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Gli oggetti e la storia

in Attività di classe by

Perché utilizzare gli oggetti per studiare la storia? Perché la rendono più interessante e più viva. Vediamo qualche attività didattica che può utilizzarli al meglio.

Gli oggetti rappresentano uno strumento molto interessante per conoscere la storia e renderla più viva e attuale.

Possono aiutarci a interpretare meglio epoche e tradizioni e aprono a ottiche interdisciplinari motivanti e  ricche di stimoli.

Il libro di Antonio Brusa Fare storia con gli oggetti fornisce numerose informazioni teorico-pratiche e delinea nel dettaglio iniziative da proporre direttamente in aula, quindi la lettura è altamente consigliata.

Gli oggetti sono  fonti inestimabili per la comprensione del passato e possono fornirci numerose informazioni e occasioni di apprendimento, quindi possono essere considerati a tutti gli effetti ottimi strumenti da poter utilizzare con efficacia all’interno della didattica (A. Brusa)

In Italia l’approccio all’apprendimento come ricerca fu praticato, negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, da gruppi spontanei che facevano capo a insegnanti-ricercatori del calibro di Bruno Ciari e Mario Lodi e, in merito alla didattica dell’oggetto nella scuola primaria e dell’infanzia, il contributo fornito da Bruno Munari è stato straordinario.

Ma fu Maria Montessori a gettare le basi di una “didattica dell’oggetto”, visto che è stata la prima ad affermare che “gli oggetti insegnano”. Ella riteneva che ci fosse una relazione sensoriale tra bambini e oggetti che conduceva a un apprendimento ludico e pensava che l’uso degli oggetti aiutasse a coltivare i sensi, a sviluppare e correggere gli errori.

Anche Ovide Decroly ha contribuito alla formulazione della didattica degli oggetti con il suo metodo dei “centri di interesse”. Secondo lui ci sono tre tipi di esercizi fondamentali nella didattica: osservazione, associazione ed espressione. In ognuna di essi gli oggetti sono fondamentali: si osservano, si stabiliscono associazioni causa/effetto o spazio/tempo e permettono di comunicare ciò che viene appreso. Sono, insomma, il materiale principale per l’apprendimento dei bambini

Basi della didattica dell’oggetto

  • gli oggetti possono essere osservati da ogni angolo possibile
  • attirano facilmente l’attenzione degli studenti
  • permettono di insegnare adoperando il metodo ipotetico-deduttivo e induttivo
  • costituiscono una grande risorsa per l’immaginazione
  • funzionano come supporti mentali e aiutano la memorizzazione

Da non trascurare un fatto molto semplice quanto basilare: il fatto che gli oggetti siano elementi reali è fondamentale in un’epoca nella quale la virtualità, e tutto ciò che da essa deriva, sia di fatto diventata fenomeno dominante.

Fasi di lavoro per analisi didattica dell’oggetto

Il professor Brusa indica testualmente le seguenti tappe di lavoro per una efficace didattica dell’oggetto:

  • oggetto dell’analisi: si identifica l’oggetto, lo si descrive brevemente
  • obiettivo del lavoro: si stabilisce cosa vogliamo ottenere
  • preparazione dell’attività: dettagliare con precisione le fasi preparatorie, far capire come si interrogano gli oggetti
  • sviluppo dell’attività: si individuano la sequenza di operazioni e i suoi contenuti concettuali o procedurali
  • cosa ricaviamo dall’attività?: formuliamo conclusioni e le colleghiamo alla tematica generale della storia. Possono essere aggiunti collegamenti con altre discipline curricolari

Due tipi di domande fondamentali

Queste le domande fondamentali, sia di natura strutturale che funzionale, su cui far ruotare l’attività centralizzata sull’oggetto:

  • domande strutturali: di che cosa è fatto? Che cosa serve per fabbricarlo? Chi lo fabbrica? Da dove vengono le materie?
  • domande funzionali: a che cosa serve? Chi lo usa? Per quale scopo lo usa?

A ogni domanda corrisponderà un’inferenza: se c’è questo … allora …

Applicazione didattica pratica: lo smartphone

Vediamo l’applicazione pratica di quanto illustrato da Brusa in riferimento ad un oggetto che può condurre ad uno studio della storia vicina ai nostri giorni e soprattutto al vissuto dei nostri studenti: lo smartphone.

Oggetto: oggetto quotidiano che la maggior parte delle persone porta con sé e usa abitualmente. È un dispositivo che combina la funzione del telefono con quella del pc portatile.

Obiettivo dell’attività: comprendere come ha potuto mutare profondamente e rapidamente la vita delle persone e capire che ogni cambiamento di questo tenore porta con sé miglioramento della qualità di vita, ma anche rischi dipendenti dall’uso che se ne fa.

Preparazione dell’attività: iniziare con una discussione sull’uso degli smartphone, far immaginare come potrebbe svolgersi una giornata senza questo strumento.

Sviluppo dell’attività: può esser fatto in vari modi. Ad esempio chiedere in famiglia di far vedere vecchi modelli di telefonino. Si scopriranno variazioni di grandezza, di funzione, di estetica. Si può discutere sulle innovazioni dei diversi modelli, sulle funzioni che man mano incorporano e aggiungono all’azione di telefonare. È poi importante verificare le principali materie prime con le quali si fabbricano i suoi componenti. Le più importanti sono oro, stagno, tungsteno, tantalio, rame, gallio, indo, alluminio, argento, silicio. Litio, coltan, nichel e grafene. Se si assegna una materia prima a ciascun allievo, chiedendogli di cercarne la provenienza, la grande varietà dei luoghi che si scopriranno mostrerà facilmente che questi apparecchi si possono produrre solo in un mondo globale: quasi nessun paese dispone dell’intera gamma delle materie prime. È inoltre importante cercare le principali marche, la loro localizzazione, il loro posto nella classifica delle vendite. Questa ricerca può suscitare il dibattito su chi controlla questa tecnologia. Infine si può riflettere sul fatto che, per esempio, quando si introduce un nuovo macchinario in un’azienda si allestiscono corsi di formazione per coloro che lo dovranno usare. Al contrario, per usare questo strumento così potente, ma anche rischioso, gli umani non ritengono necessaria alcuna forma di apprendimento sulle regole del suo utilizzo.

Quali considerazioni ricaviamo da questa attività? Queste macchine costituiscono uno dei risultati più straordinari delle tecnologie odierne. Mai c’era stata la possibilità di comunicare in forma istantanea con tutto il mondo e ricevere informazioni illimitate. Grazie alla diffusione dei telefonini si è esteso l’uso di internet in tutto il mondo, specialmente nelle regioni scarsamente sviluppate dove sono assenti i computer domestici. Tuttavia queste facilitazioni ci hanno reso più vulnerabili, visto che reati informatici, truffe, cyberbullismo sono diventati frequenti. E sono diventate molto più facili perfino guerre e distruzioni di massa 

Ogni novità produce effetti negativi e positivi ed è questo che ci racconta la storia degli oggetti.

Ottimo, quindi, riconoscerne e  rilevarne tutte le potenzialità.

Foto di copertina by Syd Wachs su Unsplash

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Fare storia per abbattere l’idea di “nemico”

in Approcci Educativi/Attività di classe/Letture in classe/Storia e Filosofia by

Un percorso di storia sperimentato presso la scuola secondaria di primo grado per dire no a tutte le guerre e combattere gli stereotipi sul concetto di nemico.

Il concetto di nemico viene affrontato in special modo iniziando a studiare la Seconda Guerra Mondiale, tema di particolare interesse per gli studenti della scuola secondaria di primo grado.

Di Seconda Guerra Mondiale tutti vogliono poter parlare poi all’esame, come se tutto quello che è venuto prima – ma anche dopo e durante – non sia degno della medesima attenzione.

Io credo che per far comprendere l’atrocità di una guerra che ha provocato oltre quaranta milioni di morti, ma che ancora esercita tutto il suo “fascino”, si debba riflettere su alcuni concetti di base.

Uno di questi, il principale, è il concetto di “nemico”.

Il “nemico” nella Grande Guerra

Per questo, quando in classe si parla di Prima Guerra Mondiale, argomento non particolarmente atteso, credo sia importante porre ai ragazzi alcuni basilari spunti di riflessione.

Non solo soffermarsi su motivazioni e schieramenti contrapposti, quindi, bensì provare a far comprendere quanto l’idea di “nemico” abbia provocato una carneficina mai vista prima in termini di vittime militari.

Pur di combattere e annientare il “nemico”, innovazioni scientifiche e tecnologiche della Belle Epoque sono state piegate a precise strategie belliche, quindi utilizzate non più per migliorare il benessere dell’umanità, bensì per provocarne  uccisioni e stragi.

Pur di opporsi al “nemico”, il soldato al fronte ha dovuto sopportare sofferenze e atrocità indicibili. Un “nemico” dalle fattezze, dallo stato d’animo e dalle condizioni esistenziali perfettamente simili ai suoi. Per far comprendere quanto sia assurdo doversi ritrovare a combattere contro i propri simili, sono state affiancate allo studio del manuale attività didattiche specifiche.

Cinema e Grande Guerra

Tra queste, la visione – parziale o integrale – di alcuni film cult, quali Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrik, Uomini contro di Francesco Rosi e La Grande Guerra di Dino de Laurentis.

Attraverso ricostruzioni storiche magistrali, questi film offrono un’ottima testimonianza di ciò che hanno dovuto subire i soldati al fronte e di quanto fosse facile morire sotto la furia dei colpi nemici e perfino a causa di rivalse progettate dai comandanti del proprio esercito.

Letteratura e Grande Guerra

Così come il cinema, anche la letteratura offre ottimi spunti per riflettere sull’idea di nemico che avevano in mente i soldati al fronte, o meglio, che i governanti e i sostenitori della guerra volevano che i soldati al fronte avessero in mente. Leggendo romanzi come Un anno sull’altipiano di E. LussuNiente di nuovo sul fronte occidentale di E.M. Remarque, appare ben chiaro quanto coloro che si erano arruolati, convinti di venir omaggiati come eroi, rimanessero delusi e sconvolti per le terribili condizioni che si erano ritrovati a vivere.

Leggendo le poesie di Giuseppe Ungaretti (Soldati, Fratelli, Sono una creatura, San Martino del Carso, Veglia, solo per citarne alcune) questa idea di precarietà emerge ancora di più in tutta la sua atrocità.

Perché uccidere il “nemico”?

Dalle parole di Lussu, Remarque e Ungaretti si comprende che i soldati si pongono domande cruciali: 

  • Perché combattere una guerra che nessuno di noi ha deciso?
  • Perché uccidere il “nemico” che è un uomo come noi?

Su queste domande occorre far riflettere (e riflettere con) i ragazzi. Dal libro illustrato Pidocchiosa prima guerra mondiale possiamo leggere e osservare pagine in cui appare evidente che in qualsiasi schieramento l’inferno da sopportare era il medesimo.

Fame, freddo, sporcizia, alcool, shock, traumi e morte vengono vissuti sulla propria pelle ogni singolo giorno da ogni singolo soldato. Ma cos’è che aveva spinto gli uomini ad arruolarsi e gli eserciti a massacrarsi? Risposta: la propaganda.

Il potere della propaganda

Facciamo osservare in classe manifesti di propaganda appartenenti a tutti gli schieramenti, in cui il nemico viene presentato con le fattezze di una creatura mostruosa (inglesi raffigurati come ragni giganteschi e, vedi immagine, tedeschi come serpenti velenosi).

I ragazzi percepiscono così come la propaganda cercasse di inculcare nell’immaginario popolare l’idea che il nemico fosse un mostro, una bestia immonda da eliminare senza pietà (anticipazione, che, purtroppo, la storia vedrà ripetersi in altre tremende occasioni).

Video e libri per parlare di pace

Ma di nuovo cinema e libri possono diventare l’occasione per riflettere su quanto sia necessario opporsi al clima di odio e di mistificazione della realtà diffuse con la propaganda.

Leggere poesie di B. Brecht, in cui non si distingue più chi è il nemico e chi non lo è, osservare video riferiti  alla “tregua di Natale”, in cui soldati di eserciti avversari hanno improvvisato una partita di calcio nella “terra di nessuno”, rappresentano spunti di riflessione estremamente efficaci.

Perché è necessario guidare i nostri studenti verso discussioni e negoziazioni di significati in cui venga dato valore ad un desiderio universale di pace e al superamento dell’odio verso i propri simili.

In questa ottica, la lettura dell’albo illustrato Il nemico di Davide Calì, illustrato da Serge Bloch, si configura come un’attività didattica di sicuro impatto.

Nell’albo un soldato di una guerra imprecisata riesce a penetrare nella trincea nemica, rimasta temporaneamente vuota. Osserva fotografie e oggetti che rimandano ad affetti familiari e si rende conto che quel nemico contro cui sta combattendo prova le sue medesime sofferenze. L’albo si conclude con il lancio di un biglietto di carta all’interno di una bottiglia, che andrà a sostituire l’utilizzo di qualsiasi altro strumento di morte. 

Nel libro non si dice qual è il contenuto del messaggio scritto nel biglietto. Un’ottima occasione per fare in modo che a scrivere quel contenuto del messaggio siano i ragazzi stessi.

Se siete interessati/e ad altre proposte laboratoriali a tema storia, leggete questo articolo!

Foto di copertina by Stijn Swinnen su Unsplash

Fare storia in laboratorio

in Approcci Educativi/Attività di classe/Storia e Filosofia by

Quando si parla di laboratorio vengono in mente provette e alambicchi, strumenti utili allo studio delle scienze. Ma il laboratorio a scuola si applica a tanto altro, compreso lo studio della storia.

Inutile negarlo: nell’apprendimento della storia un docente abile narratore fa la differenza. Il fascino suscitato dalla presentazione degli avvenimenti e una narrazione capace di rendere evidenti le connessioni tra i fatti sono di certo fondamentali per lo studio, la rielaborazione e l’interiorizzazione degli argomenti da affrontare a casa.

Ma non bastano. Per intervenire sullo spirito critico dei nostri studenti e agire sul coinvolgimento emozionale, vera garanzia di apprendimento solido e duraturo, occorre andare oltre. Occorre far sperimentare alla classe un tipo di didattica attiva e laboratoriale. Sì, anche nello studio della storia.

Fare laboratorio in classe

Ma cosa vuol dire fare laboratorio in classe? La spiegazione che preferisco è quella di Antonia Chiara Scardicchio, docente dell’Università di Foggia:

L’espressione laboratorio non riguarda soltanto il “fare”. Affinché un insegnante riesca ad allestire un setting laboratoriale è necessario che abbia una disposizione interiore all’incertezza e all’aperto. Nel laboratorio gli studenti si pongono domande e possono andare a muoversi dentro strade di conoscenza che non abbiamo completamente previsto o programmato. Solo così il setting educativo diventa un vero laboratorio di ricerca.

Per predisporre la classe ad affrontare un laboratorio di storia occorre, per prima cosa, sollecitare gli studenti a recuperare conoscenze pregresse e a compiere anticipazioni.

In una classe seconda della scuola secondaria di primo grado, ad esempio, verrà affrontato lo studio delle scoperte geografiche di XV-XVI secolo e numerosi possono essere gli stimoli in grado di ricreare in classe un laboratorio di ricerca.

Brainstormig, carte geografiche e carte nautiche

Sempre efficace cominciare attività di questo genere fornendo semplici sollecitazioni da far scrivere su post-it, raccolti e condivisi:

  • Hai mai sentito parlare di Cristoforo Colombo e dei navigatori di ‘400 e ‘500? Annota cosa sai.
  • Cosa ti piacerebbe sapere in merito a questo argomento di storia? Annota le tue domande.

Gli appunti su post-it, se raccolti su cartellonistica da parete, aiuteranno gli studenti a rendere visibili in itinere i processi di pensiero (suggerimento tratto dalla metodologia MLTV – Making Learning and Thinking Visible).

Il vero avvio del nostro laboratorio di storia prevede la consultazione di carte geografiche e nautiche degli anni rinascimentali, così da far meglio comprendere quali possano essere stati i fattori alla base del clamoroso errore commesso da Colombo. A seguire, confronto con proiezioni di carte e planisferi attuali di uso quotidiano.

Immagini e fonti iconografiche

Far osservare immagini e analizzare fonti iconografiche si rivelano sempre attività didattiche di sicuro impatto, quindi sarà interessante fornire riproduzioni grafiche o fotografiche di astrolabi, bussole o imbarcazioni tipiche delle navigazioni a lungo corso, ma anche foto di statue o disegni raffiguranti Colombo e l’impresa da lui compiuta.

Allo stesso modo, si prestano ad annotazioni su cui impostare dibattiti e condivisioni le osservazioni di video tematici da reperire sui numerosi canali didattici e divulgativi presenti in rete, da assegnare eventualmente anche in modalità flipped-classroom.

Fonti scritte e lavori di gruppo

Per una classe che fa laboratorio di ricerca importante è la consapevolezza dell’apporto del gruppo, quindi assegnare lavori da svolgere in modalità collaborativa si rivelerà di sicuro effetto. Suddividendo la classe in piccoli gruppi, potranno essere assegnati diverse tipologie di documenti scritti sia all’epoca di Colombo che in periodi molto più recenti.

Nei gruppi i documenti saranno letti, analizzati e, come step finale, esposti alla classe, così che informazioni apprese e riflessioni che ne scaturiscono possano essere svolte in modalità collettiva.

Fonti scritte che ben si prestano a simili attività potranno essere reperite sia su sezioni di manuale apposite che su web. Di ottime ve ne sono anche su siti di divulgazione nazionale rivolti soprattutto ai ragazzi e, comunque, supportare i gruppi nel lavoro di reperimento di fonti scritte affidabili in Internet vuol dire impostare attività di educazione digitale di grande valenza formativa e didattica.

Competenze espositive e debate

Riferire notizie su argomenti appresi mette in esercizio le capacità espositive e, nel corso dell’esposizione orale, saper mettere in relazione temi appresi e informazioni ricavati dalle attività laboratoriali incidono sulle capacità critiche e rielaborative.

Su tali competenze si può intervenire sperimentando in aula un debate, ossia dividendo la classe in due schieramenti contrapposti che si sfideranno a suon di tesi e antitesi. Qualche esempio di sollecitazione in grado di dare avvio a un debate:

  • come consideri gli esiti dell’impresa di Colombo?
  • che idea ti sei fatto della figura di Colombo?
  • cosa pensi delle statue in onore di Colombo che talora vengono contestate?

Vince il gruppo che riesce a sostenere davanti a una giuria le argomentazioni più convincenti. Anche in questo caso sarà bene far annotare tesi e antitesi su post-it, non solo per rendere visibili i processi di pensiero, ma anche per avere modo di seguire ragionamenti tesi ad avvalorare opinioni, l’una a contrasto dell’altra. Tali procedimenti risulteranno anche utili in fase di impostazione e stesura dei testi argomentativi.

Canzoni, giochi e meme

Facendo ricorso a canzoni, giochi e meme gli studenti mettono in campo numerose competenze tese a dimostrare una corretta assimilazione dell’argomento e un’ottima capacità rielaborativa. Anche questo è fare laboratorio.

Possiamo, ad esempio, far ascoltare le parole della canzone Cristoforo Colombo di Guccini, cercando di far individuare nel testo le informazioni storiche apprese, ma anche la caratterizzazione e l’interpretazione del personaggio che ne dà il cantautore.

Facendo leva sull’inventiva, sul talento artistico e sulla creatività presenti all’interno dei gruppi, possiamo chiedere di realizzare disegni, vignette, produzioni in cartone o in materiale di uso comune che abbiano come protagonista Colombo e le implicazioni delle sue scoperte. Alcuni degli esempi di consegne su cui i ragazzi possono scegliere di misurarsi:

  • produzione di disegni, cartellonistica, gioco da tavolo contenenti itinerari delle spedizioni di Colombo con utilizzo di stazioni di spostamento o arretramento tramite caravelle segnaposto realizzate con guscio di noce, carta e stecchino;
  • prendere a riferimento alimenti e ricette da poter realizzare prima e dopo la scoperta di Colombo: disegni, indovinelli e giochi con nuovi prodotti alimentari ricreati su cartone o stoffa;
  • fumetti, cruciverba e meme tematici, da realizzare sia in modalità analogica che digitale (si segnalano, in particolare le seguenti app: Comicbook per i fumetti, Crosswordpuzzlemaker per i cruciverba e Knowyourmeme o Memedroid per i meme.
Metacognizione finale

Alla fine di attività composite come quelle appena viste, mai dimenticarsi di dedicare tempo alla metacognizione finale. Occorre fare in modo che i ragazzi riflettano su quanto hanno appreso e come lo hanno appreso, così da permetterne la rilevazione dei punti di forza, ma anche dei punti di debolezza.

Le sollecitazioni saranno formulate con domande semplici, ma finalizzate a riflettere sui processi di pensiero e sulle fasi operative in cui tali processi sono stati coinvolti:

  • cosa è stato fatto durante questo percorso? Elenca i passaggi principali del nostro lavoro;
  • elenca le conoscenze più significative e per te più interessanti conseguite a fine percorso;
  • esprimi un tuo feedback su cosa è stato più divertente fare e cosa ti è risultato più noioso;
  • esprimi un tuo feedback su cosa è stato più facile fare e cosa ti è risultato più difficile.

Il coinvolgimento attivo ed emotivo raggiunto con attività di laboratorio di questo genere assicurerà con maggior evidenza un apprendimento consolidato e stabile nel tempo. Parola delle neuroscienze:

Avere un efficace ‘timone emotivo’ è fondamentale, in particolare per fare in modo che gli studenti siano in grado di utilizzare la conoscenza in modo efficace. I processi emotivi e cognitivi interagiscono tra loro influenzando l’apprendimento e il ragionamento”, anche perché “è neurobiologicamente impossibile costruire ricordi, impegnarsi in pensieri complessi o prendere decisioni significative senza emozioni.

Mary Helen Immordino-Yang, neuroscienziata

Foto di copertina by Dariusz Sankowski su Unsplash

In che anno ci troviamo? Ce lo racconta Kurzgesagt

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Domandarsi in che anno ci troviamo può sembrare banale e a tratti scontato ma, in realtà, riflette una questione complessa e importante legata alla cultura e alla storia di molti popoli diversi. Scopriamolo con l’aiuto dei video didattici di Kurzgesagt

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Raccontare la Shoah a scuola

in Storia e Filosofia by
Immagine shoah

Una riflessione sulla Shoah e sul bisogno di ricordare non solo le vittime, ma anche coloro che c’erano e non sono restati a guardare ma hanno aiutato, rischiando. O ancora, di coloro che invece hanno deciso di rimanere immobili.

Dice Matteo Corradini che c’è una bella differenza tra la Fatina dei dentini e un racconto della Shoah. La cosa può sembrare ovvia, però Matteo Corradini dice anche che, girando tante scuole e parlando di memoria con tanti studenti, tra la Fatina e la Shoah lui ha trovato alcune connessioni. Un paio di collegamenti che a me sono sembrati bellissimi. I bambini, per esempio.

In fondo, se ci pensate, i bambini sono gli stessi: un po’ più grandi quelli a cui diamo qualche particolare in più sulla Shoah, un po’ più piccoli gli altri, ma sono gli stessi. E allora è evidente che, dietro ogni cosa che riguarda i bambini e le bambine, c’è la cura che mettiamo nel raccontare. E anche noi siamo un collegamento. Forse più noi dei bambini. 

Spesso ci siamo sentiti dire che bisogna ricordare per evitare che il passato si ripeta. Ricordare per evitare il ritorno del buio. Per me non è così, a me questa idea non ha mai convinto. La memoria non è un’assicurazione sul futuro e mi sembra che le prove di questa mancanza di automatismo, intorno a noi, non manchino. E allora perché è importante ricordare? Perché è importante che chi racconta il passato non smetta di farlo?

La mia personalissima risposta a questa domanda è un luogo fisico. Si chiama Villa Emma e si trova in un paese vicino Modena, Nonantola. Una villa come tante, ma che nel 1942 ha ospitato una settantina di bambini e ragazzi ebrei in fuga dalla Germania. E’ la storia di tutto un paese che ha aperto le porte delle case, dei negozi, dei fienili e anche del seminario, per nascondere gli ebrei. E’ la storia di un prete e di un medico che hanno stampato documenti falsi per farli fuggire. Ed è la storia, soprattutto, delle sarte che in poco tempo hanno cucito 40 cappotti, tutti uguali, per confondere le guardie con la parvenza di una gita scolastica.

Un racconto anomalo, straordinario anzi. Oggi, in diverse parti del mondo, i discendenti di quei bambini e di quei ragazzi si stanno organizzando per non disperdere il ricordo del coraggio che la popolazione di Nonantola dimostrò nel 1943.

Ecco, è questo il punto del ricordo, della memoria. Accanto alla tragedia dovremmo secondo me raccontare il coraggio, la responsabilità di chi ha visto, ma non ha lasciato correre. Di chi non si è voltato dall’altra parte. La Shoah non può restare, unicamente, la storia di chi ha subito lo sterminio: se così fosse le vittime resterebbero sole, ancora una volta. La Shoah è anche la storia di tutti gli altri, di chi c’era e ha fatto. Di chi c’era e non ha fatto. Di chi è venuto dopo e, sulla base di quell’esempio, deve decidere se fare o se restare a guardare. 

Oggi i drammi sono altri, diversi, ma davvero così meno importanti?

Parlare del passato vuol dire assumere una responsabilità. Perché attraverso il racconto che facciamo, la prospettiva che di volta in volta assumiamo, proviamo a cambiare il presente. Soprattutto noi, quelli che raccontano. Quelli che lavorano con i bambini e le bambine.

Per la bibliografia: Matteo Corradini “Tu sei memoria. Didattica della memoria: percorsi su ebraismo e Shoah alla scuola primaria”. Erickson, Trento 2022.

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Foto di Eelco Böhtlingk su Unsplash

Materie umanistiche al Professionale: perché insegnarle gratifica l’insegnante.

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Dare la parola a tutti, fornendo un senso critico che guiderà le scelte di vita dei ragazzi: il punto di vista di un’insegnante di italiano e storia all’Istituto Professionale.

Una volta quando dissi ad una collega che avevo avuto il trasferimento all’Istituto Professionale, questa mi disse:” Poverina!”. Non sapeva che nell’elenco delle scuole lo avevo indicato al primo posto. Era la mia prima scelta. Proverò qui a motivarne il perché.

Insegnare italiano e storia ai manutentori meccanici sembra a volte o assurdo o impossibile. Non è facile certo. Ma non perché a priori come spesso si crede questi studenti “Non sono portati per queste discipline”. È una mistificazione e un inganno. Se mai perché spesso la loro storia pregressa di studenti li ha convinti a non esserlo, a non essere in grado né di leggere né di scrivere. Sarebbe lungo ( e doloroso per me) indagare come ció sia avvenuto, ma avviene.

La didattica del FARE

Dunque spesso abbiamo davanti studenti “stanchi” di essere studenti. Delusi, demotivati, che si aggrappano alla scuola come ultima speranza. La odiano spesso ma ci vengono ugualmente e questo ci dovrebbe far riflettere molto. Il primo nostro lavoro è dunque ricostruire la motivazione. E come si fa? Si fa progettando una didattica del fare, con compiti autentici. Che vuol dire? Vuol dire prediligere prima attività didattiche laboratoriali e cercare di fabbricare senso.

Un compito si dice autentico se riveste significato non solo per chi lo propone ma soprattutto per chi lo riceve. La costruzione condivisa di significato è fondamentale non solo se si legge o si scriv,e ma appunto se lo attribuiamo ad attività ( qualsiasi ) di studio o da svolgere. Sembra facile, non lo è.

Tutti noi oramai sappiamo che si impara solo attraverso emozione, motivazione, coinvolgimento. La didattica in fondo non è altro che questo. Saper creare occasioni di apprendimento per tutti. Non per quelli che già lo fanno o lo farebbero, ma per tutti quelli che mi sono stati affidati.

Dunque tornando alle mie discipline, il primo passo è fare sì che si sentano in grado di leggere e di scrivere. Una bella sfida. Ma non perché retoricamente ( come dicono i ragazzi) è cultura, semplicemente perché è un loro diritto ed è una competenza chiave imprescindibile di cittadinanza. Tutti, proprio tutti possono leggere e tutti possono scrivere. Dipende solo da come tu lo proponi, dall’ambiente di apprendimento che crei, dalla fiducia che si respira e dalla sospensione del giudizio. Un ambiente fortemente giudicante non aiuta ad imparare.

Il compito del docente

Compito del docente non è giudicare le persone ma caso mai valutare la prestazione. Spesso invece facciamo sempre solo la prima delle due cose. Valutare vuol dire “ dare valore” non esprimere giudizi su chi esegue un compito. C’è differenza, una differenza enorme. Gli alunni non valgono “4” o “10”, non sono un numero sul registro, caso mai quei numeri rappresentano l’andamento di una prestazione che può sempre migliorare. Per questo spesso i percorsi scolastici si trasformano in profezie che si auto avverano: perché le etichette appiccicate addosso all’inizio poi spesso non si staccano più. Io cerco nel mio piccolo di incontrare persone in primis. Poi di lavorare con loro per renderle consapevoli delle loro potenzialità e del loro poter essere e quindi poter fare. Non perdo mai di vista il mio obiettivo: progettare azioni didattiche dotate di senso.

Il Writing and Reading Workshop

Ammetto di avere con me uno strumento potente: il laboratorio di lettura e scrittura la metodologia americana detta WRW cioè Writing and Reading Workshop. Se non l’avessi incontrata credo che farei molta e molta più fatica. Il modo di lavorare in laboratorio mi ha insegnato prima di tutto una cosa importante: la differenza tra riempire il tempo e impiegare il tempo.

Nel primo caso il focus è il docente, nel secondo lo studente. Intendo dire che la domanda chiave che noi ci dobbiamo fare come docenti è funziona? Sono efficace? Ho progettato azioni didattiche utili per chi le deve mettere in atto con me? Se così non è allora devo prima di tutto fare metacognizione sul mio modo di lavorare e di intendere l’insegnamento.

In secondo luogo con il WRW si crea un ambiente di apprendimento dove tutti possono lavorare perché si mette al centro il processo non si richiedono solo prodotti. Lì sta tutta la differenza. Lavorare sul processo è lavorare davvero sulle competenze. È smontare una finish line ( traguardo come da normativa) in step su cui agire per provare a portare TUTTI gli allievi verso quel traguardo.

Per ogni step progetto lezioni ( molto brevi) su strategie di lavoro da applicare subito. Si impara facendo non solo ascoltando. La didattica tradizionale frontale non funziona soprattutto per questo motivo: non costruisce percorsi di apprendimento ma lascia allo studente da solo la responsabilità di apprendere. Per questo in molti casi fallisce. La responsabilità invece è mia come docente e la devo condividere con lo
studente.

In pratica il WRW si configura come una didattica equitativa? Sì. Perché? Perché imposta il tempo di apprendimento a scuola e non a casa. Lavora su un apprendimento in classe per tutti e in modo laboratoriale non demandando detto tempo ad attività individuali casalinghe dove è ovvio che le disuguaglianze socio culturali fanno un’enorme differenza. Il WRW lavora nel tentativo di creare autonomia nello studente: si cerca quindi di lasciare ad ognuno il suo spazio e il suo tempo, di costruire insieme in classe un percorso che offre a tutti gli stessi strumenti ma anche la possibilità di impara ad usarli da solo nel rispetto delle caratteristiche individuali di ognuno. Si configura dunque come una didattica altamente inclusiva.

Tornando al “perché”

Tornando ora al problema iniziale e cioè perché insegnare italiano e storia all’istituto professionale appare chiara la risposta. Queste non sono discipline qualsiasi ma sono assolutamente ( come quasi tutte del resto) trasversali. Sono strumenti di cittadinanza. Proprio e a maggior ragione in questi istituti sono necessarie perché altrimenti toglieremm ai nostri studenti un’occasione di crescita fondamentale. Ma non perché “ è cultura” come si diceva prima. Semplicemente perché nessuno deve essere escluso dal potere e dalla bellezza che l’uso della parola conferisce a chiunque.

Il problema infatti non è sapere chi è Dante, ma se mai sapere perché Dante è oggi significativo per me, che ho 17 anni e voglio fare, ad esempio, il manutentore meccanico. È sapere cosa ci potrei fare con questo Dante, che pensieri potrei trarre dai suoi versi, che connessioni con la mia vita.

Siamo tutti convinti infatti che Dante sia imprescindibile ma spesso lo trasformiamo solo in un esercizio pedante per applicare astratte griglie interpretative. C’è molto da riflettere su questo, come si intuisce.
Nelle mie classi leggere e scrivere sono attrezzi di laboratorio come tanti altri. Vanno a riempire una cassetta virtuale che dovrebbe far parte del patrimonio di tutti, ma proprio di tutti semplicemente perché i ragazzi sono persone che devono poter operare scelte consapevoli sulla propria vita e sul proprio futuro.

Come ci ricorda sempre Vanessa Roghi, Rodari scrisse “ tutti gli usi delle parole a tutti”. Ecco: questo è il senso ultimo del lavoro che dobbiamo svolgere. Ed è nella ricerca di questo senso ultimo che cerchiamo di lavorare con fatica ma con speranza dentro alle nostre classi: dare parole a tutti perché ne facciano buon uso.

Foto di copertina di Dan Dimmock su Unsplash

Storia come laboratorio vivo: via all’archeo-didattica!

in Attività di classe by

Ideato da Erica Angelini, un laboratorio di archeo-didattica per ricostruire la storia dei luoghi attraverso lo studio degli oggetti!

Abbiamo seguito tutti con il fiato sospeso la storia del recente ritrovamento delle 24 statue in bronzo a San Casciano dei Bagni, risvegliando l’Indiana Jones che è dentro di noi!

Un Indiana Jones che sonnecchia silenzioso ma che, non appena prendiamo in mano un oggetto in un mercatino dell’usato, svegliandosi esclama: quanta storia avrà alle spalle?”.

A questo proposito, Pirandello scriveva: “La fantasia abbellisce gli oggetti cingendoli e quasi irraggiandoli d’immagini care. Nell’oggetto amiamo quel che vi mettiamo di noi”.

La sensazione che avevo da bambina – che gli oggetti non fossero solo oggetti ma che prima o poi potessero prendere vita, come nei film della Disney – si è trasformata nella certezza, che ho da adulta, che gli oggetti possano davvero “parlare” e “raccontare” meravigliose storie!

I “Privilegiati”!

Non tutti però sono in grado di capire queste storie, ci sono nel mondo alcune categorie di privilegiati:

  • per primi i bambini, che guardano il mondo senza filtri e possono senz’altro parlare con pupazzi e bambolotti, certi che questi risponderanno.
  • gli scrittori, inventori di storie, che osservando gli oggetti ne traggono ispirazione per un nuovo racconto.
  • gli artisti, che attraverso la conoscenza delle tecniche e degli strumenti, trasformano le loro produzioni materiali in opere emozionanti.
  • gli archeologi che, attraverso una lunga formazione, imparano a trarre informazioni utili dagli oggetti, dalle loro forme, dagli usi, dai materiali usati per costruirli ecc., per ricostruire la storia della Terra e quella dell’uomo.

Perché quindi non partire proprio da loro per cominciare un nuovo argomento? In fondo dagli oggetti costruiti e utilizzati da una società possiamo, anche senza essere archeologi, capire tante cose… faccio un esempio! Per introdurre la civiltà dei Villanoviani, ben rappresentati dai ritrovamenti archeologici conservati nel museo archeologico di Villa Verucchio (Rimini), comincio sempre con una serie di slide di immagini degli oggetti ritrovati durante gli scavi. Sono molti infatti i ritrovamenti villanoviani provenienti dalla necropoli del Verucchio.

Prepariamo un cartellone!

Prima di cominciare la proiezione, prepariamo insieme un cartellone, o predisponiamo la lavagna, per accogliere le nostre supposizioni, che verranno verificate in un secondo momento. Trattandosi di classi quinte della scuola primaria do per scontato che conoscano il concetto di traccia e di fonte storica, ma per essere sicura di lavorare su conoscenze pregresse ben sviluppate, per ogni immagine chiedo sempre: di che tipo di fonte si tratta e quali informazioni ci può dare?

Le fonti visive

Portare i bambini a ragionare sugli oggetti, e più in generale sulle fonti visive, ha molti vantaggi:

  • per prima cosa permette a me di parlare meno lasciando più spazio a loro.
  • permette di attirare subito l’attenzione anche dei più distratti, cosa che non farebbe invece la lettura sul libro o il racconto dell’insegnante.
  • permette a ciascuno di essere protagonista attivo della lezione che richiede, per il modo in cui è strutturata, il contributo, le idee, le opinioni di tutti i membri della classe.
  • permette ai bambini di collegare le immagini sullo schermo a oggetti della vita quotidiana e di fare supposizioni sui materiali e le tecnologie usati per costruirli, sull’uso, sull’estetica ecc., proprio come viene indicato negli obiettivi di apprendimento per l’insegnamento della Storia («Individuare le tracce e usarle come fonti per produrre conoscenze sul proprio passato, della generazione degli adulti e della comunità di appartenenza […] Ricavare da fonti di tipo diverso informazioni e conoscenze su aspetti del passato»).

Inoltre il lavoro svolto sulla Lim e non sul libro di testo (dove spesso si trovano immagini interessanti) produce, a mio modo di vedere, un senso di lavoro di gruppo che non si produrrebbe usando il libro personale. Questo lavoro di analisi accende i cervelli e la curiosità di sapere se le supposizioni fatte corrispondono alla realtà oppure no!

Laboratorio di archeo-didattica sui Villanoviani

Ecco alcune delle immagini che uso (scaricate dal WEB) per il laboratorio di archeo-didattica sui Villanoviani seguite da alcuni miei spunti di riflessione.

Le prime due immagini ci permettono di riflettere sul luogo in cui sorgeva la civiltà,

in questo caso un’altura da cui si poteva scorgere buona parte della valle del fiume Marecchia e anche il mare.

La riflessione sul luogo porta inevitabilmente a fare molti collegamenti con il territorio e le materie prime a disposizione della popolazione e di conseguenza sull’artigianato (prodotto con le materie prime del luogo) e ancora sui commerci. Questo modo di ragionare si collega molto bene con l’insegnamento della Geografia perché conoscere un territorio ci aiuta anche a capire gli usi e i costumi della popolazione che lo abita.

Queste figure rappresentano oggetti d’ambra, la resina fossile che si trova abbondantemente nei corredi funebri delle donne villanoviane; una riflessione, su cos’è l’ambra (gli amanti dei fossili sono sempre molto ben informati!) e da dove si estrae, ci porterà a fare considerazioni interessanti sui commerci e sulle mode.

Queste immagini rappresentano alcune fra le urne cinerarie ritrovate nelle necropoli villanoviane; la riflessione sui diversi modi di concepire la morte nelle civiltà è davvero interessante e riflette la psicologia e la cultura dei diversi popoli; per approfondire consiglio P. Ariès “L’uomo e la morte dal medioevo ad oggi”.

Queste immagini ci portano a scoprire una delle tecniche artigiane usate dai villanoviani: la tessitura con telaio verticale. Proviamo a scoprire di cosa si tratta osservando i disegni sul “tintinnabulo” (uno dei pesi usati per tenere i fili tirati) e, a proposito di storie, chiedendo ai bambini di raccontare cosa è raffigurato su questo oggetto, vengono fuori storie davvero interessanti e buffe!

Dopo aver visionato altre “immagini parlanti”, e aver raccolto tutte le supposizioni, proviamo a vedere quali sono vere, e quali invece non corrispondono alla realtà dei fatti. Poi proviamo a ricostruire la vera storia del popolo di cui stiamo parlando.

Concludo l’incontro (o gli incontri) sui villanoviani, con un laboratorio pratico di tessitura, non a telaio verticale ma orizzontale, dedicando del tempo a spiegare e a sperimentare diversi strumenti per tessere.

Approfondimenti

Per avere qualche spunto sulla tessitura a telaio, si trovano in commercio molti libri per principianti.

Per avere altri spunti sui laboratori di archeo-didattica o sulla tessitura vi consiglio di visionare il mio blog www.maniingioco.blogspot.com o il mio profilo Facebook “Mani in Gioco”. Buon lavoro a tutti!

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Cherchez la femme: le donne dimenticate dalla Storia

in Arte, Musica e Spettacolo by

“Cherchez la femme”, lo spettacolo teatrale che debutterà il 12 marzo al Teatro della Compagnia di Castelfranco di Sotto (Pi), ci parla di tutte quelle donne del passato che, no, non sono rimaste a guardare mentre gli uomini combattevano, scrivevano, davano vita alle ideologie. Anzi.

Secondo un recente studio del Representation Project (organizzazione mondiale che garantisce agli esseri umani di raggiungere il loro potenziale, senza ostacoli legati al genere), le donne che emergono dal fiume di nomi di coloro che hanno fatto la storia rappresentano lo 0,5%.

Ma mentre gli uomini combattevano, davano vita alle ideologie, compivano imprese, dove erano le donne? 

Cherchez la femme”, scriveva con sarcasmo Alexandre Dumas padre, sostenendo che ovunque fosse un problema, là si trovasse una donna che ne era la causa.

Questa frase, assume in realtà nello spettacolo teatrale Cherchez la femme un’ accezione positiva: perché le donne, nella storia, hanno avuto un ruolo assai rilevante.

Le 5 donne

All’aprirsi del sipario troviamo così in scena 5 donne, Olympe de Gouges, Charlotte Salomon, Christine De Pizan, Irma Bandiera e Sophie Schöll: grandi personalità vissute in epoche diverse, accomunate dallo stesso triste destino, ovvero essere state ingiustamente tagliate fuori dai libri di storia.

Le giovani attrici dello spettacolo: Valentina Barnini, Matilde Cini, Irene Falconcini, Marta Manzi, Evelina Menicagli, Eva Ragoni

Quanti sanno che Olympe de Gouges scrisse, in piena Rivoluzione Francese, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina?

Quanti conoscono la struggente opera “Teatro? O vita?” di Charlotte Salomon, con la quale lei tentò di sfuggire agli orrori del nazismo?

O ancora, il movimento della Rosa Bianca, di Sophie Schöll , che tentava di aprire gli occhi al popolo tedesco assoggettato al nazionalsocialismo?

E che dire di Christine De Pizan, la prima donna che nel 1400 divenne scrittrice per professione?

E di Irma Bandiera, la partigiana che dette la vita affinché le generazioni future potessero vivere libere come lei stessa avrebbe voluto?

Lo spettacolo teatrale

Riunite, sotto forma di rose, in uno speciale giardino, le 5 donne parlano di sé e non solo, ora sotto forma di monologo, ora sotto forma di coro a più voci che si trasforma in vere e proprie melodie. Lo spettacolo si arricchisce infatti anche di canzoni cantate dal vivo dalle performer Lisa Santinelli e Mariarita Arancio.

Perché la musica, amica della memoria, è un valido aiuto per ricordare, tramandare, insegnare.

Le performer Lisa Santinelli e Mariarita Arancio

Scritto da Silvia Nanni e diretto da Claudio Benvenuti, lo spettacolo Cherchez la femme è un’iniziativa dell’ Associazione Culturale e Solidale Crescere Insieme. Costituita nel 1994, l’Associazione ha l’obiettivo di promuovere e sostenere attività culturali e solidali in direzione nonviolenta (come l’ appoggio alla causa dell’indipendenza del Saharawi, o i laboratori teatrali per i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori, condotti da Claudio Benvenuti, da cui provengono proprio le protagoniste dello spettacolo) e rientra nell’ambito del P.E.Z. – progetti educativi zonali – della Regione Toscana, realizzati dal Cred Valdera.

La giovane età delle attrici in scena amplifica la forza del suo messaggio: promuovere una cultura della parità di genere e superare gli stereotipi.

Argomenti, questi, di cui è necessario parlare sempre più, non solo in occasione di giornate come la Festa della Donna.

Quando e dove

Lo spettacolo Cherchez la femme andrà in scena sabato 12 marzo, alle ore 21.15, presso il Teatro della Compagnia di Castelfranco di Sotto (Pisa). L’ingresso è gratuito, con prenotazione obbligatoria allo 0571.487235 (9.00-13.00), o al
339.5271841.
Mentre giovedì 17 marzo, ore 21.15, andrà in scena al Teatro Cinema Vittoria di Cascine di Buti (Pisa), con ingresso gratuito (prenotazione al numero 329.1063401).

CHERCHEZ LA FEMME

  • Testo Silvia Nanni
  • Regia Claudio Benvenuti
  • Musiche dal vivo Lisa Santinelli e Mariarita Arancio
  • In scena Valentina Barnini, Matilde Cini, Irene Falconcini, Marta Manzi, Evelina Menicagli, Eva Ragoni, Giulio Scarpellini
  • Costumi Doriana Piampiani
  • Produzione Associazione culturale e solidale “Crescere Insieme” onlus

Visita didattica a Pompei: un salto indietro nel tempo!

in Attività di classe by

Visitare Pompei significa tornare al 79 d.C., toccare con mano la vita di una cittadina dell’Impero Romano distrutta dalla furia del Vesuvio ma, allo stesso tempo, perfettamente conservata.

E se, dopo aver affrontato l’argomento “Impero Romano” in classe, ti proponessimo una gita scolastica con destinazione Pompei?

Resti di un tempio

La Storia, si sa, non è una materia facile da insegnare: nonostante sia tra le più importanti – per sapere dove stiamo andando, è necessario conoscere da dove veniamo, anche per non ripetere errori già fatti in passato – è un attimo incappare in un noioso sciorinare di nomi e date che difficilmente resteranno nella testa e nel cuore degli alunni.

Dunque, niente di meglio che toccare con mano le testimonianze di precisi momenti storici, ascoltare i racconti delle gesta di eroi del passato più o meno antichi laddove questi hanno vissuto e agito, respirare l’odore di luoghi totalmente intrisi di storia.

Per questo è davvero essenziale accompagnare gli alunni nei musei, che siano questi presenti all’interno di edifici – qui, per esempio, abbiamo parlato del Museo della Scrittura di San Miniato – oppure a cielo aperto, come nel caso di Pompei.

Un sito archeologico sconfinato

Il primo pensiero che salta alla mente appena si arriva nella cittadina ai piedi del Vesuvio è proprio questo: è enorme!

Strade e viottoli lastricati in basalto lavico che si intersecano, resti di edifici a perdita d’occhio, testimonianza viva della vita quotidiana di una città romana del 79 d.C.

Tipica strada di Pompei, con ancora il segno lasciato dal passaggio dei carri dell’epoca

Pompei è uno dei siti archeologici più importanti al mondo, in cui lava e cenere hanno fatto da copertura, permettendo così alla città di mantenersi intatta nei secoli, al riparo dalle intemperie, così da essere visitabile ancora oggi.

Pompei prima dell’eruzione

Un importante centro urbano dell’Impero Romano abitato da ventimila abitanti, nonché  ambito luogo di villeggiatura e, grazie al particolare clima, ricco di fertili terreni coltivati nei dintorni.

Prospera e fiorente, Pompei pullulava di botteghe di artigiani e commercianti; attorno al foro principale, che costituiva il cuore della città, si potevano trovare gli uffici, il tribunale, i teatri, i templi, il mercato, le terme, le palestre, le ville.

Affresco in una villa di Pompei

Soprattutto queste ultime ci regalano ancora oggi mosaici e affreschi meravigliosi, e al loro interno sono stati ritrovati ori e utensili – esposti al Museo Archeologico di Napoli – fondamentali per ricostruire la vita quotidiana dell’epoca.

La notte tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C.

In realtà, tutto ebbe inizio nel primo pomeriggio del 24 agosto, quando dal Vesuvio si sollevò una colonna immensa di vapori, fumo, lava e cenere alta ben 15 km!

 A ciò seguì una pioggia di detriti che creò vasti incendi nelle zone circostanti; Pompei fu poi colpita dalla lava alle prime luci dell’alba del 25 agosto. Così, nell’arco di trenta ore, fu letteralmente seppellita da metri di cenere e lava.

Il vulcano, ricoperto da erba e alberi, era inattivo da secoli: per questo colse tutti gli abitanti di sorpresa, trovandoli impreparati a fronteggiare l’emergenza.

Molte persone morirono a causa delle esalazioni di gas tossici sprigionati dal vulcano; la cenere ardente, poi, ne ricoprì i corpi, permettendo agli archeologici di restituire, attraverso la creazione di calchi in gesso, le pose delle vittime fissate nei loro ultimi istanti di vita: vere e proprie statue davanti alle quali è impossibile non provare commozione.

Calco in gesso di una vittima dell’eruzione

Ma l’antica Pompei non è ancora stata portata del tutto alla luce, e gli scavi continuano ancora oggi.

Perché visitare Pompei?

Per conoscere la storia della vita quotidiana di una cittadina del’Impero Romano, capirne gli usi e i costumi, ammirare i meravigliosi affreschi delle sue ville, e guardare il Vesuvio stagliarsi all’orizzonte, comprendendone la forza: per una gita scolastica in cui storia e natura si mescolano, all’insegna dell’emozione!

Particolare di una villa di Pompei

Qui trovi maggiori informazioni per organizzare una visita didattica a Pompei.

Repubblica Italiana: come spiegarne la storia, coinvolgendo!

in Attività di classe/Storia e Filosofia by

Approfittiamo degli imminenti festeggiamenti per la Festa della Repubblica Italiana, per scaricare e leggere un simpatico libro che ci porta indietro fino al Risorgimento: c’è la storia, sì, ma anche tanto humour: provare per credere!

Il prossimo 2 giugno festeggeremo, per la 75° volta, la nascita della Repubblica Italiana. Il 2 e 3 giugno del 1946, infatti, gli italiani furono chiamati ad esprimere il proprio voto, scegliendo quale forma di Stato dare al Paese appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale.

In quell’occasione, per la prima volta in Italia anche le donne parteciparono alle urne: così, 12 milioni di italiani votarono per la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica Italiana, eleggendo anche l’assemblea che avrebbe stilato la nuova Costituzione, in vigore dal 1° gennaio 1948.

Il 2 giugno 1947 – un anno dopo lo storico referendum – fu dunque istituita la Festa della Repubblica. La prima parata militare a Roma, in via dei Fori Imperiali, con il cerimoniale al Vittoriano inaugurato dal Presidente Luigi Einaudi, si tenne nel 1948.

Solo nel 1949, però, la giornata venne dichiarata ufficialmente festa nazionale. Dal 1977, la festa venne spostata alla prima domenica del mese, fino a quando, nel 2001, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi decise di fissarla di nuovo al 2 giugno.

Quest’anno, contrariamente al passato, non ci sarà la parata delle Forze Armate lungo i Fori Imperiali, né saranno aperti, come di consueto accade in via eccezionale in occasione di questa celebrazione, i giardino di Palazzo Quirinale.

Ma coloro che si troveranno a Roma, potranno comunque alzare gli occhi al cielo e godersi lo spettacolo delle Frecce Tricolori, che passeranno sulla capitale durante la cerimonia di deposizione di una corona di alloro presso l’Altare della Patria da parte del Presidente della Repubblica.

Arrivare alla costituzione della Repubblica Italiana, ovviamente, non è stato un processo semplice, né immediato. Così come non è semplice spiegare, o meglio raccontare in modo avvincente a scuola, i tumulti, gli animi, gli ideali che hanno smosso gli italiani nella costruzione della storia del loro Paese, dal Risorgimento alla Repubblica: potremmo dire che, per riuscire nell’intento, ci vorrebbe un Alessandro Barbero per ogni scuola!

Un libro che ci viene in aiuto!

Ma per non scomodare l’illustre storico, noi ci proviamo con il libro “La scoperta dell’Italia | Lettere dal passato remoto del mio amico Virgilio”, che con humour e brillantezza racconta  il momento saliente della storia del nostro Risorgimento (il 1861, quando si combatte per l’Unità d’Italia), visti attraverso le lettere di un adolescente che lo ha vissuto, ritrovate in una soffitta da un suo coetaneo nel 2011.

Nel libro – un gioco continuo di chiama e rispondi – le due storie si intrecciano, narrando il momento storico in maniera fresca, moderna, attuale: come se la storia raccontata fosse la stessa, ma ambientata in due epoche diverse che si confrontano.

La grafica accattivante, poi, rende tutto ancora più coinvolgente!

Il libro lo trovate qui: buona lettura e… buona Festa della Repubblica!

Falsi miti della Storia

in Storia e Filosofia by
Con Valerio Camporesi affrontiamo un tema cruciale di grande attualità: i falsi miti della storia

Nel mio lavoro di insegnante di Storia mi è capitato (non spesso, ma neanche così raramente) di imbattermi in affermazioni e proposizioni di temi, da parte dei manuali, assai poco convincenti. Falsi miti, interpretazioni e rappresentazioni che – pur coincidendo spesso con quelle assunte dal sapere e dalla coscienza collettivi veicolati dalla scuola stessa e dai media come il cinema – mostrano, alla verifica dei fatti, grossi limiti di veridicità.

Smontare questi falsi miti o luoghi comuni mi è sempre parso un obiettivo non secondario della mia professione, anche come stimolo all’esercizio di quella intelligenza critica e a quell’apertura verso il dubbio cui spesso ci hanno richiamato i programmi e le indicazioni ministeriali.

La Guerra di Secessione americana

Si prenda, per citare uno degli esempi più significativi, la tanto celebrata missione di civiltà portata avanti dai “buoni” nordisti contro gli schiavisti del Sud durante la Guerra di Secessione americana (1861-1865), vero e proprio totem di una narrazione che ha posto in risalto anche nella cultura di massa figure come quella del “liberatore” Lincoln, assunto a vera e propria icona dello spirito liberale americano.

Un mito diffuso anche dai manuali di scuola e nella cultura di massa, nelle canzoni (chi non ha mai ascoltato o cantato la famosa canzone su John Brown?) come nel cinema, ma un mito appunto.

La realtà, a dire il vero, appare ben altra: nel suo straordinario (per passione, coraggio, lucidità) studio pubblicato per l’Enciclopedia storica de ”La Repubblica” (che a suo tempo coinvolse le maggiori firme della storiografia moderna, italiana e non solo), Raimondo Luraghi – uno dei massimi studiosi del conflitto americano – ci apre gli occhi a una realtà assai diversa, nelle quali a essere prioritarie non furono certo certo le ragioni umanitarie ma quelle politiche ed economiche, e nella quale non si trova granché traccia dello spirito umanitario tante volte associato ai ‘liberatori’, per i quali il permanere della schiavitù negli Stati del Sud non costituiva certo l’argomento decisivo della guerra. Tanto che lo stesso Lincoln arrivò a sostenere che:

 Il mio obiettivo dominante in questa lotta è salvare l’Unione, e non è né salvare né distruggerela schiavitù. Se mi fosse dato di salvare l’Unione senza liberare nessuno schiavo, lo farei; e se potessi salvarla mediante la liberazione di tutti gli schiavi lo farei; e se per salvarla dovessi liberarne alcuni e lasciar stare gli altri, farei anche questo[1].

Ben altre furono le motivazioni e gli scopi di quella guerra, principalmente economici e politici: c’era da confermare l’egemonia politica ed economica del Nord industriale e capitalista contro il ‘barbaro’ mondo del Sud, per giunta contrario al protezionismo economico ad esso imposto dal governo federale al fine di garantire lo sviluppo di quelle fabbriche dove, sia detto per inciso, si sfruttavano i lavoratori senza alcun ritegno e nelle quali, evidentemente, lo spirito umanitario e liberale del civilissimo Nord conosceva una solenne amnesia.

Altri esempi si potrebbero fare, ma qui mi premeva sottolineare soprattutto come oggi, ancor più di prima, sia importante il ruolo dell’insegnante come di colui che mantiene le coscienze vigili, attente, propense a coltivare il dubbio.

Anche davanti alle asserzioni spacciate come verità assolute e inderogabili, ed è puramente voluto ogni riferimento al clima attuale nel quale – a proposito del tema Covid – si è voluta contrapporre una cosiddetta scienza (in verità molto più simile ad un insieme di dogmi monolitici che a quello spirito di ricerca richiamato da Il saggiatore di Galileo) a chi, a torto o a ragione, sosteneva posizioni diverse da quelle ufficiali, tutte accomunate in un fronte antiscientifico, retrogrado e anti moderno: sarà, anche questo, un mito o una verità?


[1] R. Luraghi, La secessione del Sud e la Guerra civile americana, p. 763, in La Storia, ed. L’Espresso, Roma, 2004

Programmi di carattere storico: perché piacciono?

in Arte, Musica e Spettacolo/Storia e Filosofia by
Alessandro Barbero ma non solo: il boom della divulgazione dei programmi di carattere storico

Grazie anche alla presenza di una rete specialistica come Rai Storia, la divulgazione dei programmi di carattere storico sembra avere avuto negli ultimi anni un riscontro sempre maggiore, portando alla ribalta mediatica alcuni presentatori, primo fra tutti lo storico del Medioevo Alessandro Barbero, assurto a  vera e propria icona pop.

Sul web il suo nome è tra i più gettonati, e per dare un’idea del livello di popolarità raggiunto dal medievista, basterà citare la pagina Facebook a lui dedicata: Alessandro Barbero noi ti siamo vassalli. Titolo simpatico, e assai eloquente! Per chi non conoscesse ancora l’illustre storico, ecco una proposta di libri da lui scritti.

Occorre in primo luogo rendere merito a tali programmi di carattere storico, capaci – anche e soprattutto attraverso l’ausilio delle immagini e dei filmati – di restituire agli eventi e ai periodi storici quella concretezza e quella realtà che tanto spesso sfuggono a chi si avvicina alla Storia, finendo poi per allontanarsi e non appassionarsi; questo, proprio a causa di quel limite di astrazione che caratterizza i testi e le spiegazioni degli stessi insegnanti nelle aule di scuola: parole, solo parole, dietro le quali non è sempre facile intravedere la realtà di uomini e tempi lontani ed immedesimarsi in essi.

Le immagini, dunque, ma non solo: conta, eccome, anche la capacità di appassionare che viene trasmessa da molti dei nostri divulgatori, ognuno dei quali si caratterizza peraltro per un proprio stile.

Da quello più enfatico di Barbero (enfasi che non dispiace, visto che nasconde a fatica la passione per la Storia!), a quello più cattedratico del nostro storico forse più famoso, Franco Cardini (ma anche il suo è un cattedratico positivo, sempre arricchito da un approccio umano e coinvolgente, mai pedante o professorale), a quello affabile e colloquiale – al tempo stesso avvincente – di Cristoforo Gorno, che con le sue Cronache dal Rinascimento  riesce a far toccare con mano il fascino e la meraviglia di quel periodo storico così ricco e misterioso.

Interesse per la divulgazione storica, e di questo non si può che essere soddisfatti: ma quali ne sono le cause?

Una, forse, risiede in quel certo livello di coinvolgimento che appare intrinseco alla Storia, specie quella contemporanea, nella passione (anche politica) che la riflessione sugli eventi più recenti porta spesso con sé (si pensi al tema del Fascismo o delle guerre mondiali), suscitando dibattiti e contrapposizioni talvolta anche molto accesi e non solo tra specialisti o appassionati: quante volte tra amici si è discusso non solo di sport ma anche di Storia, e spesso dividendoci anche di più rispetto al calcio? Quante volte, per citare un esempio non facile, si è ascoltata la lamentela di persone del Sud contro il Nord conquistatore, che avrebbe asservito ai propri interessi politici ed economici il Meridione d’Italia, fino a determinarne l’attuale, gravosa condizione? E quante altre si è dovuto ribattere al famoso ”Si stava meglio quando si stava peggio” di nostalgica memoria?

La Storia scalda, provoca discussioni e quindi interesse e forse questo accade perché – nonostante l’odierno appiattimento su un presente atemporale votato solo alle leggi della produzione e del consumo – affiora  più o meno consapevolmente la percezione che il passato sia un ponte col presente, un passato che va dunque indagato e chiarito per avere ragione dell’oggi: a questa esigenza i nostri programmi sembrano rispondere in maniera efficace, e con ampio merito risultano seguiti, tanto da far scaturire reazioni veementi di fronte all’ipotesi di chiusura del canale tematico per eccellenza, Rai Storia appunto, ventilata mesi or sono.

I dubbi e le ombre, quelli non mancano mai: un primo interrogativo riguarda quell’eccesso di spettacolarizzazione che talvolta si avverte e che rischia di far perdere la dimensione umana alla rappresentazione degli eventi e delle persone, a volte un po’ troppo somiglianti ad un grande film hollywoodiano, ad una narrazione che trascura il dolore e la fatica degli uomini di cui spesso le vicende storiche sono intrise e che talvolta la sua riproduzione mediatica rischia di opacizzare.

Un’altra domanda, forse più provocatoria, riguarda la onniscienza che alcuni divulgatori sembrano sottintendere, un dubbio che viene allorquando notiamo lo stesso storico presentare un giorno una puntata su Giovanna d’Arco e un altro una ricostruzione della battaglia di Stalingrado: si può essere così specialisti di tutto? Forse no, ma resta solo una domanda all’interno di un quadro nel quale le luci, per una volta, hanno la meglio sulle ombre.

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