giappone

Una pagina bianca di un albo: direttamente dal Giappone, tanti spunti interdisciplinari

in Letture in classe by

Un albo, tanti spunti: direttamente dalle terre nipponiche, numerosi spunti disciplinari e trasversali a partire… da una pagina bianca.

Perché non provare a far conoscere ai nostri alunni l’albo illustrato proveniente da terra nipponica? Ce ne sono di bellissimi e vengono letti sia da un pubblico giovanile che da un pubblico adulto.

In Giappone, poi, gli albi illustrati sono considerati testi di alta qualità e ad essi vengono dedicati festival a tema e iniziative letterarie specifiche.

Da diversi anni, infatti, i ragazzi della scuola secondaria di primo grado, e forse anche di altri ordini di scuola, sono attratti dal Giappone. Oltre ad elettronica e videogiochi, negli ultimi tempi particolarmente apprezzati risultano anime, manga e diverse tipologie di sushi.

L’albo illustrato Da una pagina bianca: tanti obiettivi e tanti motivi per leggerlo

L’albo che ho deciso di leggere nella mia classe terza di una secondaria di primo grado si intitola Da una pagina bianca ed è incentrato sulla biografia dell’illustratrice nippo-americana Gyo Fujikawa.

Perché ho scelto di leggere proprio questo albo? 

Per una serie di motivi:

  • fa conoscere del Giappone aspetti storico-sociali meno conosciuti;
  • facilita connessioni con lo studio della storia di metà Novecento;
  • include riferimenti artistici stimolanti e centrati;
  • permette di parlare di scelte di vita in ottica di orientamento e riflessione/conoscenza di sé;
  • consente di impostare interessanti percorsi di educazione civica focalizzati su lotta alle discriminazioni, salvaguardia dei diritti umani, società multietnica, pace e parità di genere (tematiche riconducibili agli obiettivi dell’Agenda 2030) 

E, naturalmente, valgono per l’albo Da una pagina bianca tutti gli obiettivi formativi e didattici che vengono attivati nel corso della lettura di testi di questo genere:

  • stimolo alla riflessione critica e alla negoziazione dei significati;
  • miglioramento delle capacità di osservazione e concentrazione;
  • incentivo alla ricerca individuale e finalizzata (anche ad un eventuale percorso d’esame);
  • occasione di socializzazione e di accoglienza di multivisioni prospettiche;
Orientamento e conoscenza di sé

Nel disegno di copertina appare una donna che apre una grande pagina bianca e, da dietro, si vedono comparire bambini dai tratti somatici differenti.

Come sempre, sarà bene partire da titolo e immagini di copertina/risguardi per stimolare anticipazioni sul contenuto e soprattutto osservazioni attente di illustrazioni e uso di texture e tonalità di colore.

Nelle prime pagine si fa riferimento alla passione del disegno manifestata dalla protagonista fin dalla sua tenere età.

L’immagine di una pagina bianca per disegnare le azioni della giornata e segnare ogni volta un nuovo inizio può prestarsi come ottimo spunto per far riflettere i ragazzi su di sé, sulle proprie passioni e sui nuovi inizi che immaginano all’orizzonte.

Gyo sapeva cosa voleva diventare? Non ancora.
Sapeva solo che le piaceva disegnare.
Ogni giorno cominciava per lei con una pagina
bianca e vuota che riempiva di figure.

Ad attività di disegno e scrittura su pagina bianca, possono essere affiancate letture di altri libri, albi o testi di canzoni sempre indirizzati sul potere, ma anche sul timore, esercitato da un simbolico foglio bianco. Tra questi l’albo Il Punto di Peter Reynolds o il testo della canzone di Elisa Pagina bianca.

“Perderci” nell’arte giapponese

Scorrendo le pagine, vediamo la Gyo bambina crescere e sentirsi sempre più sola, specie dopo il trasferimento in un villaggio di pescatori della California. I colori mutano e le parole si fanno più intense. 

Gyo continua a dipingere, torna nel suo paese per “perdersi” nelle stampe giapponesi e, a causa delle regole rigidissime imposte dai maestri, studia arte da autodidatta.

Proviamo anche noi a “perderci” nella pittura giapponese e ad ascoltare le nostre emozioni di fronte a opere di Hiroshige. Utamaro e Hokusai. Come rimanere indifferenti, ad esempio, di fronte alla famosa grande onda di Kanagawa di Hokusai?

Connessioni con la storia (conosciuta e non)

Tornata in America e ottenuto a New York un primo contatto con la Walt Disney, Gyo assiste ai terribili avvenimenti storici degli anni ’40 del Novecento.

I suoi familiari, rimasti a vivere in California, subirono il destino di tutti i giapponesi residenti nella costa occidentale degli Stati Uniti ai tempi dell’attacco di Pearl Harbour, ovvero la deportazione e la reclusione nei campi di prigionia. 

Disegni in prospettiva e uso dei colori diventano nell’albo ancora più impattanti. Le pagine si prestano ad approfondimenti su un avvenimento storico poco conosciuto in Occidente, oltre che a riflessioni più generali sulla funzione consolatoria dell’arte.

Il mondo sembrava grigio, il colore la risollevava
Gyo si chiedeva: può l’arte confortare e risollevare anche gli altri?

Tanti spunti di lavoro per l’educazione civica

L’albo presenta scenari  più cupi in riferimento alla guerra e, a pace raggiunta, la protagonista si ritrova, suo malgrado, testimone dei grandi fermenti sociali in atto in questi anni. Vi sono riferimenti alle lotte contro la segregazione razziale, alle richieste di parità di diritti tra persone di colore e genere diversi.

In base agli interessi emersi durante le discussioni di classe, possono essere assegnate ricerche o suggeriti lavori di approfondimento da inserire in percorsi di educazione e partecipazione civica responsabile.

I ragazzi possono aver modo di conoscere figure quali Rosa Parks, Martin Luther King e mettere a raffronto le forme di discriminazione razziale statunitensi con quelle perpetrate in altre parti del mondo, sia in prospettiva sincronica che diacronica.

Gyo riesce a farsi strada in un mondo dominato da uomini, insistendo su tematiche riferite a diversità e multiculturalità. Abbatté stereotipi fondamentali per i tempi in cui visse. Nei suoi disegni vi sono bambini diversi e dalla pelle di vario colore e tratto grafico; gradazione di colori e vivacità d’ambiente nelle ultime pagine dell’albo vengono ancor più messe in risalto.

Perché i bambini assumono, alla fine, il ruolo di protagonisti: sulle parole conclusive dell’albo si possono impostare discussioni e motivi di riflessioni incredibili, base di qualsiasi intenzione progettuale futura.

I bambini sono pronti per un mondo più grande e migliore.

Ed eccoli diventare essi stessi protagonisti effettivi non solo dell’albo illustrato appena letto, ma anche delle immagini colorate dell’Agenda 2030 appesa in classe.

A proposito di albi illustrati, trovi qui un altro articolo sul tema.

Foto di copertina by Miika Laaksonen su Unsplash

Fare didattica con i manga: perché no?

in Letture in classe by

È possibile incanalare l’interesse dei ragazzi verso i manga per fare didattica? Sì, lo è. Vediamo come.

I nostri alunni vanno pazzi per i manga, fumetti seriali di piccolo formato che vengono direttamente dal Giappone. Ne leggono in grande quantità e ne apprezzano storie e personaggi.

Noi insegnanti non dovremmo nutrire troppi pregiudizi verso questa loro passione, perché avere modo di accedere al mondo dei nostri studenti può aiutarci a comprenderli meglio. Ma non solo. Guidarli al raggiungimento di certi obiettivi didattici attraverso percorsi e attività che possano maggiormente coinvolgerli, andrà a beneficio di tutto la comunità classe, docente compreso.

In aula abbiamo una piccola biblioteca dove trovano posto romanzi, graphic novel, albi illustrati; sono stati i miei stessi studenti a farmi conoscere il mondo dei manga, un universo fino a quel momento per me sconosciuto. Così ne ho letti alcuni di mia iniziativa e altri su loro proposta.

Non tutti i manga che ho letto li ho considerati degni di nota, ma alcuni li ho trovati davvero interessanti per strutturarci su percorsi didattici significativi.

Manga e didattica

Con i manga, infatti, è possibile far lavorare su certe competenze, far sviluppare capacità di osservazione/comprensione e spirito critico: tutti obiettivi conformi a quanto richiesto dalle Indicazioni nazionali.

Tenendo presente precisi obiettivi didattici – esattamente come succede per ogni altra attività proposta in aula – possiamo provare a far lavorare i ragazzi sulle storie dei manga per incidere sulle competenze linguistiche, ma anche per analizzarne in modo critico e consapevole tematiche, ambientazioni e caratterizzazioni dei personaggi. L’importante è affidarsi a un prodotto di qualità.

Riconoscere fumetti (manga) di qualità

Come fare a riconoscere quando un fumetto, nello specifico un manga, è un prodotto di qualità? Il disegnatore Andrea Artusi ci indica cinque elementi che contraddistinguono un fumetto di qualità:

  • leggibilità
  • coerenza grafica
  • credibilità dei personaggi
  • capacità di coinvolgimento
  • editing

Questi cinque elementi, a mio parere, sul manga Komi can’t communicate sono tutti presenti.

Come costruire un percorso didattico sul manga Komi can’t communicate 

Progettare un percorso didattico su questo manga è interessante perché diversi sono gli elementi di nota presenti in questo prodotto editoriale.

Innanzitutto la storia. La protagonista Komi è una liceale bellissima e ammirata da tutti, che deve però fare i conti con un importante disturbo della comunicazione. Questo le impedisce di interagire con gli altri e di svolgere una vita sociale al pari dei suoi coetanei.

Quindi una storia che ben si presta a riflessioni e discussioni notevoli come l’incapacità di comunicare con gli altri e la sofferenza per i propri limiti.

Copertina e formato

Come per qualsiasi altro prodotto editoriale, anche per i manga facciamo notare ai ragazzi la scelta del titolo, le immagini della copertina e le informazioni contenute nel risguardo.

Le differenze rispetto ai fumetti diffusi in Occidente diverranno subito motivo di riflessione (come la lettura da destra verso sinistra o i tratti tipici dei personaggi, quali il fisico longilineo o gli occhi in risalto).

Il tema centrale del manga viene precisato sia nella copertina che nella prima vignetta del manga, quindi si può cominciare a far parlare e a far scrivere i ragazzi chiedendo loro cosa ne pensano dell’incomunicabilità.

La condivisione l’ascolto e l’accoglienza dei vari punti di vista sono aspetti che incidono profondamente e positivamente sul clima relazionale della classe. Se le sollecitazioni provengono da prodotti apprezzati come lo sono i manga, con molta probabilità la risposta della classe non deluderà le aspettative.

Osservazione dei personaggi

Come dice lo scrittore Daniele Nicasto, i manga si soffermano più sui personaggi che sulla storia, quindi obiettivo primario sarà analizzare le caratteristiche dei personaggi a partire da lei, Komi.

La ragazza più bella della scuola, che quando si muove incanta tutti coloro che la guardano, mostra in realtà imbarazzo e frustrazione fin dalle primissime vignette. Interessante è far notare come vengano ben rappresentati i diversi punti di vista tra chi, da fuori, mostra un atteggiamento adorante e chi, da dentro, prova ansia e disagio.

Far riflettere su noi e gli altri, sulla nostra autenticità interiore, sul nostro senso di inadeguatezza sarà più semplice passando attraverso fiction e personaggi con i quali i ragazzi si identificano.

Chiedere di scrivere come veniamo visti dagli altri e come, in realtà, ci sentiamo noi stessi può configurarsi  come un’ attività di orientamento significativa.

Personaggi dei manga e connessioni con il vissuto personale

Dall’osservazione del personaggio di Komi si può notare come la ragazza nel manga venga spesso ritratta in occasioni che dimostrano ansia ed emotività.

Il disegno ne mette in risalto le ombre, gli occhi grandi, i tratteggi che indicano tremore, sudore e l’incapacità di proferire parola. La produzione scritta può prevedere diverse sollecitazioni riferite alla spiegazione dei suoi sentimenti o all’immedesimazione in condizioni simili.

E intanto i ragazzi scrivono a partire da uno spunto che sentono vicino e motivante.

Personaggi dei manga e connessioni letterarie

Interessante è far notare come personaggi letterari dalle caratteristiche simili a quelli del manga vengano rappresentati attraverso un linguaggio in prosa del romanzo.

Un esempio possiamo riscontrarlo nel personaggio di Nico, co-protagonista del libro di Daniele Nicastro Vengo io da te, caratterizzato da una grave forma di ansia sociale.

Oppure sollecitare parallelismi tra il manga di Komi e il bellissimo albo illustrato Io parlo come un fiume (testo di Jordan Scott e illustrazioni di Sydney Smith), dove l’incapacità di comunicare con gli altri e il senso di frustrazione e solitudine che ne deriva vengono espressi in modo eccellente sia da un linguaggio testuale che da un potente linguaggio iconografico.

Ma anche un altro personaggio può condurre ad una connessione letteraria audace e inaspettata. l’amico di Komi, Tadano, che nel manga aiuterà la ragazza a trovare cento amici, viene inizialmente descritto come pusillanime, interessato solo a seguire la corrente e a vivere nella maniera meno problematica possibile.

Tutti aspetti che possono permettere rimandi niente meno che con il famosissimo Don Abbondio manzoniano, seppur si tratti di un personaggio proveniente da un mondo letterario lontanissimo dal manga sia a livello tematico che a livello spazio-temporale.

Evoluzione dei personaggi nei manga

Continuando ad osservare Komi, possiamo arrivare a proporre il classico organizzatore grafico del “viaggio dell’eroe”, tanto usato in narratologia, anche per far notare l’evoluzione del personaggio di un manga.

Anche questo è fare comprensione del testo, anche così si fa analisi profonda dei personaggi di una storia.

Manga: una sfida senza pregiudizi

Lavorare in classe con i mangi, insomma, si può. Come afferma Andrea Artusi:

Consiglio ai diffidenti di abbandonare i pregiudizi e di accogliere il mondo dei manga con un approccio più libero possibile. Si tratta di avvicinarci ai gusti dei ragazzi e a capire perché li leggono (ed è bene che leggano).

E anche Franco Lorenzoni, maestro sostenitore di una didattica sperimentale e innovativa, così si esprime a proposito dell’avvicinamento ai manga da parte degli insegnanti: 

Visto che noi proponiamo di continuo a bambini e ragazzi di entrare nel nostro mondo culturale, di cui non è sempre facile per loro individuare il senso, soprattutto quando è spezzettato in discipline che non comunicano tra loro, credo sarebbe importante accogliere a volte qualche frammento del loro mondo culturale, anch’esso frammentato, cercando insieme il senso che la cultura può dare alle domande che ci urgono e alle sofferenze che accompagnano inevitabilmente ogni vita e ogni convivenza.  È una sfida difficile, ma necessaria.

Io sono d’accordo e accetto la sfida.

Sempre sul tema di fumetti giapponesi, trovi qui un articolo di approfondimento sugli anime!

Foto di copertina by Gracia Dharma su Unsplash

Il kamishibai,”teatro di carta” che incanta e racconta

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Scopriamo il kamishibai, letteralmente “teatro di carta”, dove racconto orale e illustrazioni si uniscono armoniosamente

Se ancora non possiamo tornare a viaggiare verso mete lontane, la nostra curiosità non conosce limiti, e stavolta si è spinta fino al Giappone, alla scoperta del kamishibai, il magico “teatro di carta“.

Ne abbiamo parlato con Paola Ciarcià, Presidente dell’AKI (Associazione Kamishibai Italia), docente e formatrice nel settore della pedagogia applicata all’arte e ai beni culturali, e Mauro Speraggi, pedagogista, membro del CIGI (Comitato Italiano del Gioco Infantile) e del comitato scientifico dell’Artoteca di Cavriago (RE).

Cos’è il Kamishibai e qual è la sua origine?

Il kamishibai è una tecnica di narrazione giapponese, che ha avuto la sua massima espressione nel periodo tra le due guerre mondiali, grazie alla combinazione di 3 fattori:

  • la diffusione della bicicletta
  • la crisi economica del 1929
  • l’avvento del cinema sonoro

I primi artisti del kamishibai erano narratori benshi, disciplina che consisteva nel commentare i film muti di allora. Con l’avvento del sonoro migliaia di loro persero il lavoro, e iniziarono l’attività di narrazione in strada.

Si stima che in quel periodo, in tutto il Giappone vi fossero oltre 30.000 kamishibaiya (cantastorie kamishibai)!

Non era raro trovare in un angolo di strada un narratore che, in sella a una bicicletta, con il suo piccolo teatro in legno (butai), richiamasse i bambini battendo tra loro due bastoni di legno. Tutti accorrevano per comprare dolciumi e ascoltare storie, che di solito erano: un racconto buffo, una storia d’amore o una di avventure. Così, tutti i gusti venivano accontentati!

Illustrazione tratta da “L’uomo del kamishibai
Di Allen Say – Edizioni Artebambini
Come funziona il kamishibai?

Il dispositivo si basa sullo scorrimento di singole tavole illustrate, inserite dal narratore all’interno di un piccolo teatro in legno (il butai): attraverso il loro scorrere la storia prende vita.

Il narratore, oltre a gestire il flusso del racconto, commenta le immagini e da’ voce ai personaggi, leggendo il testo riportato sul verso di ogni tavola.

Come ogni buon cantastorie, il narratore cura la drammaturgia della messa in scena, attraverso suoni, rumori ed “effetti speciali”, dando vita a un vero e proprio spettacolo.

Qual è il suo pubblico? È pensato solo per i bambini o anche per gli adulti?

Dal momento che prima di iniziare la narrazione, il cantastorie vendeva caramelle o proponeva giochi e canzoncine, il pubblico è storicamente quello dei bambini e dei ragazzi.

Non esclude però gli adulti; anzi, avendo molte parentele con i cantastorie c’è anche un repertorio per gli adulti o quantomeno per le famiglie. 

Oggi noi portiamo le storie kamishibai nelle biblioteche, nelle scuole, ma anche nei quartieri e nelle piazze. La tecnica rimane sempre quella di una performance basata sul racconto e sulla stretta simbiosi con le immagini.

Quali sono le sue funzioni pedagogiche?

Il kamishibai è innanzitutto una forma di spettacolo, quindi si condivide la storia con altri. Ha in sé il rito dell’attesa di “inizio spettacolo”, concentra l’attenzione e la focalizza sulla potenza della storia letta a voce alta, e sulle grandi illustrazioni. 

Potremmo dire che è la dimensione collettiva del racconto.

Nella sua apparente semplicità, è un congegno narrativo assai complesso: recupera la dimensione originaria della narrazione orale popolare, e si collega all’invenzione del libro, dal momento che il cantastorie sfoglia pagine e mostra immagini.

Il kamishibai è uno strumento prezioso dal punto di vista educativo: è l’anello di congiunzione fra il gioco simbolico e l’albo illustrato.

A scuola e in un museo diventa un mezzo per trasformare una lezione in storia narrata: è uno straordinario facilitatore per un apprendimento complesso e  accattivante.

Il kamishibai segue un copione preciso o è anche frutto dell’improvvisazione del narratore? Ci sono momenti di interazione con il pubblico?

Le tavole illustrate raccontano ognuna una sequenza di una storia definita in precedenza.

La parte della tavola rivolta verso il pubblico è interamente illustrata, mentre nel retro c’è il testo, e una piccola immagine che riproduce l’illustrazione della tavola che si sta leggendo.

Il kamishibai predilige storie semplici, di forte impatto narrativo in cui sia facilmente riconoscibile la struttura della storia e si rispetti la triade narrativa inizio/svolgimento/fine.

Prima di raccontare una storia, il narratore deve:

  • leggere con attenzione il testo
  • cogliere nelle illustrazioni gli aspetti significativi
  • esercitarsi nello scorrimento delle tavole: farlo davanti ad uno specchio aiuta a gestire armoniosamente i passaggi
Quali possono essere gli insegnamenti di questa arte?

È un’esperienza estetica a tutto tondo, perché coinvolge tutti i sensi oltre ad essere uno strumento di cittadinanza attiva e partecipata, se la lettura avviene in luoghi pubblici. Inoltre:

  • Rimette al centro il racconto ad alta voce
  • Dà dignità al mondo delle figure
  • Ripristina un legame stretto tra narratore/trice e pubblico
  • Potenzia la dimensione dell’ascolto, dell’attesa, dell’attenzione
L’AKI (Associazione Kamishibai Italia), da quale spinta/esigenza è nata, e perché?

Alla Fiera Internazionale del Libro di Bologna del 2000, in cui eravamo presenti con Artebambini, siamo stati incuriositi da una strana valigetta di legno di uno stand del Giappone, in mezzo a libri e grandi tavole illustrate.

La storia di questo antico strumento di lettura, che seduceva per la sua stretta parentela con il teatro, ci ha spinti a credere che poteva essere lo strumento ideale da portare nelle classi, nelle biblioteche, negli incontri con i genitori.

Il libro, l’albo illustrato, la lettura ad alta voce: era come se avessero trovato un’altra dimensione!

Da quell’incontro sono passati diversi anni di sperimentazioni, letture, corsi di formazione, storie prodotte. Ma le emozioni che è in grado di suscitare questo antico strumento non si sono per niente scalfite!

Finché si leggeranno e ascolteranno storie kamishibai, si rinnoverà l’incanto, la meraviglia e lo stupore propri dei racconti e della narrazione che risalgono all’alba dell’umanità.

Paola Ciarcià con i bambini

Per questo motivo da qualche anno è nata a Bologna l’AKI – Associazione Kamishibai Italia, che è socia dell’Associazione Internazionale dei Kamishibai, con sede in Giappone. Per tutelare, diffondere e fare ricerca su questo strumento culturale ed educativo.

Ogni anno promuove il World Kamishibai Day, che si celebra il 7 dicembre, giorno in cui i giapponesi attaccarono la Marina degli Stati Uniti a Honolulu, nel 1941.

Per questo l’Associazione Internazionale Kamishibai del Giappone lo ha scelto: perché diventi una ricorrenza di pace, e il kamishibai uno strumento di pace.

Quale miglior antidoto alla paura, ai conflitti, alle guerre, se non quello che ci viene dalle storie narrate con il kamishibai, portatore di gioia e colori?

Scarica unità didattica

Argomenti

Go to Top