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Essere multitasking… e gli altri video del venerdì!

in Zigzag in rete by
Non solo matematica e scienza: il professor Vincenzo Schettini, nei suoi video del venerdì, regala tanti utili consigli agli studenti e agli insegnanti che lo seguono.

Dopo il successo del primo articolo torna uno dei professori più amati dal web e volto noto della televisione, Vincenzo Schettini, il cui canale YouTube “La Fisica che ci piace” conta ormai quasi 50.000 iscritti! Dimostrazione tangibile che anche gli argomenti più ardui e difficili – quando vengono raccontati con leggerezza, precisione e il sorriso sulle labbra – vengono apprezzati da tutti.

Mentre gli studenti e gli insegnanti di tutta Italia sono alle prese con la DAD, per portare a termine un anno scolastico veramente incredibile, di cosa ha parlato Vincenzo Schettini nei suoi “video del venerdì” di maggio?

Per scoprirlo, basta chiederlo direttamente a lui…

Eccoci qua! I video di questo mese sono gli ultimi che chiudono un ciclo di video pubblicati ogni settimana. Quest’estate, esattamente come la scorsa, programmerò video sul mio canale ma in maniera molto più free. Quindi, invitandovi a continuare a seguirmi, ecco i video che ho pubblicato a maggio!

Nel video di venerdì 8 maggio, davvero speciale, ho avuto quattro studenti maturandi ospiti da quattro diverse regioni italiane: abbiamo parlato delle loro emozioni, dei loro dubbi e delle idee che in quel momento avevano sugli esami di stato

Venerdì 15 maggio ho parlato della mia esperienza di “organizzazione giornaliera”. Ho condiviso con i miei followers tre step fondamentali per essere super organizzati nella vita:

Avendo ricevuto centinaia di richieste sugli argomenti per la maturità, venerdì 22 maggio mi sono dedicato proprio all’orale di maturità: ho suggerito e discusso cinque argomenti top per preparare l’elaborato di fisica per gli esami di stato…

Venerdì 29 maggio mi sono dedicato ai ragazzi delle scuole della secondaria di I grado: ho mostrato cinque errori da non commettere per scrivere correttamente un’ottima tesina per gli esami (argomento super interessante anche per i ragazzi più grandi)…

Maturità 2020, parlano i professori! (2° parte)

in Scuola by
Come sarà la maturità 2020 a causa dell’emergenza coronavirus? Oggi ne parliamo con il professor Marco Briziarelli.

Dopo questo lungo periodo di didattica a distanza, che ha cambiato il modo di fare scuola di ogni ordine e grado, sono state ufficializzate le regole e le modalità per la nuova maturità 2020.

Quali sono le novità di questa maturità 2020? L’ordinanza ministeriale ci dice innanzitutto che tutti gli studenti che hanno frequentato l’ultimo anno della secondaria di II grado saranno ammessi alla prova. E che il loro voto di ammissione sarà valutato dal consiglio di classe. Tra le grandi novità ci sono anche il valore dei crediti degli ultimi tre anni, che sarà in totale di 60 punti (18 per il terzo anno, 20 per il quarto, 22 per il quinto). E soprattutto la presenza di una sola prova orale, che sostituisce gli scritti e varrà fino a un massimo di 40 punti.

Per scoprire più da vicino come gli studenti – e i professori – si preparano a questa “notte prima degli esami” veramente sui generis, abbiamo pensato di porre delle domande ad alcuni insegnanti provenienti da diverse regioni diverse d’Italia. Dopo la prima intervista a una professoressa di Padova, oggi è con noi il professor Marco Briziarelli, che insegna italiano e latino presso il Liceo Scientifico “Jacopone da Todi” di Todi, Perugia.

Benvenuto. Come avete vissuto, lei e i suoi studenti, questo momento in attesa di conoscere le modalità della nuova maturità 2020?

Premesso che ho sempre cercato di comunicare nelle mie classi l’idea che a contare davvero è la qualità del percorso scolastico svolto, la crescita culturale e umana, i miei studenti vivono con comprensibile apprensione la maturità, in quanto esperienza per loro nuova e conclusiva di un ciclo di studi e di vita decisivo nella propria formazione. A ciò si aggiunge il fatto che quest’anno, con la sospensione dell’attività didattica e l’attivazione della didattica a distanza, è stato annunciato che le modalità della nuova maturità sarebbero mutate.

Ma come? E, soprattutto, quando le avremmo conosciuto nel dettaglio? Per quanto mi riguarda ho vissuto con relativa tranquillità e pazienza questa fase di attesa e incertezza, nella convinzione che non sarebbe stato semplice riconfigurare nel dettaglio l’Esame di Stato.

Nello stesso tempo, ho dialogato con gli studenti per rassicurarli, rafforzare la loro autostima e sollecitarli a convivere non drammaticamente con le incognite del caso, in presenza anche di incognite assai più rilevanti imposte alla nostra esistenza dal propagarsi o dal persistere di una pandemia dalla portata storica. Credo di essere riuscito, almeno in parte, in questa operazione distensiva anche se numerose sono state le domande degli studenti, le ipotesi, le richieste di chiarimenti che mi hanno rivolto nel corso dei giorni.

Hanno manifestato segni di disorientamento, perplessità, ansia, mantenendo sempre un atteggiamento costruttivo e cercando in molti casi di prefigurare scenari in modo da poter indirizzare il loro lavoro coerentemente con una prova che sarebbe stata verosimilmente più orientata a sondare la produzione orale che quella scritta.

Quest’anno sono state eliminate le prove scritte a favore di un’unica prova orale. Come stanno vivendo gli studenti questo cambiamento?

Gli studenti hanno accolto in modo diversificato questo cambiamento. C’è stato chi, più fragile nella produzione scritta, si è sentito maggiormente garantito da un esame che le escludeva.

C’è stato poi chi, abituato a confrontarsi con entusiasmo e successo con le prove scritte, ha vissuto questa scelta come una sottrazione. Il venir meno di una occasione per dimostrare le proprie capacità.

Capisco comunque il senso di sollievo di molti studenti in quanto, oggettivamente, le prove scritte della maturità presentano una complessità che, troppo spesso, non tiene conto di quanto tempo in più noi docenti avremmo bisogno per preparare in modo più sicuro e solido i nostri alunni a queste prove.

Come pensa di sostenere gli studenti nella nuova prova, dopo un lavoro incentrato in gran parte sugli scritti?

C’è un lavoro di sostegno psicologico che occorre fare sempre e comunque in vista di una prova d’esame, ma occorre anche convincere i ragazzi che l’esame non è il cuore della scuola.

D’altra parte, vista la nuova configurazione della prova di maturità, il grande sforzo che cerco quotidianamente di compiere, e che caratterizza comunque da sempre la mia didattica, è quello di stimolare gli studenti a parlare, a interagire, a confrontarsi continuamente in modo reciproco e con l’insegnante. Se questo però risulta efficace a scuola, non sta accadendo lo stesso con le videolezioni. Per problemi di connessione, di dispostivi o di “allentamento” della socialità, gli studenti tendono a essere più “spenti” e meno pronti a confrontarsi verbalmente. Ho notato questa tendenza anche in alunni che in presenza risultavano particolarmente brillanti nell’interazione orale.

Vivo questa difficoltà con molta pena. Ritengo che la vivacità e l’intelligenza dell’interazione orale siano tra le più grandi gioie e soddisfazioni che la scuola possa offrire a insegnanti e studenti. D’altra parte questo affievolimento della parola è forse conseguenza diretta dell’isolamento e del distanziamento prodotto dal Coronavirus. Intendo tuttavia continuare a stimolare i miei studenti, a organizzare verbalmente i loro pensieri, a parlare e a interagire. Penso anche che alcune indicazioni arrivate dal Ministero possano essere d’aiuto.

Un consiglio che ho più volte dato ai miei alunni è stato quello di dedicare del tempo a informarsi in modo approfondito sulla pandemia e a riflettere sulle sue implicazioni storiche, sociali, psicologiche. Operando connessioni con quanto hanno studiato e con i grandi temi di Cittadinanza e Costituzione con i quali dovranno confrontarsi all’esame.

Tra le novità 2020, c’è una maggiore importanza data all’andamento degli ultimi tre anni di ogni studente. Come hanno accolto i suoi studenti la notizia?

Gli studenti hanno molto apprezzato questa scelta. A loro giudizio, una valutazione che tenga maggiormente conto di un impegno pluriennale restituisce meglio la qualità e il profilo di ciascuno di loro. Un peso troppo rilevante dato alla prova di esame, in presenza di eventuali “cedimenti” o difficoltà psicologiche connesse alla situazione. Rischierebbe infatti di portare a una sottovalutazione degli studenti stessi.

A mio avviso, il problema può anche essere inverso, cioè quello che studenti che non hanno brillato per impegno nel corso degli anni siano troppo favoriti da un esame che, per forza di cose circoscritto, sonda solo parzialmente le loro competenze e, magari, premia alunni che hanno mostrato di conoscere gli argomenti oggetto di prova ma che non conoscono la maggior parte di quelli affrontati nel corso degli anni.

Alcuni studenti hanno anche apertamente manifestato l’auspicio che, d’ora in avanti, per le maturità degli anni successivi, venga confermata la scelta di dare maggior peso al percorso triennale piuttosto che all’esame di maturità.

Grazie e… buona maturità!

Crediti foto copertina: dcJohn

Come cambia – e come cambierà – la didattica (2° parte)

in Approcci Educativi/Scuola by
Continua la tavola rotonda on-line per capire com’è cambiata e come cambierà la didattica.

Dopo il precedente articolo, per fare il punto sull’emergenza che sta vivendo la scuola italiana a causa del Covid-19, continuiamo a parlare di didattica a distanza. Lo facciamo con tre docenti della scuola secondaria di II grado provenienti da diverse regioni: il professor Francesco Bardelli, dell’Istituto Superiore “San Pellegrino” di San Pellegrino (BG); la professoressa Alessandra Giunta del Liceo Artistico del Polo Bianciardi di Grosseto; la professoressa Maria Cristina Scala del Liceo scientifico “A. Labriola” di Napoli.

Ben ritrovati! Subito per voi una domanda che interessa molti studenti della secondaria di II grado. Giugno è da sempre tempo di esami. Il Ministro Azzolina ha da poco confermato che l’esame di maturità avrà inizio il 17 giugno. Si svolgerà in classe, con un’unica prova d’esame, l’orale, che rispetto al solito varrà al massimo fino a 40 punti. Come pensate che gli studenti affronteranno l’esame di maturità?

Francesco Bardelli: Sì, il Ministro Azzolina ha appena scelto le modalità di svolgimento dell’esame, che sarà caratterizzato da un’unica prova orale in presenza. È interessante notare che i risultati degli ultimi tre anni varranno fino a 60 punti e che sarà lo studente a scegliere di che cosa parlare.

Alessandra Giunta: Sono favorevole alla scelta del Ministro, con un unico esame orale davanti a una commissione formata da sei commissari interni e un presidente esterno. Naturalmente dovranno essere garantite le norme sul distanziamento sociale e sull’utilizzo dei dispositivi di sicurezza che dovranno essere scrupolosamente osservate da docenti e discenti. Di sicuro l’esame in presenza è la soluzione migliore al fine di conseguire un’adeguata e corretta valutazione degli studenti . Per via telematica si sarebbe rivelata difficoltosa e poco attendibile. 

Maria Cristina Scala: Gli studenti affronteranno l’unica prova dell’esame di maturità con serietà, perché consapevoli degli sforzi fatti dall’amministrazione e soprattutto dai loro insegnanti per mantenere il contatto con loro e proseguire lo svolgimento delle programmazioni didattiche.

Pur in attesa di conoscere le modalità di riapertura delle scuole a settembre, proviamo a tirare una prima valutazione: come ne esce, secondo voi, il valore dell’insegnamento ex cathedra da questa esperienza?

Francesco Bardelli: Per quanto mi riguarda, l’insegnamento ex cathedra non è paragonabile con l’insegnamento a distanza. Quello dal vivo è cento volte più efficace e funzionale, mentre quello a distanza può andar bene solo in casi di emergenza.

Alessandra Giunta: La didattica in presenza rimane comunque la forma migliore per stabilire un proficuo rapporto di comunicazione con gli studenti. Non considero il mio un insegnamento ex cathedra (né ritengo che debba avere in generale questa connotazione). Perché rifiuto un impianto scolastico verticale basato su un flusso monodirezionale di nozioni ricevute dall’alto. Penso che la didattica tradizionale non possa mai essere sostituita perché solo in questo caso può essere garantita appieno la triplice funzione comunicativa, propositiva ed educativa del docente. Inoltre concordo con chi sostiene che un utilizzo assiduo dei mezzi di comunicazione telematica possa risultare nocivo alla salute oltre che alienante.

Maria Cristina Scala: L’insegnamento ex cathedra si era già dimostrato fallimentare. È con la circolazione delle conoscenze e delle emozioni che si sviluppano la ricerca conoscitiva e lo sviluppo delle competenze.

Grazie per aver partecipato a questo dibattito on-line. Con la speranza che gli insegnanti e i loro studenti possano tornare quanto prima nelle aule di una scuola.

Maratona letteraria: gli insegnanti leggono Pinocchio

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Il 30 maggio dalle ore 15.00 va in scena la prima maratona letteraria dedicata a Pinocchio, il più famoso burattino del mondo e a tutti i docenti d’Italia.

82 insegnanti, provenienti dalle regioni di tutta Italia, leggeranno i 36 capitoli di Pinocchio in versione integrale. La maratona letteraria è un evento straordinario – in diretta YouTube Premiere – per riscoprire un grande classico della letteratura italiana e mondiale.

L’iniziativa nasce da Librì Progetti Educativi come un ringraziamento verso tutta la classe docente italiana così straordinariamente provata nei lunghi mesi di chiusura scolastica. Ma anche per porre in risalto un aspetto mai troppo sottolineato: il grande legame relazionale e affettivo tra docente e studente, fondamento della relazione educativa.

Per l’occasione, il professor Franco Nembrini – pedagogista, insegnante e volto noto della televisione, nonché uno dei massimi studiosi italiani di Dante e Collodi – ci racconta il valore di leggere oggi Le avventure di Pinocchio

Il bello della grande letteratura è che è in grado di rispondere a qualunque tipo di domanda. I testi letterari infatti non sono – come certa critica vorrebbe, e ahinoi troppi manuali scolastici insegnano – cadaveri di cui fare l’autopsia. Sistemi chiusi in se stessi di cui cercare solo le corrispondenze interne, per ricavare al massimo le “intenzioni dell’autore”.

No, un testo letterario è una creazione viva, che ha la straordinaria capacità di dare risposte sempre nuove a seconda delle domande poste dal lettore.

I grandi scrittori hanno una grande esperienza dell’umano. E per questo io posso interrogarli e scoprire nella loro esperienza qualche elemento che può illuminare la mia.

Come dice, con altre parole, uno dei massimi studiosi di letteratura del nostro tempo, Tzvetan Todorov, nel suo prezioso pamphlet La letteratura in pericolo:

Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità e ci arricchisce, perciò, infinitamente, per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello.

Collodi, con le sue “Avventure di Pinocchio”, si concentra sull’infanzia, con l’idea che se vogliamo costruire un mondo migliore dobbiamo ricominciare dai bambini; e nel parlare ai bambini ritrova, consapevolmente o meno, quell’immagine del mondo che lui stesso da bambino aveva respirato, quello della tradizione cristiana, che ha dato forma alla civiltà occidentale.

In fondo questo ritorno all’infanzia, e al linguaggio fantastico e simbolico che la caratterizza, è sempre un ritorno alle origini, un ritorno alle sorgenti della vita e del linguaggio stesso.

Le cose più grandi e più importanti non si imparano attraverso complicati ragionamenti ma con l’immediatezza di un’immagine in cui sia descritta, fotografata, un’esperienza reale.

In questo forse il compito della letteratura in generale e della letteratura per i bambini in particolare, è più grave che in passato: si tratta di aiutarsi a riconoscere e ad affrontare le domande fondamentali dell’esistenza cioè le domande sul senso delle cose, sul loro destino”.

Per seguire l’evento in diretta basta connettersi su  www.maratonapinocchio.it o cliccare qui: https://youtu.be/rd2Rrw8Gt2s

Vi aspettiamo sabato 30 maggio 2020 dalle ore 15:00!

Maturità 2020, parlano i professori!

in Scuola by
Come sarà la maturità 2020 a causa dell’emergenza Coronavirus? Ne parliamo con la professoressa Elena Sartori.

Come anticipato dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, sono state ufficializzate le regole e le modalità per la nuova maturità 2020, dopo un lungo periodo di didattica a distanza, che ha cambiato il modo di fare scuola di ogni ordine e grado.

Quali sono le novità? L’ordinanza ministeriale ci dice innanzitutto che tutti gli studenti che hanno frequentato l’ultimo anno della secondaria di II grado saranno ammessi alla prova, e che il loro voto di ammissione sarà valutato dal consiglio di classe. Tra le grandi novità ci sono anche il valore dei crediti degli ultimi tre anni, che sarà in totale di 60 punti (18 per il terzo anno, 20 per il quarto, 22 per il quinto), e soprattutto la presenza di una sola prova orale, che sostituisce gli scritti e varrà fino a un massimo di 40 punti.

Per scoprire più da vicino come gli studenti – e i professori – si preparano a questa “notte prima degli esami” veramente sui generis, abbiamo pensato di porre delle domande ad alcuni insegnanti provenienti da diverse regioni diverse d’Italia. Oggi è con noi la professoressa Elena Sartori, che insegna chimica nell’IIS Scalcerle di Padova.

Benvenuta. Come avete vissuto, lei e i suoi studenti, questo momento in attesa di conoscere le modalità della nuova maturità 2020?

Inizialmente nessuno si preoccupava perché tutti pensavamo che si trattasse solo di una situazione temporanea e che saremmo tornati a scuola. Io mi sono tuffata con entusiasmo nella didattica a distanza, che rappresentava una “variazione sul tema” e mi consentiva di avere un approccio più flessibile all’insegnamento (non hai capito? va bene, sentiamoci oggi pomeriggio). Un po’ alla volta l’entusiasmo si è smorzato, sia per i vincoli impostici dalla dirigenza (meglio lezioni in differita, non troppe lezioni in una mattinata, ridurre l’ora di lezione) sia per la mancanza del contatto diretto con gli studenti che, mi sono resa conto nel tempo, rappresenta l’innesco necessario. Dal canto loro, i ragazzi ci comunicavano spesso la difficoltà nell’affrontare la lezione e lo studio in modo così distante e individuale. Non conoscere le modalità dell’esame ha creato un po’ di ansia in me e negli studenti. Tutti avremmo voluto conoscere con anticipo sia le modalità dell’esame sia la composizione delle commissioni. Invece le modalità dell’esame non sono ancora completamente note e le commissioni sono state decise solo pochi giorni fa. Per effetto della presenza dei soli membri interni e per disposizioni contenute nell’ordinanza ministeriale, alcune classi sosterranno l’esame di maturità su materie diverse da quelle inizialmente decise dal ministero all’inizio dell’anno. Per me si tratta inoltre dei primi esami di maturità a cui prendo parte.

Quest’anno sono state eliminate le prove scritte a favore di un’unica prova orale. Come stanno vivendo gli studenti questo cambiamento?

Non ho sentito commenti espliciti, ma la mia impressione è che la maggior parte degli studenti abbia vissuto con sollievo l’eliminazione delle prove scritte che (dopo l’abolizione della terza prova formulata dalla commissione), giungendo entrambe dal ministero, continuano a rappresentare le prove più aleatorie. Secondo me è un po’ un peccato, perché per molti di loro, che erano davvero ben preparati, sarebbe stata una bella soddisfazione vedere che erano in grado di affrontare anche quesiti pensati a “livello centrale”.

Come pensa di sostenere gli studenti nella nuova prova, dopo aver svolto un lavoro incentrato in gran parte sugli scritti?

Le ultime unità didattiche saranno verificate con prove orali e darò la mia disponibilità per ascoltarli su alcuni argomenti senza valutazione. Li aiuterò a impostare un discorso, mettendo in luce quegli aspetti che loro potrebbero dare per scontati e che invece, se esplicitati, rendono la trattazione interessante e ben sostanziata. Anche perché per una materia scientifica come la mia, c’è il rischio che l’esposizione orale costringa a una maggiore vaghezza. La bozza di ordinanza pubblicata in questi giorni parla di un elaborato sulle materie di indirizzo che ogni studente dovrà realizzare e da cui iniziare il colloquio. Penso perciò che noi docenti aiuteremo i ragazzi nella selezione degli argomenti e nell’individuazione dei possibili collegamenti tra le discipline.

Tra le novità 2020, c’è una maggiore importanza data all’andamento degli ultimi tre anni di ogni studente. Come hanno accolto i suoi studenti la notizia?

In generale credo che questo possa dare una certa tranquillità anche se è ovvio che, chi ha sempre lavorato e conseguito una buona media dei voti nel triennio, sarà più felice di chi invece parte da crediti bassi e poteva sperare nel colpo di fortuna all’esame per un bel voto di maturità.

Grazie e… buona maturità!

Crediti foto copertina: ChinaFotoPressChinaFotoPress via Getty

La geografia: una materia da rimettere al centro

in Approcci Educativi by
Cecilia Caproni ci racconta la sua esperienza di insegnante e il modo in cui la geografia può dare agli studenti importanti strumenti operativi

Riportare la geografia al centro del discorso didattico non è un’impresa da poco. Negli ultimi anni sono comparsi diversi articoli che ne denunciano la marginalità all’interno del bagaglio di conoscenze e competenze che i ragazzi organizzano lungo il percorso scolastico.

La domanda che mi pongo, a partire dalla mia personale esperienza di insegnante, è: “quali strumenti operativi può dare la geografia a ventisette ragazzi di una periferia complicata, spesso cruda, che li fa crescere così tanto rapidamente rispetto ai loro coetanei?”.

Se la geografia, come tassello del vasto mosaico della “cultura”, serve alla sopravvivenza personale, non basta dirlo! Si deve anche dimostrare ogni giorno ed è indispensabile che i ragazzi innanzitutto sentano che la materia con cui lavorano sia calda e attuale.

Percorso in aula

Il percorso in aula si apre con quella che chiamiamo pillola d’attualità; sollecitando la loro curiosità, espongo la principale notizia dal mondo, della settimana. Ci serviamo della LIM per trovare articoli, saggi, video-testimonianze: tutto quel materiale che ci aiuti a focalizzare l’argomento. Nascono così meravigliose e intricate mappe di gesso e ardesia: dalla notizia di una scoperta scientifica, di un’epidemia, di un costume in diffusione globale, di un’iniziativa sociale con adesioni crescenti, iniziamo a dare forma ai territori da cui quella proviene.

La mappa si può espandere anche tramite semplici domande che sollecitino l’immaginario collettivo: “Cos’altro sapete del Perù?”, “A cosa pensate se dico cultura orientale?”, “Come immaginate sia il deserto?”.

Gruppi cooperativi

Verificata la fondatezza delle informazioni, attraverso il fact-checking, i ragazzi – organizzati in gruppi cooperativi – si confrontano, si scambiano informazioni, discutono, collaborano. Si costruisce attraverso queste esperienze di partecipazione un senso adeguato di comunità e una percezione positiva di sé stessi, in quanto stimolati, ascoltati, inclusi.

Grazie a questa prima fase di lavoro, diamo una vera e propria tridimensionalità al territorio: ci serviamo di carte geografiche semplificate o mute, per collocare a livello spaziale immagini, parole e persino piccoli oggetti che racchiudano fatti, costumi, tradizioni, cibi, dinamiche economiche, caratteristiche climatiche e ambientali, popolazioni… In questo modo, le carte diventano “vive” e fanno da supporto alle clip che i ragazzi si costruiscono interiormente.

È necessario inserire queste clip in una trama di sequenze poi organizzate a loro volta nel “film” verbale dell’esposizione, perciò individuiamo le connessioni tra gli aspetti peculiari dell’area geografica considerata. Per farlo, riporto all’attenzione dei ragazzi gli “indizi” inseriti all’interno della carta geografica, avviandoli alla loro sistematizzazione.

Scoprendo ad esempio che esistono diverse tipologie di cereali, la cui coltivazione può essere legata o meno al fenomeno della monocoltura, rileviamo l’incidenza socio-economica che questa ha sulla popolazione locale e sugli attori esterni, generando particolari condizioni di povertà o sviluppo, dunque di urbanizzazione.

La sfida

A ciò si arriva attraverso il momento ludico della sfida: i ragazzi, ancora divisi in gruppi, devono appuntarsi quanti più nessi di causa-effetto possibili creando dei piccoli “temi”, elicitando il pensiero logico e il pensiero divergente, con associazioni originali e punti di vista inediti.

Si ritorna finalmente assieme per commentare i nessi tematici, argomentandone la validità, in modalità “dibattito”.

I “temi” vanno a costituire i passaggi di un primo testo informativo collettivo sui cui lavorare per l’esposizione individuale.

Il ragazzo può progettarne individualmente l’ampliamento, attraverso gli artefatti della sua creatività.

Un caso si è sviluppato dalla realizzazione di un bellissimo dipinto incentrato sulla figura della geisha. Stimolata non solo dall’abilità e dagli interessi di una mia alunna, ma anche dalle conoscenze acquisite sul Giappone, con la contestualizzazione geografica e artistica effettuata grazie al contributo dell’insegnante di arte, in un’ottica interdisciplinare.

Opera di narrativa

Un altro esempio è stato fornito dall’elaborazione critica di un tema, approntata da un piccolo gruppo di studenti, a partire da testimonianze tratte da opere di narrativa: una presentazione argomentativa è quanto hanno realizzato circa il fenomeno degli uragani e la sua incidenza nei confronti delle fasce sociali più deboli della popolazione americana, traendo spunti di riflessione dalla lettura di alcuni capitoli del libro di Jesmyn Ward, “Salvare le ossa”, imbastendo un confronto empatico col vissuto della protagonista, loro coetanea.


Un percorso didatticamente specifico può dare, in questo modo, ai ragazzi, il senso liberatorio della possibilità espressiva e al tempo stesso la consapevolezza che le proprie capacità debbano crescere con gradualità, grazie a radici solide, coltivate con impegno e coraggio, sottraendo spazio a quei processi di “falsa crescita”, messi inconsapevolmente in atto in seguito a richieste incongruenti dell’esterno: anche questi piccoli tentativi di educazione culturale possono essere utili ad invertire la propria rotta interiore.

Credits foto copertina: Sam Klein

Come cambia – e come cambierà – la didattica

in Approcci Educativi/Scuola by
Abbiamo realizzato un’insolita tavola rotonda on-line con professori di diverse regioni per capire com’è cambiata e come cambierà la didattica.

Da oltre un mese e mezzo le scuole italiane di ogni ordine e grado sono chiuse a causa dell’emergenza legata al Covid-19. Una situazione che ha interrotto la didattica tradizionale, spingendo insegnanti e ragazzi a passare alla didattica a distanza.

Per conoscere da vicino l’esperienza di alcuni insegnanti abbiamo creato un’intervista a più voci con docenti della scuola secondaria di II grado di diverse regioni.

Loro sono il professor Francesco Bardelli, dell’Istituto Superiore “San Pellegrino” di San Pellegrino (BG); la professoressa Alessandra Giunta del Liceo Artistico del Polo Bianciardi di Grosseto; la professoressa Maria Cristina Scala del Liceo scientifico “A. Labriola” di Napoli.

Grazie a tutti per aver accettato di partecipare a questa tavola rotonda, che siamo sicuri risulterà utile a tutti gli insegnanti che leggono Occhiovolante. Per cominciare, potete raccontarci la vostra esperienza nella didattica a distanza?
Francesco Bardelli

Per me non è stata una novità, visto che ho insegnato per dieci anni Italiano agli stranieri. Spesso facevo lezioni online con studenti da ogni parte del mondo. Conoscevo già questo tipo di didattica. Ho solo dovuto adattarmi al nuovo programma. Prima usavo Skype e facevo lezioni “one to one”, mentre ora uso Meet. Fare lezione online con 27-28 studenti contemporaneamente è un po’ più complicato, ma mi trovo bene. Le criticità vengono nella valutazione degli studenti, mi riferisco in particolare alle verifiche scritte. A mio parere la didattica a distanza non è funzionale per dare valutazioni oggettive ai lavori svolti dai ragazzi a casa. Ma siccome le scuole ci chiedono i voti, noi professori dobbiamo cercare di arrangiarci come possiamo nel valutare i ragazzi online.

Alessandra Giunta

La DAD è stato un percorso indispensabile per mantenere vivo il rapporto con gli studenti in un momento di grave incertezza e precarietà. I ragazzi erano smarriti e preoccupati. Ricostruire un iter didattico quotidiano basato su classi virtuali, video-lezioni e un programma di studio settimanale li ha molto aiutati. Soprattutto nel trovare quei riferimenti essenziali per la loro crescita. Naturalmente la DAD non potrà mai sostituire la didattica in presenza. Anche per l’apporto empatico che si stabilisce fra docente e discente, ma rappresenta una valida alternativa nei casi di grave emergenza come questa.

Maria Cristina Scala

La mia esperienza si è rivelata molto positiva. Il team degli animatori digitali ha subito approntato una rete informativa e la gestione di indirizzi google mail per insegnanti e alunni. Per lavorare sulla piattaforma Google Suite in video conferenza e in classe virtuale.

Essendo madre, ho subito capito l’importanza di essere vicina (anche se virtualmente) agli alunni. La possibilità di dare loro un appuntamento ogni giorno li ha motivati a gestire un ritmo quotidiano che simulasse la normalità. Il vedersi in videochiamata poi ci ha permesso di mantenere la relazione classe-docente.

I nostri adolescenti stanno dimostrando un grande senso di responsabilità, restando chiusi in casa, per proteggere la salute degli anziani e dei più deboli. Anche se so quanto sia difficile la gestione di tempi e spazi con il resto della famiglia. Credo però che l’impegno scolastico richiesto dalla DAD li abbia aiutati a regolarizzare i ritmi di sonno-veglia e a dare un senso alle loro giornate.

Secondo voi, cosa ci ha insegnato di positivo questa emergenza e cosa, quindi, possiamo immaginare di mantenere nella didattica del futuro?
Francesco Bardell

A mio parere la didattica a distanza è un ottimo strumento in tempi di emergenza come quello che stiamo purtroppo vivendo. Ma non è immaginabile di poter proseguire un’esperienza del genere in tempi normali. Io spero vivamente di poter tornare in classe il prima possibile e poter continuare la didattica in presenza. Perchè non è paragonabile, in termini di efficacia, con quella a distanza.

Alessandra Giunta

Il nuovo sistema didattico svincolato dalla sua natura di obbligo ha fatto comprendere a molti studenti il vero valore del sapere. Che rappresenta prima di tutto un’opportunità e non deve essere finalizzato al conseguimento di un voto. Alcuni allievi si sono rivelati sorprendenti partecipando attivamente alle videolezioni con interventi e proposte, mostrando interesse e curiosità. Questa nuova impostazione di lavoro infatti agevola lo sviluppo di un insegnamento attivo basato sull’interazione reciproca e sulla continua stimolazione della classe. Cosa di cui faremo tesoro anche una volta tornati a scuola.

Maria Cristina Scala

In futuro la DAD potrebbe rivelarsi una risorsa per i periodi di sospensione causata da eventi straordinari, come un’allerta meteo. Le classi virtuali potrebbero essere utilizzate anche in futuro per organizzare lavori di gruppo per interclasse, progettualità, recupero e valorizzazione delle eccellenze. Nonché per beneficiare di videoconferenze con esperti o con studenti da tutto il mondo. Anche la consegna degli elaborati in modalità digitale su classi virtuali, corretti e restituiti sulle stesse, ridurrebbe l’impatto ambientale del materiale cartaceo e garantirebbe una più agevole conservazione degli stessi.

L’intervista continua ….

Le storie animate: dal libro al video

in Letture in classe/STEM ed Esperienze digitali by
Le “storie animate” dal libro al video, un’altra forma del narrare.

In queste settimane di lockdown, molti bambini e bambine hanno riscoperto la gioia e il divertimento di leggere una storia o ascoltarla!

Tanti autori e editori hanno messo a disposizione dei piccoli lettori i propri libri o le proprie storie animate, utilizzando social e piattaforme on-line.

Sul canale YouTube di Librì, editore specializzato nei progetti educativi per la scuola, sono disponibili tante storie animate per piccoli e grandi lettori.

È stata Maria Cristina Zannoner, editore e amministratore delegato di Librì, a rendere disponibile gratuitamente a tutti questa nuova forma di narrazione. Partendo dal testo e dai disegni dei suoi libri più letti e amati dal piccolo pubblico si arriva a Youtube.

Non solo, Cristina Zannoner ha voluto prestare la propria voce narrante a questo esperimento.

Un esperimento sicuramente amatoriale, con l’obiettivo preciso di regalare una piccola pillola di intelligenza e conforto a tutti i bambini chiusi in casa.

Ascoltando e guardando le storie di Librì, sarà possibile incontrare il misterioso Billi Acchiappapaura, il lupo che aveva paura delle favole, il topo che misurava i fulmini. Oppure l’elefantino Mo e la mosca Eli. Fino al il piccolo Nic, che grazie all’inaspettato regalo della nonna parte per un viaggio straordinario alla scoperta dell’amicizia.

Storie e favole per grandi e piccoli lettori, da ascoltare ma anche da vedere, grazie al montaggio degli splendidi disegni che illustrano i libri.

Le storie animate sono anche degli ottimi strumenti didattici per stimolare la fantasia e la creatività, che gli insegnanti possono utilizzare come letture da assegnare ai propri alunni per toccare temi e valori importanti.

Qualche esempio?

Perché non cominciare della paura…

La comunicazione prima e dopo il Coronavirus

in Approcci Educativi by
Come cambia la comunicazione ai tempi del Covid-19: ne parliamo con la professoressa Benedetta Baldi.

Un virus inaspettato e dal nome sinistramente evocativo ha fatto irruzione in maniera inaudita nelle nostre vite. L’emergenza legata al Coronavirus (Covid-19) ha creato un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere e, conseguentemente, nel nostro modo di comunicare e stare con gli altri.

Nelle aziende si è messo in atto lo smartworking, finora poco utilizzato nel nostro Paese; Pubblica Amministrazione e musei si stanno sempre più appoggiando ai social. E nelle scuole di ogni ordine e grado è partita – anche se in maniera non uniforme sul territorio – la didattica a distanza.

Nella scuola italiana, a livello tecnologico, è stato fatto un improvviso salto in avanti nell’uso di social e piattaforme on-line, che molti già auspicavano.

Suona dunque profetico un celebre aforisma di Kafka: “Da un certo punto in là non c’è più ritorno. È questo il punto da raggiungere”.

Per capire insieme agli insegnanti e agli educatori che seguono Occhiovolante cos’è accaduto e cosa potrebbe accadere, in ambito scolastico, abbiamo rivolto qualche domanda alla professoressa Benedetta Baldi.

La professoressa è Presidente del Corso di Studio in Scienze Umanistiche per la Comunicazione dell’Università di Firenze e Coordinatore del Master in ‘Pubblicità istituzionale, comunicazione multimediale e creazione di eventi’.

Prima di tutto, grazie per averci dedicato un po’ del suo tempo. In queste settimane, insegnanti di ogni ordine e grado si sono dovuti “reinventare” docenti a distanza per continuare la didattica. Come pensa che gli insegnanti – ma anche i bambini e i ragazzi – abbiano risposto a questo nuovo modo di fare scuola?

La familiarità con i mezzi di comunicazione digitali ha senz’altro facilitato la maniera di affrontare una contingenza così imprevista e drammatica. Certo, gli insegnanti e gli studenti hanno dovuto abituarsi ad un utilizzo del digitale più intenso, complesso e con nuove finalità. Rispondendo in generale in maniera efficace.

Tuttavia, l’intera comunicazione, non solo quella scolastica, risente di un disagio generale legato al fatto che negli esseri umani l’interazione in presenza, l’esperienza diretta e il coinvolgimento attivo sono essenziali dal punto di vista cognitivo.

Gli insegnanti mirano a riprodurre queste condizioni. Cercando di superare le differenze culturali e socio-economiche per cui ancora il 33,8% delle famiglie non ha un computer.

Quali consigli può dare, da esperta sulla comunicazione, agli insegnanti per utilizzare al meglio gli strumenti della didattica on-line?

In molte aree dell’insegnamento, le tecnologie multimediali hanno da tempo favorito nuove modalità di apprendimento, come nel caso delle lingue. Inoltre l’impiego di strumenti digitali per aumentare e compensare le conoscenze mostra che è possibile realizzare forme di collaborazione all’apprendimento, anche non in presenza.

Le potenzialità offerte dai mezzi digitali e dai social sono molte, come la possibilità di combinare oralità, materiali scritti e immagini in attività di tipo collaborativo.

In questa prospettiva, la comunicazione degli insegnanti dovrebbe tendere a privilegiare cultura e umanità che sono alla base di una scuola che mira a promuovere le capacità di ricerca e la curiosità dell’apprendente.

Gli alunni di tutta Italia si sono ritrovati improvvisamente lontani dalle aule, dagli insegnanti, dai compagni, dai gesti quotidiani. Secondo lei come possiamo aiutarli nello studio e sostenerli a livello emotivo in questo momento?

Come ricorda Dehaene nel suo bel libro “Imparare”, l’apprendimento si basa su capacità cognitive di cui disponiamo dalla nascita che dobbiamo parametrizzare sulla base delle esperienze e delle informazioni che riceviamo.

Apprendere non è imprimere sulla ‘cera molle’, in maniera arbitraria, ma attivare questa ricca dotazione e la plasticità cerebrale degli apprendenti, al fine di sviluppare conoscenze e abilità, quali scrittura e lettura, calcolo e matematica.

Il primo compito della scuola è favorire una modalità attiva da parte del discente, con una comunicazione impegnata a stimolarne la ricerca personale. Il rischio maggiore è legato alle distorsioni soggettive, autoreferenziali che questi mezzi consentono: lo studente deve essere educato ad un uso consapevole della discussione e del ragionamento online.

Quando saremo usciti dall’emergenza, cosa rimarrà di tutta questa esperienza nella didattica?

Il ritorno nella classe tradizionale sarà un momento emozionante, per tutti. La mancanza di socialità è il vero punto debole del processo a cui assistiamo. L’interazione tra persone crea la situazione e il contesto, cioè quell’insieme di contenuti e informazioni, implicazioni, ipotesi e conoscenze, emozioni, che solo lo scambio reale riesce a generare.

Questi sono gli aspetti che la lezione a distanza o l’interazione tramite mezzi digitali riducono drasticamente, anche se non completamente. Resterà forse l’esperienza di questa comunicazione ridotta, piuttosto che aumentata, visto che qui la tecnologia non si aggiunge alla comunicazione ordinaria, potenziandola, ma la sostituisce.

Si sarà fatto tuttavia un esercizio critico di particolari tipi di comunicazione artificiale, per quanto nati dall’uomo.

Crediti foto di copertina: uncoolbob

Didattica innovativa: è il metodo MODI

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Torniamo a esplorare le caratteristiche del metodo MODI, ovvero Migliorare l’Organizzazione Didattica.

Il metodo MODI sperimentato con successo da Caterina Cassese, insegnante nella Scuola Primaria dell’Istituto Ciresola di Milano, col supporto dei suoi colleghi e del Dirigente scolastico dottoressa Anna Polliani.

Parola d’ordine: personalizzare l’apprendimento

L’attenzione al singolo alunno, ai suoi tempi, alle modalità di apprendimento, ai suoi punti di forza, è fondamentale nel metodo MODI. Con la lettura della Storia dei Quattro Alberi (tratta da Immaginazione e apprendimento di R. Ciambrone), ogni bambino sceglie un albero (che rappresenterà il suo temperamento): il Salice piangente rappresenta il temperamento malinconico, la Betulla il temperamento sanguinico, il Tiglio il temperamento flemmatico, la Quercia il temperamento collerico.

Per individuare i temperamenti, viene raccontata anche la Storia dei Quattro Cavalieri(da Immaginazione e apprendimento di R. Ciambrone) e gli alunni rappresentano, con matite colorate e acquerello, il cavaliere che maggiormente rispecchia il proprio temperamento: il Cavaliere Giallo rappresenta il temperamento sanguinico, il Cavaliere Blu il temperamento malinconico, il Cavaliere Verde il temperamento flemmatico, Cavaliere Rosso il temperamento collerico.

E adesso, parola alla maestra Caterina Cassese!

Sono tante le domande e le curiosità che ci vengono in mente avvicinandoci al metodo MODI. E alcune le abbiamo girate direttamente alla maestra Cassese, che da qualche anno lo sperimenta con successo nelle sue classi.

Come viene vissuto dai bambini e dalle famiglie questo metodo innovativo? Ci sono state delle resistenze o è stato vissuto subito come un’opportunità?

I bambini e i genitori sono entusiasti e soddisfatti, sin dall’inizio hanno colto nel progetto un’arricchente opportunità di crescita formativa per i loro figli. Questo perché favorisce tempi più distesi, un maggiore rispetto del modo in cui ogni singolo bambino apprende, una riduzione della frammentazione “per discipline” e del lavoro singolo. Questo a favore di maggiori approfondimenti per ogni singolo argomento e la possibilità di lavorare molto in gruppo. Senza dimenticare che il CeDisMa (Centro studi e ricerche sulla Disabilità e Marginalità) ha il compito di supervisionare la sperimentazione oraria”.

Come viene visto questo metodo dagli altri insegnanti, che utilizzano il metodo tradizionale?

Preferirei non rispondere, si tende un po’ ad evitare ciò che ci spaventa, ma è normale…“.

Facendo riferimento alla sua esperienza, quali sono le sue impressioni?

“Il progetto richiede la disponibilità di tutti i componenti del team a mettersi in gioco, rendendo molto flessibile la programmazione delle discipline, accantonando le rigidità che “ingessano” lo sviluppo delle stesse in schemi molto settoriali”.

Un’ultima domanda, che può interessare molti lettori di Occhiovolante: gli insegnanti hanno bisogno di una formazione specifica?

No, occorre solo tanto coraggio a mettersi in gioco…“.

“Il più grande errore fatto nell’insegnamento nel passato è stato quello di trattare tutti i ragazzi come se essi fossero varianti di uno stesso individuo, e così sentirsi giustificati nell’insegnare loro lo stesso argomento nello stesso modo”

(H. Gardner)

Una didattica innovativa all’Istituto Ciresola di Milano: è il metodo MODI

in Approcci Educativi by
Scopriamo il metodo MODI, (Migliorare l’Organizzazione Didattica), sperimentato nell’Istituto Ciresola di Milano con due articoli speciali.

Un argomento alla volta al posto della classica alternanza tra materie umanistiche e scientifiche, tappeti e isole per i bambini e nessuna cattedra per i docenti, niente compiti a casa per gli studenti e un modo tutto nuovo di concepire il rapporto con gli insegnanti. Sono queste alcune delle caratteristiche del metodo MODI, ovvero Migliorare l’Organizzazione Didattica,

Sperimentato con successo da Caterina Cassese, insegnante nella Scuola Primaria dell’Istituto Ciresola di Milano, col supporto dei suoi colleghi e del Dirigente scolastico dottoressa Anna Polliani. Un metodo che scopriremo in due articoli speciali realizzati in collaborazione con l’Istituto Ciresola!

Il progetto – ideato da Raffaele Ciambrone, pedagogista e funzionario del MIUR, con l’ausilio del Centro studi ricerche e disabilità dell’Università Cattolica – appare per molti versi rivoluzionario, ed è per questo che negli ultimi tempi ha suscitato l’interesse dei media, tra cui ricordiamo un articolo de Il Giorno, riviste per gli insegnanti e un’intervista su TGR Lombardia “Buongiorno Regione” del 14 gennaio 2020.

La classe della maestra Caterina Cassese, la IIIC, ha iniziato la sperimentazione fin dal primo anno, ma oggi lavorano con il metodo MODI altre due classi della primaria e addirittura tre classi della secondaria di primo grado; dimostrazione che il metodo dà i suoi frutti anche con i ragazzi più grandi. Ma in cosa consiste questo metodo?

Nessun compito a casa e un argomento alla volta

Tra gli aspetti più importanti c’è sicuramente la scelta di non assegnare compiti per casa, così come quella di rinunciare in classe alla classica alternanza tra materie umanistiche e scientifiche. In pratica si sceglie un solo argomento alla volta per dare la possibilità agli alunni di affrontarlo senza interruzioni per vari giorni e di non abbandonarlo senza prima averlo acquisito. Sono i cosiddetti cicli ritmici, che accorpano le varie discipline, cui poi si affiancano le attività artistico-manuali, come i laboratori di ceramica.

Impariamo a leggere e a scrivere

Interessante è l’apprendimento della letto-scrittura, un percorso che prende spunto da un’immagine. Ogni consonante viene illustrata con la forma di un oggetto o di un elemento della natura (come la falce per la F e la montagna per la M) mentre le vocali sono associate a un sentimento (così la A può essere la meraviglia e la U la paura). Per quanto riguarda l’impostazione della scrittura, s’impara a scrivere dall’alto verso il basso con la tecnica degli acquerelli, utilizzando un album da disegno senza quadretti o righe su cui “poggiarsi”.

Scopriremo ancora la didattica del metodo MODI e l’esperienza della maestra Caterina Cassese, nel prossimo articolo.

La scuola (primaria) ai tempi del Coronavirus 3° parte

in Approcci Educativi by
Tre maestre, tre scuole diverse, per scoprire come le classi stanno vivendo la didattica a distanza in queste settimane di emergenza per il Coronavirus.

Si conclude la tavola rotonda che abbiamo realizzato con la maestra Carla Caiafa (dell’Istituto Comprensivo Le Cure), la maestra Francesca Liberati (delle Scuole Pie Fiorentine) e la maestra Elena Bini (dell’Istituto Comprensivo Pieraccini). Un’intervista a tre voci in cui ci hanno raccontato la loro esperienza di insegnanti “a distanza” ai tempi del Coronavirus.

Abbiamo già parlato di didattica a distanza e strumenti digitali. Adesso però, facciamo finta che non ci possa ascoltare nessuno… Come pensate che i vostri alunni debbano trascorrere queste giornate durante l’emergenza Coronavirus?

Maestra Carla: Credo che i bambini debbano impegnarsi quotidianamente a fare qualcosa di utile e produttivo, per mantenere il cervello attivo. Quindi, eseguire le consegne delle maestre, ascoltare i genitori e non arrabbiarsi, perché in casa bisogna mantenere un clima sereno e pacifico, per convivere al meglio. Non dimentichiamolo: il nemico è fuori!

Maestra Francesca: Una volta tanto i bambini dovrebbero vivere senza che il loro tempo sia troppo strutturato. Lasciamoli annoiare anche un po’ e vivere questo momento con la famiglia. Compiti? Pochi! Non credo molto nella didattica a distanza per i bambini della primaria. Ci sarebbero moltissime cose da dire su questo argomento.

Maestra Elena: La noia è uno strumento incredibile per far nascere nei più piccoli la creatività, affina il loro ingegno. Inoltre è molto importante per loro rimanere aggiornati, ascoltare tv e leggere qualche articolo semplice. Ma in qualunque momento dovranno sempre sentire il “calore” e la comprensione emotiva dei loro insegnanti, peculiarità che da sempre caratterizzano la nostra professione, perché solo così potranno far fronte alle difficoltà di questo terribile momento.

Per concludere, un’ultima domanda. Quando l’emergenza finirà – ma non le paure e gli interrogativi – come parlerete ai vostri alunni di quello che è successo?

Maestra Carla: Li farò semplicemente parlare, cercando di rispondere a ogni domanda con serenità ed esattezza. I bambini sono bravi a metabolizzare, basta che ne abbiano la possibilità, guidandoli senza condizionarli. Ai miei alunni di prima chiederò di scrivere un pensiero al giorno su un album, una sorta di diario, e poi di disegnare ciò che verrà fuori da un dibattito guidato. Vorrei che questo gesto quotidiano desse loro, gradualmente, modo di esternare le paure. Spiegherò l’accaduto con l’ausilio di video didattici, con letture sulla paura e il coraggio. Poi racconterò delle mie paure e dei miei interrogativi, chiedendo il loro aiuto. Insomma, ci aiuteremo a vicenda! Solo così ci riapproprieremo della nostra vita scolastica. Tutto finirà presto e io sono pronta, con tante idee e voglia di ricominciare.

Maestra Francesca: Ne parleremo in classe. I bambini racconteranno come hanno vissuto questi giorni. Sicuramente la conversazione seguirà le loro necessità. Sarà importantissimo rispondere alle loro domande e parlare di questo argomento ricordandosi però che sono bambini e che fortunatamente la loro visione della situazione non è – e non è stata – quella di noi adulti.

Maestra Elena: Quando tutto sarà finalmente passato, credo che i bambini saranno più maturi e vaccinati, così come i loro genitori, che forse avranno avuto l’occasione di conoscere qualche aspetto in più dei loro figli. A volte i tanti impegni ci stordiscono e non ci permettono di prendere veramente coscienza della nostra vita. Parleremo insieme di questi difficili giorni e sarà un vissuto vero che, credo, cementificherà meglio gli apprendimenti e le vicende future.

Ringraziamo le maestre Carla, Francesca ed Elena per la disponibilità e la sincerità, ma soprattutto per il grande impegno con cui affrontano giorno dopo giorno il loro lavoro. Anche a distanza!

Insegnamento a distanza e didattica tradizionale

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L’emergenza legata al Covid-19 – e alla conseguente chiusura di scuole e università – sta cambiando l’insegnamento. Portandoci verso un insegnamento ibrido capace di coniugare didattica tradizionale e insegnamento a distanza.

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Tante divertenti app per scoprire i luoghi della storia

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L’emergenza per il Covid-19 ci fa rimanere a casa? Con le app di Art Stories, i bambini – e i genitori – possono partire alla scoperta dei luoghi più belli e misteriosi della storia, della cultura e dell’architettura.
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La scuola (primaria) ai tempi del COVID-19 – 2° parte

in Approcci Educativi/Scuola by
Tre maestre, tre scuole diverse, per scoprire come le classi stanno vivendo la didattica a distanza in queste settimane di emergenza COVID-19.

Dopo il precedente articolo, torniamo a parlare con la maestra Carla Caiafa (dell’Istituto Comprensivo Le Cure), la maestra Francesca Liberati (delle Scuole Pie Fiorentine) e la maestra Elena Bini (dell’Istituto Comprensivo Pieraccini). Insieme ci raccontano, in questa intervista a 3 voci, la loro esperienza di insegnanti “a distanza” in queste settimane di emergenza da COVID-19.

Subito una domanda difficile. Vi preoccupa di più la sospensione temporanea della didattica o il fatto che, in questa situazione, possano perdersi un po’ quelle consuetudini e quei legami che giorno dopo giorno avete fatto crescere nelle vostre classi?

Maestra Carla: Sono preoccupata un po’ per tutti e due gli aspetti. La sospensione sarà piuttosto lunga e non è possibile in questa situazione seguire un ritmo “normale”. Questo può essere destabilizzante per i bambini. Inevitabilmente si perde anche la quotidianità.

Mi riferisco a quelle conquiste fatte giorno dopo giorno, con grande fatica e impegno, da parte di alunni e maestre. Penso soprattutto al lento lavoro d’inserimento che ho svolto all’inizio dell’anno nella mia classe prima!

Maestra Francesca: Sarò sincera, non sono molto preoccupata per la didattica. I bambini hanno ottime risorse e sicuramente recupereremo il tempo, che non considero perso, ma diverso. Credo invece che questo possa essere un periodo molto prezioso per le famiglie: è possibile stare insieme con ritmi ridotti, organizzare giochi, leggere.

Credo anche che i legami che abbiamo costruito in questi anni non si perderanno per uno o due mesi trascorsi a casa. Questo momento difficilissimo per tutti noi, se lo vogliamo, può trasformarsi anche in qualcosa di positivo per i bambini e le famiglie. Noi maestri faremo poi il punto della situazione quando torneremo a scuola.

Maestra Elena: Credo che, seppur terribile, questo momento sarà stimolante per riscoprire la noia tanto vituperata quanto importante per stimolare la creatività. Non sono preoccupata dal fatto che i programmi scolastici possano rimanere un po’ “indietro”, credo che i bambini sapranno riconvertire questo disagio in una capacità di resilienza culturale personale e alternativa.

Inoltre, anche se perderemo qualcosa sotto l’aspetto della didattica, sicuramente i bambini impareranno la paura, la solidarietà, l’affetto, la forza e il sacrificio, tutti aspetti importanti che contribuiranno alla loro crescita e alla loro maturità.

Proviamo ad aiutare gli altri insegnanti e i genitori che ci stanno leggendo: quali consigli vi sentite di dare per trascorre il tempo?

Maestra Carla: Agli insegnanti dico di non scoraggiarsi, perché dobbiamo rimanere un punto di riferimento per i bambini e le famiglie. Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci alla prova con le nuove tecnologie, senza timori.

Calibriamo i compiti, senza sovraccaricare i genitori! Usiamo le piattaforme on-line per assegnare laboratori d’arte, suggeriamo libri e video-letture. Ai genitori, invece, dico di usare questi momenti per stare con i figli.

Aiutiamoli nei compiti e giochiamo con loro, facciamo puzzle, giochi da tavolo, costruzioni, ascoltiamo musica, balliamo, guardiamo foto e video di quando erano piccoli.

Il suggerimento più importante, però, è mettersi sul divano con loro e leggere una favola al giorno; e leggiamo anche noi, per dare il buon esempio! Consiglio anche di limitare tv e videogiochi, piuttosto fatevi aiutare in cucina, a fare biscotti, impastare la pizza, e date loro piccole mansioni come rifarsi il letto.

Maestra Francesca: Penso sia importante dare spazio alla costruzione di giochi manuali, lavori creativi, inventare giochi o fare giochi di ruolo con fratelli e genitori.

Molto importante è anche, secondo me, non imporre mai un libro ai bambini ma farglielo scegliere, cercando solo di indirizzarli in base ai loro gusti. Possono anche vedere dei video molto interessanti, come fiabe sonore, ma non solo!

Proprio qualche giorno fa ho chiesto ai miei bambini di guardarsi su YouTube Pierino e il lupo, con Abbado e Benigni, e di illustrare le scene descritte. Insomma, è l’occasione per scoprire tante belle cose, senza esagerare col computer però.

Maestra Elena: Il momento è difficile, tutti siamo emotivamente impreparati, credo quindi che non sia opportuno sobbarcare le famiglie con troppi compiti. È però l’occasione per fare e scoprire tante cose. Di certo la più importante è la lettura.

Ho detto agli alunni di leggere anche un quotidiano a settimana e di fare la sintesi di qualche articolo interessante o particolare.

Inoltre, ho consigliato loro di tenere un diario giornaliero in cui appuntare e descrivere ciò che vedono dalla finestra, le cose fatte, i libri letti, le emozioni vissute.

La nostra tavola rotonda on-line, con le insegnanti della primaria, continuerà e terminerà nel prossimo articolo.

credits: https://www.flickr.com/photos/chrisandjenni/
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/

La scuola (primaria) ai tempi del Coronavirus

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Tre maestre, tre scuole diverse, per scoprire come le classi stanno vivendo l’emergenza di queste settimane legata al Coronavirus.

Che sia una situazione nuova e delicata, lo sanno tutti, non solo da un punto di vista sanitario. L’arrivo del Coronavirus ha cambiato le abitudini di tutti gli italiani, anche dei più piccoli. Negozi chiusi, palestre chiuse e soprattutto scuole chiuse, una misura inevitabile per arginare il virus.

Ma scuola significa tante cose, non solo didattica.

Per parlarne con le dirette interessate, abbiamo incontrato (in maniera virtuale) tre maestre di tre scuole primarie differenti, nel comune di Firenze, per porre loro alcune domande.

Ne è nata un’intervista a tre voci, una tavola rotonda on-line, che ci racconta l’incredibile sforzo che i docenti compiono per stare vicino ai loro alunni, non solo da un punto di vista didattico, ma anche emotivo ed educativo.

Un’intervista che ci restituisce anche l’eterogeneità della nostra scuola.

Loro sono la maestra Carla Caiafa (dell’Istituto Comprensivo Le Cure), la maestra Francesca Liberati (delle Scuole Pie Fiorentine) e la maestra Elena Bini (dell’Istituto Comprensivo Pieraccini). Pubblichiamo qui la prima parte dell’intervista, dandoci appuntamento al prossimo articolo.

Grazie a tutte di esservi collegate con Occhiovolante. Subito per voi una domanda importante. La maestra è, per sua natura, un punto di riferimento “concreto” per i suoi alunni. Come vi sentite a essere diventate maestre “virtuali”?

Maestra Carla: È una sensazione totalmente nuova, per tutti quanti. Devo dire che non è facile portare avanti il nostro lavoro in questa situazione, soprattutto con bambini così piccoli. Certo, la didattica a distanza ci aiuta molto a mantenere il contatto, almeno umano, con i nostri allievi e ci rende, quantomeno, “più tecnologici”! Il segreto è cercare di vedere sempre l’aspetto positivo e propositivo di ogni novità.

Maestra Francesca: Per quanto mi riguarda, è una delle prove più difficili che sto affrontando. Fare la maestra senza avere i bambini davanti è difficilissimo. Mancano gli sguardi, le domande, le risate e tutta la quotidianità. Credo comunque che sia importantissimo mantenere il filo che ci unisce: i bambini devono continuare ad avere le loro sicurezze, i loro affetti anche se soltanto virtuali. Attraverso i nostri semplici messaggi, loro ci sentono vicini e questo è molto importante.

Maestra Elena: È vero, si è scatenata una corsa alla didattica a distanza, ma quanti insegnanti e quante classi sono veramente pronti? Io ad esempio insegno in una quinta di 25 alunni, dei quali soltanto 7 o 8 sono italofoni e molti vivono condizioni socio-culturali difficili. Ai colloqui alcuni genitori non avevano la password di accesso al sito dell’Istituto e quindi erano ignari dei risultati conseguiti dai loro figli. Anche i compiti vengono svolti saltuariamente e con modalità discutibili, per l’assenza delle famiglie. Gli alunni sono spesso gli interpreti dei rapporti con le famiglie. Credo che alcune di queste famiglie difficilmente seguiranno la piattaforma dell’istituto dove viene svolta la didattica a distanza.

Come avete deciso di rimanere in contatto con i vostri alunni? Quali strumenti utilizzate?

Maestra Carla: Il giorno dopo la sospensione delle attività scolastiche, giovedì 5 marzo, ho inviato un video-messaggio a bambini e famiglie, per far sentire la mia presenza. Dopodiché, con le colleghe, abbiamo attivato l’app Hangout, per garantire dei momenti di comunicazione collettiva, a gruppetti di 4/5 alunni per volta. Abbiamo anche scaricato dei giochi ortografici da proporre ai bambini attraverso dei link di Learning Apps, che sono stati apprezzatissimi, perché semplici e divertenti, da fare in qualsiasi momento della giornata. Infine abbiamo scaricato la piattaforma Padlet, adeguandoci alle indicazioni d’Istituto, che sto usando attualmente per proporre i compiti, ma anche video, letture e lavoretti di arte e immagine.

Maestra Francesca: Inizialmente ho sentito gli alunni tramite messaggi vocali, è così che io e le mie colleghe abbiamo dato i primi compiti a casa. Adesso la scuola si è organizzata con una piattaforma via mail, stiamo utilizzando Google Drive. In questo modo possiamo comunicare con le famiglie, assegnare compiti e suggerire video e letture, ma anche avere delle piccole restituzioni didattiche facendo molta attenzione alla privacy di ogni famiglia.

Maestra Elena: Ho cercato da subito di essere vicina a miei alunni con messaggi e note vocali su Whatsapp , per far giungere a loro, attraverso la mia voce, una qualche normalità. Li ho anche brontolati perché avevano dimenticato qualche libro in classe! Così qualche giorno fa, previa autorizzazione della Dirigente, sono andata a scuola, ho riempito la macchina dei loro libri e li ho clandestinamente consegnati ai genitori in modo che tutti potessero lavorare. Adesso, ogni tre o quattro giorni, mi faccio sentire e assegno loro il lavoro. Il nostro Istituto sta utilizzando la piattaforma Moodle, con la formazione di classi virtuali, e devo dire che gran parte del corpo docente, anche se non esperta, si è impegnata fin da subito a utilizzarla.

Leggi il secondo articolo della nostra tavola rotonda on-line, con le insegnanti della primaria.

29 febbraio: una data “rara” per parlare di malattie “rare”

in Bisogni Educativi Speciali by
Una panoramica per insegnanti ed educatori scolastici di articoli e informazioni, per lavorare in classe, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare

Era il 29 febbraio 2008 quando, per la prima volta, fu celebrata la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Una data rara, dunque, che si ripete anche quest’anno. Un modo importante per dare visibilità a tante malattie e situazioni difficili che colpiscono molte persone, di ogni età. Patologie spesso silenziose, ma impattanti nella vita di tutti i giorni e, per i più piccoli, anche nella scuola.

Ma cosa sono le malattie rare?

Ognuna ha un nome più o meno difficile, e presenta sintomi diversi. Per definizione, una patologia rara è tale perché colpisce al massimo solo lo 0,05% della popolazione, quindi meno di 5 persone ogni 10.000 abitanti. Quello che però questi numeri non dicono è che di queste malattie se ne conoscono circa 7000. Una cifra enorme, destinata a crescere con lo sviluppo della ricerca genetica.

Solo in Italia, sono dunque quasi due milioni le persone affette da una malattia rara. E i dati ci dicono anche che più del 70% sono bambine e bambini in età pediatrica. Per questo è importante parlarne, conoscerle, fare ricerca e prevenzione. Se diagnosticate in tempo, infatti, molte malattie rare possono essere trattate e curate al meglio fin da subito, evitando così ai piccoli pazienti e alle loro famiglie maggiori difficoltà e danni irreversibili.

È possibile parlare a scuola di malattie rare servendosi di letture e storie adeguate all’età degli alunni. Per i bambini più piccoli, possiamo segnalare L’unicorno, scritto da Beatrice Masini e illustrato da Giulia Orecchia, Carthusia editore; Elmer l’elefantino variopinto, di David McKee, edito da Mondadori. Per la primaria, ricordiamo La bambina di burro e altre storie di bambini strani, sempre di Beatrice Masini, edito da Einaudi; ma anche il celebre Wonder, di R.J. Palacio, edito da Giunti.

Gli insegnanti possono inoltre trovare spunti interessanti in Piume di diamante, Youcanprint, un’antologia di casi per imparare ad affrontare le malattie rare con positività.

Segnaliamo che nell’anno scolastico 2019/2020, Librì Progetti Educativi e Sanofi hanno realizzato Più unici che rari, una campagna nazionale rivolta alla scuola secondaria di primo grado, che ha portato in oltre 1000 classi i temi della diversità e dell’inclusione scolastica legati alle malattie rare, coinvolgendo più di 24.000 alunni.

Il progetto Più unici che rari, che ha suscitato un grande interesse tra gli insegnati e le famiglie dei ragazzi, diventerà presto un titolo acquistabile in tutte le librerie, firmato da Sabrina Rondinelli e Francesco Fagnani, e sarà presentato in anteprima al Bologna Children’s Book Fair 2020.

Immagine in copertina di Francesco Fagnani dal progetto Più unici che rari

Covid-19, le parole giuste per parlarne in classe (e a casa)

in Approcci Educativi by
Come ci si difende da un virus (e dalla paura)? E soprattutto come possiamo spiegarlo ai bambini?

Ce lo raccontano, in questa chiara e divertente intervista uscita sulla Stampa, il noto autore Federico Taddia e Andrea Grignolio, docente di storia della medicina e bioetica, già coautori di Perché si dice trentatré?, edito da Editoriale Scienza.

Siamo qui! Ed è la dimostrazione più evidente che la specie umana ha sempre vinto contro virus e batteri: per rassicurare un bambino partirei proprio da questa contestazione, spiegando poi la centralità della scienza e degli scienziati per raggiungere questo sorprendente risultato.

Scuole che chiudono, campionati di calcio e pallavolo sospesi, inviti a rimanere tappati in casa. E poi le immagini di città deserte, di ospedali affollati, di migliaia di persone con la mascherina. Per non parlare di parole come “morte”, “epidemia”, “quarantena” che rimbombano da radio e tv, nei discorsi degli adulti, nelle chiacchiere tra coetanei.

Generando paura, confusione, panico più o meno espresso. Riuscire a trovare le parole giuste per narrare l’allarme da coronavirus ai più piccoli, può essere un primo efficace anticorpo per affrontare con più serenità l’emergenza, come afferma Andrea Grignolio, docente di Storia della Medicina e Bioetica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e al Cnr.

Grignolio, in che modo va toccato il tema delle malattie con i bambini? 

«I bambini hanno gli strumenti per affrontare un tema che coinvolge un aspetto fondamentale della vita. Strumenti che ovviamente cambiano e maturano nel tempo, ma proprio per non lasciar spazio agli equivoci al concetto di malattia va contrapposto a tutte le età quello di sapere scientifico. Va spiegato cosa sia la ricerca, vanno raccontati i grandi risultati ottenuti dalla medicina nei secoli, vanno ricordate le cure trovate. Viviamo in un Paese dove ci si indigna se non si conoscono Dante e Leopardi, ma non si fa una piega se non si sa la differenza tra virus e batteri: questa è l’occasione per ribadire che la scienza, e lo studio, sono il nostro scudo per difenderci da nemici che sono sempre dietro l’angolo».

Se ci chiedono informazioni sul coronavirus, cosa possiamo dire?

«Inizierei dalla sua forma, ovvero un virus che ha una certa somiglianza con una corona di re e regine, che da diversi secoli vivacchia nei pipistrelli, senza creare alcun problema. Nel suo passaggio dall’animale all’uomo, perché a volte questo salto può capitare, è però diventato più cattivo poiché il nostro corpo non è abituato a convivere con lui».

A quel punto ci chiedono perché sia pericoloso…

«Va spiegato ai ragazzi che i virus, per sopravvivere, sfruttano le risorse degli organismi che li ospitano. Ma anche noi abbiamo il nostro esercito di difesa: con il coronavirus però c’è qualche difficoltà, perché essendo nuovo i nostri “soldati” non sanno ancora riconoscerlo. C’è comunque almeno una buona notizia: dai dati che abbiamo in possesso pare che il coronavirus sia meno aggressivo con i bambini, e questo è opportuno ricordarlo».

Però non abbiamo ancora dato una soluzione al problema. Esiste una soluzione?

«Qui dobbiamo dire a gran voce ai bambini che una difesa ai virus esiste. E si chiama vaccino. Abbiamo trovato vaccini per malattie cattivissime come l’ebola, il morbillo, la rosolia. E tra dodici, diciotto mesi, esisterà presumibilmente anche un vaccino per questo nuovo virus. Questo messaggio di speranza va ripetuto con assoluta convinzione».

Possiamo responsabilizzare i bambini in chiave preventiva?

«E’ necessario farlo. Bastano piccoli gesti, come il lavarsi spesso le mani, non mettersele in bocca, starnutire nell’incavo del braccio, ma anche vaccinarsi contro l’influenza stagionale in modo che il coronavirus non trovi la strada facilitata da un organismo indebolito. E se ci guardano perplessi quando insistiamo nel lavarsi le mani, ribadiamo loro che la bocca è la porta d’ingresso principale per virus e batteri che sopravvivono sulle superfici che tocchiamo. E storicamente dobbiamo ringraziare gli arabi che da Aleppo hanno portato i primi saponi, che noi abbiamo copiato con il sapone di Marsiglia, se si sono salvate migliaia di vite».

E la quarantena, come va presentata per non sembrare una prigione domestica?

«Andrei all’origine del nome, che è molto più semplice del rendere accessibile un concetto come cordone sanitario. Parlerei di Venezia, dei tanti commerci con l’oriente, e delle navi con gli ammalati di peste a bordo costrette a non attraccare in porto per quaranta giorni, in modo da non fa diffondere la malattia. Ma poi direi che la quarantena è un isolamento che rimanda ad un gesto di altruismo: non esco non solo per non ammalarmi, ma – soprattutto – non esco per non far ammalare. Un gesto sociale per vivere meglio insieme: proprio come la vaccinazione».

Crediti: L’articolo di Federico Taddia: Grignolio: “Parliamo di virus e vaccini ai bambini: non si spaventano” è stato pubblicato sul quotidiano la Stampa il 23 febbraio 2020 https://www.lastampa.it/cronaca/2020/02/23/news/grignolio-parliamo-di-virus-e-vaccini-ai-bambini-non-si-spaventano-1.38504000

Per l’immagine Virus 3

credits: Anna Leask
https://www.flickr.com/photos/annaleask/
Pubblicato senza modifiche su licenza Creative Commons: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/

Cosa significa educare alla lettura in una scuola secondaria?

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L’educazione alla lettura non è materia curricolare, ma è essenziale per la crescita intellettiva ed estetica dei discenti a tutte le età.

In un paese dove l’educazione alla lettura non è materia curricolare, quindi affidata alla passione di docenti, educatori, maestre e i finanziamenti dedicati ai progetti per l’infanzia si fermano alla fascia 0-3 escludendo di fatto, anche se sulla carta così non sarebbe, tutta la fascia prescolare cosa significa quindi educare alla lettura in una scuola secondaria?

Questa è la domanda che abbiamo rivolto a Giorgia Atzeni, docente, artista, illustratrice. E queste sono le sue riflessioni.

Intanto significa svelare mondi. Ovvero alleggerire il peso della crescita in fase adolescenziale.

Chi scopre l’esercizio della lettura non si annoia mai.

In primo luogo l’educazione alla lettura è arricchimento lessicale, dunque ampliamento degli orizzonti espressivi. In seconda battuta offre ai ragazzi una valida alternativa all’apatia e al senso di isolamento proposto oggi dalle nuove forme di intrattenimento virtuali.

Osservando i comportamenti dei bambini e ragazzi impegnati in tutte le classi di ordine e grado (avendo operato come docente sin da giovanissima passando con soluzione di continuità, nel giro di vent’anni, dal nido alle aule universitarie) ho potuto appurare quanto l’educazione alla lettura sia essenziale per la crescita intellettiva ed estetica dei discenti a tutte le età.

Il passaggio dalla primaria alla secondaria di primo grado non è facile per gli studenti. Improvvisamente catapultati in un sistema più complesso rispetto a quello affrontato nei cinque anni precedenti. Gli alunni devono confrontarsi coi nuovi compagni, con i numerosi insegnanti che incarnano le materie di studio. Il carico di lavoro per loro aumenta quanto lo stress e l’ansia da prestazione.

Sotto il profilo dell’amore per la lettura è facile trovarsi di fronte a gruppi di ragazzi eterogenei. Alcuni che sono già avvezzi alla parola scritta. Altri che non hanno mai ricevuto gli stimoli adeguati e son più diffidenti. Il libro è ancora una passione per pochi ma può diventare interesse per molti.

Nulla è perduto! Ritengo che nella scuola secondaria sia ancora possibile creare una nuova tribù di lettori anzitutto recuperando chi, per tanti motivi, è rimasto indietro e non ha avuto possibilità di assaggiare brani di letteratura.

Il segreto è diventare amici dei libri: toccarli, annusarli, sfogliarli, conoscerli. Incontrare i libri interessanti per contenuto e forma è un buon modo per educare al bello, per imparare divertendosi.

Questo affetto deve nascere piano piano, senza imposizioni. E ciò accade quando l’insegnante trova la chiave giusta per chiamare dentro le pagine tutti. I curiosi, gli iper stimolati, gli irrequieti, quelli che non hanno mai avuto un bel volume sotto mano o non hanno mai ascoltato le fiabe dalla voce dei genitori nell’infanzia.

Ho incontrato bimbi e ragazzi problematici, stanchi, irrequieti ma mai disinteressati o insensibili alla visione di albi illustrati di qualità vivacizzati dal suono delle parole in essi contenute.

Io avvio questo lento processo con la lettura a voce alta. Una pratica efficace, divertente e stimolante, con ricadute benefiche in tutte le fasi del percorso formativo.

Credits foto: https://www.artribune.com/



Compiti di realtà o semplicemente realtà?

in Approcci Educativi by
Dal blog di Enrica Ena una riflessione sui compiti di realtà. Perché simularla, quando si può usare quella vera, in linea con le Indicazioni Nazionali?

Compiti di realtà o semplicemente realtà? … Perché simulare la realtà? Niente ha il valore della realtà stessa. E, oggi, gli apprendimenti informali e non formali sono tali che il nostro compito dovrebbe essere quello di fare indossare “gli occhiali giusti” per guardare ciò che conta.

Per mettere a fuoco, dare ordine, valorizzare tutte le opportunità. Perché i nostri studenti possano ripescare ciò che sanno e farne uso per affrontare le diverse situazioni, senza paura di spingerli un po’ più in là, oltre i saperi già affrontati.

Mi spaventa l’attesa, il fatto che certe proposte debbano trovare spazio alla fine (conoscenza, abilità, competenza?). Credo di più nell’abitudine a interrogarsi, a mettersi in movimento e nella nostra capacità di “perturbare” senza timore. La differenza, io credo, la faccia la nostra intenzionalità, l’ordinarietà e il nostro impegno a lavorare sulla nostra difficoltà di “liberare”. Ossia di dare ai nostri alunni il tempo perché facciano davvero da soli, garantendo il confronto con i compagni. Senza sostituirci mai.

L’errore è davvero una risorsa

L’errore è davvero una risorsa e bisogna lasciare che lo si commetta per poi, come in questo caso, dare spazio alla condivisione dei ragionamenti che, alla fine, ci occuperemo di smontare e rimontare con loro. Certo, bisogna scegliere.

L’esercizio “ripetitivo” tranquillizza di più tutti, ma sottrae il tempo per dedicarsi a tutto questo. Eppure, tendiamo a trattenerci in certe pratiche, pur sapendo bene –  per stare nell’esempio riportato – che, se modifichiamo anche uno solo degli elementi, o apportiamo una novità, si crolla…

Il post completo:http://enricaena.blogspot.com/2019/10/compiti-di-realta-o-semplicemente-realta.html
Il blog di Enrica Ena: https://enricaena.blogspot.com

Credits fotografia: TwoPointsCouture

Scrittori di Classe: i webinar di Marco Dallari sulla resilienza

in Webinar e formazione by
Ogni insegnante che partecipa alla nuova edizione di Scrittori di Classe può iscriversi a una delle lezioni on-line interattive sulla resilienza tenute dal professor Marco Dallari dell’Università di Trento. Ecco come.

Perché la resilienza è un valore indispensabile per bambini e ragazzi? Come possiamo coltivarla e trasmetterla all’interno della classe?

Le avventure di Greg e la serie Diario di una Schiappa (ed. Il Castoro) rappresentano uno straordinario esempio di resilienza per i giovani lettori. E anche nella letteratura, nelle fiabe, nel cinema e nell’arte in relazione alla resilienza possiamo trovare molti spunti multidisciplinari. Come?

Per approfondire questi argomenti, ogni insegnante (di scuola primaria o secondaria inferiore) che partecipa alla nuova edizione del concorso di Conad,Scrittori di Classe giunto alla sesta edizione, ha la possibilità di iscriversi a una delle lezioni on-line interattive gratuite (webinar) con il professor Marco Dallari dell’Università di Trento.

I webinar, composti da una parte di lezione formativa, e da un ampio spazio per domande e riflessioni dei partecipanti, danno anche diritto a ciascun insegnante di ricevere gli attestati di riconoscimento delle ore di formazione (D.M. 170/2016).Il cal

Il calendario dei prossimi webinar disponibili

Quello della resilienza è un argomento perfetto per applicare alla didattica un’impostazione inter e trans-disciplinare e impegnare gli scolari, sia della primaria che della secondaria, in azioni non solo di ascolto, di lettura e di “apprendimento” ma anche di quella “co-costruzione della conoscenza”.

Il che comporta non solo la scoperta di cose nuove e finora sconosciute ma anche l’elaborazione e l’interiorizzazione, anche sul piano affettivo e identitario, dei valori e delle caratteristiche etiche ed estetiche a essi connessi. L’idea della resilienza non è fredda, accende desideri, favorisce autostima e consapevolezza di sé dal punto di vista dei soggetti e dei gruppi.

Il concorso Scrittori di Classe – Diario di una Schiappa è un progetto realizzato da Eu.promotions per CONAD Soc. Coop. Progettazione editoriale: Librì progetti educativi. Illustrazioni: per gentile concessione de Il Castoro, tratte dalla serie Diario di una Schiappa. Con la partecipazione di Istituto degli Innocenti (www.istitutodeglinnocenti.it)



Capire le emozioni? Ci aiutano le fiabe!

in Affettività e Psicologia by
Intervista a Tiziana Bruno, insegnante, sociologa, formatrice e autrice di un interessante saggio: le fiabe come strumento didattico.

«Le emozioni guidano la formulazione del pensiero, riuscire a padroneggiarle è il requisito fondamentale per concentrarsi, per trovare motivazione, per affrontare con profitto lo studio» , spiega Tiziana Bruno, autrice del saggio “Insegnare con la letteratura fiabesca”. Le abbiamo rivolto qualche domanda per saperne di più.

Buongiorno Tiziana, ci racconti chi sei, e quale sia la tua formazione?

«Mi occupo di didattica da diversi anni, come insegnante e come sociologa, ma soprattutto mi intrufolo negli ambienti educativi grazie alle mie storie per ragazzi. Sì, sono anche un’autrice di letteratura giovanile. Scrivo perché le storie che leggevo da bambina mi rendevano felice, la lettura trasformava la mia vita in maniera meravigliosa.

ll’ultima pagina, richiudevo il libro e mi sentivo più ricca, capace di scrutare oltre l’apparenza e pronta ad affrontare serenamente ogni contrarietà. Il mondo fiabesco è stato centrale nella mia formazione perché mi ha offerto gli strumenti per capire, sognare, crescere, progettare.

Il serbatoio per imparare i sentimenti, per sciogliere i nodi interiori. Il passaggio alla scrittura ha rappresentato Il completamento naturale della lettura. Quello che maggiormente desidero è rendere felici i miei giovani lettori come lo sono stata io da piccola.

E la letteratura è anche al centro della mia attività di sociologa. Le ricerche che conduco sono rivolte all’impiego della lettura come strumento per creare autentiche comunità educanti».

Tu hai scritto un saggio dal titolo intrigante: Insegnare con la letteratura fiabesca. Da dove nasce l’idea e da dove l’esigenza di scrivere questo saggio?

Credo profondamente nel seme evocatore della fiaba.

« Un seme che ritengo fondamentale per lo sviluppo dell’individuo e della società intera, in qualunque epoca. Gli antichi imparavano i sentimenti attraverso la mitologia, noi li impariamo attraverso la letteratura. Come spesso ripete Umberto Galimberti “i sentimenti si acquisiscono culturalmente e socialmente” e dunque vanno educati.

Purtroppo l’educazione emotivo-relazionale ormai sfugge dalle mani delle famiglie, come della scuola, spesso per mancanza di tempo: i genitori sono attanagliati da ritmi frenetici, gli insegnanti combattono con burocrazia e stress.

Ma quando il disagio dei ragazzi o gli episodi di bullismo ci spiazzano e ci spaventano, dobbiamo fermarci a riflettere e riconoscere che sono conseguenza dell’analfabetismo emozionale dilagante.

Siamo in una situazione di emergenza affettivo-relazionale e questo mi ha spinta a cercare delle vie di uscita. Non è più possibile trascurare la didattica emozionale, non possiamo più pensare a una scuola orientata esclusivamente al potenziamento delle abilità intellettive a discapito di quelle emotive. Le neuroscienze ci spiegano che lo sviluppo intellettivo e l’apprendimento sono fortemente influenzati da emozioni e sentimenti.

Le emozioni guidano la formulazione del pensiero, riuscire a padroneggiarle è il requisito fondamentale per concentrarsi, per trovare motivazione, per affrontare con profitto lo studio. Ho riflettuto a lungo su quali strumenti utilizzare per insegnare ai piccoli a (ri)conoscere e gestire emozioni e sentimenti. Dai miei studi è emerso che la fiaba è davvero il più efficace dei mezzi.

Così è nato “Insegnare con la letteratura fiabesca”, con l’intento di esplorare insieme ai docenti un sentiero attraverso il quale aiutare i ragazzi ad accedere alla propria personalità, imparare a riflettere e relazionarsi, prendere coscienza dei propri stati emotivi, sviluppare capacità logiche e pensiero creativo, rafforzare la motivazione allo studio» .

Possiamo davvero migliorare la didattica a scuola?

«Per migliorare la didattica, ma anche in generale la qualità della nostra vita, dobbiamo necessariamente imparare a gestire le nostre emozioni e quelle dei ragazzi. Bisogna saperle governare tutte, sia quelle che creano squilibrio (paura, invidia, rabbia, gelosia) che quelle piacevoli (gioia, speranza, volontà, gratitudine, fiducia).

Se, insieme ai nostri ragazzi, impariamo a canalizzare l’energia emotiva, questo avrà un impatto positivo sul loro rendimento scolastico, sulle loro relazioni e sul benessere psicofisico di noi tutti, bambini, docenti e genitori. E sì, finalmente potremo dire di aver inventato un mondo nuovo. Proviamoci, ne vale davvero la pena.

Le fiabe incoraggiano l’apprendimento perché coinvolgono emotivamente, nel pieno rispetto della diversa sensibilità di ognuno. Ogni individuo, specie se giovanissimo, per poter imparare qualcosa deve avere un buon rapporto con le proprie emozioni.

I concetti che impariamo in maniera immediata e facile sono quelli collegati alle emozioni positive.

Bambini e ragazzi, in molti casi, arrivano a scuola carichi di difficoltà. Il deficit di attenzione, per esempio, è un problema che le statistiche ci rivelano essere diffuso sia tra i piccolissimi che tra gli adolescenti, e gli psicologi spiegano che deriva spesso dall’uso compulsivo di apparecchi elettronici. In queste condizioni diventa problematica anche la relazione con i compagni, oltre che con l’insegnante. Ma la buona notizia è che il livello di attenzione può essere potenziato in qualsiasi fase della vita, insieme alla consapevolezza dei propri stati d’animo e all’empatia.

La fiaba ci racconta di eventi che riguardano l’essere umano nel suo cammino, per questo cattura facilmente l’attenzione. L’importante è utilizzare le giuste strategie di lettura. Non è difficile, anzi è un’attività piacevole anche per il docente.

La lettura a voce alta è un atto di accoglienza e di cura che regala emozioni meravigliose a chi ascolta e a chi legge. E’ un momento di accettazione, che aiuta il bambino a trasformare anche le proprie emozioni negative qualcosa di positivo e utile alla sua vita».

In quali “materie” possiamo inserire l’uso della fiaba?

«Praticamente possiamo impiegare la letteratura fiabesca in tutti gli ambiti disciplinari: scientifico, umanistico, artistico, tecnico. E’ necessario insegnare ai ragazzi a pensare. L’insegnamento delle materie tradizionali come la matematica, le scienze, le lingue, deve essere affiancato da strategie educative che consentano di acquisire consapevolezza di come funzionano la propria mente e i sentimenti.

Ed è esattamente ciò che possiamo fare con la pratica della narrazione fiabesca, fin dai primi anni dell’apprendimento scolastico la letteratura conduce i piccoli a sviluppare il pensiero autonomo e la capacità di creare nuove idee.

Non a caso ho scelto Alice per la copertina del libro: è il personaggio che più di ogni altro rappresenta l’esplorazione della realtà interiore, sia mentale che emotiva, con tutte le sue contraddizioni. E questo tipo di esplorazione è vitale non soltanto per i piccoli, ma per tutti noi, a qualunque età.

Impiegata nel modo giusto, la letteratura fiabesca è utile a impostare percorsi veramente efficaci anche nell’affrontare realtà complesse come il bullismo, l’autismo, il mutismo selettivo, la fragilità emotiva, la competizione sfrenata.

Impiegata nel modo giusto, la letteratura fiabesca è utile a impostare percorsi veramente efficaci anche nell’affrontare realtà complesse come il bullismo, l’autismo, il mutismo selettivo, la fragilità emotiva, la competizione sfrenata. Attenzione, però.

Quando uso la parola “fiaba” mi riferisco sempre alla versione letteraria originale, non certo ai sottoprodotti editoriali che mistificano i contenuti delle opere fiabesche, riempiendole di stereotipi e sciocchezze varie.

La letteratura fiabesca è relativamente giovane, esiste da pochi secoli, ma ha subito mortificazioni di ogni sorta arrivando a noi spesso in forma distorta a causa di versioni cinematografiche arbitrarie e libercoli redatti in maniera approssimativa e frettolosa.

Affinché risulti efficace, occorre recuperare le versioni letterarie autentiche, magari ripubblicate in un linguaggio aggiornato ai tempi, ma senza modifiche ai contenuti. Le fiabe classiche, e quelle moderne, sono opere d’arte a cui non possiamo fare dei ritocchi a nostro piacimento.

La letteratura fiabesca, diceva sapientemente Umberto Eco, è una letteratura aperta perché consentedi elaborare ulteriori possibilità e nuove idee, ma non può e non deve essere oggetto di manipolazioni mortificanti (come del resto ogni altra opera d’arte)».

Qualche “pillola” del metodo. Come ci si approccia? Quali i passaggi in classe?

«Più che un metodo, la definirei una strategia didattica che parte dalla lettura ad alta voce in classe per concludersi poi in mille modi diversi, in base alla reazione e alle esigenze dei ragazzi.

La lettura a voce alta è un atto di accoglienza e di cura, che regala emozioni meravigliose a chi ascolta e a chi legge. E’ un momento di accettazione, che aiuta il bambino a trasformare anche le proprie emozioni negative qualcosa di positivo e utile alla sua vita.

Ma l’attività del leggere non può essere lasciata all’improvvisazione, affinché risulti davvero efficace occorre seguire dei criteri precisi. Per questa ragione, con il mio saggio accompagno il docente nell’acquisizione degli atteggiamenti giusti da tenere durante la lettura.

La prima parte, quella teorica,  illustra l’utilità della letteratura fiabesca nei diversi ambiti didattici e, in appendice, sono proposti quindici laboratori interdisciplinari e degli esempi di unità di apprendimento per la scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria, con compiti di realtà e percorsi per affrontare il bullismo, potenziare l’inclusione e migliorare le relazioni in classe».

Fai formazioni? Che percorsi proponi ai docenti?

«A partire dal 2012, quindi ben prima dell’uscita del libro, ho iniziato a girare l’Italia proponendo corsi di formazione a docenti e genitori. Anzi, il saggio è nato proprio su richiesta dei docenti che sentivano il bisogno di avere una guida da consultare.

E i corsi di formazione si sono intensificati dopo l’uscita del saggio, anche grazie alla casa editrice che li offre in maniera gratuita ai docenti in servizio. Sono davvero contenta. A pochi mesi dall’uscita, Insegnare con la letteratura fiabesca è stato adottato per i laboratori alla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Lecce.  E in un sito svizzero lo hanno segnalato come libro utile agli insegnanti di Italiano Lingua2.

Ma l’episodio che mi ha resa oltremodo felice risale a poche settimane fa, quando un’insegnante della scuola Secondaria mi ha telefonato per dirmi di aver sperimentato in classe la mia strategia. Era commossa, tutti i suoi alunni avevano mostrato un’attenzione inusuale durante la lettura, anche gli iperattivi, i ragazzi con bisogni educativi speciali, gli alunni stranieri. Tutti.

Mi ha ringraziato e le ho risposto che in realtà sono io a dover ringraziare tutti i miei lettori perché mi danno la gioia immensa di vedere germogliare il piccolo seme che ho gettato al vento.

L’intera classe era rimasta ad ascoltare, con la gioia nello sguardo. E, nei giorni successivi, le lezioni della materia avevano preso una piega diversa, suscitando maggiore curiosità».

Per maggiori info: www.rosatiziana.com
Credits foto: H for Home

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Parlare con i fischi, la lingua che sopravvive da due millenni in Grecia

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Praticamente tutti diamo per scontato la parola come principale strumento di comunicazione. Che sia poi declinata in lingue diverse rimane nella nostra mentalità il pilastro della società umana basata sul dialogo. Eppure esistono molti modi di comunicare. Gli animali ne sono una prova esemplare, certo non possiamo paragonarli alla complessità delle conversazioni umane.

Al di là delle migliaia di lingue diverse che si basano sempre sulla composizione di suoni in parole, esistono altre forme di comunicazione altrettanto importanti, forse la più famosa è la lingua dei segni, ma in Grecia persiste un tipo di linguaggio ancora più bizzarro: la lingua dei fischi.

In un’isola nel sud della Grecia, Eubea, limitata nel piccolo villaggio di Antia, resiste da 2000 anni una lingua straordinaria che assomiglia molto al fischio degli uccelli (tanto che i merli locali la imitano). Il piccolo borgo abitato da appena dieci abitanti è arrampicato sul monte Ochi, talmente piccolo che non è neppure registrato dai navigatori. Per raggiungerlo occorre prendere la strada verso Karystos, ma non sarà difficile da trovare, basterà tendere l’orecchio e ascoltare i fischi dei suoi abitanti.

La lingua si chiama Sfyria, trae origine dai pastori della zona che la usavano per comunicare da una parte all’altra della valle. Fu scoperta dagli esperti solo nel 1969, dopo che un incidente aereo aveva portato attenzione sulla zona.

Questo strano modo di comunicare è stato tramandato per generazioni ma oggi rischia di essere perduto per sempre. Da 250 persone che la utilizzavano sono rimaste solo in 37, dei quali molti sono anziani e non più in grado per un motivo o per un altro di riprodurla.

Anche impararla non è una faccenda semplice. Ci vogliono ben 7 anni di studio ed esercizio continuo. Cominciando da piccoli è molto più facile.

La lingua dei fischi di Antia non è l’unica, ce ne sono altre nel mondo, come in Turchia, in Cina, in Messico e nelle isole Canarie. Quella di Antia ha il triste primato di essere la lingua con meno parlanti in Europa.

Per questo è stata inserita nella lista delle lingue da preservare dall’Unesco e molti ricercatori stanno viaggiando verso il borgo per registrarla e conservarla prima che sia persa per sempre.

Fonte:

https://www.helloworld.it/cultura/lingua-fischi-2000-anni-borgo-grecia

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