Julian-Frichot disciplina

Disciplina in classe, tra falsi miti e buone pratiche

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Mantenere la disciplina in classe sembra essere diventato sempre più difficile. Autorevoli, non autoritari, si dice sempre: ma in pratica come fare? La riflessione di Valerio Camporesi


Esiste un problema sempre più avvertito nel mondo della scuola: come mantenere la disciplina in classe, conditio sine qua non perché la scuola stessa funzioni. Le cronache si riempiono di episodi di violenze (anche nei confronti degli insegnanti!), soprusi, danneggiamenti: gestire una classe sembra essere diventato sempre più difficile. Autorevoli, non autoritari! si dice sempre: ma come fare?

nello stare con gli altri, e a scuola, le regole esistono

Don Milani disciplinaPossiamo, forse, partire dallo sgombrare il campo da alcuni falsi miti. Il primo, probabilmente il più seducente, è quello per così dire libertario, che si nutre a sua volta di miti come quello donmilaniano (un mito assai falso peraltro, vista la ben nota severità del maestro di Barbiana). Chi pratica la realtà della scuola sa che una tale prospettiva si scontra purtroppo con la realtà, fatta spesso di un obbligo a dire dei no e a doverli dire – a volte – piuttosto sonoramente. Mi ha sempre colpito come uno dei massimi teorici della libertà, Osho, arrivi a sostenere che nel caso di bambini e ragazzi la società svolge un giusto compito di guida senza il quale essi, spontanei ma incapaci di gestirsi, correrebbero il rischio di perdersi: “Il lavoro che la società fa su di loro è necessario; se li si lasciasse semplicemente liberi di correre dove vogliono, la loro vita andrebbe sprecata“. E un lavoro necessario è senz’altro quello di far capire che nello stare con gli altri, e a scuola, le regole esistono e sono regole giuste, intelligenti.

attimo fuggente disciplina
Una scena del film “L’attimo fuggente”

Un altro mito da sgombrare – a mio avviso – è quello dell’insegnante-amico che si fa quasi compagno. La mia esperienza (perché di questa posso parlare) mi dice che la classe mal tollera un adulto che non si comporti da adulto con loro: è sulla distinzione dei ruoli – che nulla ha a che fare con la giusta capacità di ascolto e di interazione che si richiede ad ogni insegnante – che ho fondato fin dal primo giorno il mio lavoro nella scuola; l’ho fatto quasi per istinto e, spero, con risultati non pessimi. Gli alunni cercano spesso, anche se non lo dicono, una guida, perché anche se solo istintivamente sanno di averne bisogno, e porsi sullo stesso piano, divenire i loro compagni, non soddisfa a mio avviso un’esigenza prima di tutto loro.

Gli alunni cercano spesso, anche se non lo dicono, una guida

Un terzo mito da sfatare mi pare quello dell’affidarsi a corsi incentrati su tecniche gestionali: se un insegnante si affida principalmente a schemi e percorsi prefabbricati – la famosa tecnica – non riuscirà mai ad elaborare una risposta propria ai problemi sopra indicati, un modo proprio di gestire la classe ed affrontare le – a volte – dure vicende che si svolgono in un’aula scolastica; perché alla fine ciò che rimarrà di un insegnante sarà, oltre le conoscenze che ha trasmesso, il suo modo di essere insegnante, la sua individualità e la sua idea della vita che ha saputo trasmettere. È questa capacità, forse, che fa andare gli alunni verso gli insegnanti, che fa loro sentire le cosiddette regole non come il parto di un’autorità imposta ma come una possibilità intelligente a cui aderire. Perché, come dico spesso in classe, le regole esistono anche fuori dalla scuola, ed è bene aiutare i ragazzi ad esserne coscienti.

far sentire le regole come una possibilità intelligente a cui aderire

Da insegnante considerato forse un po’ severo (ma un insegnante severo ride così spesso con gli alunni?) mi spingo a un appello ai colleghi: non siate mai isterici. Si può esser duri – a volte è necessario – ma l’eccesso nevrotico è avvertito come tale da quelle orecchie particolarmente sensibili e non sortirà altro effetto che l’incomunicabilità. E, secondo appello, spiegate il più possibile il perché delle regole, affinché non risuonino astratte o semplicemente urlate. E, ultimo appello, nei rimproveri evitate sempre le etichette, che non fanno altro che produrre un effetto di identificazione: quanti studenti hanno creduto di non poter cambiare mai o di non capir nulla davvero a causa di frasi come “Sei sempre il solito” o “non capisci nulla“?

In definitiva, la scuola si trova oggi ad essere forse l’unico luogo che sa (o dovrebbe sapere) dire dei no a bambini e ragazzi sempre più abituati ad un falso mito di libertà (questo sì, pericolosissimo): ogni insegnante potrà forse trovare una strada più efficace quanto più sarà sgombra di cliché e di miti e di idee altrui e quanto più sarà l’espressione di una propria individualità ricca e capace di dare delle risposte umane e intelligenti.

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Nato a Firenze il 25 febbraio del 1970, si è laureato in Lettere con indirizzo storico all'università di Firenze nel 1998. Dal 2001 insegna Lettere alla Scuola Secondaria di primo grado. Nel dicembre del 2014 ha pubblicato il suo romanzo d'esordio, "L'amore al tempo della rete" (Carmignani Ed.). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati all'interno di raccolte antologiche; un suo articolo è apparso sulla "Antologia" del Lab. Vieusseux nel 2016.

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