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Bullismo e umiliazione: una riflessione sulle parole del ministro Valditara

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Le parole del Ministro su bullismo e umiliazione sono state un problema, ma il dibattito pubblico è finito fuori fuoco.

In una recente intervista il Ministro Valditara ha parlato di bullismo e umiliazione, dando inizio (inevitabilmente) ad una serie di polemiche piuttosto concitate. Ciò è comprensibile, perché la parola "umiliazione" raramente ricorre sulla bocca degli educatori, soprattutto come strumento pedagogico.

I commenti indignati sono stati tanti e tali che il Ministro è ritornato sull’argomento ritrattando il termine, da lui stesso definito “inadeguato”. Ha anche aggiunto, in sintesi, che  ai bulli si tratta piuttosto di far “imparare l’umiltà di chiedere scusa”.

In questo senso l’episodio si può ritenere chiuso: il Ministro ha definitivamente chiarito come non intendesse dire che su un bullo si deve infierire fino a fargli scontare la propria colpa.

Si potrebbe obiettare che ciò forse era chiaro fin dall’inizio, ma non ha torto chi ha richiamato il Ministro a una maggiore attenzione, dato che il rischio di un uso strumentale di affermazioni facilmente fraintendibili può essere assai dannoso.

Cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse preso in parola e fosse passato a vie di fatto?

Fine della questione, allora? A dire il vero, no. Al netto dell'”umiliazione”, il ragionamento del Ministro era in realtà ampio e articolato, con varie idee che sono passate sottotraccia e che invece è il caso di vedere in dettaglio. 

Vediamo in dettaglio il ragionamento del Ministro:

Il punto di partenza del Ministro era un caso specifico di bullismo in cui un ragazzo ha preso a pugni un’insegnante. In realtà però non ogni aggressione configura un atto di bullismo.

Il bullismo, nella ricerca internazionale, è caratterizzato dalla reiterazione nel tempo, con lo scopo di causare danno o malessere. Non è affatto detto che il caso citato dal Ministro fosse bullismo. Era qualcosa di altrettanto grave, ma concettualmente diverso. 

Può sembrare una distinzione da poco, ma raggruppare ogni comportamento negativo sotto una definizione onnicomprensiva può poi rendere difficile intervenire nel modo giusto.

E questo lo si vede bene nel prosieguo del ragionamento, che si è portato dietro una notevole ambiguità: quando egli ha parlato di sospensioni eccessive che finiscono per assomigliare ad un “abbandono” del bullo al suo destino, egli ha associato al bullismo la criminalità da strada e lo spaccio.

Su questo non si è soffermato nessuno, ma qui il Ministro sta facendo confusione: droga, bullismo e criminalità sono cose assai diverse e non correlate. Il bullismo è un fenomeno che riguarda la scuola primaria (elementari e medie) più ancora che le superiori e non ha a che fare col “crimine”, bensì con gli insulti, le discriminazioni, le prevaricazioni e soprattutto con le dinamiche di gruppo tra pari.

Di nuovo: le parole del ministro su questo punto non sono state eclatanti come quelle sull'”umiliazione”, ma rischiano di confondere anch’esse le acque in un ambito che è già abbastanza complicato di suo.

Il Ministro ha poi proseguito…

Al netto di questa nebulosità di fondo, il Ministro ha poi proseguito con alcune “ricette”, che sono state forse la parte più trascurata del suo intervento (anche perché forse le ambiguità di cui abbiamo già detto non appartengono soltanto al Ministro, ma un po’ a tutto il dibattito pubblico, spesso corrivo e superficiale).

La parola “umiliazione” ha obliterato tutto il resto – e questa è la ragione principale per cui un termine del genere andava accuratamente evitato – ma quel che il Ministro stava dicendo è innanzitutto che il bullo deve essere seguito dalle istituzioni, in secondo luogo che deve imparare la responsabilità dei propri atti e che in qualche modo egli deve riparare i danni da lui stesso causati di fronte alla collettività.

A dirla tutta, questo non è troppo diverso o troppo lontano da quello che la ricerca scientifica ha rilevato come efficace nel trattamento del bullismo. Il bullismo è un problema che deve essere affrontato a livello di comunità (la scuola, ma non solo) e il suo contrasto passa attraverso il coinvolgimento di insegnanti, educatori, autorità scolastiche, specialisti e soprattutto dei ragazzi, compreso il bullo.

L’ethos e l’atmosfera che docenti e presidi creano all’interno della scuola possono far sì che sia l’ambiente stesso ad essere poco fertile per il bullismo, rendendo evidente e sentito come un tale comportamento non sia né apprezzato, né tollerato.

Nel bullismo (ed ecco perché va distinto da altri comportamenti negativi) un ruolo centrale è legato all’atteggiamento degli astanti (o osservatori): laddove chi osserva l’atto di bullismo è indifferente, o addirittura divertito, il bullismo può prosperare. Allo stesso modo, dove gli insegnanti sono indifferenti o minimizzano, si offrono ai bulli spazi per affermare la propria aggressività. 

Il Ministro ha insistito molto su attività “compensative”. Gli approcci come il Kiva finlandese o il metodo Pikas concepiscono la “compensazione” come conversazioni in cui il bullo è portato a riflettere su stesso e trovare il modo di por rimedio a quanto ha fatto, ma se delle attività del tipo “lavori socialmente utili” possano essere valide oppure no è qualcosa che si può dibattere laicamente, senza preclusioni o sospetti. Il tutto senza dimenticare che a monte di qualsiasi intervento educativo deve rimanere ben fermo, come principio fondamentale, che a chiunque devono essere garantite la sicurezza e la protezione da qualsiasi abuso o molestia.

In conclusione

Quello dell'”umiliazione” è stato non più di un increscioso incidente, ma ora servono due cose: da un lato una maggiore ponderatezza e precisione, dall’altro un impegno strutturale che vada oltre dichiarazioni estemporanee. E’ il benessere degli studenti che ce lo impone.

Per approfondire: 

Docente di italiano e storia al liceo E. Montale di Pontedera, ha fatto parte del gruppo di docenti che cura il blog "Condorcet. Ripensare la scuola". Scrive di scuola ed è animatore del laboratorio di metodo di studio "Tieni banco!", a Pontedera

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