Libri di testo: strumento di lavoro o totem inossidabile?

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Nel lavoro di un docente di lettere delle superiori insegnare la competenza di scrittura è uno dei compiti più importanti, nonché uno dei più difficili.
Vorrei fare alcune considerazioni pratiche, nate dall’osservazione del lavoro dei miei studenti, sperando che possano offrire qualche spunto per orientare la didattica della scrittura. Oggi tendiamo a concepire lo scrivere come una competenza puramente trasversale. L’idea invalsa è che se sei abituato ad adoperare correttamente i connettori logici, la punteggiatura e il lessico, sei praticamente a cavallo in qualsiasi campo dello scibile.
Io vorrei mettere in discussione questo assunto. In effetti la concatenazione logica, la proprietà linguistica e la punteggiatura risultano spesso assai difficili ai miei studenti.
Nel corso degli anni, però, mi sono accorto che tali debolezze, a volte eclatanti, non compaiono sempre nelle produzioni scritte dei miei studenti.
Gli stessi studenti che una volta scrivono un testo del tutto destrutturato, in altre occasioni sono in grado di produrre dei testi scorrevoli. Come è possibile?
Tra i testi dei miei studenti, a essere poco leggibili sono soprattutto quelli che parlano di letteratura o di storia, mentre gli elaborati dedicati ad argomenti più personali o comunque meglio posseduti sono assai più validi.
Nessuno dei due testi di questo studente è perfetto (tutt’altro), ma il secondo è decisamente superiore. Il primo è scarno e stentato, mentre il secondo, sia pure con dei difetti importanti, è un testo leggibile e strutturato.
Nel secondo ci sono anche sicuramente molte frasi fatte, ma questo non è un problema, quanto piuttosto la soluzione: diventando competenti di un argomento se ne interiorizza non solo il lessico, ma anche il frasario e l’espressività.
Ed è proprio per questo che nel primo testo si hanno espressioni faticosissime (come ai rr. 4-5), mentre il secondo è scorrevole.
Anche in questo caso, nessuno dei due testi è perfetto.
Ma il secondo, pur presentando diverse costruzioni e connessioni “a senso”, rimane comunque articolato, sensato, percorribile facilmente nonostante gli errori.
Il primo è molto stentato ed è basato su espressioni e concetti orecchiati in classe, ma non ancora interiorizzati.
Senza il lavoro di spiegazione preliminare in classe su “Corrispondenze”, probabilmente il primo testo non sarebbe stato scritto del tutto, mentre il secondo è del tutto autonomo e personale (fanno fede gli errori stessi…).
La padronanza della materia, dunque, sembra riverberarsi nella chiarezza espressiva. Inserisco un ulteriore esempio e poi passo alle conclusioni.
Questi è probabilmente il migliore dei tre studenti, ma le differenze tra i testi mi sembrano ugualmente notevoli.
Il primo testo è un centone di informazioni non ben possedute, il secondo è un testo quasi inappuntabile, a parte qualche piccola sbavatura.
Un tempo Catone avrebbe detto:
“Rem tene, verba sequentur“
Avere chiaramente contezza di ciò che si dice aiuta a dirlo meglio. Questo implica due cose:
La ricerca pedagogica ha ampiamente riconosciuto l’importanza della “conoscenza” non solo come qualità, ma anche come quantità.
Le due cose non sono separate, e la scrittura può essere il perfetto crogiolo in cui fonderle. L’attività di apprendimento profondo richiede che uno studente non venga semplicemente “esposto” alla conoscenza, ma che egli la possa manipolare, categorizzare e rielaborare in termini personali.
Spero che gli esempi riportati, per quanto minimi, mostrino nei fatti questa sovrapposizione.
Credit foto: Fredrik Rubensson
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