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Coltivare la lettura come un orto rigoglioso
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Una delle considerazioni più belle sulla lettura mi è arrivata per mail:
Penso che ogni volta che leggiamo un libro si viva una nuova vita. Ognuno di noi, quando legge, immagina come sarebbe la sua vita, se fosse come quella della protagonista del libro. Ritengo che la passione per la lettura si possa paragonare ad un orto. Entrambi vanno coltivati e ci vuole pazienza. Nella prima si coltiva, leggendo sempre più libri. Nel caso dell’orto, invece, si coltiva con le piante. In ambedue i casi ci sono dei periodi. Nella passione per la lettura i periodi sono soggettivi. Quando si coltiva un orto bisogna sapere che ci sono delle verdure che crescono in un certo periodo e altre in un altro. Se non si coltiva la passione per la lettura, così come nel caso dell’orto, entrambe finiranno per morire.
L’ha scritta Silvia Guerra, 14 anni, piemontese, e posso anche dire di avere una certa indiretta responsabilità alla sua passione per la lettura, perché ha cominciato a provarla dopo aver letto “Voglio fare la scrittrice”, uno dei miei libri di maggiore successo presso le ragazze.
Sì, bisogna sapere che ci sono letture per periodi diversi, non soltanto per età, ma proprio per stagioni e per momenti della vita. Bisogna considerare che ci sono gusti personali e che la letteratura è un campo molto preciso, davvero un orto rigoglioso cui accedono i lettori, entrando in relazione con la narrazione di storie attraverso il linguaggio verbale.
Ecco perché è importantissimo proporre la varietà ai nostri ragazzi. Tra tanti libri, possono incontrarne uno che li incuriosisce, parla alla loro sensibilità, li trascina dentro un mondo, li fa viaggiare dentro.
Ho sempre tenuto conto di questo aspetto nel lavoro che svolgo per la promozione della lettura, come nel caso del Libernauta, il concorso di lettura per giovani dal 14 ai 19 anni che si tiene nell’area fiorentina (19 Comuni) proprio durante il periodo estivo, attraverso le biblioteche che dialogano con le scuole superiori in un progetto che coinvolge migliaia di studenti.
Migliaia, appunto, di età diverse come lo sono quegli abissali anni dai quattordici alla maggiore età, da chi deve patire per uscire la sera a chi guida l’auto e non rende più conto di dove va e con chi. Sarebbe un po’ assurdo proporre a questi giovani adulti lo stesso identico libro, così si scegli:
– per livelli differenti che significa ambientazioni, temi, personaggi commisurati alle loro varie età;
– per “generi”, inserendo un libro sullo sport, una graphic novel o un libro illustrato, un romanzo che ha un legame diretto con il cinema, un’autobiografia su un tema sociale, un romanzo sentimentale e così via;
– per temi di attualità: ad esempio da alcuni anni segnaliamo quei libri che parlano del tema dei migranti, degli “approdi” nelle nostre coste;
– per autori, scegliendo anche quegli esordienti, che hanno indovinato un buon libro che sa parlare ai lettori poco più giovani di loro.
A proposito di questo tipo di scrittori bisogna considerare che questi libri non hanno la pretesa di essere “letteratura”, ma una narrazione che incoraggia a raccontarsi e a confrontarsi con la pubblicazione, non più una meta inarrivabile per i giovanissimi.
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Una pagina bianca di un albo: direttamente dal Giappone, tanti spunti interdisciplinari
Un albo, tanti spunti: direttamente dalle terre nipponiche, numerosi spunti disciplinari e trasversali a partire… da una pagina bianca.
Perché non provare a far conoscere ai nostri alunni l’albo illustrato proveniente da terra nipponica? Ce ne sono di bellissimi e vengono letti sia da un pubblico giovanile che da un pubblico adulto.
In Giappone, poi, gli albi illustrati sono considerati testi di alta qualità e ad essi vengono dedicati festival a tema e iniziative letterarie specifiche.
Da diversi anni, infatti, i ragazzi della scuola secondaria di primo grado, e forse anche di altri ordini di scuola, sono attratti dal Giappone. Oltre ad elettronica e videogiochi, negli ultimi tempi particolarmente apprezzati risultano anime, manga e diverse tipologie di sushi.
L’albo illustrato Da una pagina bianca: tanti obiettivi e tanti motivi per leggerlo
L’albo che ho deciso di leggere nella mia classe terza di una secondaria di primo grado si intitola Da una pagina bianca ed è incentrato sulla biografia dell’illustratrice nippo-americana Gyo Fujikawa.
Perché ho scelto di leggere proprio questo albo?
Per una serie di motivi:
- fa conoscere del Giappone aspetti storico-sociali meno conosciuti;
- facilita connessioni con lo studio della storia di metà Novecento;
- include riferimenti artistici stimolanti e centrati;
- permette di parlare di scelte di vita in ottica di orientamento e riflessione/conoscenza di sé;
- consente di impostare interessanti percorsi di educazione civica focalizzati su lotta alle discriminazioni, salvaguardia dei diritti umani, società multietnica, pace e parità di genere (tematiche riconducibili agli obiettivi dell’Agenda 2030)
E, naturalmente, valgono per l’albo Da una pagina bianca tutti gli obiettivi formativi e didattici che vengono attivati nel corso della lettura di testi di questo genere:
- stimolo alla riflessione critica e alla negoziazione dei significati;
- miglioramento delle capacità di osservazione e concentrazione;
- incentivo alla ricerca individuale e finalizzata (anche ad un eventuale percorso d’esame);
- occasione di socializzazione e di accoglienza di multivisioni prospettiche;
Orientamento e conoscenza di sé
Nel disegno di copertina appare una donna che apre una grande pagina bianca e, da dietro, si vedono comparire bambini dai tratti somatici differenti.
Come sempre, sarà bene partire da titolo e immagini di copertina/risguardi per stimolare anticipazioni sul contenuto e soprattutto osservazioni attente di illustrazioni e uso di texture e tonalità di colore.
Nelle prime pagine si fa riferimento alla passione del disegno manifestata dalla protagonista fin dalla sua tenere età.
L’immagine di una pagina bianca per disegnare le azioni della giornata e segnare ogni volta un nuovo inizio può prestarsi come ottimo spunto per far riflettere i ragazzi su di sé, sulle proprie passioni e sui nuovi inizi che immaginano all’orizzonte.
Gyo sapeva cosa voleva diventare? Non ancora.
Sapeva solo che le piaceva disegnare.
Ogni giorno cominciava per lei con una pagina
bianca e vuota che riempiva di figure.
Ad attività di disegno e scrittura su pagina bianca, possono essere affiancate letture di altri libri, albi o testi di canzoni sempre indirizzati sul potere, ma anche sul timore, esercitato da un simbolico foglio bianco. Tra questi l’albo Il Punto di Peter Reynolds o il testo della canzone di Elisa Pagina bianca.
“Perderci” nell’arte giapponese
Scorrendo le pagine, vediamo la Gyo bambina crescere e sentirsi sempre più sola, specie dopo il trasferimento in un villaggio di pescatori della California. I colori mutano e le parole si fanno più intense.
Gyo continua a dipingere, torna nel suo paese per “perdersi” nelle stampe giapponesi e, a causa delle regole rigidissime imposte dai maestri, studia arte da autodidatta.
Proviamo anche noi a “perderci” nella pittura giapponese e ad ascoltare le nostre emozioni di fronte a opere di Hiroshige. Utamaro e Hokusai. Come rimanere indifferenti, ad esempio, di fronte alla famosa grande onda di Kanagawa di Hokusai?
Connessioni con la storia (conosciuta e non)
Tornata in America e ottenuto a New York un primo contatto con la Walt Disney, Gyo assiste ai terribili avvenimenti storici degli anni ’40 del Novecento.
I suoi familiari, rimasti a vivere in California, subirono il destino di tutti i giapponesi residenti nella costa occidentale degli Stati Uniti ai tempi dell’attacco di Pearl Harbour, ovvero la deportazione e la reclusione nei campi di prigionia.
Disegni in prospettiva e uso dei colori diventano nell’albo ancora più impattanti. Le pagine si prestano ad approfondimenti su un avvenimento storico poco conosciuto in Occidente, oltre che a riflessioni più generali sulla funzione consolatoria dell’arte.
Il mondo sembrava grigio, il colore la risollevava
Gyo si chiedeva: può l’arte confortare e risollevare anche gli altri?
Tanti spunti di lavoro per l’educazione civica
L’albo presenta scenari più cupi in riferimento alla guerra e, a pace raggiunta, la protagonista si ritrova, suo malgrado, testimone dei grandi fermenti sociali in atto in questi anni. Vi sono riferimenti alle lotte contro la segregazione razziale, alle richieste di parità di diritti tra persone di colore e genere diversi.
In base agli interessi emersi durante le discussioni di classe, possono essere assegnate ricerche o suggeriti lavori di approfondimento da inserire in percorsi di educazione e partecipazione civica responsabile.
I ragazzi possono aver modo di conoscere figure quali Rosa Parks, Martin Luther King e mettere a raffronto le forme di discriminazione razziale statunitensi con quelle perpetrate in altre parti del mondo, sia in prospettiva sincronica che diacronica.
Gyo riesce a farsi strada in un mondo dominato da uomini, insistendo su tematiche riferite a diversità e multiculturalità. Abbatté stereotipi fondamentali per i tempi in cui visse. Nei suoi disegni vi sono bambini diversi e dalla pelle di vario colore e tratto grafico; gradazione di colori e vivacità d’ambiente nelle ultime pagine dell’albo vengono ancor più messe in risalto.
Perché i bambini assumono, alla fine, il ruolo di protagonisti: sulle parole conclusive dell’albo si possono impostare discussioni e motivi di riflessioni incredibili, base di qualsiasi intenzione progettuale futura.
I bambini sono pronti per un mondo più grande e migliore.
Ed eccoli diventare essi stessi protagonisti effettivi non solo dell’albo illustrato appena letto, ma anche delle immagini colorate dell’Agenda 2030 appesa in classe.
A proposito di albi illustrati, trovi qui un altro articolo sul tema.
Foto di copertina by Miika Laaksonen su Unsplash
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A scuola con la dislessia
La dislessia è uno dei disturbi dell’apprendimento più diffusi, eppure ancora oggi la dislessia non viene sempre riconosciuta, creando problemi in bambini e ragazzi.
Bianca è una bambina che frequenta la classe terza della primaria, è piena di vita e le piace fare sport, ma ha un problema. Ogni volta che la maestra la chiama per leggere ad alta voce, le lettere davanti ai suoi occhi cominciano a muoversi, a ribaltarsi, a contorcersi e le parole perdono di significato. Sì, perché è così grande l’impegno che Bianca deve mettere per leggere quelle parole, che alla fine non riesce neanche a capire quello che ha letto. Eppure Bianca non è svogliata né pigra, e sta sempre molto attenta quando la maestra spiega.
Col tempo, questa difficoltà è diventata così ingombrante che Bianca si sente spesso a disagio, è fragile, e col tempo le ha creato dei problemi nell’apprendimento e nell’andamento scolastico. Anche nei rapporti con i suoi compagni e con gli adulti, Bianca si sente spesso in difficoltà: è stanca di vedere sul volto degli altri la delusione o il sorriso. Si sente sempre più inadeguata, meno intelligente, e si chiude sempre più in se stessa. Finché un giorno una giovane insegnante appena arrivata nella sua classe intuisce qual è il problema di Bianca…
Questa di Bianca è una storia inventata, ma non così tanto, perché assomiglia alla storia di tanti altri bambini e bambine che soffrono di dislessia, considerata oggi il disturbo dell’apprendimento più diffuso: secondo i dati dell’AID – Associazione Italiana Dislessia, sono circa 1.500.000 gli individui che ne soffrono in Italia.
Ma cos’è la dislessia?
Forse è meglio dire cosa non è la dislessia! Non è un deficit di intelligenza né è dovuta a problemi ambientali o psicologici, né a deficit sensoriali o neurologici. L’International Dyslexia Association ci dice che “è caratterizzata dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio”.
Il risultato è che il bambino dislessico fa così tanta fatica a leggere e a scrivere – perché impegna tutte le sue energie! – che si stanca prima degli altri, è quindi portato a commettere degli errori, a rimanere indietro, ad avere difficoltà nell’apprendimento. Anche se sono studenti intelligenti, svegli e creativi! Per questo è importante riconoscere subito questo disturbo: per la loro autostima, per far vivere loro con serenità il gruppo classe.
Ed è, questo, un aspetto fondamentale! La dislessia, come tutti gli altri disturbi dell’apprendimento e come altre patologie di diversa natura, ha un ruolo importante anche nelle relazioni della classe. Riconoscerla e mettere in moto gli strumenti necessari significa favorire la nascita di una classe inclusiva:
“Educazione per tutti significa effettivamente per tutti, in particolare quelli che sono più vulnerabili e hanno maggiormente bisogno”. (Prefazione alla Dichiarazione di Salamanca su educazione e bisogni educativi speciali)
Parliamo di temi importanti, come la diversità e l’inclusione scolastica, argomenti quanto mai attuali nel mondo della scuola. Questi sono anche i temi principali di “Più unici che rari”, una campagna nazionale rivolta alle scuole secondarie di I grado, realizzata da Librì Progetti Educativi e Sanofi. Il progetto vuole porre l’attenzione dei ragazzi – e delle loro famiglie – su tutte quelle difficoltà e barriere che possono nascere in una classe in presenza di determinati disturbi o patologie.
Oltre ai DSA come la dislessia, o ad altre patologie, la campagna vuole accendere i riflettori anche sulla categoria delle malattie rare, riguardo alle quali Sanofi è da molti anni in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di terapie e soluzioni.
A proposito di dislessia, tra i più giovani ha avuto un grande successo – e tantissime visualizzazioni su Youtube – la canzone scritta e interpretata da Lorenzo Baglioni, L’arome secco sé.
La canzone, sviluppata con la collaborazione di AID, “affronta il tema della dislessia con ironia e leggerezza ma anche con sensibilità e rispetto”, senza dimenticare che tutto il ricavato delle vendite digitali della canzone verrà destinato ai progetti AID a favore dei ragazzi e delle ragazze con DSA.
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Dalle emozioni alle storie
Ancora strategie per invitare i ragazzi alla lettura: con Loredana Pippione esploriamo quali storie e libri preferire, tra classici e nuove proposte…
Sorrido all’idea “dell’insegnante- ragioniere” che non sarò mai, anche se mi dicono che “tanto si fanno sempre un po’ le stesse cose, mentre i ragazzi cambiano tutti gli anni, per cui, che senso ha far fatica ad inventare” .
Effettivamente, sarebbe così comodo, una bella cartellina sul desktop del computer con il materiale suddiviso per classi e ogni classe per mese “tanto a novembre in prima si spiega la favola e in terza si legge Foscolo”.
Invece no. Penso all’appuntamento fisso dell’ultima ora del venerdì, in classe, dedicato a leggere e a parlare di libri, di quelli che abbiamo letto e di quelli da leggere, di quelli che ci sono piaciuti da impazzire e di quelli che abbiamo fatto fatica a terminare. A inizio anno abbiamo deciso di concederci questo piccolo regalo, un buon modo per congedarsi da una settimana di lavoro in attesa di rivederci. Questo momento, tutto nostro, ci ha permesso di rilassarci. Spesso siamo restati in classe, qualche volta siamo andati in aula lettura, altre volte in giardino.
Penso ai miei studenti, tutti diversi: c’è chi in un’ora legge diverse pagine, altri che dopo aver sbirciato qualche riga guardano fuori volando con l’immaginazione chissà dove. Non sono pochi quelli che si alzano per chiedere il significato delle parole o che non comprendono appieno una frase. Ogni volta ho spiegato, chiarito, mi sono informata se il romanzo era interessante e se lo conoscevo ho chiesto a quale punto erano arrivati e li ho incoraggiati ad andare avanti.
Mi chiedo se il mio approccio alla lettura sia sufficientemente valido ed efficace e se quanto trovano a loro disposizione sia stimolante e coinvolgente. Confesso, non lo so. L’orgoglio mi spingerebbe a dire che la strada intrapresa è quella giusta, perché suffragata dalle tante letture di autorevoli esperti e probabilmente quello stesso orgoglio mi convincerebbe che tanti altri insegnanti fanno molto meno, anzi proprio niente, ma in realtà, per quanto legga e mi aggiorni, procedo per tentativi, semplicemente perché una strada giusta non c’è.
Io, a loro, vorrei solamente consigliare delle buone storie che un po’ gli assomiglino e che non siano per forza legate a un esplicito intento educativo. Non ho dimenticato che io diventai una lettrice perché mi andava di farlo. Trovai, tardi, un libro, lo lessi e da quel momento non mi fermai più. Non ho letto per compito, per comparare gli stili, per imparare a scrivere bene. Purtroppo si rischia di far fare al libro quello che invece dovrebbe fare un buon educatore ovvero indicare la strada, passare del tempo con te, trasmettere valori, dare buoni consigli e darti la possibilità di tirar fuori quelle capacità che ti renderanno una persona migliore di quello che sei.
I ragazzi e i bambini sembrano essere appassionati dalle storie che parlino di contemporaneità, poiché sono espressione di un sentire e di un agire più vicino a loro, insomma ci si ritrovano! Il loro mondo è fatto di velocità, di messaggi immediati, di immagini dai colori sgargianti e dagli effetti speciali. I loro eroi, dai nomi a volte impronunciabili, vivono avventure dal ritmo serrato in cui non c’è spazio per i lunghi dialoghi, per le belle descrizioni o per profonde e attente riflessioni. Non è una colpa, sono così! Sono la generazione degli Avengers e degli X-men esattamente come quella dei loro genitori e di alcuni loro insegnanti lo era di Mazinga Z e di Candy Candy e ne consegue che, se l’approccio vuole essere quello di un invito alla lettura, occorra tener conto del tipo di narrazioni a cui questi ragazzi sono venuti a contatto sino a questo momento e di come i libri “classici” frequentemente parlino di un mondo ormai lontano ed incomprensibile.
“Il giro del mondo in 80 giorni” fu pubblicato nel 1872 e il “Giardino segreto” nel 1911: sono romanzi di una bellezza indicibile che parlano di carrozze, mongolfiere e governanti, dove il treno a vapore e il piroscafo sono l’espressione massima della tecnologia del tempo. Mi chiedo, però, se possano ancora coinvolgere emotivamente la generazione dei millennials. Forse è necessario avere la consapevolezza che occorra arrivarci per gradi, considerando il romanzo ”classico“,un punto di arrivo e non di partenza anche dal punto di vista linguistico-lessicale, oltre al fatto che non tutti i “classici” sono oggi proponibili.
Sicuramente leggerò, quando sarà il momento, qualche pagina di Cuore, ma come documento storico di quell’Italia “bambina” che si apprestava a diventare Nazione; come certamente leggeremo insieme la splendida storia di Giuà Dei Fichi raccontata da Calvino in “Il bosco degli animali”, ma sono cosciente che quel mondo fatto di guerra, paura, rastrellamenti, fame e freddo sia qualcosa che questi ragazzi potranno ascoltare, forse anche apprezzare, ma difficilmente capire, perché non vissuto. Per questo cerco buone storie, che non seguano le mode letterarie del momento, ma che germoglino da un’idea, che lentamente crescano e sboccino per diventare vita raccontata attraverso la penna di uno scrittore o di una scrittrice.
Cerco di non farmi imbrigliare dal pregiudizio che solo certi libri sono meglio di altri, che i vecchi romanzi sono sempre i migliori e che la maggior parte della produzione editoriale odierna è da considerare bieco prodotto commerciale.
Nella vastità della produzione editoriale contemporanea non tutto è da considerarsi un capolavoro, ma è pur vero anche che ci sono autori dalle eccellenti capacità narrativo – stilistiche, che nulla hanno a invidiare agli scrittori considerati “grandi classici” della letteratura giovanile. Certo bisogna conoscerli, e successivamente, aggiungerei, saperli presentare in modo tale da far venir voglia di assaggiarli. Ciò comporta da parte di chi promuove la lettura un continuo lavoro di aggiornamento, non solo attraverso le novità in libreria, ma anche grazie a riviste specialistiche del settore tramite la rete, dove si possono conoscere blog e siti. Questo consapevolezza, questo “ sapere di ciò di cui si parla”, diventa preziosissimo al momento del prestito librario, quando gli alunni arrivano in aula lettura e il tempo a disposizione è limitato, facilitando, non poco, il compito dell’adulto.
A volte i ragazzi si confidano e ti chiedono di aiutarli a cercare un libro che parli di qualcosa che stanno vivendo in quel momento, altre volte non ti dicono nulla e tu adulto, che non li conosci bene, rischi di ferirli senza averne minimamente la percezione. Anche nella vita di un giovanissimo ci sono momenti delicati e può essere che desideri e cerchi ciò che sta vivendo, quasi come verifica o conferma di un comune sentire, ma può anche darsi che non abbia nessuna voglia di rivivere sulla carta ciò che tutti i giorni sperimenta sulla propria pelle. In realtà i bambini e i ragazzi, i libri, sono in grado di sceglierseli anche da soli, non hanno certo bisogno di un supervisore, che li guidi, ma lo scopo dell’adulto attento e aggiornato diventa quello di facilitare un incontro ovvero offrire la possibilità a ciascuno di trovare quella storia che è stata scritta per lui o per lei, perché potesse leggerla proprio in quel momento.
Troviamo modi alternativi per promuovere la lettura e, magari, attingendo alla ricchissima bibliografia sull’argomento, troveremo un modo tutto nostro per far diventare i nostri studenti buoni lettori. Ci sono tanti modi per farlo. Qui, oggi, ho provato a raccontare il mio.
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Come si organizza l’incontro con un autore
L’esperienza di Valeria Pancucci, insegnante della secondaria di I grado, che insieme alla sua classe ha incontrato un celebre autore per ragazzi, Daniele Aristarco
Come prepararsi a incontrare un autore? Ecco cosa avrei voluto sapere a settembre di quasi due anni fa, quando proposi alle mie colleghe di invitare Daniele Aristarco nel nostro Istituto. Purtroppo le mie ricerche online furono vane, nessun sito, nessun articolo, nessun post dei vari gruppi social che frequento affrontava nel dettaglio l’argomento. Per questo ho deciso di raccontare la mia esperienza, sperando possa essere utile a quanti come me si troveranno nella stessa situazione, con lo stesso entusiasmo, ma la stessa inesperienza.
Chi sono e perché ho deciso di organizzare un incontro con l’autore: mi chiamo Valeria Pancucci e ormai da alcuni anni insegno esclusivamente italiano in un’unica sezione, prima, seconda e terza media, ed è diventata prassi per me allestire in ogni classe una piccola biblioteca, formata dai libri che portano i ragazzi, e dando fondo al mio bonus docente e non solo, per arricchirla sempre di nuovi titoli, di genere e tipologia varia. Le attività di educazione alla lettura, come prassi costante e quotidiana, fanno parte del mio modo di stare a scuola con i ragazzi; i compiti sono stati sostituiti dal tempo dedicato alla lettura e il libro di antologia viene sempre più accantonato e in alcuni casi sostituito per far posto alla lettura integrale di romanzi , graphic e testi di vario tipo che seleziono con cura pensando alle esigenze di ciascuno di loro.
Essendo una prof superdigitale, come dicono i ragazzi, ho attivo un profilo social che uso quasi esclusivamente per contatti di lavoro, gruppi di docenti appassionati come me del nostro lavoro, e ho iniziato per questo motivo a seguire e chiedere il contatto ai tanti bravissimi scrittori che ci sono nel panorama della letteratura per ragazzi attuale, parlo ad esempio di Annalisa Strada, Gabriele Clima, Daniele Nicastro, Manlio Castagna, Elisabetta Gnone, Antonio Ferrara solo per citarne alcuni, e ovviamente Daniele Aristarco. Inizialmente, non senza remore e timori, chiedevo loro l’amicizia, scrivendo poi un breve messaggio in cui raccontavo brevemente la mia passione, comune a quella dei miei alunni, nei confronti dei loro libri.
Nella mia idea di scrittori, questi occupavano un posto lontanissimo dalla realtà, quindi temevo freddezza e distanza; ma con mia sorpresa gli scrittori per ragazzi si mostrano ben felici di scambiare anche poche parole con chi a scuola ci vive tutti i giorni e sente umori e parere dei loro lettori.
Daniele (Aristarco) in particolare mi colpì per la grande cortesia dei modi e l’interesse autentico per ciò che facevo in classe. In estate poi, nella meravigliosa pausa dalle attività quotidiane, quando puoi immergerti totalmente nel modo fatto di libri, ho divorato tanti titoli che avrei voluto inserire nelle mie piccole bibliotechine di classe. Proprio in questo momento di riposo e progettazione mi sono imbattuta e ho letto d’un fiato “Fake, non è vero ma ci credo” (Einaudi Ragazzi).
Il libro mi ha colpito tantissimo per la ricchezza di spunti e riflessioni da poter proporre in classe, per la prosa pulita ma non banale, che permetteva di lavorare sull’uso della lingua, sulla scelta delle parole, su un periodare asciutto e non ridondante; inoltre la brevità e la compiutezza delle storie all’interno del libro lo rendevano adatto ad essere utilizzato per la lettura in classe a voce alta o per far leggere in autonomia i singoli racconti. Già nella mia testa di insegnante, mi prefiguravo come lavorare ampiamente sul libro al rientro a scuola.
I primi giorni di settembre un altro evento fortuito: al Festival della Letteratura di Mantova, tra i vari illustri autori, anche Daniele Aristarco per parlare con adulti e ragazzi proprio di Fake. Per me, che abito in provincia di Brescia, Mantova era una meta assolutamente raggiungibile per lasciarmi sfuggire l’opportunità! Già nei giorni immediatamente precedenti avevo anticipato alle colleghe, nel corso delle prime riunioni di dipartimento, che sarei andata ad assistere all’incontro e che mi sarebbe piaciuto prendere contatti con l’autore. A Mantova ho scoperto con piacere che, oltre ad essere un bravo scrittore, Daniele è un grande comunicatore che sa coinvolgere i ragazzi con la sua voce densa, usando parole giuste, ritmo, incalzando e stimolando un dialogo vero e autentico. Che dire, a quel punto dovevo organizzare l’incontro a scuola. Le colleghe sono state tutte concordi nel riconoscere il valore e le potenzialità del libro e nella valenza di portare nel nostro piccolo contesto di cittadina di provincia un vero scrittore.
Adesso iniziava la parte più difficile, per me completamente nuova: ho stilato un progetto in cui chiedevo l’autorizzazione a organizzare l’incontro e in cui specificavo dove attingere i fondi per coprire i costi che ovviamente ci sarebbero stati, perché pare che anche gli scrittori benché sensibili e disponibili, abbiano a che fare con il vile denaro. Ottenute tutte le autorizzazioni del caso, ho contattato Daniele, che si è dimostrato disponibile e felice quanto me della possibilità di un incontro a scuola e abbiamo concordato una data utile che venisse incontro ai rispettivi impegni. Il 22 novembre è stata la data stabilita!
Caspita non troppo tempo, perché nel frattempo tra tutte queste richieste e autorizzazioni eravamo già a ottobre.
Mi potevo a questo punto dedicare all’aspetto più importante: come rendere l’incontro un momento davvero significativo per i miei alunni? come prepararli adeguatamente?
Per prima cosa ho comunicato loro la grande notizia, avremmo letto dei libri e poi avremmo incontrato e conosciuto l’autore di questi libri. Sono arrivata in classe con il mio solito carrellino della spesa, da dove saltano fuori libri e consigli di lettura, questa volta per loro avevo preparato una sorpresa: tre libri del misterioso autore Aristarco: Io dico No, IO dico Sì e Fake (Einaudi ragazzi, EdizioniEL); li ho presentati brevemente e ho letto un breve racconto da ciascuno di essi, quindi ho chiesto loro di scegliere liberamente quale preferivano leggere e si sono così creati 3 gruppi di lettura all’interno della classe. Ci siamo dati delle scadenze comuni per procedere di pari passo e fare in modo che ci potessero essere dei momenti di confronto; abbiamo costruito insieme delle schede per annotare sui nostri taccuini i personaggi e gli episodi che incontravamo e che ci colpivano e stupivano. Ogni giorno qualcuno a turno leggeva una sua annotazione e la condivideva con chi aveva lo stesso libro o la raccontava a chi stava leggendo altro. Abbiamo scritto parole e riflessioni, idee e pensieri, cercato e approfondito notizie su alcuni dei personaggi raccontati, costruito carte d’identità dei personaggi preferiti e disegnato copertine per raccontare episodi; abbiamo scelto e votato chi ci ha rapito il cuore, chi avremmo voluto conoscere e la storia che avremmo voluto scrivere noi e quale invece mancava tra le storie possibili
E mentre leggevamo abbiamo cominciato a chiederci qualcosa sull’autore che aveva raccontato queste storie e lì le domande si sono moltiplicate: come sarà stato uno scrittore da ragazzo? cosa amava? cosa leggeva? cosa voleva diventare da grande? chi lo ha sostenuto, chi lo ha scoraggiato? Incontrare uno scrittore vero, questa è stata per loro la magia più grande, quella che alla fine ha fagocitato tutto ed io ho lasciato che seguissero le loro curiosità, ho soffiato e dato loro spazio senza cercare di sostituirmi o di guidarli verso sentieri che piacessero a me insegnante
Abbiamo preparato un cartellone e una scatola delle domande, nel dubbio che non potesse rispondere a tutti e per il desiderio di lasciare a lui qualcosa di noi, che potesse ricordargli di dove era stato. Il 22 novembre è arrivato in fretta, nel frattempo mi sono impegnata nella promozione dell’evento, creando una locandina, coinvolgendo le quattro cartolibrerie locali, invitando amici e colleghi anche di altre scuole, inserendo la locandina sul sito della scuola, tutto questo in collaborazione con la collega che da sempre si occupa nella scuola delle iniziative culturali e dei rapporti con la biblioteca, che con grande spirito di collaborazione si è resa disponibile e attiva in tutto
Avevamo infatti programmato due eventi, uno la mattina con tutte le classi terze dell’Istituto, ben 9 circa 200 ragazzi, e uno al pomeriggio aperto a colleghi e famiglie. Per me, anche a distanza di mesi ormai, è stata una due giorni da ricordare. I ragazzi sono stati bravi e attenti, hanno ascoltato, quando dovevano ascoltare, hanno fatto domande o sono intervenuti quando Daniele ha dato loro spazio e in realtà ne ha dato davvero molto. Un vero e proprio dialogo, un incontro nel senso letterale del termine dove ci sono persone che si conoscono reciprocamente. Lui ha avuto il grandissimo merito di accoglierci a casa nostra e rendere la situazione talmente comoda e facile che tutti hanno goduto delle sue parole e delle sue riflessioni.
Se devo dire cosa mi porto dietro da quell’incontro sono le sue domande brucianti che ancora echeggiano nelle mie orecchie. In effetti, se ci penso davvero, le domande vere sono state quelle che lui ha posto ai ragazzi e non viceversa. Una in particolare mi risuona ancora nelle orecchie “Da cosa vi accorgete di essere vivi, veramente vivi?” Se devo dirlo sinceramente la domanda ha spiazzato loro, ma anche me. Qualcuno ha azzardato una risposta “mi batte il cuore, respiro, non sono morto”. Ma il nostro essere vivi davvero come lo cogliamo? Come so con certezza che il mio vivere è differente da quello del mio gatto accoccolato ai miei piedi? Ci devo ancora riflettere, ma credo che questo sia un obiettivo altissimo per me, come insegnante:
far cogliere ai ragazzi la percezione della loro essenza, renderli coscienti che la loro vita è altro che il succedersi dei brevi momenti trascorsi.
E dunque di quest’incontro ho portato talmente tanto dietro ed è stata una tale grande gioia vedere i miei alunni coinvolti e intenti ad ascoltare e prendere appunti e ragionare che, nonostante gli errori in cui posso essere incappata a causa della mia inesperienza nell’organizzazione, rivendico a gran voce la validità di dar modo agli studenti di incontrare e conoscere uno scrittore
Questo però a patto che la lettura sia davvero per noi e per le nostre classi una priorità. Un incontro ha senso solo se è all’interno di una cornice di educazione ai libri e alla lettura, se è sentita come un valore aggiunto al nostro percorso quotidiano e non come momento fine a se stesso.
No all’incontro con l’autore se non so cosa ha scritto e non conosco i suoi libri, se non li leggo in classe con i ragazzi. No all’incontro con l’autore se ci piove dall’alto e portiamo i nostri alunni senza averli preparati in alcun modo, che non significa ammaestrarli e istruirli su cosa fare e cosa dire, ma al contrario significa dar loro modo di pensare e immaginare un libro e ragionare su questo con chi lo ha scritto.
Per concludere un grazie speciale a Daniele Aristarco, ormai amico, persona speciale sotto ogni punto di vista, che ha reso possibile e magico un incontro che sono certa rimarrà nel cuore dei miei alunni, come nel mio di insegnante appassionata di libri per ragazzi.
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Catalizzatori di lettura: come e perché
Sabina Minuto ci racconta il suo ultimo “Reading Workshop”: catalizzatori di lettura, strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi.
Con Sara Moretti e Teatro21 abbiamo vinto il bando Cepell “Educare alla lettura”. Il percorso pensato (incontri con autori, corsi per docenti, incontri con illustratori, teatro sociale) sta volgendo al termine. A Loreto il 23 novembre scorso c’è stato uno degli ultimi incontri, dedicato ai docenti, sul Reading Workshop.
Le linee guida del laboratorio sono state poche ma calibrate per dare ai docenti strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi. Troppo spesso infatti anche corsi di aggiornamento molto interessanti peccano nel non fornire ai docenti degli strumenti pratici e delle indicazioni concrete.
L’inizio è stato come sempre una pratica riflessiva comune su spunti teorici da vari autori: Massimo Recalcati, Umberto Galimberti, Marielle Macé, Marianne Wolf, Bernard Friot.
Ci siamo interrogati su cosa voglia dire “insegnare a leggere”, individuando ciò che per esperienza non funziona e ciò che invece potrebbe funzionare.
L’origine innaturale dell’alfabetizzazione significa che i piccoli o grandi lettori non hanno un programma su base genetica per lo sviluppo delle connessioni cerebrali del cervello che legge. Tali circuiti sono plasmati e sviluppati da fattori naturali e ambientali incluso lo strumento attraverso il quale la lettura viene acquisita e si sviluppa.
Marianne Wolf (da “Lettore vieni a casa”) suggerisce profonde riflessioni per chi vuole avvicinare lettore e libro. Lo stesso strumento con cui io vorrei insegnare a leggere ai miei studenti è portatore di significato a prescindere e sortirà effetti positivi o negativi. Anche solo per essere quello strumento e non un altro.
Non basta infatti, anche nelle scuole superiori, mettere in mano ad un ragazzo un libro e dirgli: “leggi”. Non può bastare. Se le sue esperienze di lettura pregresse non hanno sortito effetto; se non hanno attivato alcuna mappa neuronale, ma anzi magari sono state fonte di frustrazione e fatica, quel ragazzo non leggerà mai. Ossia non diventerà un lettore per la vita ma semmai un lettore solo per la scuola o per il voto che l’insegnante assegna.
Noi invece come docenti dovremmo procurare agli studenti altre esperienze di lettura che nutrano e facciano crescere lettori autonomi e consapevoli. Lettori in grado di scegliere quale libro leggere e di utilizzare strumenti di comprensione profonda cioè quello che nel Reading Workshop si chiama Deep Reading.
La comprensione, infatti, è sempre un processo e non un prodotto: non deve essere considerata un qualcosa che si ottiene quando si finisce di leggere. La comprensione è un processo. Cioè un’attività che viene esercitata sempre mentre si legge e deve essere supportata e sostenuta in classe.
Nella seconda parte, dunque, ci siamo chiesti soprattutto come fare, non solo cosa.
L’obiettivo è stato attraversare i sette elementi della lettura attiva attraverso organizzatori grafici del pensiero.
I sette punti sono: predire, visualizzare, inferire, identificare, fare domande, connettersi e valutare.
Per ognuno di questi abbiamo visto, e applicato ad un incipit di racconto, letto da me ad alta voce, degli organizzatori grafici di pensiero. Gli organizzatori grafici si sono rivelati interessanti anche per gli adulti lettori esperti.
Al livello visualizzare, ad esempio, abbiamo sperimentato come anche il disegno sia un modo per entrare profondamente nella comprensione di un testo. Se il lettore riesce a visualizzare una parte del testo che ha letto o gli viene letto, riferirlo agli altri con parole o disegni, applicare su questa attività meta cognizione, la comprensione risulterà supportata e quindi più facilmente assunta come propria.
In pratica si impara a leggere, come dice Aidan Chambers, da adulti che leggono (“Il lettore infinito”); ma anche da adulti che esplicitano ad alta voce e con il loro personale esempio il processo che avviene nella mente del lettore in un determinato momento.
In ultimo, ma non per importanza, ci siamo concentrati sugli albi illustrati come attivatori di lettura e di scrittura per tutte le età.
Divisi in gruppo abbiamo lavorato su un singolo albo fra quelli a disposizione seguendo una scheda preparata in precedenza. La scheda era semplice, ma poteva fornire spunti interessanti per collegare il leggere allo scrivere e per usare gli albi in classe come inizio di percorsi di lettura tematici o di genere. Le quattro attività proposte sono state svolte con entusiasmo dai docenti perché cimentarsi in una didattica che produce idee e si confronta con quelle degli altri è sempre entusiasmante.
Credo che l’incontro abbia avuto una certa ricaduta sui colleghi, almeno abbia dato loro idee su cui ancora lavorare e ancora riflettere.
Non c’è mai nulla di acquisito per sempre nell’insegnare come nel leggere. Come afferma Frank Serafini (“Around the Reading Workshop in 180 Days: A Month-by-Month Guide to Effective Instruction”) infatti la domanda giusta dalla quale partire non è solo “Come insegnare a leggere”, ma più esattamente “Quali tipi di lettori vogliamo creare e supportare?”.
E solo dopo che avremo descritto i tipi di lettori che vogliamo che i nostri alunni diventino allora il Reading Workshop potrebbe essere considerato uno dei modi più efficaci di insegnare la lettura. Così come pensando a quale tipo di insegnanti di lettura vorremmo essere, potremo davvero diventare incisivi all’interno delle nostre classi.
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Cosa significa educare alla lettura in una scuola secondaria?
L’educazione alla lettura non è materia curricolare, ma è essenziale per la crescita intellettiva ed estetica dei discenti a tutte le età.
In un paese dove l’educazione alla lettura non è materia curricolare, quindi affidata alla passione di docenti, educatori, maestre e i finanziamenti dedicati ai progetti per l’infanzia si fermano alla fascia 0-3 escludendo di fatto, anche se sulla carta così non sarebbe, tutta la fascia prescolare cosa significa quindi educare alla lettura in una scuola secondaria?
Questa è la domanda che abbiamo rivolto a Giorgia Atzeni, docente, artista, illustratrice. E queste sono le sue riflessioni.
Intanto significa svelare mondi. Ovvero alleggerire il peso della crescita in fase adolescenziale.
Chi scopre l’esercizio della lettura non si annoia mai.
In primo luogo l’educazione alla lettura è arricchimento lessicale, dunque ampliamento degli orizzonti espressivi. In seconda battuta offre ai ragazzi una valida alternativa all’apatia e al senso di isolamento proposto oggi dalle nuove forme di intrattenimento virtuali.
Osservando i comportamenti dei bambini e ragazzi impegnati in tutte le classi di ordine e grado (avendo operato come docente sin da giovanissima passando con soluzione di continuità, nel giro di vent’anni, dal nido alle aule universitarie) ho potuto appurare quanto l’educazione alla lettura sia essenziale per la crescita intellettiva ed estetica dei discenti a tutte le età.
Il passaggio dalla primaria alla secondaria di primo grado non è facile per gli studenti. Improvvisamente catapultati in un sistema più complesso rispetto a quello affrontato nei cinque anni precedenti. Gli alunni devono confrontarsi coi nuovi compagni, con i numerosi insegnanti che incarnano le materie di studio. Il carico di lavoro per loro aumenta quanto lo stress e l’ansia da prestazione.
Sotto il profilo dell’amore per la lettura è facile trovarsi di fronte a gruppi di ragazzi eterogenei. Alcuni che sono già avvezzi alla parola scritta. Altri che non hanno mai ricevuto gli stimoli adeguati e son più diffidenti. Il libro è ancora una passione per pochi ma può diventare interesse per molti.
Nulla è perduto! Ritengo che nella scuola secondaria sia ancora possibile creare una nuova tribù di lettori anzitutto recuperando chi, per tanti motivi, è rimasto indietro e non ha avuto possibilità di assaggiare brani di letteratura.
Il segreto è diventare amici dei libri: toccarli, annusarli, sfogliarli, conoscerli. Incontrare i libri interessanti per contenuto e forma è un buon modo per educare al bello, per imparare divertendosi.
Questo affetto deve nascere piano piano, senza imposizioni. E ciò accade quando l’insegnante trova la chiave giusta per chiamare dentro le pagine tutti. I curiosi, gli iper stimolati, gli irrequieti, quelli che non hanno mai avuto un bel volume sotto mano o non hanno mai ascoltato le fiabe dalla voce dei genitori nell’infanzia.
Ho incontrato bimbi e ragazzi problematici, stanchi, irrequieti ma mai disinteressati o insensibili alla visione di albi illustrati di qualità vivacizzati dal suono delle parole in essi contenute.
Io avvio questo lento processo con la lettura a voce alta. Una pratica efficace, divertente e stimolante, con ricadute benefiche in tutte le fasi del percorso formativo.
Credits foto: https://www.artribune.com/
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