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Abolire le insufficienze (no, non è il 6 politico)

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I voti insufficienti sono un’inutile tortura, lo scopo dell’insegnante è rilevare gli apprendimenti, non quello di punire: la proposta di Paolo Fasce, ex docente e neo dirigente

In un capitolo della mia tesi di dottorato ho dimostrato che i voti sono una prassi che non ha fondamento scientifico. In un articolo su un blog de Il Secolo XIX, dove parlo di scuola in un contesto generalista, mi sono divertito a mettere in ridicolo le valutazioni assegnate nella scuola italiana.

Esistono studi molto seri e riflessioni altrettanto profonde emergono dalle prassi consolidate che traspirano violenza. Penso a quando, in genere nelle prime settimane di una classe prima, gli alunni disabili, non essendoci ancora un Piano Educativo Individualizzato, sono torturati da valutazioni gravemente insufficienti laddove il maestro Manzi scriverebbe “Fa quel che può, quel che non può non fa”. La scuola si è trasformata in un delirio valutativo (si pensi al voto, per quest’anno scampato, di Educazione Civica) che assorbisce molte energie didattiche, senza un vero ritorno nei risultati a medio o lungo termine, come mostrano diverse indagini puntualmente riportate dai quotidiani in tono scandalistico. Analisi e studi sempre ineccepibili, ma latitano le controproposte.

Esistono soluzioni altrettanto serie e pratiche altrettanto profonde, ma nella scuola secondaria sono state abolite le S.S.I.S., ridotte da due ad un anno col T.F.A. e quando il F.I.T. sembrava dare respiro alla preparazione pedagogica e didattica degli insegnanti di questo segmento, connettendola, addirittura con il reclutamento, ecco puntuale l’abolizione di uno strumento che avrebbe formato docenti con competenze nella psicologia dell’età evolutiva, nelle dinamiche di gruppo, nella pedagogia speciale, nell’inclusione scolastica e, naturalmente, nella didattica disciplinare. Tutto sostituito da ridicoli 24 CFU spesso conseguiti secondo modalità così povere da risultare imbarazzanti.

È la legislazione vigente ad essere fonte di problemi insospettati, pur essendo avanzata e inesplorata in molti contesti, perché nessuno pensa che il voto sia uno strumento innaturale, essendovi educato fin da bambino. Denuncio questo abbaglio e, nel presente articolo, avanzo una proposta, tutto sommato molto semplice: abolire le insufficienze, in un modo molto simile a quello che avviene nelle università.

Il male affonda addirittura nel Regio Decreto 653 del 4 Maggio 1925 che all’art. 79 recita: «… I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni». Tutti i PTOF riportano quindi la frase “congruo numero di voti” e tutti gli insegnanti sono costretti a darli. Il rischio è quello di soccombere di fronte al giudice a seguito di un ricorso. A scuola si inseguono gli studenti per dare dei voti, all’università sono gli studenti che vanno a prenderseli.

Una prima considerazione porta a notare che le prassi si siano troppo spesso addensate sul voto scritto e sul voto orale anche secondo modalità anacronistiche (si pensi ai temi, ancora scritti con la penna d’oca). Il Regio Decreto, invece, di fatto autorizza a dare il voto ai quaderni, agli esercizi fatti a casa e, naturalmente, a quelli che possono essere fatti a scuola in isole di lavoro solidale, sinergico, attivo.

Propongo di suddividere la programmazione annuale dell’insegnante, possibilmente progettata e condivisa in seno ai dipartimenti disciplinari, in unità didattiche. Fin qui, nessuna novità. Lo studente dovrà quindi dimostrare di avere raggiunto gli obiettivi minimi per ciascuna di esse. Anche questi ultimi vanno dichiarati nella programmazione, in particolare per quanto dettato dalla normativa sull’inclusione scolastica. Tutti devono sapere qual è lo scopo del gioco (in modo tale che le risorse familiari vengano ben spese) e gli obiettivi minimi. La partita deve quindi essere fair. I voti, quindi, potrebbero essere: “apprendimento in via di maturazione” (senza indicazione di un numero), laddove non si rilevi la sufficienza. Poi, propongo: A, B, C per le sufficienze che possono essere tranquillamente ridotte a tre livelli.

Il numero di voti, di conseguenza, dipende dal numero di unità didattiche che, invero, potrebbero anche essere accorpate nella rilevazione, dove queste siano di modesta entità. I due e i tre, non esisterebbero più. La sospensione del giudizio sarebbe legata alle unità didattiche per le quali non si è ancora rilevato il livello di sufficienza. Le medie dei voti non sarebbero più possibili. La giurisprudenza si dovrebbe completamente ricostruire anche entrando nel merito di certe prassi e non meramente facendo la media dei voti che sarebbe istituzionalmente sufficiente, ma non certo significativa. E i disabili con programma differenziato, o con obiettivi minimi, non più torturati.

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