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Catalizzatori di lettura: come e perché

in Attività di classe by
Sabina Minuto ci racconta il suo ultimo “Reading Workshop”: catalizzatori di lettura, strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi.

Con Sara Moretti e Teatro21 abbiamo vinto il bando Cepell Educare alla lettura. Il percorso pensato (incontri con autori, corsi per docenti, incontri con illustratori, teatro sociale) sta volgendo al termine. A Loreto il 23 novembre scorso c’è stato uno degli ultimi incontri, dedicato ai docenti, sul Reading Workshop.

Le linee guida del laboratorio sono state poche ma calibrate per dare ai docenti strumenti replicabili da pensare e reinventare per le proprie classi. Troppo spesso infatti anche corsi di aggiornamento molto interessanti peccano nel non fornire ai docenti degli strumenti pratici e delle indicazioni concrete.

L’inizio è stato come sempre una pratica riflessiva comune su spunti teorici  da vari autori: Massimo Recalcati, Umberto Galimberti, Marielle Macé, Marianne Wolf, Bernard Friot.

Ci siamo interrogati su cosa voglia dire “insegnare a leggere”, individuando ciò che per esperienza non funziona e ciò che invece potrebbe funzionare.

L’origine innaturale dell’alfabetizzazione significa che i piccoli o grandi lettori non hanno un programma su base genetica per lo sviluppo delle connessioni cerebrali del cervello che legge. Tali circuiti sono plasmati e sviluppati da fattori naturali e ambientali incluso lo strumento attraverso il quale la lettura viene acquisita e si sviluppa.

Marianne Wolf (da “Lettore vieni a casa”) suggerisce profonde riflessioni per chi vuole avvicinare lettore e libro. Lo stesso strumento con cui io vorrei insegnare a leggere ai miei studenti è portatore di significato a prescindere e sortirà effetti positivi o negativi. Anche solo per essere quello strumento e non un altro.

Non basta infatti, anche nelle scuole superiori, mettere in mano ad un ragazzo un libro e dirgli: “leggi”. Non può bastare. Se le sue esperienze di lettura pregresse non hanno sortito effetto; se non hanno attivato alcuna mappa neuronale, ma anzi magari sono state fonte di frustrazione e fatica, quel ragazzo non leggerà mai. Ossia non diventerà un lettore per la vita ma semmai un lettore solo per la scuola o per il voto che l’insegnante assegna.

Noi invece come docenti dovremmo procurare agli studenti altre esperienze di lettura che nutrano e facciano crescere lettori autonomi e consapevoli. Lettori in grado di scegliere quale libro leggere e di utilizzare strumenti di comprensione profonda cioè quello che nel Reading Workshop si chiama Deep Reading.

La comprensione, infatti, è sempre un processo e non un prodotto: non deve essere considerata un qualcosa che si ottiene quando si finisce di leggere. La comprensione è un processo. Cioè un’attività che viene esercitata sempre mentre si legge e deve essere supportata e sostenuta in classe.

Nella seconda parte, dunque, ci siamo chiesti soprattutto come fare, non solo cosa.

L’obiettivo è stato attraversare i sette elementi della lettura attiva attraverso organizzatori grafici del pensiero.

I sette punti sono: predire, visualizzare, inferire, identificare, fare domande, connettersi e valutare.

Per ognuno di questi abbiamo visto, e applicato ad un incipit di racconto, letto da me ad alta voce, degli organizzatori grafici di pensiero. Gli organizzatori grafici si sono rivelati interessanti anche per gli adulti lettori esperti.

Al livello visualizzare, ad esempio, abbiamo sperimentato come anche il disegno sia un modo per entrare profondamente nella comprensione di un testo. Se il lettore riesce a visualizzare una parte del testo che ha letto o gli viene letto, riferirlo agli altri con parole o disegni, applicare su questa attività meta cognizione, la comprensione risulterà supportata e quindi più facilmente assunta come propria.

In pratica si impara a leggere, come dice Aidan Chambers, da adulti che leggono (“Il lettore infinito”); ma anche da adulti che esplicitano ad alta voce e con il loro personale esempio il processo che avviene nella mente del lettore in un determinato momento.

In ultimo, ma non per importanza, ci siamo concentrati sugli albi illustrati come attivatori di lettura e di scrittura per tutte le età.

Divisi in gruppo abbiamo lavorato su un singolo albo fra quelli a disposizione seguendo una scheda preparata in precedenza. La scheda era semplice, ma poteva fornire spunti interessanti per collegare il  leggere allo scrivere e per usare gli albi in classe come inizio di percorsi di lettura tematici o di genere. Le quattro attività proposte sono state svolte con entusiasmo dai docenti perché cimentarsi in una didattica che produce idee e si confronta con quelle degli altri è sempre entusiasmante.

Credo che l’incontro abbia avuto una certa ricaduta sui colleghi, almeno abbia dato loro idee su cui ancora lavorare e ancora riflettere.

Non c’è mai nulla di acquisito per sempre nell’insegnare come nel leggere. Come afferma Frank Serafini (“Around the Reading Workshop in 180 Days: A Month-by-Month Guide to Effective Instruction”) infatti la domanda giusta dalla quale partire non è solo “Come insegnare a leggere”, ma più esattamente “Quali tipi di lettori vogliamo creare e supportare?”.

E solo dopo che avremo descritto i tipi di lettori che vogliamo che i nostri alunni diventino allora il Reading Workshop potrebbe essere considerato uno dei modi più efficaci  di insegnare la lettura. Così come pensando a quale tipo di insegnanti di lettura vorremmo  essere, potremo davvero diventare incisivi all’interno delle nostre classi.

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