Prima, seconda, terza, quarta, quinta … Eppoi ciao! Anzi, no, arrivederci!

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Il maestro Ivan Sciapeconi  ci porta alla fine di un anno scolastico, ma non di uno qualunque, di quello che fa la differenza tra il prima e il dopo, tra il tu e il lei. Benvenuti in quinta elementare.

Ecco, a me piace quando i bambini se ne vanno: mi piacciono i saluti finali, l’ultimo giorno di quinta, il ciao ciao del sipario che scende. Fetente? Ma no… è il ciclo della vita. Almeno per i maestri. Tu sei lì e in prima ti arrivano degli gnometti, tutti in punta di piedi per arrivare a vedere cosa c’è sulla cattedra. E poi ti si aggrappano alle gambe, i bimbi di prima, difendono Babbo Natale dai laici e dai cinici e non ti chiedono posso andare in bagno, ma devo far la cacca. Papale papale.

Poi ti arriva un indistinto giorno di quinta e ti accorgi che quegli stessi bambini stanno a fatica dentro i banchi. Appena possono, fanno i balli di Youtube e ci tengono a dirti che sarai pure nabbo, perché non stai su Fortnite, ma farebbero volentieri un camperone a casa tua. Sei un raga della banda, anche se sei maestro e, certo, torneranno a trovarti, l’anno prossimo. E allora capisci che sì, forse è meglio lasciarli andare. E se lo vorranno, effettivamente, sapranno dove trovarti: alle prese con quelli nuovi. Nuovi gnometti in punta di piedi che cercano di capire cosa c’è sopra la cattedra.

E sì, qualcuno torna pure. Lo trovi un po’ sformato, a dire il vero, con i brufolini e la voce che non sai se è di contrabbasso o di flauto dolce. Quelli che tornano troppo presto un po’ ti fanno preoccupare: chissà cos’hanno trovato là fuori, di brutto, da riportarli indietro in così poco tempo. Gli altri, quelli che ti vengono a salutare più avanti, tu li accogli come quando erano bambini, ma bambini davvero, solo che ogni volta è la stessa storia.

«Buongiorno, come sta?»“” Così, dicono. Ed è un saluto che proprio non ti aspetti.
«Come sta chi?» Rispondi, un po’ da stupidello, esattamente come facevi quando ancora erano alunni tuoi.
«Lei»
«Lei? Casomai lui… va@@aboia, io sono ancora un maschio».
Confusione, evidente. Sparata a mille. Allora sei fetente. Be’, sì, effettivamente vista così può essere. Il fatto è che proprio questa storia del saluto mica mi va giù, mi sta proprio sul gozzo.

Facci caso.

Intorno a te c’è solo gente molto friendly, gente che fa la moderna e ti dà del tu. Vai a comprare dei vestiti e i commessi ti danno del tu. Avranno trent’anni meno di te e ti danno del tu. Vai dal prete e questa volta tocca a te dargli del tu, perché anche lui ci tiene a fare il moderno e non è che lo puoi offendere. Con il dottore? Stessa cosa. E adesso ci si mettono anche i presidi: ne conosco almeno una decina che hanno deciso di cancellare il lei. Siam tutti lì, tutti più o meno anglosassoni: il tu dallo spazzino alla regina. È democratico, facile, moderno.

E gli unici moderni davvero, i ragazzi, quelli che per fare due passi prenderanno un taxi per la Luna, non possono farlo. Io quasi quasi non glieli mando più, i miei alunni, alle medie.

Illustrazione di copertina di Marie-Louise Gay

Maestro di scuola primaria e autore di narrativa. Ha pubblicato libri di testo, giochi da tavolo e software didattici. Vive tra Roma e Parigi (a Modena, per essere più precisi)

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