Giovani e salute mentale: una giornata da ricordare

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Perché è importante parlare in classe di disagio psichico e corretto uso dei social, con la Giornata Mondiale della Salute mentale

Passata (almeno in Italia) quasi totalmente inosservata, il 10 ottobre scorso si è celebrata la Giornata Mondiale della Salute mentale. Istituita nell’ormai lontano 1992 dall’OMS, essa si prefigge di sensibilizzare l’opinione pubblica relativamente al tema dei disturbi mentali e di promuovere lo sviluppo di forme di cura e di assistenza nei vari Stati, che generalmente non dedicano risorse sufficienti ad affrontare una problematica che, stando ai dati Unicef, sta facendosi sempre più grave anche e soprattutto tra i più giovani. Per citare un dato tra i più impressionanti, il 20% dei giovani è affetto da patologie psichiche, e nella fascia d’età 15-19 il suicidio è la seconda causa di decesso.

Tema delicato, quindi, perché chiama in causa parole tabù come disagio psichico e – all’opposto – felicità, termine quasi scomparso dal vocabolario di una società sempre più orientata verso i valori del raggiungimento del successo, dell’immagine e della funzionalità socio-economica dell’individuo.

Colpevolmente ignorata anche dal sottoscritto fino a non molto tempo fa, quest’anno mi sono deciso – per quel moto fulmineo che ogni tanto prende anche l’insegnante – di parlare in classe della Giornata del 10 ottobre, anche attraverso l’ausilio di una striscia assai simpatica con protagonista una coppia di orsi, Milk and Mocha bear, e che – nonostante i miei cinquant’anni suonati, o proprio per quello – seguo costantemente. Per vedere la striscia, basta collegarsi alla pagina Facebook di Milk and Mocha bear.

La strip ideata per celebrare la Giornata ritrae la piccola orsa bianca vittima di bullismo via internet: coperta di insulti e di immagini offensive, l’orsa piange, e solo l’abbraccio del suo compagno orso la protegge. A giudicare dalle reazioni degli alunni, mai – posso dire – tempo fu meglio speso in classe: traspariva dai loro volti il senso di una liberazione, del ”finalmente se ne può parlare”, di una partecipazione e forse anche di un vissuto, come se improvvisamente si fosse messi davanti a grida di dolore mute, inascoltate, un dolore che in molti casi può risultare difficile da sostenere, specie per i più fragili .

I più fragili e i più soli, verrebbe da dire, perché la prima ancora di salvezza – come illustrato dalla striscia e dall’indagine dell’Unicef – è sempre la relazione affettiva, specie in ambito familiare, mancando la quale si aprono le voragini di un abisso difficile poi da risalire. Nell’inchiesta Unicef appare interessante anche la scarsa importanza attribuita dai ragazzi all’uso dei social media per raggiungere un adeguato livello di felicità, mentre un ruolo di primo piano sembra avere la frequenza del gioco all’aperto, pesantemente penalizzato dalle attuali norme di confinamento, il che darebbe molto da riflettere agli assertori così rigidi del lockdown; così come dovrebbe darla la chiusura delle scuole, che recenti inchieste e denunce – come quella del nostro Comitato tecnico scientifico – denunciano come una vera e propria ”emergenza” in ordine al benessere e alla possibilità di evoluzione dei più giovani.

Per tornare al tema della striscia, il bullismo sui social, una delle maggiori fonti di disagio tra i giovani, verrebbe in prima istanza da osservare che gli sfottò e le prese di giro ci sono sempre stati: vero, ma altrettanto vero è che i social media amplificano la potenza di tali messaggi diffondendoli – e per scritto – a un pubblico potenzialmente infinito, tale comunque da creare ansia e soggezione in chi è vittima dell’offesa.

E si potrebbe intravedere una scia lunga, che parte dagli anni Ottanta e prosegue fino ad oggi, fatta di programmi televisivi che hanno sdoganato l’offesa gratuita, imbecille, che hanno premiato e premiano – come neirealitychi si dimostra più cinico, più capace di schiacciare l’altro e di inchiodarlo alla parete del pubblico ludibrio, osannato da una folla sempre più becera e disumanizzata. Proprio questa piaga della disumanizzazione di una società che rischia sempre più di diventare senza volto, vuota, preda di un nichilismo feroce, andrebbe combattuta insieme dalla scuola e dalla famiglia, tutte e due chiamate a educare e – nel caso della famiglia – a far stare quanto più alla larga i propri figli da certe fonti di vero e proprio veleno.

Per affrontare il tema del bullismo e dell’uso dei social, ecco alcuni libri rivolti direttamente alle ragazze e ai ragazzi:
Fabio Leocata, Gentile come te, Librì 2020, le avventure e i problemi di un gruppo di preadolescenti.
Sabrina Rondinelli, Camminare correre volare, Edizioni EL 2008, il bullismo raccontato dalla parte di una bulla.

Immagine di copertina: Zulmaury Saavedra

Nato a Firenze il 25 febbraio del 1970, si è laureato in Lettere con indirizzo storico all'università di Firenze nel 1998. Dal 2001 insegna Lettere alla Scuola Secondaria di primo grado. Nel dicembre del 2014 ha pubblicato il suo romanzo d'esordio, "L'amore al tempo della rete" (Carmignani Ed.). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati all'interno di raccolte antologiche; un suo articolo è apparso sulla "Antologia" del Lab. Vieusseux nel 2016.

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