sapori ricordati oppure a cibi peggiori/migliori mai mangiati.

L’olfatto

Olfatto e gusto sono considerati sensi molto vicini nelle pratiche di laboratorio della Cilento. Si possono portare in classe vasetti con spezie, pezzi di limone/arancio, polvere/chicchi di caffè, campioncini di profumo, candele, colla (chi di noi non ricordi l’odore della Coccoina?)

Anche in questo caso si annusa e si scrive, o in modo libero o con input simili forniti in occasione del gusto. È comunque estremamente interessante ricordare e scrivere i pensieri che emergono da odori già sentiti in modo spontaneo e immediato.

L’udito

Udito e musica possono considerarsi in simbiosi in qualsiasi pratica di laboratorio. Scrivere con la musica ha molte funzioni, ad esempio sblocca le libere associazioni e fa tornare alla mente scene o sensazioni paralizzate da tempo.

Importante è scegliere un brano strumentale o comunque una musica che non contenga parole riconoscibili, altrimenti chi scrive ne sarà distratto o influenzato.

Altre attività attraverso cui sollecitare l’udito possono essere fatte anche all’aperto, magari entrando all’interno di un mercato o di un evento sociale altamente frequentato.

Ma interessanti input di scrittura possono essere forniti anche in classe richiamando musica, suoni preferiti o, all’opposto, suoni o rumori ritenuti insopportabili.

Il tatto

Per sollecitare il tatto, le scatole sensoriali – provenienti da un’idea della grande Maria Montessori – rappresentano una strategia estremamente efficace.

Per realizzarle occorrono scatole comuni da sigillare dopo aver praticato un foro laterale per poter inserire la mano e permettere l’esplorazione dell’interno.

Nella scatola potranno essere inseriti i materiali più disparati: ovatta, forchette di plastica, spugne, oggetti in metallo, carta vetrata, seta, pelouche, piume d’uccello.

Si inserisce la mano, si stimola il senso del tatto e si scrive ciò che si percepisce e ciò che la mente ci suggerisce.

Se la scatola sensoriale può apparire di difficile gestione o realizzazione, può andare benissimo l’utilizzo di sacchetti di stoffa con le medesime modalità.

Qui un video-tutorial per creare scatole sensoriali secondo il metodo Montessori:

Ed è ancora Antonella Cilento a chiarire il valore e l’importanza di queste prime attività di scrittura dedicate alla sollecitazione sensoriale:

Queste prime lezioni dedicate ai sensi producono nei quaderni del laboratorio materie molteplici e indisciplinate ma potenti. Senza allenamento alla libera scrittura, senza la pesca cieca dentro di noi, senza il nostro corpo, le regole della storia vi paralizzeranno. Lo scopo non è la performance finale, ma la varietà dell’esperienza interiore, senza la quale scriveremmo storie scolastiche, ovvietà. La cura, la continuità, la disciplina edificano e allargano la scrittura: ci è chiesto di tenere pulito il canale da cui emergono le voci, le storie, le sensazioni e le confuse emozioni che noi siamo. E, in un altro momento, ci è chiesto di pulire e limare. E tutto questo va fatto senza ansie, senza paura e senza pigrizia. La scrittura chiede che le emozioni profonde saltino fuori e che cadano le maschere. La scrittura chiede che si smetta di recitare l’esistenza per entrare nel grande teatro del sogno.

Foto copertina di Solstice Hannan su Unsplash

Strategie e metodi inclusivi

by
immagine copertina

Webinar del 31 gennaio 2023 – ore 16:30

Relatrice: dott. Francesca Costa

Docente presso il Liceo “G. Leopardi – E. Majorana” di Pordenone dove è anche Funzione Strumentale BES. Ha collaborato con l’Università di Urbino e collabora con l’Università di Udine. Si occupa di formazione docenti in tutta Italia e per varie Istituzioni.

Abstract

Il webinar affronta la tematica delle strategie e dei metodi inclusivi affinché ogni insegnante possa declinare un percorso didattico che faciliti l’apprendimento considerando le capacità di ognuno. Per creare inclusività, è necessario che vengano adottati precisi metodi e strategie, considerando la scuola una comunità educante e la classe un microcosmo attivo e in continuo divenire, un luogo di crescita, di confronto e interrelazione con pari e adulti, è necessario costruire un clima inclusivo, prosociale e di cooperazione dove ognuno sia messo nelle condizioni di imparare ad imparare, investendo sulle potenzialità individuali e collettive.

Gli obiettivi di cui si deve tener conto per una didattica inclusiva riguardano la presa in considerazione dei vari stili di insegnamento e di apprendimento, le relazioni e la cooperazione.

È importante far sì che gli allievi possano esprimere le loro potenzialità rafforzando il loro percepirsi persone capaci attraverso la sperimentazione del successo formativo, instillando così la fiducia nelle loro stesse capacità e incrementando la loro autostima, al fine di una significativa valorizzazione dei talenti di ciascuno.

L’evento formativo è rivolto a figure professionali che operano in ambito educativo e fornisce suggerimenti utili per la chiave del successo formativo per tutti

Nello specifico, il webinar consente di acquisire conoscenze e competenze su:

  • i principi chiave dell’inclusione
  • i requisiti per essere un insegnante efficace
  • la didattica inclusiva (stili di apprendimento e insegnamento)
  • metodologie e strumenti per la didattica inclusiva.

Download slides

Registrazione webinar


Domande e risposte

Breve sintesi delle domande poste alla relatrice durante il webinar.


  1. Nella scuola secondaria di 1° grado come è possibile pensare al co-teaching quando non esistono
    compresenze? Quale altro strumento- strategia utile promuovere?


    Spesso ci dimentichiamo che all’interno di una classe c’è la co-presenza del docente per le attività di sostegno la cui figura è normata sin dal 1977 con la legge 517 e con la legge 279/82 ne viene definito il ruolo all’interno della classe. Tale docente ha una propria specificità e concorre alla piena e totale inclusione, riveste il ruolo di sostegno alla classe in ottica inclusiva e di sostegno alla didattica inclusiva verso i colleghi.
    Un’altra figura che deve essere considerata risorsa per l’attività di co-insegnamento è il docente di potenziamento. La normativa di tale docente fa capo alla Legge 107 del 2015 e nell’articolo 1 al comma 5 si legge: “Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, è istituito per l’intera istituzione scolastica, o istituto comprensivo, e per tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado afferenti alla medesima istituzione scolastica l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal piano triennale dell’offerta formativa … I docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”. Per continuare, la nota del 5 settembre 2016 n. 2852 emanata dal Ministero dell’Istruzione recita che: “… Si aprono, quindi, nuovi scenari, spazi di flessibilità che, se sapientemente e funzionalmente utilizzati, possono consentire, anche ai docenti individuati su posti di potenziamento, di svolgere attività di insegnamento integrate ad altre attività progettuali. In questo contesto, docenti finora utilizzati solo per l’insegnamento curriculare possono occuparsi, in tutto o in parte, di attività di arricchimento dell’offerta formativa, in coerenza con le competenze professionali possedute … l’organico dell’autonomia può essere utilizzato per far fronte alla complessità dei bisogni formativi degli studenti, alle esigenze e alle necessità didattiche e organizzative della scuola, tenuto conto anche delle priorità, dei traguardi e degli obiettivi di processo individuati nel Rapporto di Autovalutazione (RAV) e delle azioni inserite nel Piano di Miglioramento (PdM) …”. Sta dunque a noi docenti rompere il muro della consuetudine e metterci in gioco per una didattica maggiormente flessibile e rispondente alle esigenze dei gruppi classe in cui lavoriamo, considerando che esistono dei limiti, certamente, ma un’accurata progettazione, aiuta a superarli.

  2. Spesso incontriamo genitori che non accettano le difficoltà (disabilità) dei propri figli. Quale
    approccio è possibile?


    Non è semplice rispondere a questa domanda, perché qualsiasi risposta non sarebbe comunque
    risolutiva. Non sono gli insegnanti le figure professionali preposte ad aiutare le famiglie verso l’accettazione delle difficoltà dei figli. Il nostro compito si limita alla didattica e non al supporto psicologico, per cui non abbiamo nemmeno gli strumenti idonei per agire.
    La strategia migliore che un insegnante può attivare è quella di una trasparenza totale in riferimento ad iniziative ed agiti. Per esempio, potrebbe essere utile mostrare alla famiglia le verifiche della classe che sono punto di partenza per l’individualizzazione per far notare ai genitori, come le stesse siano state declinate per i bisogni educativi speciali del figlio. Non dimentichiamoci quindi di mantenere attivo il dialogo con la famiglia e di avere un continuo contatto con i porofessionisti (psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, ….) che seguono l’allievo, con il fine di ottimizzarne il suo progetto di vita. Nell’eventualità fossero organizzati, sarebbe il caso di partecipare agli incontri formativi con le associazioni a cui fanno capo le famiglie, tali incontri possono diventare luoghi di approfondimento di tematiche comuni. Per quanto riguarda i temi di inclusione all’interno della classe, sicuramente bisogna predisporre attività personalizzate o individualizzate che siano parallele a quelle della classe/sezione di appartenenza e implementare la didattica adattiva e integrata, facendo sentire l’allievo parte attiva, per quanto possibile, all’interno contesto di riferimento. Importante sarà anche curare la relazione fra pari e con gli adulti, oltre che fargli sperimentare il successo formativo e farlo sentire capace ed apprezzato. L’allievo, per quanto possibile, deve essere partecipe e protagonista del suo percorso di formazione all’interno della classe/sezione. La famiglia diventa essa stessa protagonista, se viene edotta su quanto svolto.

  3. Potrebbe darci dei consigli per trovare la giusta sintonia tra insegnante e allievo?

    L’osservazione è fondamentale per capire sia lo stile cognitivo dell’allievo che la sua personalità e i diversi tipi di atteggiamento che vengono da lui adottati nei vari contesti. Sicuramente è importante anche avere una conoscenza che vada anche oltre il tempo scuola e questo lo si può ottenere tramite interviste e colloqui con la famiglia e con l’allievo stesso. Conoscere i suoi interessi e le sue passioni, permetterà anche di aumentare l’attenzione e la motivazione, poiché sapremo meglio calibrare la fase di warm-up delle lezioni.
    Inoltre, conoscere l’allievo come persona nell’interezza del suo tempo, ci premetterà di entrare più in sintonia con lui e di attivare un più alto grado di empatia. È ormai risaputo quanto sia determinante la relazione insegnante-allievo e quanto questo influenzi il rendimento scolastico. Sicuramente l’insegnante deve svestirsi dei preconcetti: ogni allievo presenta delle diversità e non lo si deve idealizzare in un modello. L’ascolto attivo che lo faccia sentire accettato, la pratica non giudicante, il cogliere tutte le cose positive e non soffermarsi sull’errore, se non in modo costruttivo, l’abbattimento della competizione fra i pari, possono essere tutte strategie che influenzano in modo efficace l’instaurarsi di una relazione di fiducia, in cui l’allievo si possa sentire capito e accolto. È importante che l’insegnante abbia competenze comunicative (coesione fra verbale e non verbale). Il ruolo dell’insegnante deve contemplare anche la funzione del motivatore e deve saper cogliere i possibili talenti dell’allievo che si sentirà capito e apprezzato per quanto può dare e non per aspettative che non potrebbe soddisfare.

  4. Nella scuola primaria può farci qualche esempio pratico di attività di co-teaching?

    Prima di tutto, mi piacer ricordare che la modalità del co-teaching si rivela pratica per lo sviluppo di una relazione autentica, e la scuola è luogo di relazioni per eccellenza.
    Il co-teacing prevede una pianificazione per l’implementazione dell’attività didattica in cui gli insegnanti coinvolti (co-progettazione), decidono chi presenta la lezione, come presentare l’argomento alla classe/sezione e le esercitazioni che seguiranno (co-insegnamento), e considerano in modo congiunto la valutazione (co-valutazione). Anche il setting d’aula è importante in base al lavoro che si vuole svolgere, meglio se lo si predispone a isole, più o meno grandi in base al lavoro che verrà richiesto. Gli insegnanti devono essere complementari qualora uno si dedichi alla spiegazione e l’altro alle attività pratiche. Potrebbe essere anche che un docente si preoccupi della spiegazione e l’altro personalizzi i contenuti che verranno poi distribuiti ai gruppi di allievi in base alle loro peculiarità. Inoltre, dividendo la classe ad isole, i docenti possono essere di aiuto specifico a determinati gruppi e, a conclusione dei lavori, possono scambiarsi i ruoli e fare delle osservazioni che possono avere valenza di autovalutazione per prendere in considerazioni possibili miglioramenti. Anche attività di cooperative learning possono essere pianificate e gestite da due docenti contemporaneamente e ciò permette di far confluire una maggior attenzione ad ogni gruppo di lavoro. Il successo dell’attività di co-teaching non è solo risultato dell’incontro di una responsabilità condivisa, ma anche l’incontro di competenze e conoscenze diverse, che contribuiscono ad un arricchimento reciproco rendendo un insegnante complementare all’altro.

Il difficile ruolo dei presidi visto da un docente

in Scuola by

Con questo articolo vorrei ritornare ancora sul ruolo dei presidi, prendendo spunto da quanto scritto da Paolo Fasce, ma proponendo una prospettiva diversa, inevitabilmente legata alla mia prospettiva di docente.

Riguardo al ruolo dei presidi vorrei contribuire anche io con una riflessione su una delle note più dolenti della scuola italiana: la cosiddetta governance.

La governance scolastica è il “chi fa cosa nella scuola” ed è una questione particolarmente seria perché, come rileva Paolo Fasce,  pone dei problemi strutturali. E’ perciò necessario dipanare il gomitolo di atteggiamenti, azioni, responsabilità e, importantissime,  aspettative che finiscono per creare miscele esplosive.

Il primo passo

Capire cosa sta succedendo nelle scuole, in modo da diminuire il più possibile l’aggressività che divide presidi e docenti.

Nell’analisi di  Fasce la metafora è non a caso agonistica: quello di Davide contro Golia fu un duello mortale (e a spese di Golia).

Fasce non ha tutti i torti, dato che i docenti riottosi esistono, ma non corriamo il rischio di banalizzare il rapporto tra docenti e dirigenti?

E’ vero che il preside è solo: come potrebbe non sentirsi in trincea una persona che con pochissimi strumenti deve coordinarne un centinaio? 

E il preside, come Fasce giustamente ricorda, è anche un “capo-ufficio”, tanto è vero che tutti i problemi sollevati da Fasce nell’articolo sono di tipo amministrativo: ritardi, iniziative non a norma, richieste “risibili”. 

Trovo assai significativo che Fasce abbia messo in cima questi problemi, e non quelli didattici.

Dal bunker in cui è costretto, il preside vede principalmente questo, e non potrebbe essere altrimenti. Una folla di docenti, decine di classi, centinaia di studenti, una mole enorme di problemi amministrativi.

Quanto da vicino può osservare un preside le dinamiche di classe, la didattica, le esigenze e anche le idiosincrasie dei suoi docenti? La visione del preside è strutturalmente d’insieme.

Di contro, la visione di un docente è quella più di dettaglio, talora vis-à-vis con uno studente. Tra le due posizioni c’è una distanza abissale che non è colmata da nulla. 

I docenti avrebbero bisogno di una struttura tecnico-professionale che li sostenga da vicino (fornendo aiuto e anche critiche), ma questa semplicemente non esiste. 

Il docente in cerca di cooperazione o di aiuto vede solo il preside, la cui attenzione però è catturata da quel che diceva Fasce: controllare il rispetto delle leggi, rispondere ai superiori, assorbire tutto quello che si riversa sulla scuola. 

Se non ci si rende conto del problema di sistema, che trasforma presidi e docenti in capponi manzoniani, i docenti finiscono per vedere nel preside solo uno sceriffo e i presidi nei docenti in difficoltà solo “figure oppositive” (senza nulla togliere al fatto che i veri docenti oppositivi esistono).

Sulla distanza tra i due ruoli bisogna lavorare in due modi.

Da un lato occorre diminuirla, fornendo la scuola di un middle-management che raccordi dirigenza e docenza aiutando entrambe: insegnanti esperti con un ruolo di guida e accompagnamento.

Dall’altro, è bene sapere che questo iato esiste e bisogna non farsi ingannare dalla prospettiva: le richieste che Paolo Fasce ritiene “risibili” quali sono? E quanto sono davvero risibili?

Alcune lo saranno senz’altro, ma altre sono risibili dal punto di vista del sistema, non di quello personale. E quanto accurate sono le idee che un preside si forma sui propri docenti sulla base di incontri occasionali e voci di corridoio? Eppure ai presidi capita di essere assai perentori nei giudizi, cosa che influenza molto ciò che si considera risibile oppure no.

Un esempio tipico è quello della gestione della disciplina:

Alcuni docenti faticano a tenerla e i genitori si lamentano. Il preside lo avverte come un problema, ma il tempo che gli può dedicare si misura, considerato tutto il suo daffare, in minuti, forse qualche ora.

Quanti presidi (e quanti docenti, se è per questo) ne concludono che il docente in questione si deve attrezzare meglio ed evitare di diventare un problema? Difficile dirlo, ma tanto non è questo il punto: per illuminato che sia, un preside tempo da dedicare ad un singolo docente non ne avrà mai abbastanza.

Accanto al docente in difficoltà ci vuole dunque un docente senior che possa seguire la questione, valutarla e intervenire di conseguenza.

Questo sarebbe d’aiuto a tutti, anche al migliore dei docenti, beninteso, e renderebbe molto più solidamente motivate le sanzioni residue che andrebbero comunque irrogate nei casi in cui è davvero necessario.

Discorsi analoghi riguarderebbero anche tanti altri temi caldi, come la formazione professionale continua (qui interessanti spunti dall’Inghilterra) o la valutazione scolastica.

C’è tra i docenti, come ovunque, una percentuale di persone inadeguate, ma spesso il punto dolente è strutturale, non personale. O meglio: è l’incancrenirsi di certe situazioni che lo rende anche personale.

Ogni intoppo a cui non si può dedicare tempo sufficiente diventa prima un problema e poi una rogna. Per i presidi, soli, sotto stress e con responsabilità smisurate, ogni cosa diventa un problema e si candida facilmente a diventar rogna. 

E’ fin troppo frequente che quindi un preside finisca per ragionare in termini di deficit-model: si imposta il lavoro non per ottenere il meglio, ma per sanzionare il peggio.

Il problema è che tale modello non funziona: ottiene un impegno soltanto burocratico, non profondo, entusiastico e vissuto (come si spiega bene qui).

La cornice peraltro non aiuta: tra vincoli ministeriali e pronunciamenti dei tribunali, il messaggio che arriva a tutti a scuola è che l’importante sono la forma e le carte, non gli studenti e l’apprendimento, se non in senso residuale.

Modificare questa cornice burocratica sarebbe essenziale, così come il costruire scuole più serene. In attesa di tutto questo, i docenti dovrebbero cercare di capire di più i vincoli in cui si muove la scuola e i presidi l’estrema delicatezza del loro compito: la scuola si migliora tutti insieme.

Strategie e metodi inclusivi a scuola: alcuni consigli pratici

in Bisogni Educativi Speciali/Webinar e formazione by
immagine copertina
L’importanza di attuare strategie e metodi inclusivi a scuola: ecco alcuni consigli pratici

In ambito scolastico, l’inclusione è da intendersi come un processo di inserimento stabile e funzionale rivolto a tutti gli allievi indistintamente che coinvolge sia la dimensione educativa che quella sociale. La scuola, infatti, è una comunità educante e la classe un microcosmo attivo e in continuo divenire, un luogo di crescita, di confronto e interrelazione con pari e adulti.

Affinché l’agito educativo sia efficace per ciascuno, prima ancora dell’intervento sul singolo allievo, è necessario interviene sul contesto fisico, organizzativo e relazionale in termini di barriere e facilitatori.

Nel presente articolo, ci concentreremo sulla parte del contesto organizzativo che riguarda la modalità didattica, tralasciando l’organizzazione spazio-temporale e le risorse, considerando che, per creare inclusione, è prioritario costruire un clima inclusivo, prosociale e di cooperazione dove ognuno sia messo nelle condizioni di imparare ad imparare, investendo sulle potenzialità individuali e collettive, con l’obiettivo di valorizzare le differenze per saperle trasformare in risorse a beneficio di tutti.

La chiave attraverso cui declinare un percorso didattico inclusivo efficace:

Attivare precise strategie e metodi inclusivi che devono partire dall’analisi degli stili di insegnamento che, inevitabilmente, portano ricadute non solo sul clima della classe, ma anche sull’apprendimento.

La didattica inclusiva deve creare spazi di apprendimento dove tutti gli allievi possono inserirsi attivamente e sperimentare il successo formativo.

Un insegnante deve saper dialogare con gli allievi in termini di reciproco rispetto, praticando l’ascolto attivo e assicurando una partecipazione attiva considerando i diversi stili di apprendimento che devono tendere a una conoscenza comune in cui il processo di apprendimento diventa un tutt’uno con quello della socializzazione. 

Una scuola inclusiva che mette in campo una didattica attiva dovrebbe prevedere: 

  • il co-teaching che permette ai docenti di essere più vicini agli allievi e dissolvere le barriere dell’aula
  • l’adattamento e la diversificazione dei materiali di apprendimento per il rispetto degli stili cognitivi
  • l’attività di scoperta che stimola la crescita cognitiva ed emotiva
  • la didattica metacognitiva per permettere agli allievi di acquisire consapevolezza dei loro stessi processi cognitivi
  • la didattica laboratoriale che promuove la motivazione 
  • il modeling (videomodeling) come dimostrazione dei comportamenti da imitare
  • il tutoring che permette di sviluppare empatia e capacità di mediazione sociale
  • l’apprendimento cooperativo che dà modo a ognuno di esprimersi liberamente per trovare un filo conduttore di un lavoro condiviso (di questo tema ne avevamo parlato anche qui)
  • il role – playing, un’animazione pedagogica che è imitazione ludica di un reale possibile, e che deve essere ben strutturata nella sua organizzazione a partire dalla scansione temporale  
  • il circle time che, se ben strutturato con l’adozione di regole ben precise, si rivela uno strumento idoneo per creare un clima favorevole nella classe/sezione, favorisce la collaborazione e l’assunzione di responsabilità
  • il problem solving, per cui il docente sollecita l’individuazione del problema e la ricerca delle ipotesi di soluzione, utile anche nei casi di conflitti
  • il debate che può essere considerata una strategia di autoformazione per pensare criticamente
  • l’uso partecipato e inclusivo delle tecnologie 
  • l’utilizzo di una valutazione formativa autentica che esamina il processo di apprendimento e non i risultati.

Sicuramente, per una gestione efficace della classe, che è considerata la sfida del XXI secolo, è indispensabile che ci sia dialogo e confronto tra professionalità diverse con lo scopo di mettere a punto strumenti, materiali, procedure in modo sinergico per mantenere coerenza educativa e portare avanti azioni in modo condiviso per la fattiva formazione degli allievi in funzione del loro progetto di vita. 

Se vuoi saperne di più sul tema, partecipa al webinar gratuito:

Iscriviti qui https://register.gotowebinar.com/register/2268348991554245212

Raccontare la Shoah a scuola

in Storia e Filosofia by
Immagine shoah

Una riflessione sulla Shoah e sul bisogno di ricordare non solo le vittime, ma anche coloro che c’erano e non sono restati a guardare ma hanno aiutato, rischiando. O ancora, di coloro che invece hanno deciso di rimanere immobili.

Dice Matteo Corradini che c’è una bella differenza tra la Fatina dei dentini e un racconto della Shoah. La cosa può sembrare ovvia, però Matteo Corradini dice anche che, girando tante scuole e parlando di memoria con tanti studenti, tra la Fatina e la Shoah lui ha trovato alcune connessioni. Un paio di collegamenti che a me sono sembrati bellissimi. I bambini, per esempio.

In fondo, se ci pensate, i bambini sono gli stessi: un po’ più grandi quelli a cui diamo qualche particolare in più sulla Shoah, un po’ più piccoli gli altri, ma sono gli stessi. E allora è evidente che, dietro ogni cosa che riguarda i bambini e le bambine, c’è la cura che mettiamo nel raccontare. E anche noi siamo un collegamento. Forse più noi dei bambini. 

Spesso ci siamo sentiti dire che bisogna ricordare per evitare che il passato si ripeta. Ricordare per evitare il ritorno del buio. Per me non è così, a me questa idea non ha mai convinto. La memoria non è un’assicurazione sul futuro e mi sembra che le prove di questa mancanza di automatismo, intorno a noi, non manchino. E allora perché è importante ricordare? Perché è importante che chi racconta il passato non smetta di farlo?

La mia personalissima risposta a questa domanda è un luogo fisico. Si chiama Villa Emma e si trova in un paese vicino Modena, Nonantola. Una villa come tante, ma che nel 1942 ha ospitato una settantina di bambini e ragazzi ebrei in fuga dalla Germania. E’ la storia di tutto un paese che ha aperto le porte delle case, dei negozi, dei fienili e anche del seminario, per nascondere gli ebrei. E’ la storia di un prete e di un medico che hanno stampato documenti falsi per farli fuggire. Ed è la storia, soprattutto, delle sarte che in poco tempo hanno cucito 40 cappotti, tutti uguali, per confondere le guardie con la parvenza di una gita scolastica.

Un racconto anomalo, straordinario anzi. Oggi, in diverse parti del mondo, i discendenti di quei bambini e di quei ragazzi si stanno organizzando per non disperdere il ricordo del coraggio che la popolazione di Nonantola dimostrò nel 1943.

Ecco, è questo il punto del ricordo, della memoria. Accanto alla tragedia dovremmo secondo me raccontare il coraggio, la responsabilità di chi ha visto, ma non ha lasciato correre. Di chi non si è voltato dall’altra parte. La Shoah non può restare, unicamente, la storia di chi ha subito lo sterminio: se così fosse le vittime resterebbero sole, ancora una volta. La Shoah è anche la storia di tutti gli altri, di chi c’era e ha fatto. Di chi c’era e non ha fatto. Di chi è venuto dopo e, sulla base di quell’esempio, deve decidere se fare o se restare a guardare. 

Oggi i drammi sono altri, diversi, ma davvero così meno importanti?

Parlare del passato vuol dire assumere una responsabilità. Perché attraverso il racconto che facciamo, la prospettiva che di volta in volta assumiamo, proviamo a cambiare il presente. Soprattutto noi, quelli che raccontano. Quelli che lavorano con i bambini e le bambine.

Per la bibliografia: Matteo Corradini “Tu sei memoria. Didattica della memoria: percorsi su ebraismo e Shoah alla scuola primaria”. Erickson, Trento 2022.

Sul tema del Giorno della Memoria potrebbe interessarti questo articolo, oppure questo, che consiglia 3 film sul tema.

Foto di Eelco Böhtlingk su Unsplash