Con questo articolo vorrei ritornare ancora sul ruolo dei presidi, prendendo spunto da quanto scritto da Paolo Fasce, ma proponendo una prospettiva diversa, inevitabilmente legata alla mia prospettiva di docente.
Riguardo al ruolo dei presidi vorrei contribuire anche io con una riflessione su una delle note più dolenti della scuola italiana: la cosiddetta governance.
La governance scolastica è il “chi fa cosa nella scuola” ed è una questione particolarmente seria perché, come rileva Paolo Fasce, pone dei problemi strutturali. E’ perciò necessario dipanare il gomitolo di atteggiamenti, azioni, responsabilità e, importantissime, aspettative che finiscono per creare miscele esplosive.
Il primo passo
Capire cosa sta succedendo nelle scuole, in modo da diminuire il più possibile l’aggressività che divide presidi e docenti.
Nell’analisi di Fasce la metafora è non a caso agonistica: quello di Davide contro Golia fu un duello mortale (e a spese di Golia).
Fasce non ha tutti i torti, dato che i docenti riottosi esistono, ma non corriamo il rischio di banalizzare il rapporto tra docenti e dirigenti?
E’ vero che il preside è solo: come potrebbe non sentirsi in trincea una persona che con pochissimi strumenti deve coordinarne un centinaio?
E il preside, come Fasce giustamente ricorda, è anche un “capo-ufficio”, tanto è vero che tutti i problemi sollevati da Fasce nell’articolo sono di tipo amministrativo: ritardi, iniziative non a norma, richieste “risibili”.
Trovo assai significativo che Fasce abbia messo in cima questi problemi, e non quelli didattici.
Dal bunker in cui è costretto, il preside vede principalmente questo, e non potrebbe essere altrimenti. Una folla di docenti, decine di classi, centinaia di studenti, una mole enorme di problemi amministrativi.
Quanto da vicino può osservare un preside le dinamiche di classe, la didattica, le esigenze e anche le idiosincrasie dei suoi docenti? La visione del preside è strutturalmente d’insieme.
Di contro, la visione di un docente è quella più di dettaglio, talora vis-à-vis con uno studente. Tra le due posizioni c’è una distanza abissale che non è colmata da nulla.
I docenti avrebbero bisogno di una struttura tecnico-professionale che li sostenga da vicino (fornendo aiuto e anche critiche), ma questa semplicemente non esiste.
Il docente in cerca di cooperazione o di aiuto vede solo il preside, la cui attenzione però è catturata da quel che diceva Fasce: controllare il rispetto delle leggi, rispondere ai superiori, assorbire tutto quello che si riversa sulla scuola.
Se non ci si rende conto del problema di sistema, che trasforma presidi e docenti in capponi manzoniani, i docenti finiscono per vedere nel preside solo uno sceriffo e i presidi nei docenti in difficoltà solo “figure oppositive” (senza nulla togliere al fatto che i veri docenti oppositivi esistono).
Sulla distanza tra i due ruoli bisogna lavorare in due modi.
Da un lato occorre diminuirla, fornendo la scuola di un middle-management che raccordi dirigenza e docenza aiutando entrambe: insegnanti esperti con un ruolo di guida e accompagnamento.
Dall’altro, è bene sapere che questo iato esiste e bisogna non farsi ingannare dalla prospettiva: le richieste che Paolo Fasce ritiene “risibili” quali sono? E quanto sono davvero risibili?
Alcune lo saranno senz’altro, ma altre sono risibili dal punto di vista del sistema, non di quello personale. E quanto accurate sono le idee che un preside si forma sui propri docenti sulla base di incontri occasionali e voci di corridoio? Eppure ai presidi capita di essere assai perentori nei giudizi, cosa che influenza molto ciò che si considera risibile oppure no.
Un esempio tipico è quello della gestione della disciplina:
Alcuni docenti faticano a tenerla e i genitori si lamentano. Il preside lo avverte come un problema, ma il tempo che gli può dedicare si misura, considerato tutto il suo daffare, in minuti, forse qualche ora.
Quanti presidi (e quanti docenti, se è per questo) ne concludono che il docente in questione si deve attrezzare meglio ed evitare di diventare un problema? Difficile dirlo, ma tanto non è questo il punto: per illuminato che sia, un preside tempo da dedicare ad un singolo docente non ne avrà mai abbastanza.
Accanto al docente in difficoltà ci vuole dunque un docente senior che possa seguire la questione, valutarla e intervenire di conseguenza.
Questo sarebbe d’aiuto a tutti, anche al migliore dei docenti, beninteso, e renderebbe molto più solidamente motivate le sanzioni residue che andrebbero comunque irrogate nei casi in cui è davvero necessario.
Discorsi analoghi riguarderebbero anche tanti altri temi caldi, come la formazione professionale continua (qui interessanti spunti dall’Inghilterra) o la valutazione scolastica.
C’è tra i docenti, come ovunque, una percentuale di persone inadeguate, ma spesso il punto dolente è strutturale, non personale. O meglio: è l’incancrenirsi di certe situazioni che lo rende anche personale.
Ogni intoppo a cui non si può dedicare tempo sufficiente diventa prima un problema e poi una rogna. Per i presidi, soli, sotto stress e con responsabilità smisurate, ogni cosa diventa un problema e si candida facilmente a diventar rogna.
E’ fin troppo frequente che quindi un preside finisca per ragionare in termini di deficit-model: si imposta il lavoro non per ottenere il meglio, ma per sanzionare il peggio.
Il problema è che tale modello non funziona: ottiene un impegno soltanto burocratico, non profondo, entusiastico e vissuto (come si spiega bene qui).
La cornice peraltro non aiuta: tra vincoli ministeriali e pronunciamenti dei tribunali, il messaggio che arriva a tutti a scuola è che l’importante sono la forma e le carte, non gli studenti e l’apprendimento, se non in senso residuale.
Modificare questa cornice burocratica sarebbe essenziale, così come il costruire scuole più serene. In attesa di tutto questo, i docenti dovrebbero cercare di capire di più i vincoli in cui si muove la scuola e i presidi l’estrema delicatezza del loro compito: la scuola si migliora tutti insieme.